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L'ARTE A FAVORE DELLA GUERRA. GABRIELE D'ANNUNZIO.
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GABRIELE D'ANNUNZIO "Compagni, non è più tempo di parlare ma di fare; non è più tempo di concioni ma di azioni, e di azioni romane. Se considerato è come crimine l'incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io lo prenderò sopra me solo. Se invece di allarmi io potessi armi gettare ai risoluti, non esiterei: né mi parrebbe di averne rimordimento. Ogni eccesso della forza è lecito, se vale ad impedire che la Patria si perda. Voi dovete impedire che un pugno di ruffiani e di frodatori riesca ad imbrattare e a perdere l'Italia. Ascoltatemi: Intendetemi. Il tradimento è oggi manifesto […] Nella Roma vostra si tenta di strangolare la Patria con un capestro prussiano maneggiato da quel vecchio boia labbrone le cui calcagna di fuggiasco sanno la via di Berlino. In Roma si compie l'assassinio. E se io sono il primo a gridarlo, e se io sono il solo, di questo coraggio voi mi terrete conto domani ....Il vostro sangue grida. La vostra ribellione rugge. Finalmente voi vi ricordate della vostra origine. La storia vostra si fece forse nelle botteghe dei rigattieri e dei cenciaiuoli? […]Non ossi, non tozzi, non cenci, non baratti; non truffe. Basta! Rovesciate i banchi! Spezzate le false bilance! Stanotte su noi pesa il fato romano; stanotte su noi pesa la legge romana. Accettiamo il fato, accettiamo la legge.Imponiamo il fato, imponiamo la legge!Le nostre sorti non si misurano con la spanna del merciaio, ma con la spada lunga. Però con bastone e col ceffone, con la pedata e col pugno si misurano i manutengoli e i mezzani, i leccapiatti e i leccazampe dell'ex-cancelliere tedesco che sopra un colle quirite fa il grosso Giove trasformandosi a volta a volta in bue tenero e in pioggia d'oro. Codesto servidorame di bassa mano teme i colpi, ha paura delle busse, ha spavento del castigo corporale. Io ve li raccomando. Vorrei poter dire: io ve li consegno. I più maneschi di voi saranno della città e della salute pubblica benemeritissimi.Formatevi in drappelli, formatevi in pattuglie civiche; e fate la ronda, ponetevi alla posta per catturarli. Non una folla urlante, ma siate una milizia vigilante. Questo vi chiedo. Questo è necessario. È necessario che non sia consumato in Roma l'assassinio della Patria."
Le Figaro - 20 febbraio 1909 Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità penosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un'automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo...un'automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia. Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali. Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei liberatori, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le marce multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che fiutano l'orizzonte, e le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. È dall'Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari. Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri. Filippo Tommaso Marinetti