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Orchestra, comunit e big bands. Un'orchestra immancabilmente la pi trascinante forma di spettacolarizzazione di cui capace la musica.Dimensione dell'orchestra e origine della musica:impulso di costruzione collettiva del linguaggio musicale comune.La comunit dell'orchestra la nostra stes
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1. Storia della musicaLezione 7La Swing Era La Swing Era pulsa per circa un decennio, dal 1933 alla fine della Seconda guerra.
Elemento caratterizzante: il suono della big band, evoluzione della ragtime band e della jazzband di sei o sette elementi.
Strumenti: i fiati hanno un ruolo preponderante, mentre gli archi sono assenti slavo che per il contrabbasso.
Fino agli anni 20 l’epoca è dominata dalle jazzband di New Orleans.
Il baricentro si sposta poi a Chicago e Kansas City: introduzione del sassofono e nascita della prima big band di Fletcher Henderson.
La scuola di New York: Cotton Club (Cab Calloway, Duke Ellington), le star del Savoy Ballroom (Al Cooper, Chick Webb), l’orchestra di Jimmy Lunceford.
Tra gli anni venti e gli anni trenta si sviluppa la scrittura di arrangiamenti: passaggio dalla forma polifonale e strumentale delle bands di New Orleans, alla struttura classica delle sezioni strumentali.
La prima big band di successo: Benny Goodman, a cui seguirono i fratelli Dorsey, Woody Hermann, Artie Shaw, Glenn Miller e Harry James.
2. Orchestra, comunità e big bands Un’orchestra è immancabilmente la più trascinante forma di spettacolarizzazione di cui è capace la musica.
Dimensione dell’orchestra e origine della musica:impulso di costruzione collettiva del linguaggio musicale comune.
La comunità dell’orchestra è la nostra stessa comunità ideale.
Le orchestre che hanno esaltato il loro rapporto con il pubblico rimangono le big bands di stampo jazzistico.
Miscela di ordine e imprevedibilità, complessità e immediatezza.
3. Nascita della big band L’origine è difficile da ricostruire con esattezza, ma si può dire che i gruppi jazz di New Orleans, sebbene di organico ridotto, erano già delle piccole orchestre.
Lo stile di New Orleans, con strumenti che in parte partecipavano alla costruzione di un suono corale, diede l’impronta originaria: le prime big bands non furono che un ampliamento di quel modello.
4. Fletcher Henderson: il primo ensemble Il primo vero esempio di bi band l’abbiamo con Fletcher Henderson.
A lui si usa attribuire il merito di aver fissato per primo lo schema base, facendo da ponte tra l’impostazione dixieland e il modello che man mano si amplierà negli anni Venti e Trenta.
Formazione: due cornette, un trombone, due sassofoni, un pianoforte, banjo, bassotuba (o contrabbasso), batteria.
Aspetto fondamentale dell’organizzazione stilistica: equilibrio dinamico tra la forza collettiva e l’espressione individuale.
Scoperta e lancio di nuovi solisti: Rex Stewart, Coleman Hawkins, Ben Webster.
L’influenza di Henderson fu profonda, soprattutto per l’evoluzione che seppero dare ai suoi insegnamenti altri importanti bandleader come Artie Shaw e Jimmy Lunceford, con i quali si comincia a formare l’idea di combinare tra loro i sassofoni e dall’altra parte trombe e tromboni, per creare una polifonia armonica corale.
5. Nuovo sound e nuove ricerche Le big bands, nonostante il nome, erano orchestre di 18 massimo 19 elementi.
Nella musica classica si può arrivare anche fino a 100 elementi, ma per il jazz, come per la musica popolare in genere, abituata a solisti, coppie o combos di cinque o sei elementi, immaginare un insieme di 18 elementi è già molto.
Il jazz è musica sobria, non sfrutta l’accumulo, la ripetizione timbrica, ogni strumento ha un ruolo essenziale, è una voce, anche se nei momenti più importanti partecipa alla sezione a cui appartiene per la creazione del sound.
Sound: identità sonora complessiva che l’impasto degli strumenti dava a ogni singola formazione.
Diventa il nuova sound il nuovo campo di ricerca, un marchio stilistico determinato dal tipo di solisti che venivano ingaggiati e dall’arrangiamento con cui si armonizzavano i vari elementi.
Nuovo ruolo: l’arrangiatore che crea differenze di suono in un mercato che comincia ad evolversi verso una più complessa mistione sonora dovuta anche ai mezzi di diffusione di massa.
6. Agli inizi degli anni 30: popolarità e sale da ballo Negli anni 30 i tratti essenziali delle jazz band erano perfettamente delineati.
Il fenomeno era diffuso in molte città americane e subì una poderosa accelerazione che portò in pochi anni all’esplosione di un periodo travolgente e sfavillante definito “swing era”: una euforia collettiva che seguiva gli anni della Grande Depressione a cui il jazz fornì una perfetta colonna sonora.
Il jazz coincise perfettamente con la musica popolare: mainstream della musica commerciale e da ballo, da classifica.
7. Che cos’è lo swing: “Se me lo domandi non lo saprai mai” (Fats Waller) Ancora oggi riesce difficile definire quello che per la musica nera è un’attitudine, una sensazione musicale sfuggente e allo stesso tempo inconfondibile.
La parola swing viene utilizzata con un doppio significato: 1)qualità ritmica, sentimento swing, avere swing ossia dinamica di leggerezza che sembra spingere in avanti; 2) swing come genere, stile, quello delle big bands, ritmo in quattro quarti ondeggiante moderatamente veloce adatto al ballo ma anche alla valorizzazione dei musicisti e delle vocalists (le orchestre divennero una palestra per entrambi).
8. Paul Whitman e Jean Goldkette: jazz sinfonico
9. Duke Ellington: Harlem Renaissance
10. Count Basie
11. Benny Goodman
12. Glenn Miller
13. Harry James
14. Chick Webb
15. Cab Calloway