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Facoltà di Ingegneria Corso di Cultura europea. Anno Accademico 2006 / 2007 9 a lezione. Effetti dell’integrazione economica sui divari interregionali.
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Facoltà di IngegneriaCorso di Cultura europea Anno Accademico 2006 / 2007 9a lezione
Effetti dell’integrazione economicasui divari interregionali Non è semplice determinare l’impatto di una maggiore integrazione economica sui divari interregionali: bisognerebbe, infatti, scindere gli effetti di un’integrazione economica “automatica”, che si verifica in conseguenza della diminuzione dei costi di trasporto e dell’intensificarsi dei rapporti commerciali tra le nazioni e che si realizza quindi anche in assenza di una struttura economica e politica artificiale come l’UE, dagli effetti che a tale struttura sono strettamente connessi. Diversi, infatti, sono stati i mutamenti strutturali derivanti dall’adesione degli Stati europei all’UE, e tra di essi si distinguono: • effetti di creazione e di distorsione di commercio • effetti sulle economie delle regioni di frontiera • effetti sulla mobilità dei fattori di produzione
Effetti di creazione … I governi nazionali possono utilizzare dazi ed altre misure protezionistiche per intervenire deliberatamente in favore di determinate regioni. Imponendo, ad esempio, un dazio elevato sulle importazioni di prodotti tessili si proteggono le regioni altamente specializzate in tale produzione. L’adesione di una nazione all’UE determina una radicale trasformazione della protezione commerciale garantita alle imprese dello Stato entrante: l’ingresso in un’area di libero scambio provoca, come effetto immediato, l’abbandono di ogni tipo di dazio nei confronti degli altri Stati membri e la simultanea adozione di una tariffa commerciale comune riguardo alle importazioni dal resto del mondo. L’effetto di creazione di commercioè diretta conseguenza dell’ingresso in un’area priva di barriere commerciali. L’assenza di dazi protezionistici incoraggia le regioni a specializzarsi nella produzione di beni per i quali possiedono un vantaggio comparato: la produzione interna di un bene, se costosa, viene abbandonata ed il bene lo si importa ad un prezzo inferiore.
… e di distorsione di commercio L’effetto di distorsione di commerciosi verifica, invece, quando le importazioni dal resto del mondo sono limitate dalla barriera tariffaria eretta intorno all’Unione. Lo Stato entrante deve rinunciare alle importazioni a buon mercato di prodotti provenienti da nazioni che non fanno parte dell’UE ed importarli dalle nazioni che ne fanno parte, anche se più costosi. La situazione dei consumatori finali migliora, in effetti, se un bene importato da uno degli Stati dell’Unione europea ne sostituisce uno in precedenza prodotto nella regione di appartenenza o importato da Stati non membri ma a condizioni di costo superiori; peggiora, se i prodotti importati dagli altri Stati membri sostituiscono beni da tempo acquistati a prezzi inferiori in paesi con i quali in seguito gli scambi commerciali sono stati ridimensionati, se non addirittura interrotti. Altra conseguenza è che quando nel lungo periodo la liberalizzazione degli scambi interni agli Stati comunitari determina il declino di alcuni settori o di alcune industrie, a causa della abolizione di barriere protezionistiche, diventano cruciali le decisioni in tema di ristrutturazione che devono essere affrontate dalle imprese operanti nelle regioni interessate.
Effetti sulle economie delle regioni di frontiera Se è vero che gli effetti di creazione e di distorsione di commercio si ripercuotono più o meno intensamente in tutte le regioni della Comunità, è altrettanto vero che ve ne sono alcune che, per la loro particolare localizzazione geografica, sono immediatamente investite da problemi di adattamento strutturale che da tali effetti traggono origine: ci si riferisce alle regioni di frontiera, suddivise in due categorie: le “regioni di frontiera interna” e le “regioni di frontiera esterna”. Le regioni di frontiera interna sono quelle che appartengono a Stati membri contigui. Queste regioni, insieme a quelle di frontiera esterna, sono quelle che maggiormente, ed in maniera piuttosto rapida, hanno avvertito gli effetti della rimozione delle barriere commerciali tra gli Stati membri. Molte imprese operanti in queste regioni si erano infatti specializzate in produzioni in grado di sfruttare la propria ubicazione geografica nonché le norme legislative varate ed i dazi protezionistici imposti dal governo, entrambi volti a potenziare le loro opportunità di sviluppo economico. L’abolizione dei dazi e l’instaurazione di una politica commerciale comune hanno fatto sì che quelle stesse imprese abbiano dovuto affrontare problemi piuttosto rilevanti di adattamento alla nuova situazione, e non sempre hanno potuto volgerla a proprio vantaggio.
… segue Le regioni di frontiera esterna sono invece quelle situate all’interno di Stati comunitari confinanti con Stati che non fanno parte dell’UE. Per queste regioni la creazione di un mercato comune ha determinato un duplice effetto: in primo luogo hanno dovuto indirizzare i propri scambi commerciali verso gli altri Stati membri, e questo è sicuramente un tratto positivo in quanto ha consentito un aumento delle esportazioni dei beni prodotti all’interno della regione stessa (ma non bisogna dimenticare che anche le esportazioni dagli altri Stati membri, per gli stessi motivi, sono aumentate così che il beneficio netto dipende da quanto le prime siano prevalse sulle seconde); in secondo luogo, è possibile, e gli studi condotti finora dalla Commissione lo confermano, che gli scambi della regione in questione con regioni appartenenti a Stati non membri, se tradizionalmente intensi, si siano dovuti bruscamente interrompere a causa sia delle tariffe comuni adottate sia di altre limitazioni imposte dagli Stati contigui. Un esempio di rottura dei tradizionali vincoli commerciali tra regioni frontaliere si è verificato nel caso delle due Germanie, la est e la ovest, prima della loro unificazione. Si tratta evidentemente di divisioni che si sono venute a creare tra aree che da lungo tempo vivevano una situazione economicamente omogenea, a causa di artificiali confini politici.
Effetti sulla mobilità dei fattori di produzione Secondo gran parte della teoria regionale il libero operare del mercato e la completa mobilità del lavoro e del capitale sono sufficienti a sostenere uno sviluppo territoriale equilibrato. Più forte è tuttavia la convinzione che la mobilità dei fattori possa, al contrario, aggravare piuttosto che migliorare i divari economici interregionali. E’ noto, infatti, che lavoro e capitale reagiscono in modo differente alle disparità regionali nella remunerazione dei fattori stessi. • Il capitale, sotto forma di surplus di risparmio, ha una reazione quasi immediata e, attratto dai più elevati tassi di rendimento, viene investito laddove i profitti ed i ricavi siano massimi. • Il lavoro reagisce al contrario in tempi molto più lunghi, e può verificarsi che una forte emigrazione verso una regione ad elevata domanda di lavoro, pur causando un deflusso netto dalla regione di origine, non riesca tuttavia a ridurne il livello di disoccupazione, perché compensato dall’incremento naturale della popolazione di tale regione (*). Ciò, in effetti, è quanto si verifica in molte regioni arretrate, dove l’elevata percentuale di nascite non è certo confortata da un sostenuto sviluppo economico ed anzi mal si concilia con un crescente tasso di disoccupazione. (*) Questo fenomeno tende ad essere tanto più probabile quanto maggiore è l’arretratezza iniziale della regione di deflusso di lavoro e quanto più elevato è lo stadio di sviluppo capitalista della regione di afflusso.
… segue Si consideri, inoltre, che in molti casi l’elevato grado di disoccupazione nella regione economicamente arretrata non è in grado di determinare un adeguato incremento nel tasso di emigrazione. Questo dipende in larga misura dalle “barriere all’entrata” (nelle regioni più “ricche”) nei confronti dei lavoratori immigranti i quali, poco qualificati da un punto di vista professionale, non trovano impiego se non in quelle occupazioni servili e poco remunerate che sono di scarsa o nulla attrazione per i lavoratori indigeni. Ma dipende anche dalla distanza tra la regione di deflusso e quella di afflusso di lavoro. Si suole dire tecnicamente che il lavoro si muove nello spazio in maniera inversamente proporzionale alla distanza da percorrere, intendendo con ciò che, per ogni data differenza interregionale nei salari offerti ai lavoratori, questi sono tanto più restii all’emigrazione quanto maggiore è la distanza tra la regione di origine e quella di trasferimento. Storicamente, proprio questa maggiore mobilità del capitale rispetto al lavoro e la conseguente perdita di capitali subita dalle regioni più arretrate è stata una delle cause principali dei divari interregionali. La forte attrazione esercitata dalle imprese nazionali e multinazionali localizzate nelle regioni centrali più sviluppate tende inoltre a rafforzare questo deflusso di capitale dalle aree meno sviluppate.
La politica regionale comunitaria:dovrebbe esistere? Il semplice fatto che l’acuirsi dei divari interregionali a livello comunitario siano una conseguenza, in negativo, dell’integrazione economica non implica di per sé che debbano essere gli organi comunitari, piuttosto che i singoli governi nazionali, a gestire l’insieme delle politiche necessarie al riequilibrio territoriale. Ma se l’Unione fosse in grado di far conseguire risultati migliori, in termini di efficacia e di benessere economico, sarebbe ragionevole attendersi una pacifica rinuncia, da parte degli Stati membri, alle loro sovranità in materia di politica regionale.
Vantaggi di una politica regionale comunitaria • L’UE può migliorare il coordinamento della politica economica regionale. Quando prendono decisioni in tema di politica economica regionale, le singole nazioni riflettono ben poco sulle conseguenze che tale politica avrà sugli altri Stati membri. Analogamente, quando le autorità regionali decidono di dare attuazione ad una politica di sviluppo industriale raramente prendono in considerazione gli effetti su altre autorità locali o regionali: ognuno pensa solo a sé. Gli organi comunitari sono gli unici in grado di realizzare il necessario coordinamento tra le politiche economiche realizzate dagli Stati membri, uniformando le loro differenti politiche regionali nonché tutte le politiche comuni (sociale, agricola, commerciale) aventi importanti effetti sulle economie delle regioni. Si tratta, in definitiva, di garantire il necessario collegamento tra tutti e tre i livelli di governo, comunitario, nazionale e locale, onde evitare sprechi di risorse economiche e dannose sovrapposizioni di iniziative e di competenze.
Vantaggi di una politica regionale comunitaria • L’UE può assicurare che quanto spendono i singoli Stati membri per la politica regionale rispecchi la gravità del problema da affrontare. I problemi regionali più seri devono essere affrontati proprio in quegli Stati membri che dispongono di minori risorse per il finanziamento della politica economica regionale. In altre parole, non c’è corrispondenza tra gravità dei problemi regionali e capacità dei singoli Stati membri di risolverli. Ciascuno Stato membro, inoltre, cerca di attirare più investimenti degli altri Stati utilizzando proprio gli strumenti di politica regionale: gli Stati membri più ricchi possono, evidentemente, offrire contributi più elevati mentre gli Stati membri più poveri, caratterizzati dai problemi regionali più gravi, non riescono ad attirare nuovi investimenti nelle regioni depresse. Si pensi, ad esempio, alle possibilità di sviluppo di nazioni quali la Grecia, la Spagna o l’Irlanda: non potrebbero mai competere, quanto ad incentivi alla localizzazione delle imprese, con i contributi offerti dalla Germania o dalla Francia.
Vantaggi di una politica regionale comunitaria • L’UE può assicurare che ogni Stato membro sia legittimamente coinvolto nella risoluzione dei problemi regionali degli altri Stati. La caratteristica fondamentale delle regioni è di essere economie cosiddette “aperte”, nel senso che ogni politica adottata da una regione non produce effetti limitati al proprio interno ma coinvolge rapidamente le economie delle altre regioni. In un sistema integrato, anche le nazioni costituiscono delle economie aperte, con la conseguenza che una politica di sostegno alla produzione o di redistribuzione del reddito si ripercuote sui livelli di produzione e di reddito anche degli altri Stati. E’ dunque di primario interesse di ogni Stato membro che le politiche adottate dagli altri governi nazionali siano coronate da successo e portino benefìci anche al proprio interno. Non ultimo per gli effetti di ordine fiscale ad esse conseguenti. In definitiva, le politiche regionali vengono normalmente attuate mediante trasferimenti di varia natura che sono finanziati con il denaro dei contribuenti di tutti gli Stati membri, mentre sono le regioni beneficiate a trarne i maggiori vantaggi economici: è naturale dunque che una politica che riduca il livello di disoccupazione all’interno di uno Stato membro provochi, come ulteriore effetto, anche quello di ridimensionare i sussidi destinati a quello Stato e di rendere disponibili risorse da utilizzare in altri settori economici o in altre nazioni. In tal modo, tutti i contribuenti ne sarebbero avvantaggiati e non solo quelli delle regioni che ricevono l’assistenza pubblica .
Svantaggi di una politica regionale comunitaria • E’ indubbio che siano proprio le autorità nazionali e regionali ad aver sviluppato nel corso del tempo le maggiori competenze in materia di politica regionale: l’adozione di differenti misure e la verifica della loro efficacia, anche quando non ha portato a risultati positivi, ha comunque contribuito ad aumentarne l’esperienza e a farne un loro punto di forza. • D’altra parte, ogni Stato utilizza strumenti differenti in funzione del tipo di regione da assistere, sperimentando anche l’innovazione e lo sviluppo di nuovi approcci e strumenti di politica economica. Il maggiore rischio di un accentramento assoluto consiste forse proprio nella possibilità che vengano adottati approcci uniformi per la risoluzione di problemi tanto diversificati sia in ambito nazionale che, a maggior ragione, a livello comunitario. • Il decentramento incoraggia, infine, la partecipazione locale ed obbliga i responsabili della politica economica a dar conto del proprio operato di fronte ai cittadini (leggi: elettori).
Come funziona la politica regionale comunitaria? Più di un terzo del bilancio dell'Unione, costituito in larga misura dall'apporto degli Stati membri più ricchi, viene trasferito alle regioni più povere. Questo meccanismo non avvantaggia soltanto i paesi beneficiari, bensì anche quelli che forniscono il maggior contributo netto, dal momento che le loro imprese usufruiscono di considerevoli possibilità di investimento e di trasferimento di know-how economico e tecnologico, specialmente nelle regioni in cui alcuni tipi di attività non sono stati ancora avviati. Attraverso la politica regionale, tutte le realtà locali concorrono così ad accrescere la competitività dell'Unione. Il bilancio annuale dei Fondi strutturali (v. infra) è salito dagli 8 miliardi di euro nel 1989 a 32 miliardi nel 1999; per il periodo 2000-2006 sono stati stanziati 28 miliardi di euro l'anno per un totale di 195 miliardi di euro nell'arco dei sette anni (ai prezzi del 1999). A queste risorse si devono sommare quelle del Fondo di coesione (destinato a Spagna, Irlanda Grecia e Portogallo) che per il periodo 2000-2006 ha potuto disporre di 2,5 miliardi di euro l'anno, per complessivi 18 miliardi di euro (ai prezzi del 1999).In totale, nel periodo considerato sono stati mobilitati 213 miliardi di euro per migliorare la situazione economica delle regioni svantaggiate, delle aree con problemi specifici e dei ceti sociali più deboli.
Gli strumenti finanziari della solidarietà I quattro Fondi strutturali non costituiscono una cassa unica all'interno del bilancio dell'Unione; ciascuno ha infatti una specializzazione settoriale, pur operando in modo coordinato. • Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR)finanzia infrastrutture, investimenti produttivi destinati a creare occupazione, progetti di sviluppo locale e interventi a favore delle piccole e medie imprese. • Il Fondo sociale europeo(FSE)promuove l'inserimento professionale dei disoccupati e dei gruppi svantaggiati, fornendo in particolare sostegni alla formazione e incentivi per la creazione di posti di lavoro. • Lo Strumento finanziario di orientamento della pesca(SFOP) ha come obiettivo l'ammodernamento del settore. • La sezione "orientamento" del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEOGA) finanzia iniziative di sviluppo rurale e fornisce aiuti agli agricoltori, soprattutto nelle regioni arretrate, mentre la sezione "garanzia" assolve lo stesso compito, nel quadro della politica agricola comune, nelle altre parti dell'Unione.
I tre obiettivi prioritari Il 94% dei Fondi strutturali è finalizzato a tre obiettivi prioritari, per ottenere il massimo dei risultati. • Obiettivo 1 (territoriale)Promuovere lo sviluppo delle regioni più arretrate, dotandole di quelle infrastrutture di base di cui sono ancora prive, e favorendo l'afflusso di investimenti per il decollo delle attività economiche.Il 70 per cento degli stanziamenti previsti è assorbito da una cinquantina di regioni, in cui vive il 22% della popolazione dell'UE. • Obiettivo 2 (territoriale)Sostenere la riconversione economica e sociale nelle zone con problemi strutturali, siano esse aree industriali, rurali, urbane o dipendenti dalla pesca.L'11,5% degli stanziamenti previsti è destinato a questi territori, in cui vive il 18% della popolazione dell'UE. • Obiettivo 3 (settoriale)Modernizzare i sistemi di formazione e incrementare l'occupazioneQuesto riguarda l'intera Unione, ad eccezione delle regioni che rientrano nell'Obiettivo 1 dove le misure introdotte a tale scopo sono parte integrante dei programmi tendenti a ridurre i divari di sviluppo.Il 12,3% del bilancio dei Fondi strutturali è destinato al perseguimento di questo obiettivo.
Specificità dell'Obiettivo 1 L'obiettivo principale delle regioni più arretrate è quello di recuperare il ritardo rispetto al resto dell'Unione, colmando innanzitutto una carenza sostanziale di infrastrutture di base (trasporti, approvvigionamento idrico, energia, smaltimento dei rifiuti, telecomunicazioni, sanità, istruzione). La maggior parte dei fondi disponibili è destinata proprio a questo, senza tralasciare tuttavia quei servizi che consentono di irrobustire, se non di rigenerare, un tessuto produttivo spesso logoro. La partecipazione comunitaria agli investimenti nelle grandi infrastrutture sanitarie e scolastiche va ad esclusivo beneficio delle regioni arretrate.
Specificità dell'Obiettivo 2 Il problema di fondo delle regioni in fase di riconversione non è tanto quello della mancanza di infrastrutture, quanto piuttosto il declino delle attività economiche tradizionali. In questi casi, è indispensabile puntare sullo sviluppo di attività alternative, anche attraverso infrastrutture complementari ad hoc utili ad attrarre investitori e ad accrescere il livello di occupazione.
Specificità dell'Obiettivo 3 L'Obiettivo 3 funge da quadro di riferimento per tutte le iniziative a favore dello sviluppo delle risorse umane finanziate dai Fondi strutturali, riguardanti in particolare: • la formazione di base, la formazione continua, l'apprendistato • i sostegni all'occupazione e alle attività professionali non remunerate • i servizi sociali • il miglioramento dei sistemi scolastici, di formazione e di collocamento • la collaborazione tra i centri di formazione e le imprese • la flessibilità del lavoro • le pari opportunità
Fondi interessati per singolo obiettivo prioritario OB. 1OB. 2OB. 3 FESR FESR FSE Fondi interessati FSE FSE FEOGA-O SFOP
Obiettivo 12000-2006 Regioni ammissibili all’Ob. 1 Phasing out Ob. 1
Confronto del sostegno medio annuo: 1994-1999 e 2000-2006, per Stato membro In milioni di euro ai prezzi 1999 Media annuale sostegno nel periodo 1994-1999 Media annuale sostegno nel periodo 2000-2006
Confronto della popolazione interessatadagli obiettivi 1 e 2: 1994-99 e 2000-2006 % 1994-1999 2000-2006
Italia: zone ammissibili agli Obiettivi 1 e 2nel periodo 2000-2006
Il Fondo di coesione È un fondo speciale di solidarietà, costituito nel 1993, a favore dei quattro Stati membri meno prosperi (Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna), che copre il loro intero territorio, finanziando grandi progetti per l'ambiente e i trasporti. Per il periodo 2000-2006 il bilancio annuale del Fondo di coesione ammonta a 2,5 miliardi di euro, per complessivi 18 miliardi, nell'arco dei sette anni. Ripartizione del bilancio complessivo del Fondo di coesione nel periodo 2000-2006 (prezzi 1999) Importi indicativi in milioni di €
Le quattro Iniziative comunitarie L'Unione ha elaborato inoltre quattro programmi specifici - le cosiddette Iniziative comunitarie - per trovare soluzioni comuni a problemi riscontrabili su tutto il territorio europeo.A questi quattro programmi è destinato il 5,35% del bilancio dei Fondi strutturali. Ciascuna iniziativa è finanziata da un solo Fondo. • Interreg IIIPromuove forme di cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale, ovvero accordi tra paesi diversi per favorire lo sviluppo equilibrato di aree multiregionali (è finanziata dal FESR). • Urban IISostiene strategie innovative per il risanamento di centri urbani e quartieri degradati (è finanziata dal FESR).Tende a favorire scambi di esperienze fra operatori socio-economici di zone rurali sulle nuove strategie locali di sviluppo sostenibile (è finanziata dal FEOGA-Orientamento). • Leader +Tende a favorire scambi di esperienze fra operatori socio-economici di zone rurali sulle nuove strategie locali di sviluppo sostenibile (è finanziata dal FEOGA-Orientamento). • Equal Mira ad eliminare le cause delle disuguaglianze e delle discriminazioni nell'accesso al mercato del lavoro (è finanziata dal Fondo sociale europeo).
Un programma specifico a sostegno della pesca Quello della pesca e dell'acquacoltura è un settore in piena fase di riorganizzazione, che esige un adeguamento delle sue strutture produttive al fine di: • creare un equilibrio stabile tra le risorse esistenti e il loro sfruttamento; • rafforzare la competitività delle imprese; • migliorare i sistemi di approvvigionamento e valorizzare i prodotti della pesca e dell'acquacoltura; • contribuire al rilancio delle zone che dipendono dalla pesca. Questi interventi sono sostenuti dallo SFOP (lo Strumento finanziario a sostegno della pesca), cui è destinato lo 0,5% del bilancio dei Fondi strutturali, che interviene soprattutto nelle regioni arretrate (aree Obiettivo 1) ma anche altrove, qualora sia ritenuto necessario.
Ripartizione del bilancio complessivo dei Fondi strutturali e del Fondo di coesionenel periodo 2000-2006 (a prezzi 1999)