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L’arte allusiva nella Commedia: un esempio famoso. Tosto che ne la vista mi percosse l'alta virtù che già m' avea trafitto prima ch'io fuor di püerizia fosse, volsimi a la sinistra col respitto col quale il fantolin corre a la mamma quando ha paura o quando elli è afflitto,
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L’arte allusiva nella Commedia: un esempio famoso Tosto che ne la vista mi percosse l'alta virtù che già m'avea trafitto prima ch'io fuor di püerizia fosse, volsimi a la sinistra col respitto col quale il fantolin corre a la mamma quando ha paura o quando elli è afflitto, per dicere a Virgilio: “Men che dramma di sangue m'è rimaso che non tremi: conosco i segni de l'antica fiamma”. (PURG. XXX 40-48). Anna (fatebor enim) miseri post fata Sychaeiconiugis et sparsos fraterna caede penatissolus hic inflexit sensus animumque labantemimpulit. Agnosco veteris vestigia flammae. (ENEIDE IV 20-23)
I poeti antichi e moderni come ‘presenze’ nella commedia Diverse modalità di incontro, trasversali rispetto alle cantiche: • vengono menzionati, in absentia (es. Guittone in Purg. XXIV) • compaiono come personaggi (i quattro classici in Inf. IV) • prendono la parola (Brunetto in Inf. XV) • parlano di poesia (Guinizzelli in Purg. XXVI)
Inferno I - sequenze • La “selva oscura” (1-12) • La speranza di salire al colle illuminato dal sole (13-30) • L’incontro con le tre “fiere”: la lonza, il leone e la lupa (31-60) • L’incontro con Virgilio e la richiesta di soccorso (61-90) • Virgilio spiega la presenza delle fiere e profetizza l’avvento del veltro (91-111) • La necessità di “tenere altro viaggio” (112-fine).
Dalla voce onore nel Dizionario Treccani e nell’Enciclopedia Dantesca In senso ampio, la dignità personale in quanto si riflette nella considerazione altrui (con significato che coincide con quello di reputazione) e, in senso più positivo, il valore morale, il merito di una persona, non considerato in sé ma in quanto conferisce alla persona stessa il diritto alla stima e al rispetto altrui (con significato equivalente a quello di onorabilità) Oltre che di largo uso o. è una delle parole sottoposte alla meditazione del poeta. Il suo discorso sulla nobiltà del popolo romano prende le mosse dal principio che “o. è premio di virtù” (Mn II III 3 cumhonor sit praemiumvirtutis) più volte ricorrente nell’Etica di Aristotele (IV 7,1123 b 35 " virtutisenimpraemiumhonor "; VIII 16, 1163 b 3-4 " virtutisquidem... etbeneficii, honor est retributio ") e nel commento tomistico (III lect. XIV, IV lect. VIII, lect. IX, VIII lect. XIV). Ma il poeta lo rivive originalmente: con l'aggiunta che “ogni posizione di preminenza è o.” (etomnispraelatio sit honor) egli riassorbe il principio, che è anche una definizione, in una sua personale trama di idee politiche, in cui il prestigio e la supremazia morale e politica sono note dominanti.
La classificazione degli stili nel De Vulgari Eloquentia II iv 5-8 [5] Nell'ambito poi degli argomenti che si presentano come materia di poesia, dobbiamo aver la capacità di distinguere se si tratta di cantarli in forma tragica, o comica, o elegiaca. Con tragedia vogliamo significare lo stile superiore, con commedia quello inferiore, con elegia intendiamo lo stile degli infelici. [6] Se gli argomenti scelti appaiono da cantare in forma tragica, allora bisogna assumere il volgare illustre, a di conseguenza annodare la canzone. Se invece siamo a livello comico, allora si prenderà talora il volgare mediocre, talora l'umile, e i criteri di distinzione in proposito ci riserviamo di esibirli nel quarto di quest'opera. Se infine siamo a livello elegiaco, occorre prendere solamente il volgare umile. [7] Ma lasciamo da parte gli altri e ora, come è opportuno, trattiamo dello stile tragico. È ben chiaro che usiamo veramente uno stile tragico solo quando con la profondità del pensiero s'accordano sia la magnificenza dei versi che l'altezza della costruzione e l'eccellenza dei vocaboli. [8] Per cui se è già stato dimostrato, come si ricorderà, che quanto sta al sommo è degno di ciò ch'è pure sommo, e questo che chiamiamo tragico è il sommo degli stili, gli argomenti che abbiamo distinto come tali da cantarsi a livello sommo vanno cantati solo in questo stile: vale a dire la salvezza, l'amore e la virtù, e i concetti che formuliamo in funzione di essi, purché non siano sviliti da nessun fenomeno accidentale.
Inferno II - sequenze • Dante riflette sulla difficoltà del viaggio e si paragona ai suoi troppo più illustri precedenti Enea e San Paolo (1-42) • Virgilio rassicura Dante e gli spiega che il suo viaggio è il frutto di una decisione presa in Cielo, e riferisce il suo colloqui con Beatrice (43-126) • Dante ritrova coraggio e si prepara a cominciare il cammino (127-fine).
I due ‘predecessori’ di Dante nell’esperienza del viaggio nell’Aldilà Enea: secondo il racconto dell’Eneide (VI libro, vv. 295 ss.), scende nell’Ade con l’aiuto della Sibilla Cumana. Trova negli Elisi l’anima di Anchise, che gli profetizza la grandezza di Roma e dell’impero. San Paolo: nella II Lettera ai Corinti (12, 2-4) racconta di essere stato rapito fino al terzo cielo: che nel sistema tolemaico e dantesco è quello di Venere (spiriti amanti), ma nell’antica tradizione rabbinica era (dopo il cielo aereo e quello stellato) l’empireo, cioè la sede divina.
Inferno IV - sequenze • Dante riprende i sensi dopo il suo primo svenimento, e si trova oltre l’Acheronte, nel Limbo (1-45) • Spiegazione di Virgilio circa la discesa agli Inferi di Cristo e la liberazione dal Limbo delle anime degli Ebrei virtuosi (46-63) • I poeti della “bella scola” (64-105) • Il castello degli “spiriti magni”: personaggi dell’epos e della storia classica, filosofi e scienziati: l’enciclopedia della virtù (106-150)
Poeti epici all’Inferno: IV, 70 ss. Di lungi n’eravamo ancora un poco,ma non sì ch'io non discernessi in partech'orrevol gente possedea quel loco. "O tu ch'onoriscïenzïa e arte,questi chi son c' hanno cotanta onranza, che dal modo de li altri li diparte?". E quelli a me: "L'onratanominanzache di lor suona sù ne la tua vita,grazïa acquista in ciel che sì li avanza". Intanto voce fu per me udita:"Onorate l'altissimo poeta;l'ombra sua torna, ch'era dipartita". Poi che la voce fu restata e queta,vidi quattro grand'ombre a noi venire:sembianz‘ avevan né trista né lieta. Lo buon maestro cominciò a dire:"Mira colui con quella spada in mano,che vien dinanzi ai tre sì come sire: quelli è Omero poeta sovrano;l'altro è Orazio satiro che vene;Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo Lucano. Però che ciascun meco si convenenel nome che sonò la voce sola,fannomionore, e di ciò fanno bene". Così vid'i' adunar la bella scoladi quel segnor de l'altissimo cantoche sovra li altri com'aquila vola. Da ch'ebber ragionato insieme alquanto, volsersi a me con salutevol cenno,e 'l mio maestro sorrise di tanto; e più d'onore ancora assai mi fenno,ch'e' sì mi fecer de la loro schiera,sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.
Una definizione di “epica” Col termine ‘epica’ si indica solitamente un racconto in versi (eredità del modo originariamente solo orale di trasmissione del testo), di carattere esemplare, che ha per oggetto impreseeroiche compiute in tempo più o meno lontano, comunque affine o sovrapponibile al mondo mitico. Al centro del racconto epico c’è l’eroe, dotato di qualità sovra-umane o semi-divine, isolato dalla collettività, rispetto alla quale svolge una funzione «archetipica», offre cioè un modello di comportamento e di definizione dei valori comuni. Per questo il genere epico è il genere classico per eccellenza, e al codice epico si conformano i testi più antichi della nostra tradizione.
L’incipit epico del Purgatorio (I 1-12) Per correr miglior acque alza le veleomai la navicella del mio ingegno,che lascia dietro a sé mar sì crudele; e canterò di quel secondo regnodove l'umano spirito si purgae di salire al ciel diventa degno. Ma qui la morta poesìresurga,o sante Muse, poi che vostro sono;e qui Calïopè alquanto surga, seguitando il mio canto con quel suonodi cui le Piche misere sentirolo colpo tal, che disperar perdono. Dolce color d'orïental zaffiro,che s'accoglieva nel sereno aspettodel mezzo, puro infino al primo giro, a li occhi miei ricominciò diletto,tosto ch'io usci' fuor de l'aura mortache m'avea contristati li occhi e 'l petto. Vos, o Calliope, precor, aspirate canenti... [Aen. IX 525] Le figlie di Pierio, re di Tessaglia, superbe della loro bellissima voce, osarono sfidare al canto le stesse Muse, ma furono vinte da Calliope, e per punizione trasformate in gazze (piche) cfr. Met. V 294-678.
L’incipit epico del Paradiso (I 10-27) Veramente quant'io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sarà ora materia del mio canto. O buono Appollo, a l'ultimo lavoro fammi del tuo valor sì fatto vaso, come dimandi a dar l'amato alloro. Infino a qui l'un giogo di Parnaso assai mi fu; ma or con amendue m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso. Entra nel petto mio, e spira tue sì come quando Marsïa traesti de la vagina de le membra sue. O divina virtù, se mi ti presti tanto che l'ombra del beato regno segnata nel mio capo io manifesti, vedra'mi al piè del tuo diletto legno venire, e coronarmi de le foglie che la materia e tu mi farai degno. Il satiro Marsia, suonatore di flauto, aveva sfidato Apollo, l’inventore ed eccelso suonatore della lira, in una gara musicale. Apollo vinse e lo scorticò vivo per punirlo della sua presunzione. cfr. Met. VI 382-400
Stazio epico e la sua conversione (Purgatorio) XXI 82-102 "Nel tempo che 'l buon Tito, con l'aiutodel sommo rege, vendicò le fóraond'uscì 'l sangue per Giuda venduto, col nome che più dura e più onoraera io di là", rispuose quello spirto,"famoso assai, ma non con fede ancora. Tanto fu dolce mio vocale spirto,che, tolosano, a sé mi trasse Roma,dove mertai le tempie ornar di mirto. Stazio la gente ancor di là mi noma:cantai di Tebe, e poi del grande Achille;ma caddi in via con la seconda soma. Al mio ardor fuor seme le faville,che mi scaldar, de la divina fiammaonde sono allumati più di mille; de l'Eneïda dico, la qual mammafummi, e fummi nutrice, poetando:sanz'essa non fermai peso di dramma. E per esser vivuto di là quandovisse Virgilio, assentirei un solepiù che non deggio al mio uscir di bando". XXII 63-75 Ed elli a lui: "Tu prima m'invïastiverso Parnaso a ber ne le sue grotte,e prima appresso Dio m'alluminasti. Facesti come quei che va di notte,che porta il lume dietro e sé non giova,ma dopo sé fa le persone dotte, quando dicesti: 'Secol si rinova;torna giustizia e primo tempo umano,e progenïe scende da ciel nova'. Per te poeta fui, per te cristiano:ma perché veggimei ciò ch'io disegno,a colorare stenderò la mano.
Inferno XIII - sequenze • L’ingresso nella selva mostruosa (1-30) • La pianta-uomo (31-54) • Pier delle Vigne e la sua scelta suicida (55-78) • La sorte delle anime dei suicidi: dubbio di Dante e risposta di Pier (79-108) • Il peccato degli scialacquatori e la caccia tragica (109-129) • Il fiorentino suicida (130-151)
Il mito delle Arpie e la fonte virgiliana (Eneide III, 209 ss.) Secondo la tradizione mitologica le Arpie erano figlie di Taumante ed Elettra (non la figlia di Agamennone e Clitemnestra), divinità arcaiche legate al mare e alla luce. Nell’Eneide le Arpie imbrattano le mense che Enea e i suoi compagni hanno apparecchiato approdando alle isole Strofadi: l’evento viene interpretato come un segno divino, che sconsiglia all’eroe troiano di fermarsi in quel luogo. Inoltre l’arpia Celeno profetizza un infausto seguito del viaggio.
La pianta-uomo e la fonte virgiliana (Eneide III, 22 ss.) Nel III libro dell’Eneide Virgilio racconta che Enea, facendo sosta sulle rive della Tracia, raccoglie alcuni ramoscelli di mirto per coprire l’altare e sacrificare agli dei. Ma dai rami vede colare sangue, e sente una voce: è quella di Polidoro, figlio di Priamo ed Ecuba, ucciso dal re Polimestore, presso cui il padre lo aveva mandato per proteggerlo, con una parte del tesoro della città di Troia. Quando era arrivata in Tracia la notizia della caduta di Troia, Polimestore si era sbarazzato di Polidoro per impossessarsi del tesoro. Trafitto dalle lance, Polidoro era caduto sulla spiaggia senza ricevere una giusta sepoltura., perciò la sua anima non aveva potuto entrare nell'Ade. Enea si affretta allora a tumularlo secondo il rito, prima di ripartire lasciando quel luogo ostile e sacrilego.
Un uomo pianta nell’Orlando Furioso (VI, 26 ss.) 26 Quivi stando, il destrier ch'avea lasciato tra le più dense frasche alla fresca ombra, per fuggir si rivolta, spaventato di non so che, che dentro al bosco adombra: e fa crollar sì il mirto ove è legato, che de le frondi intorno il piè gli ingombra: crollar fa il mirto e fa cader la foglia; né succede però che se ne scioglia. 27 Come ceppo talor, che le medolle rare e vòte abbia, e posto al fuoco sia, poi che per gran calor quell'aria molle resta consunta ch'in mezzo l'empìa, dentro risuona, e con strepito bolle tanto che quel furor truovi la via; così murmura e stride e si coruccia quel mirto offeso, e al fine apre la buccia. 28 Onde con mesta e flebil voce uscìo espedita e chiarissima favella, e disse: - Se tu sei cortese e pio, come dimostri alla presenza bella, lieva questo animal da l'arbor mio: basti che 'l mio mal proprio mi flagella, senza altra pena, senza altro dolore ch'a tormentarmi ancor venga di fuore. - 29 Al primo suon di quella voce torse Ruggiero il viso, e subito levosse; e poi ch'uscir da l'arbore s'accorse, stupefatto restò più che mai fosse. A levarne il destrier subito corse; e con le guancie di vergogna rosse: - Qual che tu sii, perdonami (dicea), o spirto umano, o boschereccia dea. 30 Il non aver saputo che s'asconda sotto ruvida scorza umano spirto, m'ha lasciato turbar la bella fronda e far ingiuria al tuo vivace mirto: ma non restar però, che non risponda chi tu ti sia, ch'in corpo orrido et irto, con voce e razionale anima vivi; se da grandine il ciel sempre ti schivi.
La metafora delle due chiavi: auctoritates Isaia XXII 22: Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire. Vangelo secondo Matteo, XVI, 18-19: E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III parte: Questio 17: Le chiavi della Chiesa; art. 3: Se le chiavi siano due o una sola-> [parafrasando] le chiavi di Pietro devono essere due, perché rappresentano rispettivamente l’autorità di giudicare, che viene da Dio, e la sapienza del ministro che esercita questa autorità. Su questa base Dante assegna due chiavi all’angelo che custodisce la porta del Purgatorio (Purg. IX).
Nicola della Rocca e l’elogio di Pier delle Vigne in forma di interpretatio nominis (cfr. Claudia Villa in “Strumenti critici”, 1991) • Piero -> Pietro, custode della Chiesa, depositario delle chiavi, artefice di giustizia; • Vigna -> pianta fruttifera, che si adatta ad essere trapiantata (da Capua alla corte di Federico), allegoria della buona vita cristiana.
Inferno XV - sequenze • Il cammino sull’argine e la schiera dei sodomiti (1-21) • L’incontro con Ser Brunetto (22-45) • Dante spiega la propria presenza nell’inferno (46-54) • La stima di Brunetto e la sua profezia (55-78) • La risposta di Dante al maestro (79-99) • I letterati sodomiti (100-124)
Le opere di Brunetto (1220 [circa]-1294) Tresor, opera in prosa francese, di carattere enciclopedico: la sua impostazione influì sicuramente sul progetto del Convivio dantesco Tesoretto, in distici di settenari italiani a rima baciata, sorta di riduzione in versi dell’opera maggiore. Se ne veda l’incipit qui a destra-> Favolello, trattato in versi (ancora settenari italiani a rima baciata) sul tema dell’amicizia. BL tradusse inoltre l’Etica Nicomachea[ma non direttamente da Aristotele] e la Retorica di Cicerone. Al valente segnore di cui non so migliore sulla terra trovare: ché non avete pare né 'n pace né in guerra; sì ch'a voi tutta terra che 'l sole gira il giorno e 'l mar batte d'intorno san' faglia si convene, ponendo mente al bene che fate per usaggio, ed a l'alto legnaggio donde voi sete nato; e poi da l'altro lato potén tanto vedere in voi senno e savere a ogne condizione, un altro Salamone pare in voi rivenuto; […]
Lo spettacolo della pece bollente nella bolgia dei barattieri (1-21) Il diavolo psicopompo (22-45) L’infierire dei Malebranche sul dannato (46-57) Il colloquio tra Virgilio e Malacoda (58-87) Dante esce dal nascondiglio (88-102) L’inganno di Malacoda (103-117) La malvagia decina (118-139) La “fiera compagnia” (1-15) I barattieri nella pece (16-30) La ‘pesca’ del barattiere (31-42) Il Navarrese (43-54) Un dialogo travagliato (55-90) Il patto tra il Navarrese e Alichino (91-117) La beffa del Navarrese (118-126) La zuffa dei diavoli (127-151) Inferno XXI-XXII - sequenze
I due viaggi di Virgilio fino al Cocito Nel canto XXI Virgilio cade nella trappola di Malacoda pur avendo già percorso una volta la voragine infernale. Il poeta stesso ha raccontato a Dante (IX 22-27), infatti, che poco dopo la sua morte la maga Erittone (personaggio noto a Dante attraverso la Farsaglia di Lucano) lo aveva mandato nella Giudecca a recuperare uno spirito che voleva richiamare in vita, forse per affidargli una profezia, come nel caso raccontato da Lucano. Poiché tuttavia questo primo viaggio di Virgilio attraverso l’inferno era avvenuto prima della discesa di Cristo agli Inferi, egli non poteva sapere che in realtà tutti i ponti sulla VI bolgia erano crollati, e che perciò Malacoda lo stava ingannando.
Barattieri e giullari: tutti ribaldi In lingua oitanica (antico francese) barattiere si dice ribaud -> da cui poi l’italiano ribaldo (usato anche in INF XXII 50). Ma il termine «allude ad una ben precisa esperienza culturale e si applica ad una delimitata classe sociale: lo troviamo infatti associato e spesso identificato con ioculaor e termini affini (giullare, mimo, istrione, goliardo, buffone, scurra, trutannus, comicus, comoedus ecc.)» (così Picone). Barattieri / ribaldi / giullari sono accomunati dalla stessa propensione a vivere di espedienti, vendendo quel che dovrebbe essere fonte di onore, e quindi non commerciabile = la propria carica, la propria dignità poetica.
Ipotesti per i canti della baratteria Fabliaux = “contes à rire en vers” (definizione di Joseph Bédier, 1894), dove i versi sono quasi sempre ottosillabi rimati (rima baciata) o assonanzati. Diableries = rappresentazioni comiche (spesso in fora di drammatizzazione dei fabliaux) dove i protagonisti sono diavoli, vagabondi, e ‘ribaldi’, che si insultano e si azzuffano. I ‘giullari’ che cantavano o drammatizzavano questi “contes à rire” sceglievano pseudonimi, molti dei quali rimasti famosi, e corrispondenti ai nomi dei diavoli della ‘malvagia decina’ dantesca.
Non Ciampolo, ma Rutebeuf? Il breve discorso autobiografico del barattiere, nei commenti antichi identificato senza ulteriori spiegazioni con un tal Ciàmpolo, è costruito sulmodello delle vidas, cioè delle notizie biografiche che accompagnavano spesso le raccolte poetiche dei trovatori. Su questa base, alla luce delle notizie che il barattiere fornisce su di sé e dello stile complessivo del canto, M. Picone propone di identificare questo anonimo personaggio con il giullare più famoso della tradizione oitanica, conosciuto come Rutebeuf (1230-1285 circa). Rutebeuf era nato nella Champagne, che faceva parte all’epoca del regno di Navarra; scrisse tra l’altro un testo in lode di Tebaldo (conte di Champagne e poi re di Navarra) e un compianto per la sua morte, dove il sovrano è definito bon.
Inferno XXVIII - sequenze • “Il modo della nona bolgia sozzo” (1-21) • Maometto si presenta, presenta Alì e spiega il contrappasso (22-42) • Domanda di Maometto e risposta di Virgilio (43-54) • Il monito rivolto a Fra’ Dolcino (55-63) • Discorso e profezia di Pier da Medicina (64-90) • Curione (91-102) • Mosca de’ Lamberti e la radice delle discordie fiorentine (103-111) • Bertran de Born e l’allegoria della lucerna (112-142).
Bertran in DVE II 2 […] Perciò queste tre, vale a dire salvezza, amore a virtù, si rivelano quelle realtà auguste che si devono trattare nei modi più alti, o cioè tali si rivelano gli argomenti che hanno più stretta relazione con esse, come la prodezza nelle armi, l’amore ardente e la retta volontà. Solo di questi argomenti, se non sbagliamo, risulta che hanno poetato in volgare i personaggi illustri, cioè Bertrando del Bornio delle armi, Arnaldo Daniello dell’amore, Girardo del Bornello della rettitudine; e così Cino Pistoiese dell'amore, l'amico suo della rettitudine. Canta dunque Bertrando: Non poscmudar c’un cantar non exparia; Arnaldo: L'aura amara fa l’bruolbrancuzclarzir; Giraldo: Per solazreveilar che s'estropendormiz; Cino: Digno sono eo di morte; e l’amico suo: Doglia mi reca ne lo core ardire. Di armi invece non mi risulta che nessun italiano, finora, abbia poetato.
Bertran in CONV IV, xi 14 [nei paragrafi precedenti Dante ha lodato la ‘liberalità’ e la ‘magnificenza’, cioè le doti di chi sa ben impiegare le sue ricchezze e le distribuisce con generosità a chi lo merita] E cui non è ancora nel cuore Alessandro per li suoi reali beneficî? Cui non è ancora lo buono re di Castella o il Saladino o il buono Marchese di Monferrato o il buono Conte di Tolosa o Beltramo dal Bornio o Galasso di Montefeltro? Quando delle loro messioni si fa menzione, certo non solamente quelli che ciò farebbero volentieri, ma quelli [che] prima morire vorrebbero che ciò fare, amore hanno alla memoria di costoro.
Bertran de Born, planh per la morte del re giovane, I strofa Si tuit li dol e.l plor e.lh marrimenE las dolors e.lh dan e.lh chaitivierQue om anc auzis en est segle dolenFossen ensems, sembleran tot leugierContra la mort de.l jove rei engles,Don rema pretz e jovens dolorosE.l mens oscurs e teintz e tenebros,Sems de tot joi, ples de tristor e d'ira. Se tutto il dolore e le lacrime e le miserie / e le sofferenze e il male e la sfortuna / che si possono conoscere in quest’epoca triste / fossero uniti insieme, sembrerebbero nulla / a paragone della morte del giovane re inglese, / a causa della quale la virtù e la giovinezza sono sprofondate nel lutto/ e il mondo è rimasto oscuro, nero e tenebroso, / privo di ogni gioia, pieno di tristezza e dolore.
Bertran vs. Sordello Nel VI canto del Purgatorio Dante presenta la figura di Sordello, poeta nativo di Mantova, ma diventato famoso nelle corti di Spagna, Francia e Provenza come trovatore in lingua d’oc. Negli ultimi anni della sua vita Sordello fece parte della corte di Carlo d’Angiò, conte di Provenza per matrimonio, e partecipò probabilmente anche alla battaglia di Tagliacozzo. Per i suoi servigi gli furono concesse delle terre in feudo nell’attuale Abruzzo, poco prima che morisse (1269). Sordello fu il più famoso dei trovatori italiani. Nel VII canto del Purgatorio, diventato temporanea guida dei viandanti, Sordello presenta a Dante e Virgilio i cosiddetti “prìncipi negligenti”, un gruppo di anime appartate in una valletta dell’antipurgatorio. La rassegna presenta un’analogia tematica notevole col più noto testo rimasto di Sordello, il Plahnper la morte di ser Blancatz, un «compianto satirico dalle sfumature politiche» (Barolini).
Purgatorio II - sequenze • Il mattino in Purgatorio (1-12) • Il vasello carico di anime purganti (13-45) • Lo sbarco delle anime e il primo dei canti purgatoriali (46-60) • Risposta di Virgilio e meraviglia delle anime nello scoprire che Dante è vivo (61-75) • L’incontro con Casella (76-90). • Colloquio tra Dante e Casella (91-105) • La consolazione del canto e l’(auto)citazione dantesca (106-117) • Il rimprovero di Catone (118-133)
Amor che ne la mente mi ragiona e l’auto-interpretazione di Dante in CONV III [1] Amor che nella mente mi ragionadella mia donna disïosamente,move cose di lei meco sovente,che lo ‘ntelletto sovr’esse disvia. Lo suo parlar sì dolcemente sona, che l'anima ch’ascolta e che lo sentedice: "Oh me lassa! ch'io non son possentedi dir quel ch'odo della donna mia!". E certo e’ mi convien lasciare in pria,s'io vo' trattar di quel ch'odo di lei, ciò che lo mio intelletto non comprende;e di quel che s'intendegran parte, perché dirlo non savrei.Dunque, se le mie rime avran difettoch’entreran nella loda di costei, di ciò si biasmi il debole intellettoe ‘l parlar nostro, che non ha valoredi ritrar tutto ciò che dice Amore. […] [III 11, 1] … questa donna è quella donna dello ‘ntelletto che filosofia si chiama. Ma […] convienesi qui, prima che più oltre si proceda per le sue laude mostrare, dire che è questo che si chiama filosofia, cioè quello che questo nome significa. [III 11, 6] Onde si può vedere, considerando la significanza del primo e del secondo vocabulo, che filosofia non è altro che amistanza a sapienza o vero a sapere.
Alcun tempo il sostenni col mio volto:mostrando li occhi giovanetti a lui,meco il menava in dritta parte vòlto. Sì tosto come in su la soglia fuidi mia seconda etade e mutai vita,questi si tolse a me, e diessi altrui. Quando di carne a spirto era salita,e bellezza e virtù cresciuta m'era,fu' io a lui men cara e men gradita; e volse i passi suoi per via non vera,imagini di ben seguendo false,che nulla promession rendono intera. Né l'impetrare ispirazion mi valse,con le quali e in sogno e altrimentilo rivocai: sì poco a lui ne calse! Tanto giù cadde, che tutti argomentia la salute sua eran già corti,fuor che mostrarli le perdute genti. In Purgatorio XXX (si leggano qui accanto i vv. 121-138) Beatrice ‘presenta’ agli angeli del Paradiso, dov’ella condurrà Dante, la storia del poeta e dei suoi ‘errori’. Al volgersi di Dante alla Filosofia, dopo la morte di Beatrice, quest’ultima allude espressamente nei versi 126 e 130-132 (in carattere rosso).
Promemoria sul segmento infernale Nel raccontare l’incontro con tanti poeti antichi e moderni che affollano l’Inferno, Dante • ha presentato ai lettori i suoi modelli classici (Virgilio in primis, poi i poeti del Limbo: Omero, Orazio, Virgilio e Lucano); • ha passato in rassegna una serie di esperienze letterarie celebri, e importanti anche per lui, dalle quali però ha voluto prendere le distanze: • Pier delle Vigne, poeta della Scuola Siciliana ed epistolografo • Brunetto, retore e poeta enciclopedico-didascalico • Rutebeuf, ‘campione’ della poesia comico-giullaresca antico-francese • Bertran de Born, interprete provenzale della ‘poesia delle armi’.
La ‘figura’ della lucerna e la funzione della poesia La poesia della guerra e della strage ha portato Bertrand alla dannazione La poesia virgiliana ha convertito Stazio, poeta epico cristiano Ed elli a lui: "Tu prima m'invïastiverso Parnaso a ber ne le sue grotte,e prima appresso Dio m'alluminasti. Facesti come quei che va di notte,che porta il lume dietro e sé non giova,ma dopo sé fa le persone dotte. PURG. XXII Io vidi certo, e ancor par ch'io 'l veggia,un busto sanza capo andar sì comeandavan li altri de la trista greggia; e 'l capo tronco tenea per le chiome,pesol con mano a guisa di lanterna:e quel mirava noi e dicea: "Oh me!". Di sé facea a sé stesso lucerna,ed eran due in uno e uno in due;com'esser può, quei sa che sì governa. Inf. xxviii
Lo spettacolo della cornice dei golosi (1-36) L’incontro con Forese Donati (37-60) Le spiegazioni di Forese sulla pena dei golosi (61-75) Il cammino purgatoriale di Forese e le preghiere di Nella (76-96) Profezia di Forese sul castigo che aspetta le donne impudiche (97-111) Dante dà conto a Forese della sua sorte (112-133) Notizie di Piccarda Donati (1-15) Forese presenta altri golosi (16-33) Bonagiunta, Dante, Lucca (34-48) Lo «stil nuovo» e il suo ‘nodo’ (49-63) Profezia di Forese su Corso Donati, suo fratello (64-99) Il secondo albero (100-114) Esempi di gola punita (115-129) L’angelo della temperanza (130-153) Purgatorio XXIII-XXIV: sequenze
Chi è Forese Donati? Non si conosce la data precisa della nascita di F.D., detto Bicci, che probabilmente era poco più anziano di Dante; morì a Firenze nel 1296. F. apparteneva ad una famiglia fiorentina influente, con la quale Dante si imparentò sposando Gemma Donati, lontana cugina dello stesso F. Dialogando con Dante in purgatorio, F. evoca la sorella Piccarda, già assunta in cielo tra le anime beate, che Dante stesso incontrerà, primo personaggio del Paradiso, nel cielo della Luna (tra gli spiriti che mancarono ai voti). F. inoltre pronuncia una profezia relativa alla morte violenta del proprio fratello Corso, capo politico di parte Nera, ucciso nel 1308.
La tenzone di sonetti tra Dante e Forese (Rime XXV-XXX ed. Giunta)
La tenzone di sonetti tra Dante e Forese: il primo scambio Chi udisse tossir la mal fatatamoglie di Bicci vocato Forese,potrebbe dir ch'ell'ha forse vernataove si fa 'l cristallo in quel paese. Di mezzo agosto la truovi infreddata;or sappi che de' far d'ogni altro mese!E non le val perché dorma calzata,merzé del copertoio c'ha cortonese. La tosse, 'l freddo e l'altra mala vogliano l'addovien per omor ch'abbia vecchima per difetto ch'ella sente al nido. Piange la madre, c'ha più d'una [doglia,dicendo: "Lassa, che per fichi secchimessa l'avre' 'n casa del conte Guido!". L'altra notte mi venne una gran tosse,perch'i' non avea che tener a dosso;ma incontanente che fu dì, fui mossoper gir a guadagnar ove che fosse. Udite la fortuna ove m'addosse:ch'i' credetti trovar perle in un bossoe be' fiorin coniati d'oro rosso;ed i' trovai Alaghier tra le fosse, legato a nodo ch'i' non saccio 'l nome,se fu di Salamone o d'altro saggio.Allora mi segna' verso 'l levante: e que' mi disse: "Per amor di Dante,scio'mi ". Ed i' non potti veder come:tornai a dietro, e compie' mi' viaggio.
Bonagiunta nel DVE Bonagiunta Orbicciani degli Overardi (circa 1220-1290), giudice e notaio, è presente nelle storie della letteratura come rimatore vicino ai modelli siciliani. Può darsi che abbia conosciuto Dante e scambiato con lui qualche sonetto. Così scrive Dante di lui nel DVE (I 13, 1): “Dopo di che, veniamo ai Toscani i quali, rimbambiti per la loro follia, hanno l'aria di rivendicare a sé l’onore del volgare illustre. […] ad esempio Guittone Aretino, che non puntò mai al volgare curiale, Bonagiunta Lucchese, Gallo Pisano, Mino Mocato di Siena, Brunetto Fiorentino, le poesie dei quali, ad aver tempo e voglia di scrutarle attentamente, si riveleranno non di livello curiale, ma soltanto municipale”.
Bonagiunta cita il Dante stilnovista Donne che avete intelletto d’amore è la prima canzone della Vita nuova e il primo dei testi in lode di Beatrice, i quali, sulla base del modello di Guinizzelli (che Bonagiunta aveva criticato in un suo sonetto), rappresentano una novità sia rispetto a tutta la precedente poesia siciliana e toscana sia rispetto alla poesia stessa di Dante. Si tratta di esaltare la donna, vista come creatura divina, ma senza pretendere nulla in cambio, trovando appagamento e realizzazione nel puro atto della lode.
Bonagiunta contro Guinizzelli Voi ch’avete mutata la mainera de li piagenti ditti de l’amore de la forma dell’esser là dov’era, per avansare ogn’altro trovatore, avete fatto como la lumera, 1ch’a le scure partite dà sprendore, ma non quine ove luce l’alta spera, la quale avansa e passa di chiarore.2 Così passate voi di sottigliansa, e non si può trovar chi ben ispogna, cotant’è iscura vostra parlatura. 3 Ed è tenuta grave ’nsomilliansa, 4ancor che ’l senno vegna da Bologna, traier canson per forsa di scritura. 5 1 = una fonte per la similitudine della lanterna? 2 = forse il riferimento è alla grande poesia di Chiaro Davanzati. 3 = la critica era rivolta soprattutto alla difficoltà concettuale del ‘manifesto’ della nuova poesia di Guinizzelli Al cor gentil rempaira sempre Amore. 4 = ‘stranezza’. 5 = formule ‘scritturali’.
Una proposta di variante a PG XXIV 57 (nella nuova ed. critica di Federico Sanguineti) “O frate, issa vegg’io”, diss’elli, “il nodo che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo! […]” proposta di variante di quadal dolce stil, e il novo ch’i’ odo! […]”
Purgatorio XXVI - sequenze • I lussuriosi e la pena del fuoco(1-15) • La domanda di un’anima (16-23) • Dante sospende la risposta per osservare l’incontro tra le due schiere di anime: esempi di lussuria punita (24-50) • Dante spiega la sua presenza e chiede spiegazioni sulla divisione in due schiere (51-66) • L’anima risponde, e di séguito rivela di essere quella di Guido Guinizzelli (73-90) • Ammirazione di Dante e omaggio al ‘maestro’ (91-114) • Guinizzelli presenta “il miglior fabbro” (115-135) • Arnaut Daniel (136-148)
La svolta segnata da Guinizzelli (morto nel 1276) Nel corpus dei testi rimasti di Guinizzelli (solo 5 canzoni e 15 sonetti), una vera svolta è segnata dalla canzone Al cor gentil rempaire sempre amore. Abbiamo visto che proprio Guittone d’Arezzo e Bonagiunta rimproverarono nei loro versi a Guinizzelli questo mutamento nel modo di scrivere poesia d’amore, e lo accusarono di presunzione. Guinizzelli è evocato più volte come “il saggio” nella Vita Nuova, e Al cor gentil è citata due volte nel DVE come testo esemplare di poesia ‘alta’.
Il miglior fabbro Espresso in una proporzione matematica: Giraut : Arnaut = Guittone : Dante (e a Guinizzelli prima di lui). Thomas Stearns Eliot (Nobel nel 1948) The Waste Land (1922), trad. La terra desolata [meglio Il paese guasto? Cfr. INF XIV 94 <- terre gaste, nella tradizione epica antico-francese] Dedica: “for E.P. / il miglior fabbro”.
La funzione di Folquet (ca. 1160-1231) nella Commedia Arnaut ha iniziato il suo discorso citando una canzone di Folquet, Tan m’abellis l’amoros pensamen. Folquet è il prototipo di poeta che si è lasciato alle spalle l’esperienza biografica e letteraria dell’amore-passione, dedicandosi alla poesia sacra. Egli infatti aveva lasciato la famiglia ed era entrato nella vita religiosa, diventando arcivescovo di Tolosa nel 1205. In questa veste, infine, aveva sostenuto la crociata contro gli Albigesi. Come militante per la fede e poeta che ha scelto di dedicarsi alla salus, Folquet rispecchia la tappa paradisiaca del cammino letterario di Dante, annunciata nel canto VIII dalla citazione (affidata al personaggio di Carlo Martello) della I canzone del Convivio, Voi che intendendo il terzo ciel movete.