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SEZIONE PROSA SEZIONE POESIA. SEZIONE PROSA. SEGNALATO FRANCESCO MAROTTA Liceo G. Bruno Mestre “ ROSSO CILIEGIO ”. SEGNALATO CAMILLA VIVAN Liceo Classico Marconi Conegliano “ L’ORA DEL THE’ ”. TERZO PREMIO ANN MARCOLEONI Liceo Statale G.Berto Mogliano Veneto
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SEZIONE PROSA SEZIONE POESIA
SEGNALATO FRANCESCO MAROTTA Liceo G. Bruno Mestre “ ROSSO CILIEGIO ”
SEGNALATO CAMILLA VIVAN Liceo Classico Marconi Conegliano “ L’ORA DEL THE’ ”
TERZO PREMIO ANN MARCOLEONI Liceo Statale G.Berto Mogliano Veneto “MEMORIE DI ADRIANO”
MEMORIE DI ADRIANO L'altro giorno, mi è successo una cosa strana, ho dovuto usare tutto il mio fascino per conquistare una donna molto particolare e speciale. L'avevo seguita per molto tempo, prima che lei decidesse di fermarsi su una panchina del parco. Prima di avvicinarmi la osservai, era bella, ma particolarmente seria e continuava a fissare il vuoto con aria pensosa, mi sedetti accanto a lei, ma aspettai alcuni minuti prima di rivolgerle la parola, poi le chiesi semplicemente come stava. Lei continuando a guardare il vuoto mi rispose : "Bene prima che lei mi disturbassi !" Le chiesi subito scusa, infatti non era mia intenzione disturbarla, ma le dissi che mi sembrava strano che una donna come lei fosse seduta tutta sola su una panchina la domenica pomeriggio. Lei prontamente mi disse : "Non vedo cosa ci sia di strano io faccio quello voglio e sto benissimo così, lei piuttosto che cosa vuole da me ?! ?!" Io allora le dissi che ci tenevo soltanto a parlare con lei e le chiesi se si ricordasse di me , ma lei con un tono molto sicuro mi disse : " Dovrei ricordarmi di lei ? No, io non l'ho mai vista !
" Mi colpì non poco questa sua affermazione ma non mi diedi per vinto, in effetti non mi definirei un uomo che si ricorda facilmente, quindi con molta tranquillità le dissi : "Beh rimediamo subito, sono Adriano Castolfi !" Lei allora con aria stupita mi concesse un lieve sorriso dicendo : "Si chiama come l' imperatore ?! Io adoro quel personaggio storico, a lei piace ?!" A quel punto io le sorrisi era chiaro che avevo trovato un argomento di conversazione, quindi senza esitare oltre cominciai a parlarle di me : " A me non è mai piaciuto più di tanto, anzi temo di averlo odiato Adriano quando lo studiavo a scuola, a lei invece suppongo piaccia molto ?!" Lei mi guardò un po' contrariata e mi disse : "Bah non capisco come si faccia ad odiare un personaggio simile....Comunque un nome così bisogna saperlo portare....." Soltanto in quel momento mi accorsi che dalla sua borsetta fuoriusciva un libro sull'antica Roma, allora approfittai di quello per chiederle : "Vedo che le piace leggere e che è un'appassionata della Roma antica, non mi dica che il suo imperatore preferito è proprio Adriano ?! ?!" Lei reagì come se avessi scoperto uno dei suoi più grandi segreti, poi con un tono quasi di rimprovero mi disse : "Certo che mi piace la lettura, è un'attività che dovrebbe piacere tutti, e poi sì, amo molto la storia e in particolare quella dell'antica Roma e....Adriano è il mio imperatore preferito...."
Al quel punto mi sembrava di aver trovato un punto di contatto, la sua espressione era cambiata da quando avevo cominciato a parlarle, era diventata più mite e meno seriosa, capii che ne dovevo approfittare prima che fosse troppo tardi così le feci una proposta : " Le va di fare una passeggiata con me ?! Così mi parla un po' di lei e se vuole anche di tutto quello che sa riguardo l'imperatore Adriano !" Improvvisamente smise di fissare il vuoto e si voltò verso di me squadrandomi : "Vuole che venga via con lei ?! E chi mi dice che non voglia farmi del male ?" Io le sorrisi rassicurandola, dicendole che non avevo assolutamente brutte intenzioni, e che il mio unico desiderio era quello di avere un po' di compagnia, non ero riuscito pienamente a convincerla, ma qualcosa di me doveva aver sollevato la sua curiosità, infatti mi disse : " Va bene vengo con lei, spero di non pentirmene, ma guardi l'avverto non amo parlare troppo di me !" In quel momento mi sentii crescere un senso di soddisfazione, ce l'avevo fatta, ero riuscito nel mio intento, ora dovevo solo completare l'opera, mancava poco, ormai anche se non l'avrebbe mai ammesso, si fidava di me e nutriva nei miei confronti anche una certa simpatia, ne ero certo.
Mentre camminavamo mi accorsi che era lei a seguirmi e non il contrario, non camminava più così velocemente come faceva prima e anzi capitò che spesso si fermasse guardandosi intorno con l'aria di chi non sapeva più dove si trovasse, poi però continuava a camminare, non cercava nemmeno di propormi strade alternative, si lasciava semplicemente guidare concedendomi la possibilità di conoscerla meglio. Ad un certo punto mi resi conto di non averle nemmeno chiesto in modo ufficiale il suo nome, anche se lo sapevo già, lei non esitò a rispondermi anche se dalla sua espressione capii che si chiedeva il perchè non gli avessi chiesto prima : "Mi chiamo Giulia !" Io le sorrisi : "É proprio un bel nome, anche questo di origine latina giusto ?!" Lei mi guardò e poi disse : "Si è vero, bella osservazione, forse è per quello che sento una forte vicinanza con il mondo dell'antica Roma !" Continuammo a camminare ed io accorgendomi dell'ora, affrettai il passo, dovevo portarla in un posto sicuro prima che fosse troppo tardi. Lei aumentò il passo ma continuò a parlarmi dell'imperatore Adriano delle sue spedizioni, della sua apertura mentale nei confronti delle diverse civiltà che incontrò, e della sua particolare attenzione per l'arte, mentre l'ascoltavo con molto piacere, il cellulare che avevo in tasca squillò violentemente interrompendo in un certo senso il nostro idillio : "Pronto ?! Ah sei tu ?! Si adesso arrivò, tranquilla va tutto bene !
" Dopo aver riattaccato mi accorsi che Giulia mi guardava contrariata, forse perchè la telefonata ci aveva interrotto o forse perchè come temevo io, il momento fatidico stava per arrivare. Mi rassicurai però quando vidi la casa in fondo al viale, eravamo arrivati e io stavo per raggiungere il mio obbiettivo, a pochi metri però lei mi mise una mano sulla spalla e mi disse : "Ma guarda questa è casa mia ! Ma tu sapevi dove abito ?!" Io non le risposi subito, poi le dissi : "Diciamo che intuivo la zona ma non sapevo che fosse questa, è un bel quartiere e anche la casa mi sembra molto carina, da tanto abita qui ?!" In quel momento mi accorsi di averla messa quasi in difficoltà, ma lei cercando di non darmelo a vedere disse : "Sì è una bella zona e anche una bella casa ma non saprei con certezza da quanto vivo qui, sicuramente da tanto....". Arrivammo di fronte il cancello che era semiaperto, mi accorsi che c'era una persona che ci osservava dalla finestra, la guardai accennando un saluto, Giulia nel frattempo entrò lasciando il cancello aperto, poi si voltò e mi disse : "Adriano non vuole entrare ? ?! "Era la prima volta, dopo tutte quelle ore passate insieme, che si rivolgeva a me con un tono completamente disteso, io le risposi dicendo : "Mi dispiace devo andare, magari ci vediamo un altro giorno, grazie per la compagnia.....Giulia!
" In quel momento lei mi regalò un sorriso che avevo ricercato per tutto il pomeriggio, un sorriso che rispecchiava così tanto la sua fantastica personalità, poi mi fermò ancora una volta prima di entrare in casa dicendomi : "Ah volevo dirti che secondo me il tuo nome ti sta proprio bene!Ciao Adriano spero di rivederti !" Dopo avermi detto quella frase entrò e richiuse la porta. Io rimasi a fissare quella casa e quel viale dove anch'io ero cresciuto, quella finestra dalla quale mi controllava mia madre e da cui ora mi stava salutando la mia ansiosa ma dolcissima sorellina. Solo in quel istante mi resi conto dello strano pomeriggio che avevo trascorso, cercando di conquistare, per l'ennesima volta, la fiducia di una persona così importante e così speciale come mia madre, lottando contro il tempo, prima che una viscida malattia me la portasse via ancora, e sperando che dopo tutte quelle ore passate insieme, potesse aver intravisto in me, quel bambino che aveva cresciuto con tanto amore e a cui aveva dato il nome del suo imperatore preferito.
SECONDO PREMIO CELESTE ZAVARISE Liceo Artistico Treviso “Abòrtus”
Abòrtus Il mio respiro iniziò con un mamma. Anche il tuo se ci pensi iniziò così, con la differenza che la mia, più che una mamma era una ragazzina. A volte capita. Sono cose che capitano. Puoi fargliene una colpa? Sì, puoi. Una volta successo ci sono due possibili alternative; cosa fare se una di queste non è accettabile? Si fa, e basta. C'est la vie diceva qualcuno, non so chi, tante cose non conosco, forse nessuna. Ero ignorato, alcuni neanche mi conoscevano, quando accadde non erano contenti. Nessuno, era felice. Nessuno, giuro. Era tardi ormai, non sono cose che dovrebbero succedere spesso, era difficile da capire. "Ciao questo è il sole, non lo vedi? Presto lo vedrai, tranquillo, scalda i corpi della gente, a volte, anche i cuori, ma non sempre, forse quasi mai." Sole. Sole!
Dice che è grandissimo, più della terra, cos'è la terra? E' grande? Quanto grande? Quanto sole? Chissà se posso essere sole anche io. Oltre a questo cosa c'è? Raccontamelo ti prego. "Beh c'è il cielo, è azzurro, più grande di tutto, si dice infinito" Infinito, dev'essere bellissimo. Devono esserci solo cose bellissime, là fuori. Non vedo l'ora. Ora conosco il sole, il cielo, la mamma. Voglio stare con te per sempre; no, no, no, anzi, all'infinito. Sto bene, voglio star bene, voglio essere felice con te, come ora. Oggi ho visto qualcosa di brutto. Era forte e cattivo, mi faceva stringere la gola e non riuscivo a chiudere gli occhi. Cercavo di non pensarlo ma mi entrava nella mente, dentro. Era qualcosa di diverso dalla paura ma faceva star male la faccia. Ha detto mamma che era uno sguardo. Non uno bello però, uno sguardo di disprezzo, per me, per lei. "Se fossimo separati non ci guarderebbero così. Io però non posso lasciare la tua mano, non posso lasciare nulla di te. Sei parte di me, sei me" Per fortuna ci sei.
Oggi ho visto le persone che pensavano, Sono tante, stanno insieme ma sono sole. Sono rumorose ma nessuno le sente. Se pensi muori e se muori, credo, non pensi più. Si trascinano attaccate agli occhi della grandi sacche nere piene di stanchezza, sono segnati dalle parole. Si chiamano anche "occhiaie", se cerchi il sinonimo sul vocabolario trovi la parola "tristezza". Oggi ho imparato cos'è l'amore. E' un po' come il sole, solo che a volte, il pensare, ti uccide. Ti amo, posso dirtelo ti amo? Ti amo. Oggi ti sei guardata ed eri tanto, tanto bella. Qualcuno dice che essendo noi collegati ti dovrei somigliare, lo spero. Come farò ad assomigliarti però, se dividerci pare impossibile. Viviamo in simbiosi, non c'è speranza che loro vincano su di noi, nessuno può separarci, nessuno può sconfiggerci. Te bellissima, unica, ciao mamma.
Oggi ho visto la felicità dei piccoli uomini bassi nei parchi, sorvegliati dagli uomini grandi che sembrano tutti tranne che felici. Forse quest' ultimi pensano troppo e i primi troppo poco. Anche io voglio essere parte di ciò, voglio stare nel parco con te, sotto il sole e sotto la pioggia. Tu lo vuoi? Rispondimi ti prego, non lo fai più. Andiamo a correre parlando per ore, ritrovandoci poi sfiniti senza fiato con i polmoni che scoppiano e il cuore pieno di gioia, andiamo insieme per poi non ritrovarci più con gli altri. Possiamo farlo se solo lo vuoi. Potremmo fare tutto, però sorridimi, fallo ti prego, rispondimi. Oggi ho imparato che la gente spesso piange. Anche mamma. Vuoi far piangere anche me? Sono quasi sicuro che se lo si fa troppo poi ci si svuota. Immagino non sia cosa bella. Non come te almeno, ma io a te piaccio? Oggi ho capito cosa sono l'ansia e la paura. Come l'herpes di mamma, ti entrano dentro e non ti abbandonano. Si innamorano di te. Dentro di te. Come me dentro di lei. Come un ospite indesiderato nella testa. Riesci ancora a chiudere gli occhi?
Oggi mi chiedevo il perchè del tuo sguardo così addolorato e perso. Non sei felice per me? Non sei impaziente di tenermi, abbracciarmi e amarmi per sempre? Non farmi arrabbiare mamma. Non farlo. Non lasciarmi, non volermi male. Non farlo. Non è giusto che sia così. Per sempre. Siamo uniti sai. Forse non meriti tutto ciò che io e solo io potrò darti, io te l'ho sempre spiegato, certo se tu mi ascoltassi un po' di più, se solo tu avessi il coraggio di guardarmi e parlarmi senza quell'aria di... Come si chiama, odio, forse. Odio, mi dicono sia odio.
Spiegami almeno perchè! Allora vomitami, vomitami ora. Non farmi credere di volermi dopo avermi fatto pensare e credere che tu mi potessi amare quando i tuoi sguardi sono solo ansia e paura nella pancia vuoi farmi piangere vuoi farmi morire, ti logoro dentro. I tuoi occhi vuoti non sanno più guardare, la mia bocca stanca non sa più parlare, chiediti il perchè della mia non esistenza. Ti sto mangiando. Lo puoi reggere ancora? Io. Non. Voglio. Nato morto.
PRIMO PREMIO GIULIA DE PIERI Liceo Classico “E. Montale” S. Donà di Piave “GUARDAMI”
GUARDAMI A volte il buio non fa paura. E’ solo una coperta pesante che toglie i brividi, che protegge dai mostri nascosti dietro l’angolo, dalla verità, dal riflesso di una lacrima negli occhi di chi lo sta guardando. A volte il buio fa male, distrugge tutte le certezze, lo fa sentire solo in mezzo ad un mondo che non conosce, nero come quello che vede, nero come le cose che sente. Altre volte il buio è solo una costante. Altre volte ancora il buio è lui.
Filippo ama cantare con le cuffiette nelle orecchie. Le sue note musicali preferite sono il la e il si, adora il modo in cui la voce vibra quando riesce a raggiungerle e vivrebbe di musica, se solo potesse. Ma non può e questo fa male. Filippo ama anche il profumo delle fragole. D’estate, quando fuori fa caldo e tutto sembra dormire, sua mamma le taglia a pezzettini, ci aggiunge lo zucchero e il limone e Filippo, prima di mangiarle con il cucchiaio, infila il naso nella tazza e respira. Respira l’odore dei campi, dei fiori che crescono al sole, dell’erba dopo il temporale. Respira felicità, spensieratezza, libertà. Filippo ama anche la carezza delicata dell’acqua che scivola lungo il corpo, il sapore del latte senza zucchero, il pelo morbido del suo cane, il caffè e la vaniglia. Filippo, però, ha paura dei colori, perché non li ha mai visti. Conosce solo il nero, nel quale nuota e si agita e corre e vive. I suoi occhi sono spalancati, lui li sente, ma fissano sempre il nulla in cui è intrappolato da una vita intera. Cecità dalla nascita, l’hanno chiamata. Ma Filippo, dentro di sé, sa che ha un nome diverso: il suo. Perché lui è così, lo è da sempre, e non può cambiare. Deve solo arrendersi e vivere dentro alla gabbia di vetro che gli hanno costruito, grande come il mondo e nera come lui. Ha paura dei colori non perché non li conosce, ma perché sono qualcosa che non conoscerà mai.
Lì, disteso sul divano, con la voce dei Beatles che, nelle sue orecchie, grida di lasciare che sia, Filippo chiude gli occhi e non cambia nulla: tutto è sempre nero, sia dentro di lui che fuori. Poi respira a fondo, sfila la cuffietta destra e, dalla cucina, sente sua mamma canticchiare una melodia sbagliando tutte le note. Filippo ridacchia, mettendosi seduto e spalancando gli occhi senza nemmeno rendersene conto. “Stai tagliando le fragole?” grida, forse un po’ troppo forte, alzandosi in piedi e camminando senza nemmeno tendere in avanti le mani, perché conosce la sua casa nonostante il buio e tutto il resto. E’ cresciuto lì, è questo il suo posto. Come potrebbe farsi male? Sua mamma sbuffa, ridendo. Filippo la sente impugnare il coltello e capisce che sì, sta tagliando le fragole e lo sta facendo per lui. Per lui e basta. “Secondo te?” è la sua risposta, quando Filippo ormai è in cucina, appoggiato allo stipite della porta a braccia incrociate. “Certo che le sto tagliando, Filippo. Come ogni giorno.” Filippo sorride e sente già il profumo dolciastro della vera essenza dell’estate nell’aria. Poi, sedendosi sopra al tavolo, finalmente dice: “Mamma, di che colore sono le fragole?”
Il rumore del coltello che sbatte sul tagliere si ferma. Filippo sa, anche se non può vederla, che non sta sorridendo, che i suoi occhi sono spenti, forse chiusi. Colpevoli. Sta per ritirare tutto, sta per chiedere scusa – scusa per il dolore, scusa per tutte le lacrime che non ha visto, ma che le ha sentito versare, scusa per essere così dannatamente sbagliato e nero – quando lei, a bassa voce, rivela: “Rosse. Così tanto rosse che fanno quasi male agli occhi.” Ma Filippo sa che sono rosse, lo sa. Non è questo il problema. Il problema è: di che colore è il rosso? Di che colore sono i colori? “Grazie” dice, mordendosi la lingua. “Ho capito.” Ma sa – come potrebbe non saperlo? – che non capirà mai. Solo che poi, quasi come se fosse scritto, è arrivata Aurora. Capelli lunghi e soffici, mani morbide, profumo di fragole anche in inverno. Gli ha sorriso. E Filippo l’ha visto, quel sorriso brillante e splendente e vivo come lei. Aurora sa di corse sotto la pioggia, di caffè bollenti di fronte alle macchinette, di carezze sulle guance e di baci rubati. Aurora sa di erba appena tagliata, di note musicali, di vaniglia, di cuffiette condivise e di risate. Sa di libertà e di amore. Sa di colori.
E Filippo, disteso accanto a lei in mezzo ad un campo pieno di fragole, sta ridendo come mai ha fatto prima. Ha le mani dietro alla testa e una margherita tra i capelli perché, come ha detto Aurora, così è ancora più bello. Ha gli occhi spalancati e un mondo davanti che non riesce a vedere. C’è ancora il nero che avvolge tutto, c’è ancora la paura e il buio fa ancora male, a volte. Ma, adesso, in mezzo al nulla, c’è Aurora. “Hai sentito il vento?” sta dicendo lei, appoggiata con la testa al suo petto. I suoi capelli ricci gli solleticano il collo. Filippo sorride, sfiorandole dolcemente il fianco. “Ho sentito te” ribatte, chiudendo gli occhi. Aurora ride e il mondo nero di Filippo si illumina di mille colori diversi. “E hai visto le fragole?” chiede lei, prendendogli la mano e portandola in alto, verso il cielo. Filippo annuisce, sussurrandole nell’orecchio: “Sono rosse, vero? Di che colore è il rosso?” Aurora sorride di nuovo, con le labbra contro il suo collo. Poi gli bacia piano la guancia, senza fretta, ed è sulla sua pelle che rivela: “Sono rosse come le nostre mani che si stringono, come i sorrisi che dedichi solo a me, come quello che provo per te.” Filippo, stavolta, sa di che colore è il rosso. Lo sa. In qualche angolo della testa sa anche di averlo sempre saputo.
E’ per questo che non si stupisce quando Aurora sorride ancora e, prendendogli il viso tra le mani, gli dice, come se lo stesse pregando, come se ne avesse bisogno: “Guardami.” E la guarda. Attraverso il buio e il nero, oltre il nulla. La guarda e sa – come potrebbe non saperlo? – che non c’è niente al mondo di più bello di lei. La guarda e vede le fragole, l’arcobaleno, l’infinito, la libertà e la vita. La pelle morbida di Aurora è il bianco, le sue ciglia infinite sono il verde dei suoi occhi che non ha mai visto, il suo cuore che batte è azzurro e cristallino come il mare, le sue mani sono il rosa più intenso, la sua allegria è l’arancione, la sua spontaneità il giallo brillante. E le sue labbra – morbide, delicate, così dolcemente e perfettamente sue – sono rosse. Come le fragole, come le loro mani che si stringono, come i sorrisi che dedica solo a lei, come quello che prova. Come loro. La sta guardando ed è bellissima.
SEGNALATO MATTEO BORSATO “Istituto Riccati - Luzzati” Treviso “ARIA”
SEGNALATO CARLO RETTORE Liceo Classico “Giorgione” Castelfranco Veneto “EPIGRAMMA”
TERZO PREMIO ANNA FABBRI Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” Treviso
I Potessi, appoggiata All’omero dei sogni, Stringere la tua camicia.
II (Tic tac)Penzolanti silenziCome lingue gialle e moscePer mosche.(Ting ting)ConcaviSguardi d’argentoNel fondale lentigginosoDella ceramica. (…)Stiamo zitti, come rette parallele.Ma sai forse dirmiQuanto dista questo mezzo metroTra la mia mano e la tua?(“M’ami?”)(“T’amo.”)Eppure c’è mezzo metro di silenzio.(“Com’è il caffè?”)Amaro.
III E la parola stette Vacua Attonita Tra le mie e le tue labbra E impronunciabile S’adagiò sul tavolo, E lì rimase Incolta E selvaggia Come tutto ciò Che per sempre S’abbandona.
SECONDO PREMIO MARIANNA PISANI Liceo Statale “G. Berto” Mogliano Veneto “Giù per via Ragusa”
Giù per via Ragusa Con te si passa sempre per il vecchio quartiere,si ripassano a memoria i nomi e le ombre alte sulla tua cameretta;i movimenti mai soli di piedi sulla strada;il pianerottolo, le porte premurose dei vicini. E solo più avanti per il lungo rettilineomentre seguo con le mani la spinta delle gambe sui pedali,riesco a sentire il sole che scalda i fianchi dei cani.
Al ponte scivoliamo sotto la sbarra,incliniamo la bici come una moto in curvae quando tra le sterpi non vedo che una strada-il solco della tua ruota-e premo ad impeti sul tallone,c’è un barrito secco nella mia gola.A fatica si conquista un posto negli annali:eccoti dunque un ridicolo memento, un audace souvenir.
PRIMO PREMIO LETIZIA BURGIO Liceo Classico “A. Canova” Treviso “Mai senza”
Mai senza Mi hai beffato ancora, eppure sono figlia di un indovino. Mi hai fatta piangere, eppure mio fratello è un comico. Mi fai stare male, eppure ho uno zio dottore. Mi prendi, non ti aspettavo. Mi lasci, non ti dimentico.
Sei nella pioggia e nel buio, sei in una casa vuota, e in una porta chiusa. Mi nascondo, mi cerchi. Mi eclisso, m’illumini. Sei in tutto ciò che è, vivi in tutto ciò che esiste: sei Il vuoto che ho dentro.