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Economie locali e distretti industriali

Economie locali e distretti industriali. Corso integrativo Annalisa Caloffi Università di Firenze annalisa.caloffi@unifi.it. Lezione 3. Dal distretto ai processi di distrettualizzazione. Agglomerazione industriale.

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Economie locali e distretti industriali

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Presentation Transcript


  1. Economie locali e distretti industriali Corso integrativo Annalisa Caloffi Università di Firenze annalisa.caloffi@unifi.it Lezione 3

  2. Dal distretto ai processi di distrettualizzazione

  3. Agglomerazione industriale • L’evidenza empirica mostra che le imprese operanti in un medesimo settore di attività sono caratterizzate da una significativa propensione alla co-localizzazione territoriale degli stabilimenti produttivi • significativa: la concentrazione geografica degli impianti è superiore al livello che ci si dovrebbe attendere se gli stessi impianti fossero distribuiti in modo casuale nel territorio

  4. Lo stesso concetto di cluster è spesso confuso con quello riferito a casi generici di agglomerazione industriale Cooke (2002, p. 127) : it is clearly no use to define clusters in terms of co-location alone as many studies in fact do. At best, such forms are Latent clusters, but are better described as agglomerations, in which firms locate because of 'localization economies' like transport or human capital, which they exploit passively rather than seeking to develop as social capital through which embeddedness, interactive learning and innovation may flourish.

  5. Economie di agglomerazione • Le economie di agglomerazione sono di natura varia e complessa: possono essere determinate dallo spessore dei mercati locali in cui si offrono fattori produttivi specializzati, da efficaci forme di trasmissione dell’informazione basate sulla prossimità degli agenti, dagli effetti dell’accumulazione di capitale infrastrutturale, dall’intensità dei backward and forward linkages legati all’ampiezza dei mercati Si tratta di una classe di economie che spesso viene posta al centro del dibattito sullo sviluppo locale, ma noi parliamo di economie esterne più complesse ed articolate

  6. Alcune definizioni • Economie di scala: riduzione dei costi unitari medi all’aumento della scala di produzione. Possono derivare dalla presenza di rendimenti di scala crescenti, nonché da fattori connessi con il grado di controllo del mercato correlati con la scala di produzione • [Rendimenti di scala: relazione esistente tra variazione degli input di produzione e variazione dell'output (la relazione è espressa in termini "fisici“, mentre nel caso delle economie di scala si osserva la relazione tra dimensione dell'impianto e costo medio unitario di produzione )] • Economie di varietà: riduzione dei costi unitari medi (rispetto alla soluzione separata) nella produzione congiunta di due o più beni. Possono sorgere da risorse condivise o utilizzate congiuntamente senza piena congestione.

  7. Economie di scala e di varietà: alcuni esempi • condizioni più favorevoli di acquisto di materie prime e beni intermedi che un'impresa ha rispetto a chi fa ordinazioni di ammontare minore riduzione nei costi unitari medi per l’acquisto di tali beni • economie di apprendimento riduzioni dei costi medi unitari generate dall'esperienza • macchinari utilizzabili per la realizzazione di diversi tipi di prodotti che genera una riduzione nei costi medi unitari rispetto alla produzione separata • Anche la reputazione può essere un asset condivisibile!

  8. Economie interne ed esterne • Nei Principles of EconomicsMarshall afferma esplicitamente: • “Possiamo dividere le economie che provengono da un aumento della scala di produzione di ogni specie di beni, in due classi: in primo luogo quelle che dipendono dallo sviluppo generale dell'industria; e in secondo luogo, quelle che dipendono dalle risorse delle singole imprese impegnate in quella produzione, dalla loro organizzazione e dall'efficienza del loro management. Chiameremo le prime economie esterne, e le seconde economie interne." (Marshall 1920, pp.221)

  9. Economie esterne • Le economie sono esterne nel senso che i vantaggi per la singola impresa dipendono solo parzialmente dalla sfera delle risorse organizzate direttamente dall’impresa stessa, dipendendo anche dall’inserimento dell’impresa in un’organizzazione più vasta, cioè quella di un’industria concorrenziale Su questa parte: Bellandi (2003), cap.4, Piccole imprese e distretti industriali

  10. Economie esterne Marshalliane Economie di specializzazione – I vantaggi derivano dall’uso efficiente di capacità produttive esistenti, all’interno di un dato framework di attività specializzate, per la produzione di un dato set di beni Economie di apprendimento (sviluppo di competenze) Attraverso meccanismi di apprendimento diffuso (learning by doing, using and interacting) all’interno di un dato framework di attività specializzate Economie di creatività (creatività industriale decentralizzata) Varietà e novità nell’articolazione delle attività e dei prodotti emergono dall’interazione tra scambi di prodotti e di idee all’interno di una popolazione di produttori con competenze specializzate

  11. Economie esterne: specializzazione Riguardano il coordinamento nell’impiego ottimale delle limitate risorse e competenze individuali, delle attività economiche svolte da unità variamente specializzate, autonome e distinte (divisione del lavoro infra-cluster, che aumenta all’aumentare dell’ampiezza di mercato) Alfred Marshall (1920, p. 225), scrivendo dei distretti industriali del diciannovesimo secolo osservò che tali economie potevano essere raggiunte in a district in which there is a large aggregate production of the same kind, even though non individual capital employed in the trade will be very large. For subsidiary industries devoting themselves each to one small branch of the process of production, and working it for a great many of their neighbours, are able to keep in a constant use machinery of the most highly specialised character.

  12. vantaggi della divisione del lavoro manifatturiera atta a generare economie di scala • Nel Cap. VIII del Libro primo di Economics of Production Marshall si occupa degli effetti della divisione del lavoro sui costi di produzione. A tale proposito afferma: • "Troveremo che alcuni vantaggi della divisione del lavoro si possono ottenere solo nelle fabbriche molto grandi, ma che molti di essi, più di quanto sembri a prima vista, possono essere conseguiti da piccole fabbriche e laboratori, purché ve ne sia un numero elevato nella stessa attività".

  13. Tipiche forme d’impresa nei distretti • Imprese finali: sono imprese che operano direttamente sul mercato finale (dove si vendono i prodotti finiti). • Imprese di fase: sono imprese che svolgono solo una o più fasi produttive necessarie per la realizzazione di un prodotto finito. Spesso si tratta di imprese che operano in subfornitura per uno o più clienti. Nel caso in cui il rapporto con il cliente sia di esclusiva si parla di rapporti di subfornitura dipendente; se i rapporti con il cliente non sono di esclusiva (ovvero le imprese hanno rapporti con più clienti) le imprese di fase operano sul mercato (di fase). • Squadre di imprese: si tratta di raggruppamenti di imprese che comprendono imprese finali (spesso solo una – l’impresa leader) e imprese di fase e che collaborano per la realizzazione di un prodotto finito

  14. Economie esterne: apprendimento Atmosfera industriale Marshalliana. P.e.: (I)n districts in which manufacturers have long been domiciled, a habit of responsibility, of carefulness and promptitude in handling expensive machinery and materials becomes the common property of all(Marshall, 1920 p. 171). Altri fattori relativi a contesti distrettuali • Relazioni di apprendimento tra gli imprenditori ed i propri collaboratori di fiducia (altri imprenditori di fase); • Denso mercato del lavoro locale per i profili di competenze specializzate; • Scuole professionali e buone condizioni di vita; • Relativamente facile passaggio dallo status di lavoratore dipendente a quello di lavoratore autonomo; • Conoscenza personale che sostiene il funzionamento di squadre produttive

  15. Economie esterne: creatività Le innovazioni, in particolare quelle incrementali, emergono dall’interazione di un ricco set di approcci originali ad un delimitato ambito di affari e di attività produttive  gli approcci sono radicati nella vita (nell’educazione, nel lavoro, etc.) di ampi gruppi di produttori e di traders (prossimità territoriale e culturale). Marshall (1920, p. 225) discutendo processi di questo tipo scrive: (...) if one man starts a new idea, it is taken up by others and combined with suggestions of their own: and thus it becomes the source of further ideas. CREATIVITA’ INDUSTRIALE DIFFUSA

  16. Innovazione e territorio • Specificità territoriali legate a: • tipo di conoscenze (tacite e cumulate nel tempo), mobilitate nel processo di specificazione del “problema” innovativo e nei meccanismi di apprendimento; • conoscenze tacite, linguaggi e routine localmente radicate mobilitate per la realizzazione del processo innovativo; • sinergie di azione all’interno di squadre di attori di diversa natura localmente radicati nella definizione e nella realizzazione del processo innovativo (p.e. innovazioni incrementali) Di più… La matrice territoriale comune facilita processi di diffusione dell’innovazione (p.e. meccanismi di imitazione)

  17. Economie esterne e beni pubblici specifici • Su quali meccanismi poggia la realizzazione delle economie esterne? • Il coordinamento tra l’attività di una miriade di agenti indipendenti non è automatico, ma poggia su una serie di beni pubblici specifici immateriali e materiali • attitudine alla reciproca fiducia negli scambi economici; • prestigio sociale connesso all’imprenditorialità, all’innovazione ed alla partecipazione sul lavoro; • insieme delle regole, codici di comportamento, convenzioni, usi, abitudini • centri servizi per le imprese, • organizzazioni formative di vario tipo • infrastrutture utili allo sviluppo sostenibile locale (depuratori, piattaforme per lo scambio modale ed altri servizi pubblici locali) • altre infrastrutture sociali

  18. Economie esterne e beni pubblici specifici (II) • La produzione e riproduzione dei beni pubblici specifici è in parte il frutto di un’azione inconsapevole (o semi-consapevole) di una comunità locale che perpetua, nutre, modifica e rinnova alcuni comportamenti (regole sociali), dall’altra il frutto di un’azione consapevole che si esprime attraverso un’azione collettiva organizzata (p.e. attività delle associazioni di categoria, governi locali,…)

  19. Processi di distrettualizzazione • Crescita della suddivisione locale del lavoro, sia quella del processo produttivo tipico del distretto, sia dei settori ad esso strumentali o complementari • L’aggancio della divisione del lavoro interna al distretto, di cui in (a) all’evoluzione, nel mondo, di certi nuclei di bisogni • La formazione, contemporanea ad (a) e (b) di un reticolo di mercati locali, sia del lavoro specializzato che di certe operazioni produttive • La produzione di un numero sufficiente di operatori capaci di giuocare il ruolo di interfaccia versatile tra i diversi specialismi del distretto • La formazione e la circolazione, nella testa dei singoli agenti e nelle formule produttive e organizzative tipiche del distretto, di valori e conoscenze coerenti con le esperienze produttive e mercantili premiate dal mercato • Lo sviluppo di istituzioni sociali locali, formali ed informali, indispensabili allo svolgimento regolare del processo produttivo tipico • La formazione e la riproduzione dei sensi di appartenenza al distretto Becattini Dal distretto industriale alla distrettualizzazione in Dei Ottati

  20. Come nasce un distretto? • Rif.a Viesti (2000), cap.2, per la parte teorica; cap.6 per la parte empirica (risultati di una ricerca condotta sui distretti del Mezzogiorno)

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