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La valutazione delle politiche strutturali 2000-06 in Italia. ANDREA NALDINI Direttore area valutazione di Ismeri Europa UNIVERSITA’ DI PARMA !4 ottobre 2008. Contenuti della lezione.
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La valutazione delle politiche strutturali 2000-06 in Italia ANDREA NALDINI Direttore area valutazione di Ismeri Europa UNIVERSITA’ DI PARMA !4 ottobre 2008
Contenuti della lezione • Riportare l’esperienza della valutazione 2000-06 dei fondi strutturali attualmente in corso presso la DG Regio • Proporre una riflessione sulle politiche di sviluppo regionale in Italia • Presentare una esperienza di valutazione e i suoi connotati metodologici fondamentali
Introduzione Il contesto dello studio Alcuni aspetti metodologici
Il contesto della valutazione ex-post 2000-06 a livello europeo • La DG Regio ha l’obbligo di realizzare la valutazione ex-post e poi presentarla al Parlamento Europeo. • La valutazione deve dare un giudizio circa il contributo dei Fondi Strutturali (FS) alla coesione economica e sociale europea (convergenza o coesione?) • Quadro di riferimento politico: revisione del bilancio UE nel 2009, fine di allargamento e integrazione, vincoli di bilancio e politiche regionali inefficienti (crisi finanziaria attuale?)
La realizzazione della valutazione e il rapporto Italia • La DG ha lanciato 10 studi tematici (imprese, trasporti, ambiente, demografia, modelli macroeconomici,ecc.) e uno di coordinamento • Il coordinamento prevede la realizzazione di 25 rapporti nazionali (15 vecchi e 10 nuovi membri entrati nel 2004) • I rapporti si basano sui dati, sulle evidenze e sulle valutazioni disponibili e non prevedono ricerche originali
L’approccio valutativo • La valutazione fornisce un giudizio su un fatto, un processo, un programma o una politica. • Nel caso della valutazione di programma è necessario: • Ricostruire la “teoria del programma”, le causalità alla sua base (p.e. + PIL + occ.) • Identificare i criteri per formare un giudizio (efficienza, efficacia, rilevanza, coerenza, ecc..) • Raccogliere le informazioni per verificare i criteri • Presentare le evidenze, le conclusioni e le raccomandazioni
Alcuni elementi del quadro analitico • Lo sviluppo procede per agglomerazioni, che bisogna favorire nelle regioni in ritardo • Sono identificabili alcuni drivers dello sviluppo (R&S, infrastrutture, livello degli investimenti, capitale umano, capitale sociale e istituzioni) su cui le politiche devono puntare (dipende da teorie economiche o interessi) • Le politiche di sviluppo dovrebbero differenziarsi dalle politiche ordinarie perché favoriscono investimenti e quei drivers(difficile, ma importante definizione)
Il rapporto nazionale • E’ composto di 9 sezioni: • Caratteristiche regionali e contesto socio-economico • Contesto macroeconomico • Sviluppo regionale e contributo dei FS • Effetti in diverse policy area • Forme di intervento • Realizzazione degli interventi • Effetti complessivi • Valore aggiunto del contributo comunitario • Lezioni per il futuro
Il contesto e la strategia degli interventi 2000-06 Quali problemi nell’obiettivo 1 Innovazioni e continuità
Caratteristiche regionali e contesto socio-economico: scarsa convergenza • La differenza nord – sud ancora prevale in Italia • Vi è un serio problema nazionale di crescita: la media nazionale del PIL pro capite passa da 112 (EU25=100) nel 1999 a 101 nel 2005. A questo livello Basilicata e Molise sarebbero ancora obiettivo 1 (sono invece usciti). • Nel 2005 le disparità nel PIL pro capite sono leggermente diminuite, perché il sud è meno esposto alla competizione internazionale e più sostenuto dalle risorse pubbliche
Principali problemi delle regioni ob. 1: sociali oltre che economici • Persistenti squilibri strutturali coesistono con ragionevoli livelli di welfare, piccoli ma dinamici poli produttivi, moderni stili di vita e consumo. • Dipendenza dalle risorse pubbliche e mancanza di sviluppo autonomo sono i principali problemi dell’obiettivo 1. In queste regioni l’azione collettiva e la cooperazione sono limitate, l’amministrazione è debole e meno efficiente e l’interferenza politica è elevata.
Sostenibilità del gap di sviluppo: in riduzione • Il ritardo delle regioni obiettivi 1 negli ultimi anni è meno sostenibile perché: • a) globalizzazione tende a ridurre l’interesse del Centro-Nord per investimenti nel Sud • b) la ristrutturazione produttiva delle regioni forti del Centro-Nord avviene in un contesto di bassa crescita e con budget pubblico ridotto, quindi aumentano le tensioni redistributive
I problemi delle regioni obiettivo 2 • Il Centro-Nord non ha più un problema di riconversione dell’industria tradizionale e rimane un’area a prevalenza industriale tra le più competitive d’Europa (bassa disoccupazione, alto reddito pro-capite) • Gli squilibri interni sono a volte significativi e dipendono: • Diverse capacità di ristrutturazione della base industriale (più pronunciata nelle aree con grandi e medie imprese in Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte); • Abilità a sviluppare servizi avanzati nelle aree metropolitane (Milano, Roma, Torino); • Accesso alla knowledge economy, differenti dotazioni di risorse pubbliche e private per la ricerca (presenza poli industria-ricerca)
Le debolezze strutturali italiane: declino o riconversione • Alto debito pubblico, spesa per interessi pari al 3-4% del PIL; • Infrastrutture inadeguate, sia materiali (trasporti, acqua, ambiente, ecc.) sia immateriali (diritto societario, funzionamento giustizia e sicurezza, ecc.), • Ambiente poco competitivo (a- abitudine alla svalutazione dagli anni ’70 a metà ’90; b- bassa competizione nei servizi e nelle utilities; c- giovane e insufficiente regolazione antitrust) • Larga parte della produzione con bassa spesa per R&S e elevata esposizione alla competizione dei nuovi paesi emergenti; • Basso capitale umano rispetto alle altre economie avanzate; • Ampio tessuto di piccole imprese, che influisce negativamente su produttività, benefici da nuove tecnologie e investimenti, formazione; • Ritardo di sviluppo di ampie aree (circa 1/3 della popolazione) con bassa produttività e ampie risorse inutilizzate.
Il quadro macroeconomico: sfavorevole allo sviluppo • Aggiustamento strutturale - Tende a favorire le regioni forti e capaci di esportare. Le politiche strutturali non si adattano subito al nuovo contesto competitivo in strategie e strumenti • Politiche fiscali restrittive – Dall’inizio degli anni ’90, le politiche fiscali hanno effetti restrittivi. Le difficoltà a comprimere la spesa corrente e la bassa crescita mondiale hanno obbligato a tagli degli investimenti pubblici • Decentramento istituzionale e riorganizzazione dell’amministrazione ancora da completare sia nel disegno che nella realizzazione
Strategia obiettivo 1: un nuovo approccio Ipotesi di partenza: • Insoddisfacenti risultati delle politiche precedenti, che avevano generato derive assistenzialiste; • Riduzione delle risorse pubbliche e necessità di maggiore efficienza e coordinamento nell’uso delle risorse UE e nazionali per investimenti; • Modificazione del quadro amministrativo; il QCS dava l’opportunità di trasferire regole dalla politiche comunitarie a quelle nazionali • La nuova strategia intendeva rimuovere ostacoli territoriali e sociali che limitavano la produttività e l’attrazione di investimenti, invece di offrire supporto diretto alle imprese. Questo approccio identificava 2 principali drivers: • Investimenti, riducendo la spesa per le imprese e favorendo l’ambiente produttivo attraverso la produzione di beni pubblici; • Rafforzamento delle istituzioni e capacity building, attraverso cui rafforzare la capacità di produrre beni pubblici e attraverso azioni collettive, riorganizzazione amministrativa, rafforzamento degli attori locali • ….e una condizione: che l’investimento pubblico aumentasse (30% spesa in conto capitale totale e 45% spesa in conto capitale per lo sviluppo)
Strategie obiettivo 1: altre innvoazioni • Importanti innovazioni introdotte per rafforzare la capacità istituzionale : • Premialità nazionale, riservava il 6% delle risorse ai programmi che avessero conseguito targets amministrativi e regolatori; • Coinvolgimento attori locali (PIT); • Cooperazione con le parti economiche e sociali (speciale Assistenza dal 2005); • Maggiore rilevanza alla valutazione; • Studi di fattibilità per rafforzare le scelte dei programmi.
Strategia obiettivo 2: politiche competitive • Aumentare la competitività delle imprese (incluso turismo), questa area ha ricevuto circa il 50% delle risorse totali e moltissime in aiuto diretto alle imprese; • Sviluppare esternalità e potenziale di crescita (circa 30% delle risorse) con attenzione all’ambiente (recupero siti inquinati e valorizzazione risorse ambientali)
Risultati settoriali L’introduzione di alcuni cambiamenti Effetti ancora deludenti
Agricoltura e pesca • Circa 9% del totale dei fondi strutturali (FEOGA per il 95% e FESR per il 5%). Il principale strumento è stato il supporto diretto alle imprese. • Sostegno all’investimento e alla produttività delle imprese. Attenzione alle imprese alimentari attraverso approcci di filiera. Circa 50% delle risorse per la forestazione (quasi 280 Meuro) alla riqualificazione delle aree distrutte dal fuoco. Riduzione capacità produttiva nella pesca. • Buoni risultati in alcune regioni (Campania e Sardegna), ma indicatori di produttività e di esportazioni alimentari non sono migliorati. Effetti limitati per scarsa concentrazione; anche gli approcci di filiera non veramente perseguiti. • Duplicazione e sovrapposizione con la PAC e con le politiche per lo sviluppo rurale che riducono l’efficienza dei PO
Ambiente imprenditoriale • I programmi hanno finanziato circa il 5% del totale investimento annuo ob.1 e circa il 40% di quello manifatturiero limitando la caduta dell’investimento privato. Tuttavia gli effetti sembrano limitati: • La produttività non cresce ad eccezione di PMI e della spesa per R&S pubblica; • Mutamenti settoriali verso settori avanzati sono trascurabili; • L’attrazione di investimenti non c’è stata. • Principali cause: • Scarsa capacità di selezione e concentrazione • Elevato dead-weight; • Inadeguatezza di molti strumenti (L.488/92 e de-minimis)
Politiche di RSTI • Il PO nazionale per la RTDI raccoglieva il 5.5% delle risorse totali I suoi risultati sono incoraggianti, soprattutto per il finanziamento della R&S nelle imprese: • Aumentata la spesa in R&S e dimostrato la possibilità di politiche di domanda e la maturità di una parte del sistema produttivo ob.1 • buona qualità dei progetti, anche se non di frontiera • 50% delle imprese dal Centro-Nord, capacità di questa politica di attrarre investimenti • Il 90% dei progetti di ricerca sono passati all’industrializzazione; • circa il 50% dei progetti ha comportato nuove relazioni tra imprese, università e centri di ricerca • Difficoltà del programma dovuta alla lunghezza dei tempi amministrativi • I programmi regionali non hanno conseguito importanti risultati nella RSTI, ad eccezione di Campania che ha sperimentato i poli di eccellenza regionali
Risorse umane • Educazione – miglioramento delle infrastrutture e riduzione del gap con il Centro-Nord. Il PO nazionale 4,250 progetti e 65,000 beneficiarti finali e riduzione del tasso di abbandono. Significative risorse a MA e Dottorati; risultati incoraggianti specie per i dottorati. Parziale sovrapposizione tra Ministero e Regioni. • Formazione – E’ rimasta la principale attività del FSE. L’impatto sul mercato del lavoro è dubbio, anche a causa della sua debolezza nell’obiettivo 1. La formazione raramente è stata integrata in strategie di sviluppo. • Servizi per l’Impiego – I fondi per questi servizi sono stati elevati, ma il gap di efficienza con il Centro-Nord è elevato. I progetti raramente erano sostenibili e vi sono stati problemi di coordinamento con le Province. Risultati generali contrastanti: • Scende la disoccupazione totale e giovanile (ma più per effetto delle politiche nazionali); • Gruppi svantaggiati rimangono penalizzati, differenze di genere sono immutate e i disoccupati lunga durata molti; • Aumenta la partecipazione alla scuola secondaria, ma l’abilità degli studenti è bassa (vedi OECD-PISA surveys).
Trasporti e telecomunicazioni • Caduta relativa della spesa nazionale per trasporti nell’obiettivo 1. I fondi strutturali hanno limitato questa caduta. • Principali interventi a rafforzare assi esistenti e TEN-T (linee ferroviarie tirreniche e adriatiche, Salerno-Reggio Calabria). Non sono stati attivati investimenti trasporto marittimo. A livello regionale buoni risultati in Campania (Metro, trasporto locale). • L’impegno nazionale e UE è inferiore al necessario (da più di 20 anni il network ob.1 non è cambiato ed è poco efficiente in termini di colelgamenti alta velocità e alta capacità, uso del ferro) • La diversificazione di modalità è ancora insufficiente e mancano infrastrutture di scambio; • Ampio uso di progetti pre-finanziati, i ritardi nel completamento delle opere rimandano l’avvio di nuovi progetti. • ICT ha assorbito 1.1 miliardi di Euro; alla formulazione del QCS non vi erano piani e competenze settoriali. Le strategie regionali sono state completate nel 2002. Le spese si sono concentrate su E-government (58% del totale) e hanno contribuito alla diffusione di ICT in comuni ed enti locali. Investimenti in infrastrutture sono stati limitati (240 Meuro e 23% del totale)
Ambiente ed energia • Le risorse dedicate ad ambiente ed energia non erano sufficienti a generare impatti elevati (3.5 miliardi Euro e 8% del totale) • Investimenti nelle risorse idriche per la depurazione e il sistema fognario. Solo 23% dei progetti ultimato nel 2007 e il 53% in stadio avanzato. Miglioramenti nella regolazione, ma nel 2008 solo 13 dei 22 ATO hanno identificato l’ente di gestione. • Il contributo alla raccolta separata e al ciclo dei rifiuti è stato significativo, ma i risultati limitati (buoni in Sardegna); gli interventi sono stati frammentati e non adeguati ai bisogni. • In ambito ambientale il QCS intendeva sia proteggere che valorizzare; i risultati sono inferiori alle aspettative per la mancanza di strategie articolate e per l’inefficienza di alcuni attori (p.e. enti parco) • Pochi fondi hanno beneficiato l’energia; questa rappresenta in larga parte una occasione perduta.
Politiche territoriali - 1 • Sviluppo rurale – circa 1.7 Miliardi di Euro questa politica è importante nel meridione, ma il bisogno di diversificare dall’agricoltura non è stato colto e si è continuato ad incentivare imprese agricole. Il FESR ha sostenuto imprese artigiane. E’ mancato l’approccio di sviluppo locale,demandato a Leader. • Turismo– Il QCS intendeva promuovere un approccio integrato, ma gli sforzi sono risultati frammentati ed è mancata una reale strategia e, con alcune eccezioni, una regia regionale e le imprese sono risultate troppo piccole per pesare sui mercati internazionali. • Politiche urbane – Circa 50% dei fondi destinati al rinnovo urbano e il resto diviso tra trasporti, urbani, sport e turismo. Servizi avanzati raramente sviluppati, ampio uso di piccoli incentivi per le imprese. Molti progetti urbani piccoli (1,1 Meuro) e con poco capitale privato. In complesso, ampio rinnovo ma incapacità di mutare immagine e funzioni urbane (positivi ma limitati esempi a Cagliari, Napoli e in Puglia)
Politiche territoriali - 2 • Patrimonio culturale – Priorità nel QCS (2.5 miliardi euro). Rinnovamento siti per più dell’80% e scarsa capacità di valorizzazione e di creare servizi. Mancanza di una strategia organica e grande frammentazione interventi. • Sicurezza– Finanziamento di circa 1,2 miliardi di euro dei quali più del 60% per infrastrutture Interventi di enti locali e associazioni piuttosto ridotti. Seppure gli indicatori non mostrino inversioni rilevanti nei reati, recenti contrasti dell’estorsione fanno pensare a importanti cambiamenti.
PIT: una occasione mancata? • PIT hanno coinvolto molti soggetti e interessato 132 progetti per circa l’80% della popolazione obiettivo 1. Essi hanno assorbito dal 15% al 30% delle risorse dei PO regionali. Alla fine del 2007 la loro realizzazione non è ancora avanzata per ritardi nella definizione e nella gestione. • Molti dei progetti erano incentrati sul turismo e finanziavano infrastrutture locali, inoltre prevedevano sussidi alle imprese. In alcuni casi interventi settoriali (o filiera) invece che territoriali; in generale, scarsa attenzione ai problemi sociali. • Manca una valutazione organica, ma si può affermare: • Elementi positivi: integrazione investimenti infrastrutture con altri interventi, mobilitazione attori e rafforzamento coalizioni già esistenti. • Elementi negativi: scarsa selezione progetti; frammentazione e scarsa concentrazione risorse che raramente produceva effetti agglomerazione; significativi ritardi nella realizzazione. • Effetti di capacity building inferiori alle attese e i processi decisionali molto spesso hanno ripercorso modalità precedenti e poco efficienti.
I risultati obiettivo 2 Ambiente imprenditoriale • Sostegno alle PMI e per il 65% sovvenzioni in conto capitale agli investimenti o ai servizi e per il rimanente 35% conto interessi, equity finance, fondi di garanzia. • Ampio spettro di misure (“menu aperto”). Approccio generico giustificato dal dinamismo delle imprese. Tuttavia: • Sovvenzioni all’investimento assorbiti, ma con molte rinunce per bassa crescita; elevato dead-weight del 50-70%. • equity finance limitata ad alcune regioni e frammentata in piccoli interventi esemplari. • Sostegno all’ambiente assorbito e maggiormente capace di interagire con I bisogni delle imprese rispetto al passato • Importante spesa per RTDI circa 20% del totale in una ampia definizione (ICT, innovazione, ecc.). Importanti successi e definizione di nuove politiche regionali Ambiente ed energia • Ambiente come opportunità, (recupero aree inquinate, turismo, ecc.) interventi frammentati e risorse molto inferiori alle necessità. Importanza dei piani regionali per utilizzare al meglio le risorse Politiche territoriali • Recupero siti abbandonati e riqualificazione urbana sono importanti strumenti di riorganizzazione territoriale; i fondi comunitari hanno proseguito l’opera di recupero spesso più che decennale (es. Aosta)
I problemi di realizzazione e gestione I meccanismi decisionali non sono “neutri” Importanti novità Insufficienti effetti sul capacity building
Pagamenti e regola dell’n+2 • – Fondi spesi e scarsi disimpegni perché: • ampio uso dei progetti pre-finanziati (a gennaio 2008 pari al 36% dei principali PO) • Preferenza per piccoli progetti • Migliore conoscenza e capacità di gestione dei meccanismi europei • L’attenzione alla spesa ha penalizzato la qualità dei progetti. (N+2 è stupido?)
Organizzazione e gestione • Limitati miglioramenti nella capacità gestionale ed elevata burocrazia (5 anni per completare un’opera sotto i 5 Meuro e 9 anni per un’opera sopra i 5 meuro) • Alcuni miglioramenti nelle Regioni, ritardi nelle Province e negli enti locali • Scarso utilizzo degli studi di fattibilità e dei principi di mercato nella selezione; • Numero di operazioni direttamente proporzionale alla difficoltà, quindi scarsa flessibilità organizzativa • Outsourcing e scarso miglioramento della qualità attraverso l’AT • L’introduzione di misure condizionali legate all’adozione di regole e della premialità nazionale del 6% delle risorse sono spesso state rispettate solo in modo formale senza intaccare le organizzazioni.
Altri elementi di gestione • Partenariato istituzionale coordinamento e decentramento – Rafforzamento del coordinamento istituzionale e introduzione di un metodo di decisioni cooperative. Deficit rimangono nelle capacità di indirizzo dei Ministeri, ancora troppo legati a funzioni di spesa. Il decentramento non ha facilitato il coordinamento e ha aumentato le responsabilità locali su enti ancora deboli. • Partenariato economico e sociale - esce rafforzato anche se ancora lontano dalle condizioni del Centro-Nord. • Monitoraggio e valutazione- aumentano la loro rilevanza,ma ancora non del tutto integrati nei processi decisionali
Effetti complessivi Limitati, ma importanti a sostenere investimenti Incapaci di modificare condizioni di partenza
Tipologia di Effetti • Macroeconomici (convergenza, produttività, occupazione, ecc.) • Strutturali (modifiche – anche iniziali – nei sistemi produttivi e sociali, cosa di nuovo) • Apprendimento e capacity building(quali nuove modalità e capacità di intervento nella PA e tra gli attori) • Il valore aggiunto comunitario (quale contributo dell’UE, cosa non ci sarebbe stato in sua assenza)
Effetti macroeconomici: limitati per ragioni indipendenti e dipendenti • Contributo importante a sostenere gli investimenti pubblici, ma non a ridurre il divario pern diverse ragioni: • L’ammontare dei fondi UE è importante ma non decisivo (0,7% del PIL); • La politiche nazionali non sostengono sufficientemente lo sviluppo e le risorse pubbliche per investimenti si riducono a causa del debito pubblico (principio dell’addizionalità) • La globalizzazione e la bassa crescita nazionale hanno aumentato la necessità di un mutamento strutturale molto difficile nelle regioni obiettivo 1. • Inoltre a queste condizioni esterne si sono sommate: • Ampio uso di progetti pre-finanziati che ritardano gli impatti reali; • Elevato dead-weight (circa 50%) su circa il 35% dei fondi totali e limitati effetti sull’investimento privato; • Difficoltà ad utilizzare i fondi nazionali per lo sviluppo (FAS) e quindi ulteriore riduzione dell’addizionalità
Effetti strutturali: è mancata l’agglomerazione • Importanti risultati in alcune regioni (R&D in Campania, acqua in Puglia) e in alcune aree (R&D, istruzione, rinnovo monumenti e alcune città),inoltre: • Riduzione disoccupazione, sebbene dipendente da politiche nazionali il FSE ha favorito l’inserimento; • Crescente rifiuto dell’illegalità in alcune aree • Sono mancate esternalità ed effetti moltiplicativi alla base delle agglomerazioni. Sebbene molti interventi siano stati fatti, non hanno generato massa critica perché: • Gli investimenti in infrastrutture frammentati, di piccole dimensioni e al di fuori di ampie strategie; • Mancanza di investimenti esterni segnala una incapacità di aumentare l’attrattività dell’obiettivo 1; • Incapacità di valorizzare molti interventi (sviluppo locale, turismo, agricoltura) • Mancata identificazione iniziale dei driver di sviluppo e fallimento nella concentrazione delle risorse su pochi obiettivi principali (dopo il 2001 cambio contesto aggrava questo problema) • Elevato dead-weightnel supporto diretto alle imprese, che limita la qualità degli interventi e non risponde ai nuovi bisogni strutturali; • Inadeguata selezione dei progetti (specie per PIT e piccoli sussidi) e loro scarsa efficacia
Apprendimento e capacity building: insufficienti • Miglioramenti nella gestione finanziaria, nella pianificazione e nel coinvolgimento degli attori, ma insufficienti a generare azione collettiva, trasferimento di conoscenze e progettazione di qualità • I problemi di governance molto diffusi; alcune volte preferenze politiche hanno spiazzato considerazioni economiche, altre volte un debole quadro operativo delle politiche nazionali ha ridotto l’efficacia (es. Commissari speciali) degli interventi • Coordinamento tra amministrazioni formalmente buono, ma non ha impedito sovrapposizioni e duplicazioni • apprendimento insufficiente perchè iniziato dalla fine ‘80; l’adattamento formale (p.e. n+2) prevale sul reale apprendimento e sulla nuova organizzazione. • L’approccio sistemico al capacity building era essenziale, ma è stato poco innovativo e ha riprodotto metodi e forme di lavoro usuali, non impedendo l’interferenza politica nelle decisioni e la frammentazione
Valore aggiunto comunitario: sempre importante • In termini finanziari non ha aumentato i fondi, ma ha assicurato la loro concentrazione nell’obiettivo 1 e il loro uso per lo sviluppo. • In termini strategici positivo in quanto ha obbligato a focalizzare l’attenzione su alcuni rivers (ICT, RSTI). Più in generale la strategia di Lisbona ha influenzato la mid-term review e rivolto l’attenzione alla competitività • In termini di metodo il QCS utilizzato come “leva” per le politiche nazionali, spinta per l’efficienza e maggiore integrazione di pianificazione, gestione, controllo e valutazione.