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Lezione 2 / 4 La decisione delle controversie di lavoro e la loro impugnazione. Anno 2012/2013. 1 . Il giudizio finale. I provvedimenti anticipatori.
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Lezione 2/4La decisione delle controversie di lavoro e la loro impugnazione Anno 2012/2013
I provvedimenti anticipatori L’art. 423 c.p.c. costituisce il prototipo del successivo art. 186-bis c.p.c. e la traduzione, nel rito del lavoro, in forma di ordinanza della sentenza di condanna generica o ad una provvisionale ex art. 278 c.p.c.
L’ordinanza delle somme non contestate Nonostante qualche differenza letterale, non esiste alcuna differenziazione tra le ordinanze di pagamento delle somme non contestate di rito ordinario (art. 186-bis c.p.c.) e di rito del lavoro (tutela del credito; inapplicabilità al contumace per essere la contestazione atteggiamento difensivo della parte costituita per comportamento concludente; revocabilità e modificabilità dell’ordinanza, esecutività dell’ordinanza, sua sopravvivenza alla estinzione).
La condanna generica o ad una provvisionale. Se ai sensi dell’art. 278 c.p.c. la condanna generica (quando è provato l’an del diritto ma non il quantum) e la condanna ad una provvisionale, nei limiti in cui la prova sul quantum è raggiunta, fondate su una cognizione piena e non sommaria del giudice, è resa coerentemente con sentenza nel rito ordinario; in quello del lavoro, per anticipare la decisione, è resa con ordinanza esecutiva, tuttavia revocabile esclusivamente con la sentenza.
Rimessione in decisione Come già visto il giudice può rimettere in decisione senza compiere istruttoria nei casi di cui all’art. 187 c.p.c. (processo in diritto, processo documentale, fondamento di questioni preliminari e di merito – inesistenza del fatto costitutivo, esistenza del fatto costituente eccezione – fondamento di una questione pregiudiziale di rito).
La tecnica della decisione (art. 429 c.p.c.) La tecnica della decisione costituisce una peculiarità propria del rito del lavoro, poiché il giudice pronuncia in udienza il dispositivo della sentenza e ne da lettura, quindi decide subito dopo la discussione orale delle parti previa camera di consiglio, potendo motivare immediatamente a verbale (analogia all’ art. 281 septies c.p.c.) oppure riservarsi il deposito della motivazione in un termine di 60 giorni
Le ultime difese delle parti Le parti hanno due possibilità: a) Mediante istanza espressa chiedere un differimento dell’udienza, dopo chiusa l’istruttoria, per il deposito di note difensive finali entro dieci giorni (art. 429, 2° comma c.p.c). b) Discutere verbalmente la causa innanzi al giudice (art. 429, 1° comma c.p.c.). c) Per quanto non regolata esiste in ogni caso anche nel rito del lavoro una fase di precisazione delle conclusioni (non modificabili rispetto a quelle precisate alla prima udienza di trattazione)
La tutela del credito del lavoro L’art. 429, 3 comma c.p.c. impone al giudice che condanna all’adempimento di crediti di lavoro di applicare il tasso degli interessi legali sulla somma rivalutata, con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto. Qualora abbia dubbi sulla quantificazione del diritto per impossibilità della prova , può liquidarlo con valutazione equitativa (art. 432 c.p.c.)
Ancora sulla tutela del credito di lavoro Esiste poi una tutela particolare rappresentata dalla immediata esecutività del dispositivo, senza la motivazione, quando la sentenza condanna il datore di lavoro a pagare somme al lavoratore (art. 431, 1° e 2° comma c.p.c.).
L’esecutività della sentenza di primo grado Le altre sentenze di condanna, anche a favore del datore di lavoro, sono soggette allo stesso regime di esecutività immediata della sentenza (completa della motivazione) di cui alle sentenze di primo grado ordinario (è richiamato l’art. 282 c.p.c.)
La nomofilachia dei contratti collettivi Già si è detto di una serie di istituti volti a favorire la uniforme interpretazione dei contratti e accordi collettivi: - l’intervento volontario delle associazioni sindacali; - la riunione delle cause seriali su questioni analoghe; - il particolare rilievo, ai fini impugnatori, delle sentenze interpretative delle clausole collettive da parte del giudice.
Le sentenze parziali sulla interpretazione della fonte collettiva Qualora vi sia profilo di interpretazione, efficacia o validità di un contratto o accordo collettivo nazionale, e la controversia sia seria, il giudice deve esprimersi immediatamente con una sentenza parziale, disponendo per la ulteriore istruzione (art. 420-bis , 1 comma c.p.c). In tal modo l’ordinamento favorisce un’immediata espressione del giudice sulla clausola collettiva.
Impugnazione della sentenza interpretativa L’art. 420 –bis, 2 comma .p.c., prevede la sua impugnabilità non con appello ma con immediato ricorso per Cassazione, al fine di esaltare la funzione di nomofilachia di questo organo centrale (si ricordi che la Corte di Cassazione ex art. 360 n. 3, effettua il controllo della violazione o falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro). In tal modo la Corte di Cassazione, per la sua particolare autorevolezza dirime in modo definitivolòa questione, per la controversia incui è sorta, e quale precedente di rilievo, per tutte le altre controversie seriali.
La natura della sentenza interpretativa La questione interpretativa non è di per se idonea a definire il giudizio, non è pertanto una questione preliminare di merito e pertanto non può essere assimilata alle sentenze non definitive di cui all’art. 279 n. 4 c.p.c. e non vale per essa la riserva di impugnazione prevista per tali decisioni.
Dilazione e sospensione Per favorire la determinazione definitiva del giudice di legittimità, è stabilito un termine dilatorio, per la prosecuzione del processo dopo la sentenza interpretativa (90 giorni, art. 420-bis, 1 comma c.p.c.), al fine di consentire l’eventuale impugnazione immediata, ed è prevista una sospensione del giudizio quando è avviato il ricorso per cassazione, previo deposito del ricorso in cancelleria entro 20 giorni dalla notificazione, a pena di inammissibilità.
L’efficacia della sentenza di Cassazione La sentenza di Cassazione, cui segue un rinvio, ha l’efficacia del principio di diritto anche se il processo si estingue, secondo le regole generali e ciò a valere per il processo in cui è stata emessa la sentenza interpretativa. In relazione ad un altro processo, invece, la sentenza non può avere autorità, ma il giudice se intende andare di contrario avviso, deve emettere una nuova sentenza interpretativa, che sarà a sua volta impugnabile innanzi alla Corte.
L’appello (art. 433, 1 comma c.p.c.) Le sentenze di primo grado nelle controversie di lavoro, sono ovviamente appellabili, mediante ricorso innanzi alla corte di appello territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro (art. 433 c.p.c.)
L’appello con riserva di motivi (art. 433, 2 comma c.p.c.) Se l’esecuzione è iniziata, sulla base del solo dispositivo, in mancanza della motivazione, il soccombente può introdurre appello “con riserva di motivi” il cui scopo è dato dal tentativo di ottenere la sospensione della esecutività del dispositivo ex art. 431, 3 comma c.p.c.
I presupposti della sospensione In tal caso, l’appellante non potrà introdurre i motivi di appello, perché ignora i motivi della sentenza, ma potrà dedurre i presupposti del periculum che giustificano la sospensione: “gravissimo danno”. Secondo la giurisprudenza tale presupposto è presente nel caso in cui il datore di lavoro rischi l’impossibilità di proseguire la propria attività di impresa a causa dell’esecuzione (pignoramento dei beni strumentali dell’azienda)
Necessità che sia iniziata l’esecuzione La norma ai sensi dell’art. 433, 2 comma c.p.c., impone che l’esecuzione sia iniziata, il che vuol dire che il pignoramento sia stato perfezionato. Norma criticabile in quanto presuppone il consolidamento del pregiudizio che andrebbe rimosso (al massimo il datore di lavoro potrebbe ottenere una mera sospensione non una revoca del pignoramento).
Presentazione dei motivi in appello A seguito della formulazione di un appello con riserva di motivi, ai sensi dell’art. 433, 2 comma c.p.c., che richiama l’art. 434 c.p.c., entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza completa dei motivi, l’appellante deve integrare i motivi dell’atto di appello mediante memoria da depositarsi in cancelleria.
L’appello ordinario Quando l’esecuzione non è ancora iniziata, sulla base del dispositivo, perché il lavoratore non si è mosso esecutivamente, oppure perché il dispositivo non è immediatamente esecutivo, l’atto di appello secondo le regole ordinarie deve contenere la specificazione dei motivi, oltre che la richiesta eventuale di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza.
L’inibitoria Quanto alla richiesta di sospensiva, l’art. 431 richiama il concetto di “gravi motivi” che non appare perfettamente conforme al criterio dettato nell’art. 283, per il rito ordinario, il quale evidenzia il concetto di “gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti”, ove nel termine “grave” è contenuto il concetto di periculum ovvero di pregiudizio di una certa consistenza e nel termine “fondati” il riferimento ad un fumus dei motivi di impugnazione, ovvero periculum e fumus che sono a fondamento di ogni tutela cautelare
Gravi motivi Il termine, che il rito del lavoro aveva fatto inizialmente mutuare al rito ordinario, nella vecchia edizione dell’art. 383 c.p.c., lascia uno spazio maggiore al giudice, sul piano della discrezionalità, ma la gravità dei motivi non sembra collocare su un piano molto diverso il presupposto della sospensione nel rito ordinario rispetto a quella del lavoro.
La specificazione del motivo A seguito della recente legge n. 134 del 2012, si è proceduto ad un intervento novellatore anche dell’art. 434 c.p.c., prevedendosi una specificazione del motivo non solo come espressione dell’ambitoconcretodell’effetto devolutivo, ma anche come motivo di critica e censura alla sentenza, con espressa richiesta di modifica del giudizio e dei contenuti del giudizio modificato.
La fase introduttiva dell’appello Il meccanismo introduttivo dell’appello è ancora quello di un ricorso, da depositarsi in cancelleria entro il termine per appellare, la fissazione dell’udienza da parte del giudice di appello (art. 435 c.p.c.) e la notifica di copia autentica del ricorso e del decreto all’appellato in modo da assicurare una dilazione rispetto all’udienza di almeno 25 giorni quale termine a difesa.
La memoria dell’appellato L’appellato si costituisce mediante memoria da depositare entro 10 giorni dall’udienza e nel quale a pena di decadenza devono essere specificati i motivi dell’appello incidentale, con onere di notifica della memoria contenente i motivi dell’appello incidentale almeno 10 giorni prima dell’udienza, all’appellante.
Nova in appello La disciplina dell’art. 437 c.p.c. costituisce il prototipo della successiva disciplina dell’art. 435 c.p.c. non essendovi alcuna differenza del regime applicabile all’appello di diritto comune, rispetto all’appello di rito del lavoro. Ciò fino alla legge n. 132 del 2012, la quale ha irrigidito l’ammissibilità di nuove prove nel rito ordinario, ipotesi destinata a rimanere invece nel rito del lavoro, quando la prova è “indispensabile”, costituendo questa l’espressione di un potere istruttorio del giudice, già riconosciuta in primo grado, in grado di appello.
La decisione Le modalità di svolgimento dell’udienza di discussione e il giudizio finale della Corte di appello, recupera le stesse norme previste per il primo grado