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La progettazione integrata: dati, valutazioni e prospettive Raffaele Colaizzo Parma, 6 marzo 2008

La progettazione integrata: dati, valutazioni e prospettive Raffaele Colaizzo Parma, 6 marzo 2008. Dati essenziali sulla PI 2000-2006 nelle Regioni dell’Obiettivo 1. Dati disponibili su www.retenuvv.it.

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La progettazione integrata: dati, valutazioni e prospettive Raffaele Colaizzo Parma, 6 marzo 2008

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  1. La progettazione integrata:dati, valutazioni e prospettive Raffaele Colaizzo Parma, 6 marzo 2008

  2. Dati essenziali sulla PI 2000-2006 nelle Regioni dell’Obiettivo 1 Dati disponibili su www.retenuvv.it • 156 Progetti Integrati Territoriali approvati e in corso, di cui 17 classificabili come programmi e progetti di tipo urbano • Quasi un terzo dei Progetti localizzati in Campania. Seguono, per numerosità di Progetti identificati, Sicilia (36) e Calabria (29) • Risorse finanziarie complessivamente mobilitate pari a 8.079 milioni di euro, di cui 6.883 milioni di risorse pubbliche (18% circa del totale del QCS Obiettivo 1) • Dimensione finanziaria media di 52 mln di euro circa, con forti differenze fra regioni e dentro le regioni. • 53,6% delle risorse destinate ad infrastrutture, 30,2% a regimi di aiuto, 13,2% a servizi A questi valori andrebbero aggiunti gli importi determinati dalla seconda fase di progettazione integrata in Sardegna, nell’ambito della quale sono stati approvati 199 Progetti integrati di sviluppo, di natura sostanzialmente diversa rispetto ai PIT di prima generazione.

  3. I PIT per regione

  4. Integrare gli interventi è utile • I Programmi Operativi finanziano migliaia di operazioni. Integrare queste operazioni “sul territorio” è utile per contrastare la frammentazione delle politiche (vedi la tabella della prossima slide) • Per quanti riguarda l’integrazione finanziaria, su un totale di risorse pubbliche POR di circa 5.360 mln di euro destinate ai Progetti Integrati, l’83,2% è di fonte FESR, l’8,6% FSE, il 7,8% FEOGA, lo 0,4% SFOP. • Su 6.650 milioni di euro di risorse pubbliche, l’80,7% è di fonte POR, il 5,6% APQ, il 13,8% altre risorse pubbliche.

  5. PIT e QCS Nota: i dati medi sui regimi di aiuto non sono comparabili Fonte dei dati QCS: Rapporto MEF – IGRUE sull’attuazione delle politiche strutturali in Italia (anno 2006)

  6. I primi Progetti Integrati per dimensione

  7. I Progetti Integrati di minore dimensione

  8. L’avanzamento dei PIT in termini di spesa Nessuno dei Progetti Integrati è concluso, quindi è prematuro parlare di effetti. Delle osservazioni possono invece essere fatte sul tema dell’efficienza attuativa. A fine 2007, l’avanzamento dei POR Obiettivo 1 è al 76,7%. Il monitoraggio dei Nuclei dà la spesa dei PIT al 21,7% (la data delle rilevazioni è però, per alcune regioni, ferma alla fine del 2006 o a ottobre 2007)

  9. Le cause del ritardo attuativo dei Progetti Integrati

  10. I PIT per anno di approvazione L’avvio dell’attuazione dei PIT ha subito un lag temporale molto consistente rispetto alla parte “ordinaria” dei Programmi Operativi. La maggior parte dei Progetti è stata approvata solo nel 2004, ai limiti della scadenza posta dal QCS revisionato, e per alcuni progetti la stipula degli Accordi di Programma fra Regioni e partenariati locali è avvenuta nel 2005

  11. I PIT con l’esecuzione più alta Un discreto numero di PIT ha tassi di esecuzione avanzata. In diversi casi, si tratta di Progetti con una certa dimensione finanziaria. Le forti polarizzazioni, anche nelle regioni partite prima (come Sicilia e Basilicata), fra Progetti con buone percentuali di spesa e Progetti con forti ritardi o sostanzialmente falliti, sono un segnale indiretto del peso dell’inefficienza locale.

  12. Uno studio (2006) a campione sulla qualità dei PIT Obiettivo 1 Nel 2006, il Formez ha condotto uno studio sulla qualità dei PIT dell’Obiettivo 1, chiedendo ad esperti di sviluppo locale di esprimere un giudizio sulla qualità delle progettazioni, secondo una griglia predefinita. La valutazione è stata condotta su 47 PIT. Le variabili su cui si è esercitata la valutazione sono: (a) la specificazione, la peculiarità e la pertinenza territoriale dell’idea forza; (b) la coerenza fra l’analisi e l’interpretazione del contesto, la definizione degli obiettivi e delle singole operazioni; (c) l’integrazione e la completezza della maglia delle operazioni previste; (d) la concentrazione su pochi obiettivi essenziali e l’individuazione di operazioni portanti; (e) un’ampia mobilitazione degli attori locali ed il coinvolgimento di attori chiave. Poiché non è ancora possibile osservare effetti dei PIT, è interessante cercare di capire almeno qual è il loro potenziale d impatto valutandone la qualità

  13. I risultati dello studio

  14. Le tipologie di PIT individuate (1) • I Progetti di buona qualità (19%) hanno ricevuto un punteggio elevato ed hanno quindi un’idea forza chiaramente specificata, una chiara coerenza, un buon grado di integrazione, ecc. • I Piccoli POR (15%) hanno una dimensione territoriale e finanziaria per lo più modesta, un’idea forza generica, un sistema di operazioni frammentato, nessuna “massa critica”. • I Grandi Progetti Monosettoriali (6%) sono fortemente caratterizzati sul piano settoriale, spesso sono imperniati su un solo asse, hanno dimensioni finanziarie elevate ed in molti casi prevedono operazioni di notevole rilievo. Posseggono massa critica ma non sono integrati.

  15. Le tipologie di PIT individuate (2) • I Gruppi di Operazioni Locali (13%) hanno un grado di integrazione modesta, sono di dimensioni relativamente ridotte e prevedono un numero limitato di operazioni che potranno presumibilmente essere utili per specifiche componenti del territorio e del sistema produttivo. • I Progetti privi di mobilitazione territoriale (9%) hanno una qualità accettabile in termini di coerenza, rappresentatività dell’idea forza, integrazione e concentrazione ma sono manifestamente lacunosi sul piano dell’articolazione e della numerosità dei partner e per l’assenza di attori chiave.

  16. Le tipologie di PIT individuate (3) • I Partenariati senza progetto (11%) sono tipici dei PIT con un buon grado di mobilitazione territoriale, che non dispongono però di una progettazione di qualità sotto il profilo della rappresentatività dell’idea forza, della coerenza, dell’integrazione e della concentrazione. • I Progetti a basso impatto potenziale (27%) hanno riportato punteggi bassi per tutti i caratteri indagati.

  17. Cinque Progetti da approfondire • Il PIT Grande Attrattore Culturale Napoli (296 mln di euro) prevede il restauro di beni culturali di alto rilievo, integrato con aiuti e formazione. • Il PIT Alto Basento (19 mln di euro) sta realizzando opere di valorizzazione paesaggistica e di attrazione turistica nell’area delle Dolomiti Lucane. • Il PIT Brindisi (74 mln di euro) sta attuando opere di completamento dell’infrastrutturazione per la logistica a servizio del bacino portuale. • Il PIT Etna (66 mln di euro) realizza interventi diversificati, fra cui aiuti alle imprese, per la tutela e la fruizione turistica del Parco dell’Etna. • Il PIT Nebrodi (64 mln di euro) attua interventi di sostegno alla fruizione turistica, alla generazione imprenditoriale ed alla tutela ambientale del Parco. Questi Progetti hanno un buon giudizio di qualità, una discreta consistenza finanziaria e una spesa relativamente avanzata

  18. Forze della PI Debolezze della PI • Intensità e forza della mobilitazione intorno alla PI • Nuova centralità delle risorse territoriali nelle politiche di sviluppo • Cooperazione verticale tra le filiere istituzionali • Maggiore cooperazione fra Enti Locali per il coordinamento dei PIT e l’organizzazione tecnica locale • Valorizzazione delle relazioni maturate attraverso i precedenti strumenti di sviluppo locale • Costruzione di nuovi sistemi informativi e gestionali a livello di territorio • Innovazione nei sistemi di valutazione e negoziazione • Assenza di concentrazione e selettività, genericità delle idee guida, difficoltà ad individuare il territorio pertinente • Fragilità dello spessore analitico delle ipotesi di sviluppo e carenze nell’applicazione dell’integrazione • Bassa partecipazione dei partner economico-sociali e coinvolgimento del tessuto produttivo • Difficoltà di integrazione con le altre politiche per il territorio • Ritardi diffusi nelle procedure di approvazione e start up, forti ritardi nell’esecuzione dei Progetti • Carenza di informazione e valutazione dell’efficacia dei Progetti

  19. I Punti di Forza [1] Partner nella concertazione dei PIT

  20. I Punti di Forza [2] Presenza nei PIT di alcuni attori chiave di sviluppo

  21. I Punti di Forza [3] L’organizzazione tecnica locale

  22. Architetture istituzionali ed amministrativeper lo sviluppo locale Consulta Tavolo di concertazione socioeconomica Istituzionale Comitato di Vigilanza Coordinatore Regionale Capofila Struttura di collegamento Nucleo divalutazione Responsabili di Misura Project Manager Unità di assistenza tecnica Ufficio Comune I Punti di Forza [4]

  23. La procedura di “valutazione negoziata” in Campania I Punti di Forza [5]

  24. La procedura di “valutazione negoziata” in Campania (2)

  25. Il “controllo di gestione”

  26. Il territorio al centro delle politiche di sviluppo “Una deriva pericolosa [delle politiche di sviluppo] sarebbe la regressione ad un concetto di territorio inteso come mero contenitore di opere e di fattori materiali di localizzazione, insieme indistinto sul piano della morfologia fisica ed sociale, luogo in cui collocare “corridoi” e “piattaforme” di reti internazionali di trasporti e logistica. Le politiche di scala nazionale o interregionale (sui trasporti, sulla ricerca e l’innovazione, sulle agevolazioni) trovano sul territorio le condizioni essenziali per il loro successo e la loro sostenibilità. I limiti evidenziati dall’esperienza della progettazione integrata non hanno compromesso il rilievo dei metodi dell’azione locale per lo sviluppo, della territorialità attiva e dell’integrazione” Formez (2006) I Punti di Forza [6]

  27. Le criticità dei PIT

  28. Esiste, nel 2007-2013, un terreno di politiche e di sistemi di governance a cui è utile e sostenibile applicare le innovazioni della PI? Prospettive Integrazione tra fondi e politiche Tematizzazione e specializzazione Rilancio degli strumenti partecipativi

  29. La dimensione territorialenel QSN 2007-2013 « La dimensione territoriale della politica regionale 2007-2013 deve trovare la sua declinazione nell’ambito delle singole priorità. [...] Tuttavia, le Priorità 7 [sviluppo produttivo] e 8[città] affrontano specificamente, anche dal punto di vista del metodo, la necessità di una forte attenzione rivolta alla costruzione di una programmazione e progettazione territoriale, basata quindi sulla valorizzazione delle specifiche identità e potenzialità, rintracciabili nelle aree urbane e rurali e nei sistemi produttivi locali ». Secondo il QSN, “l’attenzione ai contesti territoriali in cui gli interventi vengono direttamente realizzati, o che interventi di portata più ampia sono diretti a servire, è una connotazione propria della politica regionale”. Quadro Strategico Nazionale, par. III.1, pag. 56

  30. L’approccio integrato per lo sviluppo urbano Uno dei due ambiti prioritari di applicazione della PI viene identificato nello sviluppo urbano (Priorità 8), con riferimento sia a città trainanti che a sistemi territoriali intercomunali. « La combinazione degli obiettivi specifici dovrà consentire la più appropriata concentrazione di risorse e interventi che, per la intrinseca multisettorialità delle politiche urbane, troveranno attuazione attraverso progetti integrati e complessi, secondo schemi e disegni progettuali flessibili definiti dalla programmazione operativa regionale. Il potenziamento dei servizi urbani necessario al raggiungimento degli obiettivi specifici potrà avvenire promuovendo forme di partenariato pubblico privato e di finanza di progetto e coinvolgendo l’imprenditoria locale ». Quadro Strategico Nazionale, par. III.1, pag. 111

  31. L’approccio integrato per la competitività dei sistemi produttivi « La Priorità 7 “Competitività dei sistemi produttivi e occupazione” individua ambiti e modalità di intervento finalizzati a sostenere i sistemi locali nel loro complesso, integrando in contesti specifici le azioni rivolte alla competitività e sostenibilità dei processi produttivi, gli interventi a favore dell’occupazione e quelli rivolti al capitale sociale. Ciò soprattutto attraverso progetti territoriali costruiti con metodi partenariali con i soggetti locali, in grado di coniugare la promozione dei processi sostenibili di sviluppo e innovazione imprenditoriale con le azioni per aumentare la possibilità di ciascun individuo di partecipare attivamente e regolarmente al mercato del lavoro ». Quadro Strategico Nazionale, par. III.1, pag. 99 Secondo il QSN, per progetto territoriale si deve intendere “un insieme di azioni e interventi che sono definiti e messi in atto per il perseguimento di un obiettivo chiaramente identificato di sviluppo e promozione di un sistema territoriale. Un progetto vero e proprio assume quindi finalità specifiche, ha un inizio e una fine in quanto progetto, se ne possono valutare i risultati”.

  32. Discontinuità nei modelli di PI rispetto al 2000-2006 • La nuova progettazione integrata dovrà esplicitare le priorità (territoriali, settoriali e tematiche) in modo chiaro e motivato sulle quali intervenire e adottare una maggiore selettività. • Dovrà inoltre esserci una forte apertura del “locale” alla conoscenza esterna, con il coinvolgimento di soggetti portatori di conoscenze forti (Università, centri di ricerca, Camere di commercio, grandi imprese, ecc.). • Dovrà inoltre essere assicurata l’integrazione fra diverse scale di programmazione, locale e di area vasta, nazionale e internazionale.

  33. Territorio ed integrazione finanziaria e programmatica « L’approccio di sviluppo locale a cui fare riferimento – così come la strumentazione da utilizzare – dovrà in futuro essere in grado di assicurare l’interazione e la complementarietà delle politiche economiche e delle politiche per l’occupazione verso la comune finalità dello sviluppo: la loro programmazione dovrà indicare le modalità per integrare effettivamente gli interventi rivolti alle persone e quelli indirizzati alle imprese. L’integrazione finanziaria e programmatica va perseguita incentivando modalità di programmazione e attuazione adeguati. Sarà dunque opportuno: favorire la possibilità di combinare i diversi fondi all’interno della progettazione integrata. [...] ». Quadro Strategico Nazionale, par. III.1, pag. 56 Quadro Strategico Nazionale, par. III.6.4, pag. 154

  34. I profili dell’integrazione nel 2007-2013 • Integrazione fra politiche di coesione e Orientamenti Integrati per la Crescita e l’Occupazione (Lisbona e strategia per l’occupazione). • Integrazione fra politiche di coesione, politiche di sviluppo rurale e politiche per la pesca, rese più difficile dalla separazione tra e i fondi strutturali e i nuovi fondi per lo sviluppo rurale (FEASR) e la pesca (FEP). • Integrazione tra fondi strutturali (FESR e FSE), maggiormente complessa che in passato per il passaggio a Programmi Operativi monofondo, e fra PO distinti per obiettivo. • Integrazione fra politiche regionali cofinanziate dai FS, politiche regionali nazionali (FAS) e spesa ordinaria.

  35. La programmazione di area vasta • Nel 2007-2013, gli strumenti di integrazione territoriale sono previsti, oltre che dai Programmi Operativi, anche dai Piani di Sviluppo Rurale. • Molte amministrazioni regionali stanno cercando di inquadrare in una programmazione di area vasta i diversi progetti, per coordinarli armonicamente • La delibera attuativa del QSN chiede alle Regioni di identificare, all’interno del DUP, una Strategia di Sviluppo Locale Integrata, che riguarda le iniziative di progettazione integrata riferite a specifici ambiti territoriali sub-regionali finanziate all’interno della politica regionale, nazionale e comunitaria e quindi, qualora esistano, tutti i progetti integrati che si propongano di coordinare fra loro tipologie di intervento di natura diversa all’interno di un’area territoriale sub-regionale circoscritta. Il Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale individua le forme di integrazione nei progetti territoriali e di filiera, oltre che nei pacchetti aziendali

  36. Integrazione e area vasta (segue) • Se l’organizzazione per ambiti territoriali presenta vantaggi in termini di coordinamento e semplificazione, essa determina anche il rischio di impoverire e irrigidire la progettazione territoriale e l’azione locale, costringendola in schemi predefiniti. È infatti inimmaginabile ridurre l’azione locale in perimetri territoriali predefiniti

  37. Scelte regionali • Le scelte sulla programmazione di area vasta sono particolarmente caratteristiche in Campania, dove il riferimento per la nuova generazione di politiche locali è costituito dalla zonizzazione elaborata dal Piano Territoriale Regionale, sulla base di un principio di integrazione fra programmazione economica e pianificazione territoriale. • In Puglia, un primo orientamento consiste nell’organizzazione del territorio secondo gli ambiti di pianificazione strategica. • Un orientamento analogo è evidente in Abruzzo, Molise e Basilicata, dove le scelte regionali sembrano porsi in sostanziale continuità rispetto agli ambiti territoriali identificati per la progettazione integrata 2000-2006.

  38. Opportunità e rischi della pianificazione strategica • Opportunità di promuovere gli strumenti della democrazia deliberativa vs. rischio di un uso strumentale e formalistico della partecipazione. • Opportunità di disporre di una cornice strategica di medio lungo periodo, da attuare progressivamente attraverso i programmi operativi, vs. rischio di costruire uno strumento destinato a rimanere vuoto ed inattuato, chiuso nei cassetti delle Amministrazioni. • Opportunità di sviluppare una visione partecipata della trasformazione del territorio, vs. rischio di isomorfismo dei Piani (che spesso tendono ad assomigliarsi fra loro e non producono valore aggiunto locale).

  39. Possibili implicazioni dell’approccio territoriale del QSN Integrare operazioni, fondi e politiche a livello territoriale, secondo principi di apertura, selettività, multiscalarità e decentramento Costruire quadri di senso delle politiche di area vasta, integrando programmazione dello sviluppo e pianificazione territoriale Determinare unità territoriali di riferimento per la programmazione Identificare partenariati strategici rappresentativi della unità territoriale di riferimento Promuovere la semplificazione attuativa e gestionale in un quadro generale di decentramento e specializzazione delle funzioni delle amministrazioni Costruire progetti territoriali selettivi e interconnessi, attuati su base decentrata e basati su partenariati di progetto aperti e competenti Promuovere la cooperazione di partenariati e organismi tecnico-amministrativi impegnati nella gestione di programmi di sviluppo territoriale Valorizzare l’accumulazione maturata nel 2000-2006 Accrescere i livelli di cooperazione e “contrattualizzazione” fra amministrazioni titolari di programmazioni diverse. Articolare i meccanismi di premialità. Integrare scale di programmazione appartenenti a diversi livelli e competenze Articolare le filiere istituzionali e amministrative, anche attraverso un ruolo più forte agli enti intermedi

  40. Tre modi di rappresentare il territorio nelle politiche 2007-2013 • Come luogo di concentrazione di disparità e problemi territoriali (ad esempio per l’esistenza di svantaggi geografici o naturali) e/o di mancata integrazione tra aree con funzioni diverse (ad esempio fra città ed aree rurali). • Come risorsa e/o come sistema di opportunità per l’attrazione e la generazione produttiva, in una prospettiva di sostenibilità che assicuri qualità territoriale, uso efficiente delle risorse del territorio, rispetto dell’identità culturale. • Come luogo della territorialità attiva, in cui si realizza l’azione collettiva intenzionale ed organizzata delle comunità locali. Secondo questa visione, non è solo il sistema di risorse ed opportunità del territorio che determina lo sviluppo, ma il protagonismo consapevole degli attori locali.

  41. Tassonomia di progetti territorialiper il 2007-2013 • Progetti di upgrading delle politiche locali rispetto agli obiettivi di Lisbona ed alla cooperazione territoriale. • Progetti di rafforzamento emigliore distribuzione dei fattori di competitività. • Progetti di risposta locale ai movimenti di ristrutturazione economica e sociale nell’Europa allargata. • Progetti di superamento delle situazioni di marginalità territoriale, di handicap geografico e di emarginazione sociale. • Progetti in grado di contribuire alle politiche di prossimità per il superamento delle criticità legate all’esistenza delle frontiere.

  42. Un’altra storia: le piattaforme territoriali • Secondo Bonomi (2003), le piattaforme produttiveterritoriali sono “geocomunità” di area vasta in cui si articola “il quarto capitalismo”. Le piattaforme (Bonomi ne censisce 12 con circa 4.000 imprese) oltrepassano i confini dei tradizionali distretti industriali e dei sistemi produttivi locali, sviluppano le loro reti di relazioni in una scala più ampia. • “Nella parola geocomunità” dice Bonomi (2006) “il geo sta per la nuova geografia dei luoghi ridisegnata nella globalizzazione dal rapporto tra flussi globali e il vivere e il produrre locale ove si distende e assume altro significato la parola pesante comunità che rimanda al paese, alle cento città e alle tante comunità economiche dei distretti. La dissolvenza dei distretti, la crisi della grande industria prende corpo in enormi piattaforme produttiveche cercano, partendo dal territorio, di ridarsi senso e modelli nella globalizzazione”.

  43. Le piattaforme territorialinell’approccio del MIT • Culturalmente “contaminata” dalla posizione di Bonomi è l’iniziativa del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sulle piattaforme territoriali, definite come aree capaci di raggiungere “alti livelli di competitività e di eccellenza nell’offerta territoriale e nella produzione di ricchezza”. La riflessione sulle piattaforme territoriali qualifica e dà profondità al tema dei “corridoi transnazionali”. • Le piattaforme sono articolate su tre livelli: transnazionali, attestate sui corridoi transeuropei, nazionali, individuate sulle trasversali Tirreno-Adriatico e interregionali, che integrano e completano le piattaforme nazionali, a sostegno dello sviluppo policentrico per il riequilibrio territoriale.

  44. Le piattaforme territorialinell’approccio del MIT (segue) “L’individuazione delle piattaforme territoriali è un compito che ci sta impegnando da tempo. Non si tratta solo di individuare un certo numero di ambiti territoriali sui quali prevedere o promuovere la realizzazione di opere […]. È necessario capire con precisione […] di quale rango sono le relazioni che questi territori possono sviluppare al meglio, in ragione delle loro peculiarità geografiche, delle vocazioni socio-economiche, delle prospettive di sviluppo. Dobbiamo sapere, cioè, quali sono le parti del territorio in cui si annodano le relazioni di rango sovrazionale; quali, invece, appartengono a sistemi contenuti all’interno dei nostri confini; quali altre, infine, sono il baricentro di sistemi locali”. Intervista a Gaetano Fontana, 2005.

  45. Le piattaforme territorialinell’approccio del MIT (segue) All’interno delle piattaforme strategiche, il MIT evidenzia la necessità di concentrare il massimo sforzo di mobilitazione ed integrazione degli investimenti sui territori snodo. In particolare, “lo spazio fisico è riletto come esito dell’incontro-scontro tra i territori area sedimentati localmente e i territori snodo espressione dei flussi multilivello che connettono materialmente e immaterialmente le diverse località, dove ciascun polo si definisce come punto di incrocio e di commutazione di reti multiple, nodo di densità dentro una gigantesca intersezione di flussi”.

  46. Un aspetto importante sullo sviluppo integrato nel 2007-2013 • Quattro tesi su territorio e strategia di Lisbona: • il territorio e l’azione locale sono determinanti per promuovere la ricerca e l’innovazione dei sistemi economici regionali • le condizioni territoriali sono determinanti per attrarre nuovi investimenti • il patrimonio di competenze e di beni relazionali maturato sul territorio può costituire un fattore di spinta rilevante per trasformare le strategie territoriali in direzione dell’innovazione e della nuova imprenditorialità • le azioni di apertura internazionale e cooperazione affondano molte delle loro radici nel livello territoriale Territorio e strategia di Lisbona: le tesi emerse dagli Open Days organizzati a Lanciano dal progetto “Reti per lo sviluppo locale” del Formez, nel quadro del Programma Empowerment

  47. Raffaele Colaizzo • FORMEZ • rcolaizzo@formez.it • sviluppolocale.formez.it

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