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R. Jakobson, La poesia contemporanea russa (1921).
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R. Jakobson, La poesia contemporanea russa (1921) “La letterarietà [è] ciò che di una data opera fa un’opera letteraria. Finora gli storici della letteratura hanno soprattutto scimmiottato la polizia che, quando deve arrestare una determinata persona, agguanta per ogni eventualità chiunque e qualsiasi cosa si trovi nell’appartamento e anche chi per caso si trovi a passare nella strada accanto. Così anche per gli storici della letteratura tutto faceva brodo: costume, psicologia, politica, filosofia. Invece della scienza della letteratura si ebbe un conglomerato di discipline rudimentali. Pareva che si dimenticasse che queste categorie rientrano, ognuna, nella scienza corrispondente, storia della filosofia, storia della cultura, psicologia ecc., e che queste ultime possono naturalmente utilizzare anche i monumenti letterari come documenti difettosi, di seconda scelta”.
Vladimir Nabokov: Introd. a Lezioni di letteratura: “Quando si legge, bisogna cogliere e accarezzare i particolari. Non c’è niente di male nel chiarore lunare della generalizzazione, se viene dopo che si sono amorevolmente colte le solari inezie del libro. Se si parte invece da una generalizzazione preconfezionata, si comincia dalla parte sbagliata e ci si allontana dal libro prima ancora di avere cominciato a capirlo. Non c’è niente di più noioso e di ingiusto verso l’autore che mettersi a leggere, per esempio, Madame Bovary, con l’idea preconcetta che sia una denuncia della borghesia. Non dimentichiamo che l’opera d’arte è sempre la creazione di un mondo nuovo; per prima cosa, dovremmo quindi studiare questo mondo nuovo il più meticolosamente possibile, come se fosse qualcosa che avviciniamo per la prima volta e che non ha alcun rapporto immediato con i mondi che già conosciamo. Una volta studiato attentamente questo mondo nuovo, allora soltanto possiamo analizzarne i legami con altri mondi, con altri settori della conoscenza”.
Romano Luperini: L’interpretazione dei testi letterari: la parte del commento (in L’autocoscienza del moderno, 2006) “Nella produzione critica si assiste a una pericolosa divaricazione: da un lato la chiusura specialistica in un microfilologismo spicciolo, dall’altro […] una propensione a un ampliamento tematico della ricerca e a un suo rapidissimo svariare fra testi diversi e lontani che in diversi casi finisce col perdere di vista la loro concreta materialità […]. Da questo punto di vista, la crisi della critica non è che un aspetto della crisi più generale della funzione intellettuale e della progressiva scomparsa della figura storica dell’intellettuale come mediatore civile”.
Romano Luperini: L’interpretazione dei testi letterari “Nell’attività didattica e nelle indicazioni ministeriali che si sono succedute nell’ultimo decennio la corrispondente divaricazione è piuttosto fra un’immagine del docente di letteratura come esperto e della riduzione dell’insegnamento della letteratura come riduzione agli schemi e agli schemini di una lettura esclusivamente linguistica e retorica e, invece, un’immagine del docente come intrattenitore e tuttologo che svolge percorsi tematici fra arti e discipline diverse assumendo la letteratura tutt’al più come documento di qualcos’altro. Se in un caso l’insegnamento rischia di diventare arida e meccanica applicazione di metodi esclusivamente descrittivi, nell’altro ignora la ricca complessità della letterarietà”.
Romano Luperini: L’interpretazione dei testi letterari “Sarebbe meglio, nella pratica didattica, lavorare soprattutto sulla parafrasi del testo (sempre necessaria), sulla differenza fra lingua del passato e lingua del presente e su poche fondamentali indicazioni di tipo metrico, narratologico e stilistico […] per concentrarsi poi sul momento della lettura e dell’interpretazione. Gli stessi percorsi tematici vanno accettati e praticati solo a condizione che partano sempre dallo studio di campioni testuali. In nessun caso, comunque, il docente dovrebbe rinunciare ad assumere un ruolo di mediatore culturale, capace di commento e di interpretazione, di offrire, cioè, modelli di analisi del testo ma anche prospettive che lo collochino nella storia passata e ne elaborino il significato per noi, nel nostro presente”.
Mario Lavagetto, Eutanasia della critica (2005) “Molti anni fa, studente dell’ultimo anno di liceo, andai con alcuni compagni di classe a sentire una lezione di Ungaretti su Leopardi all’Università di Roma. Eravamo pieni di febbrili aspettative e uscimmo sconcertati e delusi: il vecchio poeta aveva debuttato leggendo (meravigliosamente) Alla luna. Arrivato alla fine della sua lettura era rimasto in silenzio, con istrionica impassibilità, per qualche minuto, poi aveva borbottato: ‘È meraviglioso… non c’è niente, proprio niente da dire’ e aveva letto e riletto ripetute volte il testo fino a quando il tempo della lezione fu completamente esaurito”.
Stendhal, Il rosso e il nero (1830) Nota alla fine del romanzo: “Per evitare ogni riferimento alla vita privata l’autore ha inventato una cittadina, Verrières, e quando ha avuto bisogno di un vescovo, di una giuria, di una corte d’Assise li ha ambientati sullo sfondo di Besançon, dove non è mai stato” Stendhal, Lettera del 29 ott. 1832 al Conte Salvagnoli : “Verrières è una delle più graziose cittadine della Franca Contea, costruita sul declivio di una collina, in mezzo a macchie di grandi castagni. Ai piedi di questa collina, verso mezzogiorno, scorre il Doubs, uno dei fiumi più pittoreschi della Francia. Dal lato nord la città è protetta da una delle montagne del Giura. […] Verrières, in questo libro, è un luogo immaginario, che l’autore ha scelto come tipo delle città di provincia”
Georges Blin, Stendhal et les problèmes du roman (1954):“Per convincerci che la sua Verrières esiste, o, se vogliamo, che è preesistita al dramma che vi si è svolto, la pone come sussistente alla data in cui la storia viene raccontata, la descrive non come era ma come è, il che, fin dall’inizio, tende a smentire che ci si trovi in presenza di un romanzo [...]. In questo modo, siamo indotti a mettere tra parentesi il carattere chimerico e ipotetico del tempo in cui la storia si iscrive”. Stendhal, Il rosso e il nero (1830)
Lettera a Balzac, 16 ott. 1840: “Da un anno mi dicono che ogni tanto bisogna rilassare il lettore descrivendo il paesaggio, i vestiti. Sono cose che mi hanno tanto annoiato negli altri! Tenterò”. Ricordi d’egotismo (1832): [Dopo avere rappresentato una riunione mondana in un salotto]: “Ho dimenticato di descrivervi il salotto. Sir Walter Scott e i suoi imitatori avrebbero saggiamente cominciato di lì, ma io ho orrore della descrizione materiale. La noia di doverla fare m’impedisce di scrivere romanzi”. “Sostenevo che un buon terzo dei meriti di Scott si doveva a un segretario che gli abbozzava le descrizioni di paesaggi dal vero. Lo trovavo, come lo trovo adesso, debole nella rappresentazione delle passioni, nella conoscenza del cuore umano” Walter Scott e la Princesse de Clèves (1830): “L’abito e il collare di rame di un servo del Medioevo sono più facili da descrivere dei moti del cuore umano”. Stendhal: Contro la descrizione
Lettera del 29 ott. 1832 al Conte Salvagnoli: “Walter Scott aveva messo di moda il medioevo; si era sicuri del successo impiegando due pagine a descrivere la vista che si godeva dalla camera dell’eroe, altre due pagine a descrivere come egli vestiva e altre due pagine ancora a descrivere la forma della poltrona su cui egli sedeva. Stanco di tutto questo medioevo, delle ogive e dei vestiti del ‘400, S[tendhal] osò raccontare un fatto avvenuto nel 1830 e lasciare il lettore in un’assoluta ignoranza a proposito dei vestiti che portano la signora di Rênal e la signorina de La Mole”. Stendhal: Contro la descrizione
Storia dell’arte: Histoire del peinture en Italie (scritto 1813-1815, ed. 1817) • Biografie: Vie de Haydn, de Mozart e de Métastase (ed. 1815); Vie de Rossini (ed. 1823) • Memorie di viaggio: Rome, Naples et Florence (ed. 1917, prima volta in cui usa lo pseudonimo Stendhal); Promenades dans Rome (1828-29, ed. 1829) • Trattato sull’amore: De l’amour (1919-22, ed. 1922) • Saggistica e critica letteraria: Racine et Shakespeare (ed. 1823 & 1825) • Un solo romanzo: Armance (1826-27, ed. ago. 1827) Stendhal: Alcune opere precedenti al Rosso e il nero
Fine 1829: Stendhal si trova in viaggio nel sud della Francia, e qui legge il resoconto di un processo nella “Gazette des Tribunaux”: • Si tratta di un fatto di sangue avvenuto a Brangues, una cittadina nel dip. dell’Isère; • L’imputato si chiama Antoine Berthet, un figlio di artigiano, ex seminarista, che viene assunto come precettore in una casa di ricchi borghesi; e qui, a quanto pare, diventa l’amante della padrona di casa; • In seguito a una serie di avvenimenti, spara un colpo di pistola all’ex amante, nella chiesa della cittadina, durante una funzione religiosa; • Riconosciuto colpevole, viene condannato a morte e ghigliottinato a Grenoble il 23 febbraio 1828. Stendhal: La genesi del Rosso e il nero
In questo periodo, Stendhal sta vivendo una tormentata storia d’amore con la cugina di Delacroix, Alberthe de Rubempré. • In dicembre, rientrato a Parigi, scopre che la donna lo ha tradito con un suo amico (il barone de Mareste) • Inizia a scrivere un romanzo, Julien (titolo provvisorio) • Il libro viene scritto di getto in pochissimo tempo, e nei primi mesi del 1830 è pronto per la pubblicazione • Esce nel novembre 1830 con il titolo: Il rosso e il nero. Cronaca del XIX secolo Stendhal: La genesi del Rosso e il nero
Stendhal, Lettera del 29 ott. 1832 al Conte Salvagnoli “Una cosa farà stupire il lettore. Questo non è un romanzo. Tutto ciò che vi si racconta è realmente accaduto nel 1826 nei dintorni di Rennes. In quella città l’eroe è stato giustiziato per aver tirato due colpi di pistola contro la sua prima amante, dei cui figli era stato precettore, e che, con una sua lettera, gli aveva impedito di sposare la sua seconda amante, una ragazza molto ricca. S[tendhal] non ha inventato nulla”. Stendhal: La genesi del Rosso e il nero
Erich Auerbach, Mimesis.Il realismo nella letteratura occidentale (1946) “Stendhal nei suoi scritti realistici descriveva soprattutto la realtà che gli si faceva incontro: ‘Je prends au hasard ce qui se trouve sur ma route’, dice egli [nei Ricordi d’Egotismo]. Questo metodo, già noto a Montaigne, è il migliore per sottrarsi all’arbitrio delle proprie costruzioni e per abbandonarsi alla realtà quale ci è posta dinanzi. Ma la realtà in cui egli s’imbatteva era tale da non potersi rappresentare senza un continuo riferimento ai mutamenti violenti dell’immediato passato e senza tentar presagi sugli imminenti mutamenti del futuro; tutte le figure e tutte le azioni umane appaiono nella sua opera su un mutevole sfondo storico, politico e sociale. […] Stendhal è il fondatore di quel moderno realismo serio che non può rappresentare l’uomo se non incluso entro una realtà politica e sociale ed economica continuamente evolventesi, come accade oggi in qualunque romanzo o film” (230-31).
Stendhal: La ricerca della “verità” Ricordi di Egotismo: “Ora, prima di tutto, voglio essere vero” (49). “[…] mi viene la tentazione di esagerare alcuni tratti contro questi pidocchi della specie umana. Ma resisto, significherebbe essere infedele alla verità” (108). Vita di Henry Brulard: “Ritengo di poter garantire solo per i seguenti meriti: 1° dipingere in modo somigliante la natura, che mi appare nitidissima in ceri momenti; 2° sono sicuro della mia perfetta buona fede, della mia adorazione per il vero; 3° del piacere che provo a scrivere, piacere che rasentava la follia nel 1817” (278). Diario: “[La verità] è per me come un dipinto ricoperto d’una mano di calce: ogni tanto una particella di calce cade e io mi avvicino all’agognata verità” (497)
Stendhal: La ricerca della “verità” Lettera a Balzac (16 ott. 1840), che aveva scritto una recensione elogiativa della Certosa di Parma:“La base della mia malattia è questa: mi sembra lo stile di J.J. Rousseau o di Mme Sand dica un mucchio di cose che non bisogna dire, e spesso molte falsità. Ecco: ho detto la grande parola.Spesso rifletto un quarto per collocare un aggettivo prima o dopo il suo sostantivo. Cerco di raccontare: 1° con verità; 2° con chiarezza ciò che succede nel mio cuore”. Cfr. anche l’epigrafe del Rosso e il nero: “La verità, l’aspra verità”.
Stendhal: “Il romanzo è uno specchio” Shakespeare, Hamlet (III, 2): “suit the action to the word, the word to the action; with this special o'erstep not the modesty of nature: for any thing so overdone is from the purpose of playing, whose end, both at the first and now, was and is, to hold, as 'twere, the mirror up to nature; to show virtue her own feature, scorn her own image, and the very age and body of the time his form and pressure”. “Accorda l'azione alla parola, la parola all'azione, con questa particolare avvertenza, di non andare mai oltre la moderazione della natura. Perché ogni eccesso in questo è lontano dallo scopo del teatro, il cui fine, agli inizi come ora, è stato sempre ed è di porgere, diciamo, uno specchio alla natura; di mostrare alla virtù il suo volto, al vizio la sua immagine, e all’epoca stessa, alla sostanza del tempo, la loro forma e impronta”.
Stendhal: “Il romanzo è uno specchio” Racine et Shakespeare: Esprime la sua ammirazione per Goldoni, dicendo che è stato uno “specchio della natura”. Premessa ad Armance: Parla di due autori di una commedia (Picard e Mazères, Trois Quartiers) rappresentata a Parigi nel 1827: “Hanno presentato al pubblico uno specchio. È colpa loro se davanti allo specchio sono passate facce brutte? Di che partito è uno specchio?” Promenades dans Rome: Parla di Bandello e lo elogia per avere scritto delle novelle in cui sono rappresentati “come in uno specchio i costumi del XV secolo”. Histoire de la peinture en Italie: Sottolinea che il pittore non deve “esagerare gli effetti della natura”, e il suo stile deve essere “soltanto uno specchio limpido”.
Stendhal: “Il romanzo è uno specchio” Lettera a Lamartine:“Benché io stimi molto i pittori che mirano al bello ideale, come Raffaello e il Correggio, sono tuttavia ben lungi dal disprezzare quei pittori che vorrei definire pittori-specchi, quelli che [...] riproducono esattamente la natura così come farebbe uno specchio [...]. Riprodurre esattamente la natura, senza arte, come uno specchio, è il merito di molti olandesi, e non è un merito da poco; trovo che sia delizioso soprattutto nel paesaggio [...]. Questi pittori-specchi, in tutti i generi, sono infinitamente preferibili alle persone comuni che vogliono seguire Raffaello”.
Stendhal: “Il romanzo è uno specchio” Lettera a Salvagnoli: “Prima di venir a parlare del romanzo di Stendhal, è necessario dire che la Francia gaia, divertente, un po’ libertina, ch’è stata dal 1715 al 1789 il modello dell’Europa, non esiste più: niente le rassomiglia meno della Francia grave, morale, tetra, che ci han lasciato in eredità i seguiti, le congregazioni e il governo borbonico dal 1814 al 1830. Poiché è estremamente difficile, in fatto di romanzi, dipingere dal vero e non copiare dai libri, nessuno, prima di Stendhal, aveva osato descrivere questi costumi così poco attraenti”. “Nessuno aveva descritto con tanta cura i costumi adottati dai francesi in conseguenza dei diversi governi che hanno gravato su loro durante il primo terzo del diciannovesimo secolo. Un giorno questo romanzo, come quelli di Walter scott, sarà specchio di tempi antichi”.
Stendhal: Il conflitto con la realtà Erich Auerbach, Mimesis: “La società che lo circondava divenne per lui un problema, la consapevolezza d’esser diverso dagli altri, fino allora sentita spensieratamente e con orgoglio, gli s’imponeva ora come una necessità urgente con cui fare i conti, e come la forma stessa della sua esistenza. Il realismo letterario di Stendhal nacque dal suo disagio entro il mondo postnapoleonico, dalla coscienza di non appartenervi e di non avervi un posto” (227-28).
Stendhal: Il conflitto con la realtà Vita di Henry Brulard : “Ero dunque un gran sornione incattivito, fino a quando nella biblioteca [...] scoprii un Don Chisciotte in traduzione francese, un volume illustrato. [...] Don Chisciotte mi fece morire dal ridere. Si tenga presente che dopo la morte di mia madre non avevo più riso. Ero vittima di un’educazione aristocratica e religiosa severissima. [...] Si giudichi quale fu l’effetto del Don Chisciotte in mezzo a tanta cupa tristezza! La scoperta di quel libro, letto all’ombra del secondo tiglio del viale, seduto dove l’aiuola scendeva di un piede sotto il livello del prato, segna, forse, il periodo più bello della mia vita. Chi lo crederebbe? Mio padre, vedendomi scoppiare a ridere, veniva a sgridarmi, minacciava di sequestrarmi il libro, cosa che ha fatto più di una volta [...]. Disturbato anche nella lettura del Don Chisciotte, mi nascondevo tra i carpini, un gazebo naturale all’estremità orientale del giardino chiuso (boschetto), recinto da mura [...].
Stendhal: Il conflitto con la realtà Trovai un Molière corredato di stampe: le illustrazioni mi parvero ridicole e compresi solo l’Avare [...]. Il nonno fu felicissimo del mio entusiasmo per Don Chisciotte, che io gli raccontai [...]. Mi prestò, ma all’insaputa di sua figlia Séraphie, l’Orlando furioso [...]. L’Ariosto formò il mio carattere: mi innamorai alla follia di Bradamante, che immaginavo come una florida ragazza di ventiquattro anni, dalle grazie di una bianchezza abbagliante. Mi facevano orrore tutti i particolari borghesi e vili di cui si è servito Molière per far conoscere il suo pensiero. Quei particolari mi ricordavano troppo la mia vita infelice. [...] Tutto quanto è vile e mediocre nel tipo borghese mi ricorda Grenoble; tutto ciò che mi ricorda Grenoble mi fa orrore; no, orrore è troppo nobile; mi dà la nausea. [...] Tutto ciò che è vile e mediocre senza alcuna compensazione, tutto ciò che è nemico del più piccolo slancio di generosità, tutto ciò che gode della rovina di chi ama la patria o è generoso: ecco cosa rappresenta per me Grenoble” (pp. 105-108).
Stendhal: Il conflitto con la realtà “Forse è solo un caso che io non sia rimasto malvagio, ma soltanto disgustato, per il resto della mia vita, dai gesuiti e dagli ipocriti di ogni specie. [...] Tutti i particolari che costituiscono la vita di Chrysale [il protagonista delle Femmes savantes] mi fanno orrore. Se mi si concede un’immagine nauseante quanto la mia sensazione, è come l’odore delle ostriche per un uomo che abbia fatto una tremenda indigestione di ostriche. Tutti i fatti che compongono la vita di Chrysale vengono rimpiazzati, in me, dal romanzesco. Credo che questa macchia sul mio telescopio sia stata utile ai personaggi dei miei romanzi; c’è una sorta di bassezza borghese che non possono proprio avere” (113-14).
Stendhal: Il conflitto con la realtà “Distolgo lo sguardo e la memoria da tutto ciò che è vile; Mi lascio coinvolgere, come a dieci anni, quando leggevo l’Ariosto, da qualsiasi racconto d’amore, di foreste (i boschi e il loro vasto silenzio), di generosità. [...] distolgo lo sguardo dal carattere di Chrysale di Molière [...]. La conversazione del vero borghese sugli uomini e la vita, nient’altro che una collezione di dettagli squallidi, mi getta in uno spleen profondo quando, per motivi di convenienza, sono costretto ad ascoltarla un po’ a lungo. Ecco svelato il segreto della mia avversione per Grenoble verso il 1816, che allora non riuscivo a spiegarmi. [...] Questo difetto, l’avversione per Chrysale, forse mi ha mantenuto giovane” (235-36).
Stendhal: Il conflitto con la realtà Annotazione del 4 gen. 1821: “È necessario che l’immaginazione apprenda i diritti di ferro della realtà”.
La figura dell’”eroe” Cfr. Mario Praz, La crisi dell’eroe nel romanzo vittoriano (1952) Emile Zola, Gustave Flaubert (1875): “Fatalmente, il romanziere uccide gli eroi, se accetta solo il corso ordinario dell’esistenza comune. Per eroi, intendo i personaggi che grandeggiano oltre misura, i fantocci trasformati in colossi. […] Al contrario, gli uomini rimpiccioliscono e rientrano nei ranghi quando si ha l’unica preoccupazione di scrivere un’opera vera, ponderata, che sia il processo verbale fedele di un’avventura qualunque. […] La bellezza dell’opera non sta più nell’ingigantimento di un personaggio […]; sta nella verità indiscutibile del documento umano, nella realtà assoluta di dipinti in cui tutti i dettagli occupano il loro posto, e soltanto quello”.
La figura dell’”eroe” Erich Auerbach, Mimesis: “Julien Sorel è assai più ‘eroe’ che i personaggi di Balzac o magari di Flaubert” (235).
René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca (1962) “Don Chisciotte ha rinunciato, in favore di Amadigi, alla prerogativa fondamentale dell’individuo: non sceglie più gli oggetti del suo desiderio, ma è Amadigi che deve scegliere per lui. Il discepolo si precipita verso gli oggetti che gli indica, o che sembra indicargli, il modello di ogni cavalleria. Chiameremo questo modello il mediatore del desiderio. […] Nella maggior parte delle opere di finzione, i personaggi desiderano in modo più semplice di Don Chisciotte. Non c’è il mediatore, ma ci sono solo il soggetto e l’oggetto […] il desiderio è sempre spontaneo. Può sempre essere rappresentato da una semplice linea retta che collega il soggetto e l’oggetto. / La linea retta è presente, nel desiderio di Don Chisciotte, ma non è l’essenziale. Al di sopra di questa linea, c’è il mediatore che si irraggia al tempo stesso verso il soggetto e verso l’oggetto. La metafora spaziale che esprime questa triplice relazione è evidentemente il triangolo”
Mediatore • (Amadigi) • SoggettoOggetto • (Don Chisciotte) (Gloria cavalleresca) • Schema del desiderio triangolare
René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca (1962) “Il desiderio secondo l’Altro si ritrova nei romanzi di Flaubert. Emma Bovary desidera attraverso le eroine romantiche di cui è piena la sua immaginazione. Le opere mediocri che ha divorato durante la sua adolescenza hanno distrutto in lei qualunque spontaneità”.
René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca (1962) “Un terzo romanziere, Stendhal, insiste allo stesso modo sul ruolo della suggestione e dell’imitazione nella personalità dei suoi eroi. Mathilde de la Mole prende i suoi modelli dalla storia della sua famiglia. Julien Sorel imita Napoleone. Il Memoriale di Sant’Elena e i Bollettini della Grande Armata rimpiazzano i romanzi cavallereschi e le stravaganze romantiche. […] La storia qui non è che una forma di letteratura; suggerisce a tutti questi personaggi stendhaliani dei sentimenti, e soprattutto dei desideri, che essi non proverebbero spontaneamente. […] Stendhal designa con il termine vanità tutte queste forme di ‘copia’, di ‘imitazione’. Il vanitoso non può tirare fuori i propri desideri da se stesso; li prende in prestito da qualcun altro. Il vanitoso è quindi fratello di Don Chisciotte e di Emma Bovary. E in Stendhal ritroviamo il desiderio triangolare” (18-19).
Mediatore • (Napoleone) • (Antenati) • SoggettoOggetto • (Julien) (Successo, Seduzione, Scalata sociale) • (Mathilde) (Vita eroica e appassionata) • Vanità
Franco Moretti, Il romanzo di formazione (1987) “Una vita esemplare […] è alla radice dell’immaginazione ottocentesca. Il generale Bonaparte, il soldato della rivoluzione, il liberatore che antepone il merito al censo e l’entusiasmo al calcolo – l’imperatore Napoleone, l’unto del pontefice, il despota che tratta gli uomini come strumenti e fa tacere la pubblica opinione. Sarà ovvio, ma senza Napoleone anche la storia letteraria sarebbe stata tutt’altra, perché non avremmo avuto l’eroe romanzesco che domina un intero secolo: l’eroe ambizioso, dinamico, ambiguo. Ambiguo, soprattutto: duplice, diviso, contraddittorio, e proprio per questo sentito come esemplare. Egli è il rappresentante naturale di un’epoca in cui l’esistenza diviene davvero […] ‘problematica’” (84).
György Lukács, La polemica tra Balzac e Stendhal “[Stendhal] condensa i tratti caratteristici delle singole epoche nelle biografie dei personaggi di un dato tipo. (Nel Rosso e il nero fa rivivere la restaurazione, nella Certosa di Parma l’assolutismo dei piccoli stati italiani, in Lucien Leuwen la monarchia di luglio). […] Nel destino di questi eroi deve rispecchiarsi la meschinità, la turpe abiezione di tutta l’epoca: di un’epoca, in cui per i grandi e puri discendenti degli eroici periodi della borghesia, della rivoluzione e dell’era napoleonica, non c’è più posto”.
Peter Brooks, Trame (1984) “La parola ‘mostro’ […] evoca una serie di riferimenti ai vari momenti in cui Julien si vede come il plebeo in rivolta, l’usurpatore, l’ipocrita, il seduttore, […] colui che, mostro com’è, viola e contesta l’ordine costituito, le classificazioni e le regole esistenti” (72). “Questa parola (‘mostro’) ricorre in non poche occasioni nel testo. In particolare viene usata per stigmatizzare l’ingratitudine, specie verso figure dotate di autorità paterna, oppure per indicare trasgressioni di natura erotica, o usurpazioni, conflitti di classe […]. Il mostro è dunque il fuori posto, l’abnorme, l’inclassificabile, il trasgressivo, il seduttivo, il desiderante” (87).
Christopher Prendergast, The Order of Mimesis: Balzac, Stendhal, Nerval, Flaubert (1986) “I momenti decisivi del romanzo sono, precisamente, momenti a-tipici. In effetti, […] si potrebbe dire che la massa di materiale strettamente ‘mimetico’ in Le Rouge et le Noir (la rappresentazione della realtà sociale contemporanea attraverso una serie di tipi interconnessi: i borghesi di Verrières, gli aristocratici del salotto de la Mole) esista soprattutto per evidenziare, per contrasto, le azioni e le esperienze che sovvertono i modelli di ‘realtà’ illustrati e incarnati da questi diversi tipi sociali. Ovviamente, tali azioni sono sopratutto trasgressioni dei codici morali, stimolate da impulsi e desideri proibiti o non riconosciuti da questa società: il delitto di Julien, l’adulterio di Louise, la passione di Mathilde. […]
Christopher Prendergast, The Order of Mimesis: Balzac, Stendhal, Nerval, Flaubert (1986) Julien non solo offende, ma anche sorprende la sua società, e le due cose sono profondamente interconnesse. Di qui, l’importanza nel testo del motivo dell’imprévu, il modo in cui Julien […] ripetutamente elude e disturba il ‘sistema di probabilità interiorizzato’ degli altri personaggi, ai quali appare di conseguenza […] come singulier: strano, non collocabile, infinitamente più complesso e misterioso del semplice stereotipo dell’ambizioso parvenu” (124).
Il romanzo di formazione • Coordinate storico-letterarie, alcuni esempi: • Germania (Bildungsroman): Christoph Martin Wieland, Agathon (1766); Goethe, Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (1795-96) • Francia: Stendhal, Il rosso e il nero (1830); Balzac, Illusioni perdute (1837-43); Flaubert, L’educazione sentimentale (1869) • Inghilterra: Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio (1813); Charlotte Brontë, Jane Eyre (1847); Dickens, David Copperfield (1849-50), Grandi speranze (1860); George Eliot, Il mulino sulla Floss (1860) • Italia: Ippolito Nievo, Le Confessioni d’un italiano (1867 postumo)
Il romanzo di formazione 1) Romanzo dell’”uomo in divenire” Michail Bachtin, L’autore e l’eroe. Teoria letteraria e scienze umane: “Accanto a questo tipo dominante ce n’è un altro […] che dà l’immagine dell’uomo in divenire. In opposizione all’unità statica qui si dà l’unità dinamica dell’immagine dell’eroe. […] Il tempo s’immette nell’interno dell’uomo, penetra nella sua immagine, mutando sostanzialmente il significato di tutti i momenti del suo destino e della sua vita. Questo tipo di romanzo può essere designato nel senso più generale come romanzo del divenire dell’uomo” (208).
Il romanzo di formazione 1) Romanzo dell’”uomo in divenire” Michail Bachtin, Estetica e romanzo: “A questo [cioè al romanzo in cui compare un eroe già formato, che vive una serie di avventure e deve superare una serie di prove] il nuovo romanzo contrappone il divenire dell’uomo, da una parte, e una certa duplicità, la non integrità dell’uomo vivo, la mescolanza di bene e di male, di forza e di debolezza, dall’altra. La vita con i suoi eventi non serve più da pietra di paragone e da mezzo di prova dell’eroe bell’e pronto […]: adesso la vita coi suoi eventi, illuminata dall’idea di formazione, si svela come esperienza del protagonista, come scuola, come ambiente, che per la prima volta modellano e formano il carattere del protagonista e la sua concezione del mondo” (200).
Il romanzo di formazione 2) Tra “poesia del cuore” e “prosa della vita reale” Hegel, Estetica (1836-38): “Una delle collisioni più comuni e più adatte per il romanzo è il conflitto della poesia del cuore con la prosa contrastante dei rapporti e l’accidentalità delle circostanze esterne” (II,1223). “Come individui con i loro fini soggettivi dell’amore, dell’onore, dell’ambizione e con i loro ideali di un mondo migliore, [gli eroi dei romanzi moderni] stanno di contro a quest’ordine sussistente ed alla prosa della realtà che pone loro difficoltà da ogni parte […]”.
Il romanzo di formazione 2) Tra “poesia del cuore” e “prosa della vita reale” “Questi nuovi cavalieri [li definisce così perché li considera incarnazioni moderne degli eroi cavallereschi, in un contesto storico completamente cambiato] sono in particolare dei giovani che devono scontrarsi con il corso del mondo, il quale si realizza al posto dei loro ideali, e che ritengono una disgrazia che vi siano famiglia, società civile, Stato, leggi, professioni ecc., perché queste sostanziali relazioni della vita si oppongono crudelmente con le loro barriere agli ideali e al diritto infinito del cuore. Si tratta dunque di aprire una breccia in quest’ordine delle cose, di mutare il mondo, oopure di tagliarsi a suo dispetto per lo meno una fetta di cielo sulla terra […]. Ma queste lotte nel mondo moderno non sono altro che l’apprendistato, l’educazione dell’individuo alla realtà esistente, ed acquistano così il loro vero senso” (I,663-54).
Il romanzo di formazione 3) Il problema della “socializzazione” Hegel, Estetica: “Infatti la fine di tale apprendistato consiste nel fatto che il soggetto mette giudizio, tende a fondersi, insieme con i suoi desideri e opinioni, con i rapporti sussistenti e la loro razionalità, si inserisce nella concatenazione del mondo e vi acquista un posto adeguato. Per quanto uno possa essere venuto a lite con il mondo ed esserne stato respinto, alla fine per lo più trova la fanciulla adatta e un posto qualsiasi, si sposa e diviene un filisteo come gli altri: la donna si occupa del governo della casa, i figli non mancano, la moglie adorata che prima era l’unica, un angelo, si comporta più o meno come tutte le altre, l’impiego dà fatica e noia, il matrimonio le croci domestiche, e insomma subentra, come d’uso, l’amaro risveglio” (I,664).
Il romanzo di formazione 3) Il problema della “socializzazione” F. Jameson, L’inconscio politico (1981): “Il singolo testo narrativo, o la singola struttura formale, deve essere compresa come risoluzione immaginaria di una contraddizione reale” (84).
Il romanzo di formazione 3) Il problema della “socializzazione” Franco Moretti, Il romanzo di formazione: “Con esso [il Bildungsroman] cerchiamo di indicare una delle più armoniose soluzioni mai offerte a un dilemma connaturato alla civiltà borghese moderna: il conflitto tra l’ideale dell’’autodetermina-zione’ e le esigenze, altrettanto imperiose, della ‘socializzazione’. Da due secoli a questa parte, infatti, le società occidentali hanno riconosciuto al singolo il diritto a sceglier da sé la sua etica e la sua idea di ‘felicità’; a immaginare e progettare in libertà il proprio destino. Diritti enunciati nei proclami e incisi nelle costituzioni: ma non per questo universalmente realizzabili. Perché si danno, come è ovvio, aspirazioni in contrasto fra loro […]”
Il romanzo di formazione 3) Il problema della “socializzazione” “Come dunque far coabitare la tensione verso l’individualità, che è il necessario frutto di una cultura dell’autodeterminazione, con la tensione, opposta, alla normalità, che è il portato altrettanto inevitabile del meccanismo della socializzazione?” (17-18).
Il romanzo di formazione 3) Il problema della “socializzazione” “[Nel Bildungsroman] non c’è conflitto tra individualità e socializzazione, autonomia e normalità, interiorità e oggettivazione. La formazione dell’individuo come individuo in sé e per sé coincide senza crepe con la sua integrazione sociale in qualità di semplice parte di un tutto” (18). “Autosviluppo e integrazione sono percorsi complementari e convergenti, al cui punto d’incontro e di equilibrio si colloca quella piena e duplice epifania del senso che è la “maturità”. Raggiunta la quale, il racconto ha realizzato il suo scopo e può senz’altro finire” (21).
Romanzi “per cameriere” e “da salotto” Stendhal, Lettera al conte Salvagnoli: “Tutte le donne in Francia leggono dei romanzi, ma non tutte hanno lo stesso grado di educazione; di qui la distinzione fra i romanzi per cameriere (domando scusa della crudezza di questo termine, inventato, credo, dai librai) e i romanzi da salotto”.