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L’interpretazione di eventi d’aula alla luce di strumenti della ricerca didattica: l’esempio del contratto didattico. Gianna Meloni IRRE Veneto. Introduzione. La teoria delle situazioni didattiche tiene un ruolo centrale nelle ricerche sull’insegnamento della matematica in Francia
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L’interpretazione di eventi d’aula alla luce di strumenti della ricerca didattica: l’esempio del contratto didattico Gianna Meloni IRRE Veneto
Introduzione La teoria delle situazioni didattiche tiene un ruolo centrale nelle ricerche sull’insegnamento della matematica in Francia dall’inizio degli anni 70. Uno dei concetti principali di questa teoria è il contratto didattico, un aspetto completamente implicito ma essenziale delle relazioni tra l’insegnante e l’allievo.
Irre Veneto Il contratto didattico G. Brousseau lanciò negli anni ‘70 l’idea di contratto didattico. Nacque per studiare le cause del fallimento elettivo in matematica, cioè di quel tipico fallimento riservato al solo dominio della matematica, da parte di studenti che invece, più o meno, sembrano … arrangiarsi nelle altre materie. Il caso Gaël… Gaël è un bambino che frequenta il corrispondente italiano della seconda elementare pur avendo più di 8 anni. La condizione nella quale i ricercatori trovarono Gaël è descritta così: • in luogo di esprimere la propria conoscenza, Gaël la esprime sempre e solo in termini che coinvolgono l’insegnante;
Irre Veneto • le sue competenze non sono mai sue proprie competenze,ma quel che la maestra gli ha insegnato; • le sue capacità strategiche non sono mai sue capacità,ma quel che (e come) la maestra ha detto di fare. Osservando Gaël in classe e proponendogli diverse situazioni didattiche i ricercatori notano che Gaël mette in atto una strategia di evitamento del conflitto cognitivo.
Era possibile proporre delle spiegazioni psicologiche a questo comportamento, ma non davano modo di correggere l’evitamento; l’interesse dei ricercatori si centrava su una caratteristica del bambino o sulle sue competenze, al posto di rimanere a livello dei comportamenti e delle condizioni che lo provocavano o che potevano modificarlo. Questi comportamenti manifestano il rifiuto, cosciente o no, da parte dell’allievo, di accettare la sua parte di responsabilità nell’atto di decidere in situazione didattica e dunque di imparare, di fronte ad un adulto.
Irre Veneto “Le macchine rosse” Ric: “Sai quello che non sei ben riuscito a fare questa settimana, e ciò che hai ben saputo fare?” Gaël prende il suo quaderno … si sceglie un problema che G ha sbagliato: In un parcheggio ci sono 57 macchine. 24 di queste macchine sono rosse. Trovare il numero di macchine del parcheggio che non sono rosse. Gaël dichiara: “mi metto a fare come ho imparato con la maestra”. Pone in colonna l’operazione 57+24 e trova 81. È esattamente quello che aveva fatto nella settimana. Si copre dell’autorità della maestra per giustificare un impiego automatico dell’operazione. Non tiene alcun conto delle correzioni fatte in classe.
Sul piano delle conoscenze esiste un atteggiamento dove la dipendenza offre il beneficio di una sicurezza: la conoscenza è sempre la conoscenza di un altro, si tratta di appropriarsene. Si invoca l’autorità alla quale ci si riferisce “come mi ha fatto imparare” “come la maestra dice che bisogna fare”. • La conoscenza matematica rischia di non essere altro che un’attività ritualizzata dove si ripetono modelli.
Le situazioni che gli allievi incontrano abitualmente in classe presentano per la maggior parte un certo carattere di chiusura. Il maestro pone un problema e tutti i bambini devono trovare la soluzione - la stessa - . Il maestro dichiara che tale soluzione è buona così che ogni allievo non ha che una sola occasione di tentare di produrre la buona soluzione.
L’evitamento del problema si manifesta con delle azioni stereotipate, puramente “didattiche”, cioè centrate sul rapporto con il maestro, senza la mobilitazione degli schemi che G ha a sua disposizione. G si adatta alle relazioni istituzionalizzate che fanno appello, da parte loro, a dei riti che non lo impegnano. Una costruzione che permette a G di scappare dalla costruzione di conoscenze.
Irre Veneto Il contratto didattico di Brousseau. “In una situazione d’insegnamento, preparata e realizzata da un insegnante, l’allievo ha generalmente come compito di risolvere il problema matematico che gli è presentato, ma l’accesso a questo compito si fa attraverso un’interpretazione delle domande poste, delle informazioni fornite, degli obblighi imposti che sono costanti del modo d’insegnare del maestro. Queste abitudini (specifiche) del maestro attese dall’allievo ed i comportamenti dell’allievo attesi dal docente costituiscono il contratto didattico”. Spesso queste “attese” non sono dovute ad accordi espliciti , imposti dalla scuola o dagli insegnanti o concordati con gli allievi, ma • alla concezione della scuola, • della matematica, • alla ripetizione di modalità.
Irre Veneto Alcuni esempi. 1) Esempio legato allaconcezione della scuola.L’allievo ritiene che la scuola sia direttiva ed esclusivamente valutativa quindi anche se l’insegnante chiede all’allievo di scrivere liberamente quel che pensa, l’allievo ritiene di doverlo fare con un linguaggio il più rigoroso possibile perché suppone che sotto quella richiesta vi sia comunque una prova, un controllo. Dunque non scriverà affatto “liberamente”, ma cercherà invece di dare la definizione che ritiene essere più “corretta”, cioè quella che ritiene essere attesa dall’insegnante. In questa situazione l’allievo farà uso di un linguaggio laconico e con sintassi involuta, che tenderà ad avere come modello quello del libro di testo o dell’insegnante a lezione, quando essa si riduce ad una ripetizione di enunciati, di definizioni, di regole da seguire.
Irre 2) Esempio legato alla concezione della matematica. Lo studente ritiene che in matematica si devono fare i calcoli, per cui anche se la risposta alla domanda posta in un problema potrebbe essere data solo rispondendo a parole, lo studente è a disagio e tende a far uso dei dati numerici presenti nel testo del problema, per dare comunque una risposta formale, usando qualche operazione, anche se scelta a caso. 3) Esempio legato a ripetizione di modalità. Per tre lunedì consecutivi l’insegnante di matematica fa svolgere esercizi alla lavagna; da quel punto in poi sa che ogni lunedì sarà così; una modifica al programma atteso genera sorpresa.
Irre • Possiamo pensare al contratto didattico come ad un insieme di regole, di veri e propri effetti, il più delle volte non espliciti. • Effetti che organizzano le relazioni tra: • il contenuto insegnato; • Il rapporto insegnante-sapere,il rapporto alunno-sapere,il rapporto insegnante-alunno; • le attese all’interno della classe nell’ora di matematica.
Dal glossario di Brousseau. È l'insieme degli obblighi reciproci e delle " sanzioni “ che ogni partner della situazione didattica si impone o crede di imporre, esplicitamente o implicitamente, all'altro, e quelle che gli si impone o che crede che gli si impongano, a proposito della conoscenza in causa. Il contratto didattico è il risultato di un " negoziato “ spesso implicito delle modalità di istituzione dei rapporti tra un allievo o un gruppo di allievi, un certo milieu ed un sistema educativo.
Il problema del pastore. Un pastore ha 12 pecore e 6 capre. Quanti anni ha il pastore? “… Un soddisfatto coro urlante di 18, ha fatto tremare i vetri dell’aula…”
Nel problema del pastore. Il contratto didattico fa scattare varie “clausole”: “Se la maestra ci dà un problema,questo deve essere certamente risolto”. Il problema di matematicaha in ogni caso una soluzione. I dati numerici presenti nel testo vanno presi tutti, magari una sola volta e possibilmente nell’ordine in cui compaiono. Indipendentemente dal senso del testo.
Le problematiche che si inseriscono nel problema del pastore. Prima problematica. “Di fronte a degli enunciati di problemi gli allievi si sono abituati a non rimettere in discussione la legittimità e la pertinenza delle domande dell’insegnante, e ciò permette loro d’altronde di funzionare più economicamente avendo “in modo naturale” fiducia nell’adulto. Secondo questa logica ogni problema ha una soluzione legata ai dati presentati nell’enunciato. Posto di fronte ad un problema che non ha soluzioni, come si comporterà l’allievo?
Confortato dalla consuetudine costantemente ripetuta di un “contratto didattico” secondo il quale l’insegnante non ha come scopo di “ingannare” l’allievo ponendogli un problema senza soluzione, l’allievo che crede di aver scoperto una frode in una domanda del maestro, denuncerà la rottura del patto in nome della logica del problema, oppure “assumerà su sé stesso” la rottura del contratto, dando in ogni caso una risposta, costi quel che costi, anche se sa fin dall’inizio d’essere scorretto o è per lo meno dubbioso?” (Schubauer-Leoni e Trognon)
Seconda problematica legata ai modelli concettuali di “problema” che si fanno i bambini. I bambini rispondono: Che cos’è per te un problema? “C’è un problema addosso alla gente, c’è un problema che si fa sul quaderno”. “Un problema per me è scrivere un numero e fare i dati, risolverlo con la macchina in riga e in colonna. Poi rispondere alla domanda che avete scritto all’inizio. Per me un problema è risolvere un’addizione, una sottrazione, una divisione o una moltiplicazione con la macchina”. “Per me un problema è una cosa che si devi risultare uguale a quello che la maestra ha già fatto”.
Appare evidente che i bambini distinguono il problema reale, concreto, quello legato alla vita extra-scolastica, dal problema scolastico: sanno che quando si dice problema a scuola nelle ore di matematica, non ci si riferisce a problemi reali, ma a qualche cosa di artificioso, prefabbricato, con caratteristiche già tutte codificate. Ciò che caratterizza il problema è l’operazione che occorre eseguire per risolverlo. Ecco la risposta secca che ha dato un bambino, quando, spazientito dalle richieste sul ragionamento seguito, ha dichiarato con estrema sincerità: “L’importante non è capire, ma risolvere il problema”.
Esempi relativi ad una ricerca sui problemi con dati mancanti e sugli atteggiamenti degli allievi di fronte a problemi di questo tipo. (D’Amore-Sandri) Il testo: Giovanna e Paola vanno a fare la spesa; Giovanna spende 10.000 lire e Paola spende 20.000 lire. Alla fine chi ha più soldi nel borsellino, Giovanna o Paola?
Dal protocollo di Stefania, classe terza. “Nel borsellino rimane più soldi giovanna. 30 -10 = 20 10 X10 = 100”. La risposta “Giovanna” (58,4% di tali risposte in terza elementare) è giustificata dal fatto che: se l’insegnante affida un problema, questo debba essere risolto, dunque, anche se si dovesse accorgere che manca il dato della somma iniziale, se lo inventa implicitamente; Giovanna spende meno e quindi le resta più danaro, e ciò giustifica la prima parte scritta a parole di Stefania; poi scatta la clausola che in matematica si devono sempre fare calcoli… e a quel punto qualsiasi calcolo va bene.
Dal protocollo di Silvia, classe seconda media. “Secondo me, chi ha più soldi nel borsellino è Giovanna [poi corretto in Paola] perché: Giovanna spende 10.000 mentre Paola spende 20.000, 10.000 Giovanna 20.00 Paola 20.000 - 10.000 =10.000 (soldi di Giovanna) 10.000+10.000 = 20.000 (soldi di Paola)”. Qui Silvia dapprima scrive Giovanna, poi ritiene di produrre calcoli, che per quanto assurdi, finisce per assumere come fossero plausibili, tanto è vero che, preferisce cambiare la prima risposta data in via intuitiva piuttosto quanto ottenuto in via formale.
La zia di Giovanna va a trovare i suoi nipotini Aldo e Bruna. Dopo averli salutati ed abbracciati, mette 3000 lire nel salvadanaio di Aldo e 5000 lire in quello di Bruna. Secondo te ci sono più soldi nel salvadanaio di Aldo o in quello di Bruna?
DAI PROTOCOLLI “La zia da 2000 lire a Bruna in più di Aldo. La zia da 2000 lire a Aldo in meno di Bruna. La zia vuol bene ai suoi nipoti. La zia è andata a trovare i nipoti. Aldo e Bruna hanno il salvadanaio per metterci i soldi. Ci sono più soldi nel salvadanaio di Bruna. Chiara era molto gentile e Aldo un po’ maleducato”.
Il problema della gita Mi descrivi il tuo lavoro? “Io leggo il testo, dopo faccio, risolvo subito il problema, scrivo i dati che ci sono e la richiesta e dopo vedo se serve la più, la meno, la per, la diviso..” “… perché bisogna calcolare, bisogna calcolare e dopo … il risultato, e con il risultato puoi fare qualcosa …” “ risolvo con l’operazione, prendo i dati del problema e so che li uso per fare un’operazione e per scrivere lo schema” “ ho scritto i dati cioè ho preso i numeri e la frase che componevano e ho messo la risposta”.
Perché non hai pensato al ritorno? “Se devo fare il problema con il dato nascosto, la maestra ci avverte dicendo che c’è un trabocchetto e allora penso e vado alla ricerca del trabocchetto” “il maestro prima del testo scrive che è un problema con il dato nascosto” “bisogna prima dettare il problema e poi dire di stare attenti”.
Calcolare il volume di una piramide … Dalla ricerca … Ragazzi alla fine della III media vengono invitati a: • Risolvere un problema nel quale c’è da calcolare il volume di una piramide retta a base quadrangolare regolare, date le misure dello spigolo di base e di uno spigolo laterale; • Valutare il volume di una piramide reale, di legno, avendo a disposizione un righello. Le risposte “attese”. Nel test scritto si ha un risultato positivo generalmente alto, nella prova empirica si hanno reazioni di abbandono, rifiuto, di rabbia.
Molti studenti, di fronte ad una piramide piena, dichiarano che l’altezza non si può misurare perché non c’è; sembra chiaro il riferimento ad una situazione in cui, invece, l’altezza appare ed è stata disegnata in modo evidente: lo studente se la aspetta. Limitarsi a disporre il righello verticale, appoggiandolo sul tavolo, e poi cercare di valutare l’altezza è un espediente guardato con sospetto, rifiutato. “La piramide l’abbiamo trovata sul libro di geometria e poi abbiamo imparato le formule”.
Bus e automobile … Un bus dell’esercito trasporta 36 soldati. Se 1128 soldati devono essere trasportati in bus al campo d’addestramento, quanti bus devono essere usati? Si parte da Schoenfeld con in più due variabili didattiche: • Variando l’età degli studenti (da 10 a 15 anni), • Dando o no la possibilità di usare la macchina calcolatrice. 31,3333333333333
Un’automobile trasporta 4 bambini. Se devono essere trasportati 6 bambini a scuola, quante automobili sono necessarie? Una situazione analoga, con soluzione che di fatto non richiede calcoli. Risposte “attese”. “il primo è più facile sai cosa fare [nel senso dell’operazione], il secondo no”. “il primo lo vedi” (come problema standard). Alcuni hanno coraggio di dare la soluzione per intuito, altri no .
Dai protocolli emergono le seguenti clausole del contratto didattico: Clausola delle attese: la maestra si aspetta una certa risposta, la si deve dare, non importa il senso; Clausola della costanza: la maestra da dato problemi con parole e numeri, per produrre il risultato si usano i numeri, se è sempre andata così, dovrà per forza andare così anche questa volta.
L’esigenza della giustificazione formale; • l’immagine formale, a vuoto, deleteria della matematica ha vinto, sconfiggendo la ragione.
Composizione e scomposizione additiva È frequente far svolgere agli allievi l’attività di composizione-scomposizione additiva. Si dispone per esempio sul banco il regolo “di valore 7” e su di esso poi tutte le varie coppie addittive, costruendo quello che si suole chiamare muretto. In questa esperienza la rappresentazione delle coppie additive era arrivata alla fase del disegno dello schema a sole (fase seguente al lavoro manipolativo con i muretti), intesa di solito dall’insegnante come espediente didattico per passare da una rappresentazione manipolativa ad una successiva ritenuta più “formale”.
Ins supplente: «Allora torniamo al nostro sole… Adesso cosa devo scrivere su questa freccia?». Val: «5 e 2». Ins supplente: «E dopo?». Val: «6 e 1, 1 e 6, 3 e 4, 4 e 3, 0 e 7». Ins supplente: «… 0 e 7. Così?». Classe: «Sì!». Ins supplente: «Perché mi avete fatto scrivere 7 e 0 e poi ancora 0 e 7? Non è lo stesso?». Mar: «Perché bisogna scrivere i numeri come se fosse il muretto!». Ins supplente: «Il muretto?» (guarda e tocca un muro della stanza). Mar: «Il muretto del 7! No il muro!». Ins supplente: «Il muretto del 7? E cos’è?». Mar: «Che sono i numeri scritti così!» (indica 7 e 0, 2 e 5, 5 e 2…). Ins supplente: «E perché scrivete questi numeri così?». Gai:«Perché ce l’ha detto la maestra!». Ins supplente: «Ah! E a cosa serve?». Gai: «Non lo so cosa serve! Ce l’ha detto la maestra!».
Effetti del contratto didattico In questa sperimentazione gli allievi dimostrano che il loro sforzo nell’azione ad apprendere sia rivolto soprattutto nel saper riprodurre e ricostruire fedelmente lo schema secondo il modello che l’insegnante ha proposto e non secondo una personale scelta e interpretazione
Ins supplente: «A cosa serve?» Mar: «Che c’è un numero 7, fai un 7 su una freccia, dopo c’è una “e” piccolina in mezzo e dopo uno 0 dietro». Ins supplente (scrive un 7, in mezzo al sette scrive una piccola “e”…) Classe: «No! Non in mezzo al 7! Dopo il 7, in mezzo!». Ins supplente (scrive 7 e 0): «… è così?». Classe: «Sì!» Ins supplente: «Ah! E dopo?» Val: «Scrivi 2 e 5». Ins supplente: «Perché?» Val: «Scrivi 2 e 5 sulla freccia dopo». Ins supplente: «Così?» Valeria: «Sì».
Dalle frasi degli allievi A che cosa serve lo schema a sole? Gian: «Imparare regoli dei numeri». Dar: «Non lo so». Val: «Serve per imparare le coppie e a capire che lo zero se lo metti vicino a il numero sette resta sempre sette». Mar: «Per sapere di più con i numeri». Ele: «Dei muretti». Mar: «Per imparare le coppie dei numeri».
I protocolli mettono in evidenza che gli allievi giocano un ruolo che non è quello di apprendere, ma di eseguire, di saper disegnare ed accettare lo schema a sole proposto dall’insegnante. Questa esperienza didattica rappresenta per l’allievo «una situazione cognitivamente così semplice, che egli vi gioca subito da vincente: impara presto che il suo mestiere da allievo è capire quel che si vuole da lui, non costruire conoscenza. Se si rivela socialmente vincente il banale fatto che egli dica 1, 2, 3 di fronte ad insulsi disegnini, lui imparerà a farlo»
«C’è una vera costruzione di apprendimento concettuale solo se si è coinvolti responsabilmente in tale costruzione; e questo può avvenire solo se quel che si offre come contenuto di riflessione, di scoperta, di sistemazione, è confacente al bisogno di chi apprende. I numeri (naturali) in fila, uno per uno, a partire da uno (sì, perché lo zero è trattato misteriosamente, lasciato a lungo in disparte) fino a nove, non possono riempire significativamente un anno scolastico, fanno parte di un bagaglio di conoscenze già conquistato. Se i contenuti dell’insegnamento sono o troppo distanti dalle necessità problematiche dell’apprendente o troppo banali, il processo rischia di non funzionare, è quasi certo che non funzionerà» (D’Amore).
Riflettendo sugli effetti del contratto didattico “L’insegnante ottiene la risposta attesa con mezzi che non hanno alcun valore e fa credere all’allievo (alla famiglia, alla istituzione) di aver compiuto un’attività matematica che era il traguardo da raggiungere. L’insegnamento diventa così una simulazione della genesi delle conoscenze. Le costrizioni didattiche finiranno con l’opprimere le costrizioni cognitive.” (D’Amore)