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Lo straniero tra identità ed esclusione. Progetto “intorno al testo ed oltre”. Progetto Intorno al testo ed oltre. Teatro Stabile di Genova Classe IV I Prof. M. Martin Percorso didattico-culturale Lo Straniero. Identità ed esclusione.
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Lo straniero tra identità ed esclusione Progetto “intorno al testo ed oltre”
Progetto Intorno al testo ed oltre. Teatro Stabile di Genova Classe IV I Prof. M. Martin Percorso didattico-culturale Lo Straniero. Identità ed esclusione. Il percorso didattico che si propone alla classe IV I Ginnasio partecipa al progetto Intorno altesto ed oltre del Teatro Stabile di Genova diretto dalla Prof.ssa Carla Olivari ed offre un approfondimento della figura dello straniero come “altro e diverso” sospesa tra la necessità di conoscerne la specifica identità culturale ed il rischio dell’emarginazione e della formazione di pregiudizi discriminatorii. Attraverso la visione di due originali spettacoli in cartellone presso il Teatro della Corte: Non chiamarmizingaro di Pino Petruzzelli e Shylock. Il mercante di Venezia in prova di Moni Ovadia da William Shakespeare il percorso intende presentare agli allievi la complessità dell’identità umana e culturale dello “zingaro” e dell’”ebreo errante”, figure che, pur con evidenti e sensibili differenze, sono state spesso accomunate e fraintese nel corso della storia da ricorrenti stereotipi negativi, incomprensione, emarginazione, esclusione e persecuzione, fino al criminale tentativo nazista di sterminio sistematico ed organizzato. La Giornata della Memoria (27 gennaio 2010) ha offerto una preziosa occasione per introdurre, si potrebbe dire, in medias res il progetto didattico: infatti è attraverso il tragico evento del genocidio nazista che si può impostare una riflessione relativa ad alcune questioni riguardanti tanto il popolo ebraico in Europa quanto le comunità che, impropriamente, vengono definite zingare, ovvero i Sinti e i Rom.
Programma di lavoro 1)Presentazione del percorso didattico 2)Materiale relativo alle Leggi razziali emanate in Italia nel 1938 e ruolo rivestito dalla rivista fascista La difesa della razza nella creazione di un’opinione pubblica xenofoba ed intollerante e nella violenta propaganda razzista ed antisemita 3)Lettura di passi di Joseph Roth, Ebrei erranti con materiale sulle comunità ebraiche dell’Europa centro-orientale e di Hannah Arendt, La banalità del male 4)Visione del film di Radu Michaeleanu, Train de vie. Un treno per vivere 5)Lettura di passi di Pino Petruzzelli, Non chiamarmi zingaro, libro dal quale è stato tratto l’omonimo spettacolo teatrale 6)Lezione della Prof.ssa Elisabetta Scarpa (docente ed esperta di questioni relative ai Sinti e ai Rom in Italia) sull’identità culturale degli zingari in Europa e in particolare in Italia e sul loro status giuridico 7)Visione dell’opera teatrale Non chiamarmi zingaro di Pino Petruzzelli 8)La figura dello zingaro nella letteratura e nell’arte 9)Lettura di W. Shakespeare, Il mercante di Venezia 10)L’ebreo errante e la storia dei pregiudizi antiebraici. L’antisemitismo ieri e oggi. 11)Visione dell’opera teatrale Shylock. Il mercante di Venezia in prova di Moni Ovadia 12)Conclusione. Ebrei e Zingari tra identità ed esclusione. Riflessione sull’attualità. Gli argomenti trattati, rielaborati dagli studenti della classe, confluiranno in un CD originale di testi ed immagini commentate da presentare a maggio al Teatro della Corte. Il progetto presenta un significativo ampliamento grazie a vari contributi di colleghi: 1)Visione del film di Steven Spielberg, The Last Days (Prof.ssa Marina Terrana) 2)Lettura e commento di Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia (Prof.ssa Marina Terrana)
DIASPORA Diaspora è un termine di origine greca (διασπορά) che descrive la migrazione di un intero popolo costretto ad abbandonare la propria terra natale per disperdersi in diverse parti del mondo. Spesso confuso con il termine migrazione, la diaspora è in realtà un movimento forzato di un gruppo omogeneo religioso e/o etnico che si è assicurato la sua sopravvivenza, seppur gruppo minoritario, in una terra che non è la propria, si è adattato ed ha radicato la propria cultura. La diaspora ebraica (in lingua ebraica Tefutzah o Galut letteralmente "esilio") è la dispersione del popolo ebreo avvenuta durante i regni di Babilonia e sotto l'impero romano. In seguito il termine assunse il significato più generale di migrazione. È generalmente accettato che la diaspora ebraica abbia avuto inizio intorno all'XIII-VI secolo a.C., con la conquista degli antichi regni ebraici e l'espulsione programmata degli schiavi ebrei dalle loro terre. Un numero consistente di comunità ebraiche si stabilirono poi in varie zone del medio oriente e crearono importanti centri di giudaismo, attivi per secoli a venire. Le soppressioni della grande rivolta ebraica nel 70 d.C. e della rivolta di Bar Kokhba, nel 135 d.C., contribuirono notevolmente all'espansione della diaspora. Molti ebrei furono espulsi dallo stato della Giudea, mentre altri furono venduti come schiavi. Durante la loro assenza, il tempio di Gerusalemme fu distrutto per essere sostituito da una moschea, la Cupola della roccia. Dell'antico edificio religioso semita è rimasto solo il muro occidentale, chiamato "Muro del pianto". Il termine è anche usato, in forma più spirituale, per riferirsi agli ebrei i cui antenati si sono convertiti all'ebraismo al di fuori di Israele, sebbene questi non possano essere propriamente definiti come esiliati. A causa di tragiche vicende continuate anche fino al XX secolo, la maggior parte degli Ebrei vive lontano dalla Palestina. Questo fenomeno storico va sotto il nome di diaspora (termine greco che significa dispersione). Attualmente la massima concentrazione di fedeli della religione ebraica si trova negli Stati Uniti d'America. Dunque la storia degli Ebrei è molto tormentata avendo conosciuto il dramma della diaspora; e un numero sempre più grande di ebrei si è trovato a vivere lontano dalla patria d’origine. Eppure essi sono rimasti un popolo unito per la fede nell’unico Dio. La diaspora tibetana è invece riferita alle popolazioni del Tibet che a séguito della repressione cinese del 1959, scelsero di rifugiarsi in India dove il Dalai Lama ottenne asilo politico. Per diaspora armena s’intende la fuga della popolazione armena a séguito del genocidio compiuto ad opera dei turchi ad inizio del XX secolo. La diaspora giuliano fiumano dalmata individua invece l'espatrio forzato avvenuto nella prima metà del 1900 delle popolazioni italiane giuliano fiumano dalmata (in numero minore di madrelingua slovena e croata) culminato con l'ascesa al potere di Tito. La tratta degli schiavi africani è detta, alle volte, diaspora nera.
SEFARDITI Erano detti sefarditi (dall'ebraico ספרדSefarad, "Spagna") gli ebrei abitanti la penisola iberica. Nel Tanach, l'insieme dei libri che compongono la bibbia ebraica, nel libro di Ovadia, (Haftarà di Vaishlah) e solo qui in tutto il Tanach, troviamo il termine Sepharad per indicare una non meglio identificata città vicino-orientale. Quella ebraica spagnola fu una comunità molto prospera e - dopo la dura parentesi visigotica - essa poté operare fruttuosamente per numerosi secoli grazie alle sostanzialmente favorevoli condizioni di vita garantite dai musulmani che conquistarono il paese iberico ai primi dell'VIII secolo. Era tale l'intesa fra ebrei e musulmani in al-Andalus da far parlare di "complicità" i cristiani che, sovente, accusarono gli ebrei di aver favorito la conquista islamica per odio nei confronti dei loro persecutori visigoti. Dopo la Reconquista iberica, conclusasi nel 1492, gli ebrei vengono espulsi, per opera dei Cattolicissimi Reali Isabella I di Castiglia e Ferdinando II di Aragona, dal neonato stato spagnolo e dai territori ad esso soggetti (quale la Sicilia), disperdendosi in Italia, nei Balcani, e in tutto il bacino del Mediterraneo, venendo accolti dalle comunità ebraiche ivi già residenti. Alcuni hanno fatto notare che i rabbini lanciarono un grave cherem alla Spagna, un anatema, secondo il quale dopo quattro secoli una terribile minaccia fratricida sarebbe gravata sugli spagnoli, e che dopo circa quattro secoli (in realtà 450 anni) la guerra civile spagnola con la dittatura franchista avrebbe rappresentato la realizzazione di tale maledizione. Infatti fu proprio Francisco Franco a revocare l’editto di espulsione del 1492, che era rimasto in vigore per mezzo millennio. Con l'espulsione in massa dei sefarditi dalla penisola iberica, sorse il problema dell'accoglienza da parte dei fratelli correligionari e del confronto tra le varie realtà ebraiche.Joseph Roth, con la sferzante ironia che gli è propria, asserisce che se può esser pure capitato che un sefardita abbia sposato un askenazita, mai e poi mai si vedrà un sefardita a fianco di un ebreo dell'Europa orientale. Questo a significare quanto le differenze tra questi gruppi siano alquanto marcate. Così non fu invece nei riguardi dei mizrahi vicino-orientali, assai prossimi sotto il profilo cultuale. Per tale motivo sefarditi e mizrachi sono stati a lungo confusi. Ancora adesso, la parola sefardí indica anche gli ebrei dei paesi del Vicino Oriente, in particolare Yemen, Iraq e Iran. In Grecia gli ospiti furono i Romanioti, di più antiche tradizioni. Ma l'orgoglio sefardita portò i primi a fondersi con i sopravvenuti, che, da parte loro, acquisirono la parlata greco-ebraica yevanic.
L’ANTISEMITISMO NELLA STORIA L’antisemismo è l’odio verso gli ebrei, che conduce a discriminarli e perseguitarli: ha avuto, in diversi luoghi ed epoche, caratteristiche e motivazioni differenti. Se si adotta un criterio di periodizzazione storica, si possono individuare un antisemitismo: _CLASSICO (nella fase greca e romana) In epoca romana non si può parlare di vero e proprio antisemitismo anche se gli intellettuali e le classi superiori romane guardavano in prevalenza gli ebrei con disprezzo. I loro riti appaiono strani, la loro professione, il commercio sono giudicati spregievoli ma tollerati. _PROTOCRISTIANO (fino ai secoli IV-V). Le cose mutano nel IV sec. Quando il cristianesimo divenne religione ufficialedello Stato. Gli ebrei, per i cristiani, si sono macchiati del Sangue di Cristo sono dunque un popolo “deicida” (accusato di aver ucciso Dio). _DEGLI STATI NAZIONALI (Spagna, Germania ecc. ). Solo alla fine del settecento la condizione degli ebrei in Europa conosce una svolta: nel 1791 l’Assemblea Costituente francese, nata dalla rivoluzione del 1789, proclama la liberazione degli ebrei. _RAZZIALE(Hitler) il tragico epilogo sarà rappresentato dai campi di concentramento. Gli ebrei sono sempre stati una minoranza urbana, vivevano concentrati in particolari quartieri della città, che poi si trasformarono in ghetti, quarteri assegnati ad essi che li separavano dal resto della città. Circolano liste di prescrizione e di boicottaggio di generi diversi che indicano le ditte a compartecipazione ebraica, delle quali s’invita a non acquistare prodotti. In Inghilterra alcuni eminenti scenziati di origine ebraica sono stati estromessi dai comitati di riviste universitarie. In Francia s’incendiarono o devastarono sinagoghe, biblioteche, scuole e cimiteri ebraici. In Germania, Olanda e Danimarca si ripetono le aggressioni a giovani ebrei: e il Belgio è il campione dell’antisemitismo.
IL GHETTO Il termine “ghetto” ha origine dal nome del quartiere ebraico di Venezia creato nel 1516, nel quale le autorità veneziane obbligavano a risiedere gli Ebrei. Nel Sedicesimo e Diciassettesimo secolo, diversi governanti, da quelli locali fino all'Imperatore austriaco Carlo V, ordinarono l'istituzione di altri ghetti per gli Ebrei a Francoforte, Roma, Praga e in altre città . Durante la Seconda Guerra Mondiale, i ghetti erano costituiti da quartieri (spesso recintati) nei quali i Tedeschi concentravano la popolazione ebraica (sia quella risiedente nella città, sia - a volte - quella dell'intera regione) obbligandola a vivere in condizioni di estrema miseria. Il principale scopo dei ghetti era quello di isolare gli Ebrei, separandoli dalla popolazione locale e dalle altre comunità ebraiche. I Tedeschi istituirono almeno 1000 ghetti solo in Unione Sovietica e in Polonia, nella parte occupata e in quella annessa, il primo dei qualli venne creato a Piotrków Trybunalski (Polonia) nell'ottobre 1939. I Tedeschi consideravano l’istituzione dei ghetti una misura provvisoria per segregare e controllare la popolazione ebraica; nel frattempo, i leader nazisti a Berlino vagliavano diverse opzioni per l'eliminazione completa della popolazione ebraica. In molti luoghi, la ghettizzazione durò un tempo relativamente breve: alcuni ghetti, infatti, esistettero solo per alcuni giorni o mesi; altri, invece, per anni. Nell’ambito della Soluzione Finale - il piano che prevedeva l’uccisione di tutti gli Ebrei d’Europa e che ebbe inizio negli ultimi mesi del 1941 -i Tedeschi distrussero sistematicamente la maggior parte dei ghetti. I residenti venivano generalmente fucilati dai Tedeschi e dai loro collaboratori, e quindi seppelliti in fosse comuni nei pressi dei ghetti stessi; altrimenti, venivano deportati - di solito tramite convogli ferroviari - ai centri di sterminio, dove venivano uccisi. Infine, un certo numero di Ebrei venne trasferito, dalle SS e dalle autorità di polizia, dai ghetti ai campi di lavoro e ai campi di concentramento. Esistevano tre tipi di ghetto: i ghetti chiusi, quelli aperti e quelli destinati alla distruzione. Il ghetto più grande in Polonia fu quello di Varsavia, dove oltre 400.000 Ebrei vivevano ammassati in un'area di meno di due chilometri quadrati. Altri grandi ghetti furono creati nelle città di Lodz, Cracovia, Bialostock, Lvov, Lublino, Vilnius, Kovno, Cestokowa e Minsk. Decine di migliaia di Ebrei risiedenti in Europa Occidentale furono deportati nei ghetti della parte orientale. I Tedeschi ordinarono agli Ebrei residenti nei ghetti di indossare targhette di identificazione o bracciali, e ne obbligarono anche molti a prestare lavoro forzato per il Terzo Reich. La vita quotidiana nei ghetti veniva amministrata dai Consigli Ebraici (Judenraete), che erano nominati dai Nazisti. La polizia del ghetto si occupava di far rispettare gli ordini delle autorità tedesche e i decreti dei Consigli Ebraici, inclusa l'agevolazione delle deportazioni verso i campi di sterminio. Ufficiali della polizia ebraica, così come membri dei Consigli, si piegarono ai capricci delle autorità germaniche, anche perché i Tedeschi non esitavano a uccidere quei poliziotti ebrei che si pensava non avessero eseguito gli ordini.
Gli Ebrei risposero alle restrizioni del ghetto attuando varie forme di resistenza: gli abitanti spesso organizzarono attività cosiddette illegali, come l'introduzione segreta di cibo, medicine, armi o informazioni. Sovente essi superarono i muri del ghetto all'insaputa dei Consigli Ebraici e senza la loro approvazione. Alcuni Consigli al completo, e in altri casi solo alcuni dei loro membri, tollerarono o incoraggiarono tali attività illecite, in quanto erano necessarie a mantenere in vita gli abitanti del ghetto. Nonostante i Tedeschi in teoria dimostrassero di solito scarsa preoccupazione per i riti religiosi, o per la partecipazione ad eventi culturali o a movimenti giovanili all'interno delle mura del ghetto, essi spesso videro una minaccia alla sicurezza in qualunque riunione sociale e agirono senza scrupolo per incarcerare o eliminare sia i capi di tali circoli che coloro che semplicemente li frequentavano. Inoltre, le autorità germaniche proibirono generalmente anche qualunque forma di istruzione, a tutti i livelli. In alcuni ghetti, membri dei movimenti di resistenza ebraici organizzarono diverse insurrezioni armate; la più grande fu quella del ghetto di Varsavia, nella primavera del 1943. Altre violente rivolte ebbero luogo a Vilnius, Bialistock, Cestokowa e in molti altri ghetti più piccoli. Nell’agosto 1944, le SS e la polizia completarono la distruzione dell’ultimo grande ghetto, quello di Lodz. In Ungheria, la ghettizzazione non cominciò che nella primavera del 1944, dopo l’invasione e l’occupazione del paese da parte dei Tedeschi. In meno di tre mesi, la polizia ungherese, agendo in coordinazione con i funzionari tedeschi esperti in deportazione dell'Ufficio Centrale di Sicurezza del Reich (Reichssicherheitshauptamt-RSHA), concentrò quasi 440.000 persone nei "ghetti provvisori" destinati alla distruzione. Da lì, gli Ebrei - che provenivano da tutta l'Ungheria, ad eccezione della capitale Budapest - sarebbero poi stati portati alla frontiera e consegnati ai tedeschi. I Nazisti deportarono la maggior parte degli Ebrei ungheresi nel centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau. A Budapest, autorità ungheresi ordinarono agli Ebrei di vivere in abitazioni contrassegnate da una stella gialla, le cosiddette "case della Stella di David". Alcune settimane dopo che i leader del movimento fascista delle Croci Frecciate si erano impossessati del potere, in un colpo di stato sostenuto dai Tedeschi (il 15 ottobre 1944), il nuovo governo stabilì formalmente il ghetto di Budapest, nel quale 63.000 Ebrei furono costretti a vivere in un'area di circa 160 metri quadrati. Circa 25.000 Ebrei in possesso di certificati che attestavano il loro essere sotto la protezione di uno stato neutrale furono confinati in un "ghetto internazionale", situato in una diversa parte della città. Nel gennaio 1945, le armate sovietiche liberarono la parte di Budapest nella quale si trovavano i due ghetti, liberando i quasi 90.000 Ebrei che ancora vi risiedevano. Durante l’Olocausto, i ghetti rappresentarono una fase fondamentale nel processo di controllo, disumanizzazione e uccisione di massa attuato dai Nazisti ai danni degli Ebrei
LE LEGGI RAZZIALI E L’ITALIA FASCISTA Il 14 luglio 1939 il giornale d’Italia pubblica un manifesto anonimo di scienziati, la dichiarazione della razza. “La popolazione dell’Italia è di origine ariana e la sue civiltà è ariana. Esiste pure una razza pura italiana. È tempo che gli italiani si proclamino razzisti: gli Ebrei non appartengono alla razza ariana”. Nel settembre del 1938 vengono proclamate le prime “leggi razziali”, seguite da altre disposizioni del 1939; gli allievi e gli inseganti ebrei vengono esclusi dalle scuole italiane; è proibito il matrimoni tra italiani di razza ariana e persone di altre razze; si fissano limiti alle proprietà immobiliari e alle attività economiche degli ebrei, che vengono esclusi dal servizio militare, dalla pubblica amministrazione, dall’iscrizione al partito fascista. Il regime organizza una massiccia compagna di propaganda antiebraica, che batte soprattutto il tasto dell’inferiorità “spirituale” degli ebrei, della loro estraneità della “nazione”nonché, naturalmente, del complotto “giudaico internazionale” contro l’Italia. Le leggi razziali sono una conseguenza della scelta di Mussolini di unirsi alla Germania hitleriana. Dall’8 settembre 1943, la difesa degli ebrei minacciati dalla deportazoine nei campi di sterminio, costituirà uno dei motivi della Resistenza.
THE LAST DAYS The Last Days è un documentario realizzato dal regista statunitense di origine ebrea Steven Spielberg in collaborazione con James Moll. “Gli Ultimi Giorni” ha vinto il premio Oscar 1999 come miglior documentario. Nella pellicola cinque ebrei ungheresi sopravvissuti all’Olocausto narrano di quando la Germania invade l’Ungheria durante gli ultimi giorni della II Guerra Mondiale. Il cortometraggio mostra autentiche fotografie scattate tra il 1941 e il ‘45 che ritraggono i prigionieri moribondi ed esausti nei campi di sterminio; immagini dure e aspre che sono in grado di impressionare e commuovere ciascuno per la loro rigidità. L’eliminazione fisica degli Ebrei dalla futura Europa nazista costituiva l’ obiettivo prioritario per Adolf Hitler, che poco prima del suicidio nel bunker berlinese afferma: “Soprattutto, ordino al governo e al popolo tedesco di mantenere in pieno vigore le leggi razziali e di combattere inesorabilmente l’avvelenatore di tutte le nazioni, l’ebraismo internazionale”. I protagonisti raccontano la loro vita da giovani detenuti, spiegando nei particolari tutte le violenze, le crudeltà, i terribili esperimenti e la fatica che durante la Shoah hanno dovuto subire. Si tratta del deputato Tom Lanton, dell’artista Alice Lok Cahana, dell’insegnante Reneé Firestone, dell’uomo d’affari Bill Basch e della nonna Irene Zisblatt. Questi dopo la liberazione dai lager si sono trasferiti in America, l’unico Paese che era in grado di proteggerli e di permettergli di ricrearsi una nuova vita. Ma chi ha permesso lo sterminio degli Ebrei? Degli Zingari? Dei disabili e degli omosessuali? Chi ha stabilito che fosse necessario “ripulire” l’Europa da quelli che venivano considerati “diversi”? Con che diritto alcune persone malate di testa si sono permesse di segregarne delle altre, imponendo loro terribili pene e applicando ogni forma di violenza? Il negazionismo esiste, ma perchè pensare che non sia mai successo un dramma tale? Il Giorno della Memoria è la ricorrenza istituita con lo scopo di commemorare le vittime del genoicidio voluto dai nazionalsocialisti e dei fascisti, per non dimenticare gli orrori avvenuti e lo sterminio di sei milioni di Ebrei. La visione di un film che porti alla luce esperienze di individui che in prima persona hanno vissuto il dramma della deportazione come “Gli ultimi giorni”, suscita una riflessione attenta sulla Shoah e offre un aiuto inestimabile alla lotta contro gli elementi che continuano ad approvare l’operato del Fuhrer e i loro effetti distruttivi sulla vita di ciascuno di noi.
TRAIN DE VIE Train de vie è un film tragicomico realizzato nel 1998 dal regista rumeno Rudu Mihaileanu, che tratta in maniera allegorica e paradossale il tema dell’Olocausto. La pellicola si svolge in uno shtetl, un piccolo villaggio nell'Europa Orientale, dove una comunità di Ebrei Ashkenaziti tenta di fuggire alla deportazione nei campi di sterminio tedeschi costruendo un treno, che viene fatto transitare sulle ferrovie dell’Europa dell’Est secondo il consiglio di Schloime, il matto del villaggio. Infatti il paesino Yddish cerca disperatamente la fuga dai terreni germanici, sperando di giungere in Russia per trovare asilo politico e ambendo a stanziarsi in Palestina. Per destare ogni sospetto ai veri tedeschi, i cittadini si travestono da spietati nazisti e impauriti deportati, interpretandone i ruoli; tutto ambientato durante l’estate del 1941. Proprio quando sembrano essere scoperti da una truppa tedesca, la compagnia di ebrei si unisce ad una carovana di Zingari, che avevano avuto la stessa idea di suddividersi le parti durante il viaggio. Gli Ebrei e gli Zingari sono due popoli simili: entrambi sono stati pesantemente perseguitati, perchè apparivano come una minaccia agli occhi dei nazisti (in lingua ebraica lo sterminio è tradotto con il termine Shoah, in roman Porraymod, che letteralmente significa ”divoramento”), l’adorazione per la musica e la danza la capacità di saper ridere di se stessi, anche in situazioni di estrema difficoltà. Finalmente il “treno fantasma” riesce a raggiungere il confine sovietico , trovando la tanto sognata salvezza ed essendo finalmente liberi di tornare alla Terra promessa. Negli ultimi fotogrammi, viene inquadrato il viso di Schlomo che sussurra: “Questa storia è vera...O quasi”, sorridente, dietro al filo spinato di un campo di concentramento. Durante l’ultima scena sono rimasto con il fiato sospeso, perchè è stata una conclusione molto inaspettata, che mi ha permesso di riflettere: è incredibile come uno spettatore possa sorridere, divertirsi, sperare per tutta la durata del film e con un'unica immagine soffrire per aver partecipato assieme ai protagonisti al sogno di emancipazione. Ma chi ha permesso lo sterminio degli Ebrei? Degli Zingari? Dei disabili e degli omosessuali? Chi ha stabilito che fosse necessario “ripulire” l’Europa da quelli che venivano considerati “diversi”? Con che diritto alcune persone malate di testa si sono permesse di segregarne delle altre, imponendo loro terribili pene e applicando ogni forma di violenza? Il negazionismo esiste, ma perchè pensare che non sia mai successo un dramma tale?
MONI OVADIA-IL MERCANTE DI VENEZIA L'ebreo MoniOvadia, regista e protagonista della rielaborazione del Mercante di Venezia di Shakespeare, ha realizzato uno spettacolo comico con la tecnica del metateatro -teatro nel teatro- nel quale interpreta lui stesso che dopo dieci anni di inattività decide, con l'aiuto di un finanziare gasato, eccentrico e con caratteristiche omosessuali - Roberto Andò - di inscenare Shylock, per il quali i due hanno una particolare ossessione. L’ambientazione è quella di un un ospedale-mattatoio, in un futuro che è già cominciato, ed i protagonisti principali sono il ricco usuraio Shylock, interpretato dall’autore stesso e da ShelShapiro - pioniere della musica rock in Europa -, il giovane gentiluomo Bassanio, impersonato dall’agiato magnate, Porzia, interpretata da una giovane talentuosa che per avere successo è anche disposta ad avere rapporti sessuali e una scorbutica infermiera che bada all’anziano speculatore Shylock e che è usata nella commedia per creare scene caotiche ed esilaranti. La messinscena è stata umoristica, divertente e brillante, talvolta assurda e paradossale, ma conteneva un importante significato: gli ebrei saranno sempre discriminati o contrassegnati da assurdi clichè culturali. Come ripetevano assiduamente le parole di Shylock, non sono anche loro uomini? Che soffrono il dolore e il solletico, che si feriscono nel caso si tagliano e i quali respirano la stessa area degli “altri”? William Shakespeare, nell’autentica sua storia, mostra il mercate di Venezia come un vecchio usuraio caricato di stereotipi dai compaesani; invece MoniOvadia utilizza il pretesto di Shylock per evidenziare e attualizzare l’idea convenzionale dell’ebreo errante, infatti Shylock rappresenta per Ovadia un simbolo perenne che caratterizzerà il popolo semitico.
PINO PETRUZZELLI-NON CHIAMARMI ZINGARO "...Quando siamo li ricordati di non chiamarli zingari. Quelli che noi chiamiamo zingari in realta' si dividono in due grandi gruppi: rom e sinti. Per capirci i rom sono quelli dell'Est europeo mentre i sinti sono quelli dell'area germanofona. Pero' imparentati coi sinti sono quelli francesi: i manouche, e quelli spagnoli i kale'... " "Non chiamarmi Zingaro" scritto da Pino Petruzzelli e' un libro itinerante che va direttamente al cuore. Racconta le storie e le tradizioni di una popolazione in fuga, da noi disprezzata ed etichettata con il termine "zingaro", che porta dietro di se' un lungo percorso di emarginazione, intolleranza e sofferenza. L'autore ci porta a conoscere questo popolo e le sue storie di vita quotidiana, raccontandoci le testimonianze degli uomini che ha incontrato nel suo cammino per le strade e i campi rom dell'Europa. Il viaggio inizia a Genova con il racconto di Walter, un elettricista rom, che ricorda lo sgombero del suo campo in via dei Pescatori, una piccola baraccopoli sporca e invasa dai topi che pero' e' stata la sua casa per vent'anni. La seconda testimonianza e' quella di Doro, un rom rumeno, che vive in una cascina abbandonata alla periferia di Milano. Anche lui ricorda lo sgombero del suo campo, la folla che incendia le tende a loro destinate, e il presidio permanente dei cittadini, per impedire la permanenza dei rom nel paese. L'autore ci porta poi a Pisa, dove sulle rive dell'Arno, incontriamo due bambini rom che pescano e ci invitano nella loro villa: sotto un ponte un materasso, un paio di sedie ed un fuoco. Le testimonianze che si susseguono vengono dalla Germania, dalla Francia, dalla Romania, dall'Albania e tutte portano alla luce verita difficili da accettare: le persecuzioni e le torture che questo popolo ha da sempre dovuto sopportare. Il mezzo milione di morti tra rom e sinti uccisi nelle camere a gas durante la seconda guerra mondiale. L'attivita vergognosa della Pro Juventute Svizzera e del dottor Alfred Siegfried che con l'obbiettivo di estirpare il nomadismo portava via i figli alle famiglie. In poco meno di quarantacinque anni vennero portati via piu di seicento bambini. In Romania nel 1864 i rom venivano catturati e venduti come schiavi, per sottrarsi a questa sorte iniziarono a nascondersi e il modo migliore per farlo fu' quello di viaggiare. Ceausescu li obbligo poi ad una sedentarizzazione forzata, facendogli pero' perdere le loro tradizioni e con esse la loro identita'. Quello che emerge da questo libro e' un idea del rom diversa da quella che siamo abituati a vedere e a conoscere. Uomini che hanno fatto scelte diverse dalle nostre, spesso dettate dalla necessita di sopravvivere all'ostilita' di un mondo che li ha sempre giudicati senza sforzarsi di capirli. Molti hanno dovuto nascondere il loro passato per essere apprezzati, altri non ripudierebbero mai quello che sono per essere accettati da una societa' che gli e', per certi versi, aliena.