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CARATTERI GENERALI • La vicenda del neoclassicismo inizia alla metà del XVIII secolo (1750), per concludersi con la fine dell’impero napoleonico nel 1815. Ciò che contraddistingue lo stile artistico di quegli anni fu l’adesione ai princìpi dell’arte classica. Quei principi di armonia, equilibrio, compostezza, proporzione, serenità, che erano presenti nell’arte degli antichi greci e degli antichi romani che, proprio in questo periodo, fu riscoperta e ristudiata con maggior attenzione ed interesse grazie alle numerose scoperte archeologiche.
Il neoclassicismo : • esprime il rifiuto dell’arte barocca e della sua eccessiva irregolarità; • fu un movimento teorico, grazie soprattutto al Winckelmann che teorizzò il ritorno al principio classico del «bello ideale»; • fu una riscoperta dei valori etici della romanità, e ciò soprattutto in David e negli intellettuali della Rivoluzione Francese; • fu l’immagine del potere imperiale di Napoleone che ai segni della romanità affidava la consacrazione dei suoi successi politico-militari; • fu un vasto movimento di gusto che finì per riempire con i suoi segni anche gli oggetti d’uso e d’arredamento.
Le scoperte archeologiche Uno dei motivi di questo rinato interesse per il mondo antico furono le scoperte archeologiche che segnarono tutto il XVIII secolo. In questo secolo furono scoperte prima Ercolano, poi Pompei, quindi Villa Adriana a Tivoli e i templi greci di Paestum; ed infine giunsero dalla Grecia numerosi reperti archeologici che finirono nei principali musei europei: a Londra, Parigi, Monaco
In particolare, con queste campagne di scavo, non solo si ampliò la conoscenza del passato, ma fu chiaro il rapporto, nel mondo classico, tra arte greca e arte romana. Quest’ultima rispetto alla greca apparve solo un pallido riflesso ed un epigono, se non addirittura una semplice copia. La vera fonte della grandezza dell’arte classica venne riconosciuta nella produzione greca degli artisti del V-IV secolo a.C. Quel periodo eroico che vide sorgere la plastica statuaria di Fidia, Policleto, Mirone, Prassitele, fino a Lisippo. E la perfezione senza tempo di questa scultura influenzò profondamente l’estetica del Settecento, divenendo modello per gli artisti del tempo.
La razionalità illuministica e il rifiuto del barocco • Il neoclassicismo nacque come desiderio di una arte più semplice e pura rispetto a quella barocca, vista come eccessivamente fantasiosa e complicata. Questo desiderio di semplicità si coniugò alla constatazione, fornita dalle scoperte archeologiche, che già in età classica si era ottenuta un’arte semplice ma di nobile grandiosità. Il barocco apparve allora come il frutto malato di una degenerazione stilistica che, pur partita dai principi della classicità rinascimentale, era andata deformandosi per la ricerca dell’effetto spettacolare ed illusionistico.
Il principio del razionalismo è una componente fondamentale del neoclassicismo • Il neoclassicismo ha diversi punti di similitudine con il Rinascimento: come questo fu un ritorno all’arte antica e alla razionalità. Ma le differenze sono sostanziali: la razionalità rinascimentale era di matrice umanistica e tendeva a liberare l’uomo dalla trascendenza medievale, la razionalità neoclassica è invece di matrice illuministica e tendeva a liberare l’uomo dalla retorica, dalla ignoranza e dalla falsità barocca. Il ritorno all’antico, per l’artista rinascimentale era il ritorno ad un atteggiamento naturalistico, nei confronti della rappresentazione, che lo liberasse dal simbolismo astratto del medioevo; per l’artista neoclassico fu invece la codificazione di una serie di norme e di regole che servissero ad imbrigliare quella fantasia che, nell’età barocca, aveva agito con eccessiva licenza e sregolatezza.
Le teorie e lo stile • Massimo teorico del neoclassicismo fu il Winckelmann. Nel 1755 pubblicava le Considerazioni sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, nel 1763 pubblicava la Storia dell’arte nell’antichità. In questi scritti egli affermava il primato dello stile classico (soprattutto greco che lui idealizzava al di là della realtà storica), quale mezzo per ottenere la bellezza «ideale» contraddistinta da «nobile semplicità e calma grandezza». Winckelmann considerava l’arte come espressione di «un’idea concepita senza il soccorso dei sensi». Un’arte, quindi, tutta cerebrale e razionale, purificata dalle passioni e fondata su canoni di bellezza astratta. Le sue teorie artistiche trovarono un riscontro immediato nell’attività scultorea di Antonio Canova e di Thorvaldsen.
ANTONIO CANOVA (1757-1822) • Formatosi in ambiente veneziano • le sue prime opere rivelano la influenza dello scultore barocco del Seicento Gian Lorenzo Bernini. • Trasferitosi a Roma, partecipò al clima cosmopolita della capitale in cui si incontravano i maggiori protagonisti dell’arte neoclassica. • A Roma svolse la maggior parte della sua attività, raggiungendo una fama immensa. • Fu anche pittore, ma produsse opere di livello decisamente inferiore rispetto alle sue opere scultoree. • Nelle sue sculture Canova, più di ogni altro, fece rivivere la bellezza delle antiche statue greche secondo i canoni che insegnava Winckelmann: «la nobile semplicità e la quieta grandezza».
Le sculture di Canova sono realizzate in marmo bianco e con un modellato armonioso ed estremamente levigato. Si presentano come oggetti puri ed incontaminati secondo i princìpi del classicismo più puro: oggetti di una bellezza ideale, universale ed eterna. I soggetti delle sue sculture si dividono in due tipologie principali: le allegorie mitologiche e i monumenti funebri. Al primo gruppo appartengono: «Teseo sul Minotauro», «Amore e Psiche», «Ercole e Lica», «Le tre Grazie»; al secondo gruppo appartengono i monumenti funebri a Clemente XIV, a Clemente XIII, a Maria Cristina d’Austria.
Il gruppo scultoreo è una rappresentazione del mito di Teseo e si pone come una delle opere più esemplari del concetto di arte neoclassica. L'eroe ateniese, aiutato da Arianna, penetrò nel labirinto di Creta, ove era rinchiuso il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, e riuscì ad ucciderlo
Teseo sul Minotauro Canova • da artista neoclassico, cerca il momento della quiete e non dell'agitazione • preferisce sintetizzare la storia al momento della vittoria di Teseo, quando la tensione si è oramai sciolta e un profondo senso di pace pervade l'eroe • questo istante si coglie anche un senso di umana pietà che Teseo prova verso il mostro sconfitto, in quanto la sua nobiltà d'animo gli impone di non odiare il nemico • Da un punto di vista stilistico il gruppo ha equilibri molto classici e le forme anatomiche di Teseo richiamano direttamente le inespressive ma perfette fattezze di tante statue dell'antica Grecia
Il gruppo monumentale raffigura un episodio mitico legato a Ercole. L'eroe delle dodice fatiche era sposato a Deianira ed insieme a lei si recò dall'amico Ceice in Trachine ai piedi del monte Oeta. Dovendo lungo il tragitto traversare il fiume Eveno, incontrarono il centauro Nesso che si offerse di traghettare la moglie di Ercole. Ma il centauro, innamoratosi della donna, cercò di rapirla, ma fu ucciso da una freccia scagliata da Ercole. Il centauro, per vendicarsi, prima di morire diede alla donna un po' del suo sangue dicendole che con esso avrebbe potuto preparare un unguento che le avrebbe permesso di conservare l'amore di suo marito. In un successivo episodio Ercole, dopo una spedizione vittoriosa contro Eurito di Ecalia, conquista Iole, la figlia di Eurito. La moglie Deianira saputo di Iole, cercò di riconquistare il marito con un unguento preparato con il sangue del centauro Nesso. Intrise una bianca veste con questo unguento, e diede l'indumento a Lica per consegnarlo ad Ercole. In realtà il sangue che Nesso aveva dato alla donna era velenoso e quando Ercole indossò la veste il veleno cominciò a penetrargli nella pelle infiammandola e quasi rendendolo pazzo dal dolore. Cercò di strapparsi la camicia di dosso, ma senza riuscirci. Preso da violenta ira Ercole afferrò l'innocente Lica e lo scagliò così lontano che cadde in mare e si trasformò in scoglio. La storia giunge all'epilogo con Deianira che, saputo cosa aveva prodotto il suo unguento, si suicida mentre Ercole, dopo aver dato in sposa Iole a suo figlio, si porta sul monte Oeta per finire le sue sofferenze tra le fiamme di un rogo. E qui, mentre le fiamme cominciano a lambirlo, giunge Atena con un cocchio a prendere l'eroe e portarlo con se sul monte Olimpo, dove Zeus gli fa dono dell'eterna giovinezza.
Ercole e Lica • Il gruppo scultoreo di Canova è conservato alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma • di grande monumentalità ma tuttavia non trasmette un'impressione di grande potenza, come la rappresentazione del gesto di Ercole richiederebbe. • Il tutto rimane troppo bloccato in una ricerca di equilibrio che finisce per stemperare la potenza dell'azione. • In questo caso appare evidente come la norma stilistica neoclassica mal si adatta a rappresentare il movimento e l'azione.
Venere, gelosa della bellezza di Psiche, ordina al figlio di darla in sposa all'ultimo degli uomini. Eros però si innamorò di lei e la portò in una valle incantata. Psiche, contraddicendo l’ordine dello sposo di accettarlo al buio senza mai vederlo, su istigazione delle sorelle, accende un lume e nel vedere Amore lo perde. Per poter ricongiungersi a lui ed essere accettata nell'Olimpo, Venere le infligge quattro prove: 1) Separare dei semi mescolati in un tempo troppo breve. 2) Strappare un ciuffo di lana dorata da un montone feroce. 3) Raccogliere un bicchiere d'acqua dallo Stige. 4) Portare a Venere dall'Ade un vasetto di bellezza.
Amore e Psiche • Il gruppo, oggi conservato al Louvre, appartiene alle allegorie mitologiche della produzione canoviana. • Esso rappresenta Amore e Psiche nell’atto di baciarsi • . Eseguita in marmo bianco, la scultura ha superfici levigate ed un modellato molto tornito. • La composizione ha una straordinaria articolazione: la donna, Psiche, è semidistesa, rivolge il viso e le braccia verso l’alto e, per far ciò, imprime al corpo una torsione ad avvitamento; l’uomo, Amore, si appoggia su un ginocchio mentre con l’altra gamba si spinge in avanti innarcandosi e contemporaneamente piegando la testa di lato per avvicinarsi alle labbra della donna. • Il soggetto è probabilmente tratto dalla leggenda di Apuleio, • . Il soggetto è qui utilizzato come allegoria del potere dell’amore, visto soprattutto nell’intensità del desiderio che riesce a sprigionare: da qui la scelta di fermare la rappresentazione all’istante prima che il bacio avvenga ed il desiderio si consumi.
Le tre Grazie • Il gruppo delle tre Grazie era uno dei temi più in voga nel periodo neoclassico, ed ovviamente non poteva mancare nel repertorio di Antonio Canova. • Le tre figure di Aglaia, Eufrosine e Talia erano le protettrici degli artisti, in quanto da loro proveniva tutto ciò che vi è di bello nel mondo umano e naturale. • Canova le raffigura nella posizione più canonica, ovvero abbracciate e disposte a circolo. • Sono nude, così come le ritroviamo nella tradizione ellenistica, e vengono rappresentata dall'artista nella classica posizione a chiasma. • L'incrociarsi delle membra serve qui a dare un molle abbandono alle figure che, nel sostenersi a vicenda, formano quasi un unico gruppo di affetti e sensualità corrisposte. • L'immagine è quindi concepita come esaltazione di perfezione e bellezza, sommi canoni estetici per il gusto neoclassico.
Monumento a Maria Cristina d’Austria • Il monumento funerario a Maria Cristina d’Austria rappresenta una grossa novità nella tipologia dei monumenti funerari. • Nel monumento a Maria Cristina d’Austria l’urna scompare per essere sostituita dalla immagine triangolare di una piramide. • L’effigie statuaria viene sostituita da un ritratto di profilo a bassorilievo, inserito in un medaglione di chiara derivazione classica • Notevole importanza assumono le figure allegoriche che, nella intenzione dell’artista, non sono puri e semplici simboli ma devono commuovere per l’azione in divenire che stanno rappresentando
In questo caso, infatti, le figure compongono un singolare corteo funebre che si accinge a salire i gradini che portano alla porta della piramide. Da questa porta fuoriesce un tappeto che scorre sui gradini come un velo leggero e impalpabile. Il corteo è aperto da una giovane ragazza che ha già un piede oltre la soglia della tomba. È seguita da una donna che rappresenta la Pietà con in mano l’urna delle ceneri della defunta. Un’altra ragazzina la sta seguendo. Più indietro un’altra giovane donna avanza, aiutando un vecchio uomo a salire le scale. Sono rappresentate tutte le tre età della vita, dalla gioventù alla vecchiaia, a simboleggiare che la Morte non risparmia nessuno. Le figure procedono con incedere lento e mesto. Hanno tutti la testa chinata in avanti, a simboleggiare che nei confronti della Morte la superbia umana non può nulla. Di fianco la porta della piramide, che quindi simboleggia la porta di passaggio dal mondo terreno al mondo dei morti, c’è l’allegoria del Genio della Morte poggiato sul Leone della Fortezza In alto, il medaglione con il ritratto di Maria Cristina d’Austria è circondato da un serpente che si morde la coda, simbolo quest’ultimo dell’Eterno Ritorno. Il medaglione è sostenuto dalla allegoria della Felicità, mentre un’altra figura angelica porge alla defunta una palma, simbolo della gloria.
La piramide, come simbolo dell’Oltretomba, è decisamente una immagine neoclassica. • Contiene la reminescenza delle antiche piramidi egiziane, i più grandi monumenti funebri mai realizzati dall’uomo, e si presenta con una forma geometrica semplice, il triangolo, ma carico di notevoli significati allegorici. • La porta che si apre nella piramide assomiglia invece, per fattura, alle porte delle tombe etrusche delle necropoli di Tarquinia o Cerveteri. Ed anche questo riferimento etrusco, nell’immaginario collettivo, finisce per collegarsi al mondo dell’Oltretomba. • Il senso della morte, qui rappresentato, ha la dignità profonda e nobile della concezione neoclassica. Tuttavia, la commozione che suscita il corteo funebre finisce per prendere un significato quasi tutto romantico • La scelta di anticipare il momento pregnante, non a quello eterno della Morte oramai sopraggiunta, ma al momento precedente in cui la Morte richiama a sé le persone che, a capo chino. • . È il profondo strazio di chi, pur restando vivo, non può che guardare con senso di sgomento e di ineluttabilità l’avviarsi alla morte delle persone care. • Questa inaspettata rappresentazione di un dolore, che deve suscitare compassione in chi guarda, è la prova della grandezza del genio di Canova che, al di là della facile etichetta di scultore neoclassico, per la inconfondibile fattura stilistica delle sue statue, si presenta come un artista capace di cogliere i fermenti più vivi e nuovi del suo tempo, ed anche anticiparli nelle sue opere d’arte.
Monumento funerario di Clemente XIII • Il monumento eretto dal Canova si trova in San Pietro in Vaticano. Questo sepolcro è stato concepito dallo scultore secondo il classico schema a tre piani sovrapposti. • Sul primo livello, quello basamentale, poggiano le figure allegoriche: due leoni, simbolo della forza, che proteggono la porta che da accesso al sepolcro, il genio della morte e la figura femminile con la croce in mano simbolo della Religione. • Al secondo livello è posto il sarcofago, di forme ovviamente classicheggianti. • Al terzo livello vi è la statua a tutto tondo del papa, che il Canova, interpretandone il carattere, ci rappresenta in atteggiamento umile, il triregno simbolo di potere è posto a terra, inginocchiato a pregare.
Monumento funerario di Clemente XIV • Il monumento è collocato nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma. • La decisione più importante presa da Clemente XIV è stata la soppressione dell'Ordine dei Gesuiti nel 1773. • Papa quindi dalla personalità volitiva e portata alla gestione del potere • viene infatti rappresentato da Canova assiso in trono, con il triregno in testa, e in atteggiamento severo. Il braccio destro proteso in avanti diviene quindi simbolo della sua capacità di prendere ed imporre decisioni anche di grande portata storica. • Il monumento, come quello realizzato per Clemente XIII si svolge su tre livelli. Sulla parte basamentale vengono collocate due figure femminili, allegorie dell'Umiltà e della Temperanza, • al secondo livello viene posto il sarcofago, • infine a coronare il monumento la statua del papa
Paolina Borghese • Per Napoleone Canova eseguì diversi lavori che immortalarono non solo la figura dell'imperatore ma anche dei suoi familiari. • Uno dei ritratti più famosi è sicuramente questo dedicato a Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, e moglie del nobile romano Camillo Borghese. • La rappresentazione segue ovviamente i precetti neoclassici. Innanzitutto Paolina è raffigurata idealisticamente nuda, e con in mano un pomo. La sua immagine richiama quindi quella di Venere vincitrice, con il pomo di Paride in mano, attestato di superiore bellezza. • La figura è adagiata mollemente su un triclino, richiamando un po' la tipologia dei ritratti semidistesi presenti sui sarcofagi etruschi (ad esempio, il "sarcofago degli sposi" conservato a Villa Giulia). • Tuttavia, a dispetto di questo richiamo un po' funereo, la notevole abilità tecnica di Canova riesce ad infondere quasi un palpito di vita all'immagine di marmo, risultando così verosimile l'intera scultura da suscitare apprezzamenti più che entusiastici nei numerosi estimatori di questa opera.
Jacques-Louis David • Jacques-Louis David (1748-1825), dopo un apprendistato presso il pittore tardo-rococò Vien, si recò a Roma nel 1775 avendo vinto il Prix de Rome. Il Prix de Rome era una borsa di studio che l’Accademia di Francia assegnava ai giovani artisti più promettenti per consentire loro un periodo di soggiorno e di studio nella città eterna. Il David si trattenne a Roma fino al 1780. Qui ebbe modo sia di conoscere le teorie artistiche del Winckelmann, sia di studiare l’arte antica e rinascimentale. Predilesse le pitture di storia, utilizzando episodi classici da proporre come «esempi di virtù» al mondo contemporaneo. Infatti il suo fu un neoclassicismo di grossi contenuti etici e virili che egli opponeva alle mollezze ed effeminatezze del mondo rococò. • In un suo secondo soggiorno romano, nel 1784, dipinse «Il giuramento degli Orazi» che gli diede notevoli successi. Per le sue idee e temperamento partecipò attivamente alla Rivoluzione Francese e al periodo napoleonico, producendo sempre quadri storici (anche quando raffiguravano eventi a lui coevi) ma dai contenuti di stringente appello civile. Quadri come «Il giuramento della pallacorda» (1790-91), rimasto incompiuto, la «Morte di Marat» (1793), «Le Sabine» (1799), «Bonaparte valica il Gran San Bernardo» (1800), «Incoronazione di Napoleone» (1805-07). Dopo la Restaurazione, David concluse la sua vita a Bruxelles dedicandosi alla pittura di soggetti mitologici, allineandosi a quel gusto di accademismo neoclassico che proseguì per tutto l’Ottocento, ma che nella storia classica e nella mitologia non cercava più alcuna finalità etica.
Descrizione formale • Nel primo riquadro ci sono i tre fratelli Orazi. Sono visti di scorcio così che sembrano quasi formare un corpo solo. Hanno le gambe leggermente divaricate in avanti, il braccio proteso. I loro lineamenti sono tesi, le espressioni sono concentrate: esprimono tutta la determinazione che li porta a sacrificare la loro vita per la patria. • Al centro, nel secondo riquadro, c’è il padre. Ha un aspetto solenne. Ha in mano le tre spade che sta per consegnare ai figli dopo aver raccolto il loro giuramento. L’altra mano è sollevata in alto, a simboleggiare la superiorità del principio per il quale vanno a combattere: la difesa della patria e delle loro famiglie. • Nel terzo riquadro ci sono la moglie di uno degli Orazi con due figli e le altre donne. Sono accasciate ed addolorate anche se non compiono gesti di teatrale disperazione. Non piangono neppure. La loro sofferenza è intensa ma composta. Sopportata con grande dignità, perché comprendono la necessità del sacrificio dei loro uomini
contenuto • Il soggetto storico è qui utilizzato con un unico contenuto: l’esaltazione dell’eroismo • Eroi sono coloro che volontariamente scelgono di mettere a rischio la propria vita per il bene comune dei propri familiari e della propria terra. L’eroe, in questo quadro, ha caratteri di intensa virilità che contrastano con i molli caratteri dei tanti damerini che affollavano la società aristocratica del Settecento. Ma non è un attributo solo degli uomini. Eroiche sono anche le donne che devono pagare il prezzo del dolore. La differenza psicologica dei personaggi viene resa in forme visibile dalle loro pose: diritte e tese le linee che formano gli uomini, curve e sinuose le linee che disegnano le donne.
La Rivoluzione Francese era scoppiata nel 1789. Dopo la deposizione della monarchia si ebbe in Francia un periodo di grossa instabilità politica, caratterizzata da un periodo violento e sanguinoso. Tra i protagonisti di questa cruenta fase della Rivoluzione, che culminò con la condanna e l’esecuzione del re Luigi XVI, ci fu anche Jean-Paul Marat. L’uomo politico fu assassinato nel 1793 da Carlotta Corday. Marat, che soffriva di dolori reumatici, trascorreva la maggior parte del suo tempo immerso in una vasca con l’acqua calda. Carlotta Corday lo sorprese mentre era nella vasca, e lo pugnalò con un coltello.
La morte di Marat • L’artista voleva esaltare le virtù eroiche di Marat e, nel contempo, rendere emozionante e densa di significato la sua morte. Scelse così, come «momento pregnante», non il momento in cui venne assassinato, ma il momento successivo in cui il corpo inanimato ci mostra tutta la cruda realtà della morte. • Marat è solo. Il quadro nella parte superiore è completamente vuoto e scuro. Nella parte inferiore ci mostra il corpo in tutta la solitudine e il silenzio della morte. Tutta la composizione è giocata su pochissimi elementi rappresentati con linee orizzontali e verticali. • Il coltello, usato dalla donna, è a terra sporco di sangue. Marat ha ancora in una mano la lettera e nell’altra la penna per scrivere.. La testa, appoggiata sul bordo della vasca, è reclinata così da mostrarci il viso di Marat. • Tutto il quadro ispira un silenzio che non può essere rotto in alcun modo. Esso rimane come la testimonianza più lucida e commovente di quel periodo del Terrore che avrebbe portato al sacrificio di tante vite umane.
Il quadro rappresenta un episodio della storia romana. Bruto, ritratto in primo piano sulla sinistra, condannò i propri figli a morte perché colpevoli di tradimento contro la patria. Dietro la sua figura, che ricorda il ritratto etrusco chiamato «Bruto capitolino» conservato a Roma, si vedono i littori che riportano i corpi dei figli di Bruto. Sulla sinistra il gruppo delle donne, madre e sorelle delle vittime, si disperano per l'accaduto. Anche questo quadro, come il «Giuramento degli Orazi» sfrutta un episodio della storia romana per proporre un concetto etico: il valore della patria è un valore supremo, superiore anche all'affetto che un padre prova per i propri figli. In realtà, per la crudezza quasi spietata dell'episodio, ed anche per una composizione formale meno controllata e compatta, il quadro risulta meno emozionante e coinvolgente rispetto al «Giuramento».
L'episodio leggendario di storia romana rievocato è in questo caso il ratto delle Sabine. Il popolo romano, nei primi tempi della loro storia, era formato soprattutto da uomini, e ciò pregiudicava ovviamente la possibilità di riprodursi. Cercarono quindi di procurarsi delle donne rapendole al vicino popolo dei Sabini. Quando questi si resero conto dell'accaduto, mossero guerra ai romani. La guerra fu tuttavia scongiurata dall'intervento pacificatrice proprio delle donne rapite, che riuscirono a riportare la pace acconsentendo ad un unione matrimoniale con i romani. L'episodio, in questo caso, tende a dare alla donne il ruolo anch'esse di protagoniste della storia, soprattutto quali elementi che tendono alla pace, donne che invece nei quadri precedenti, quali «Il Giuramento» o «Il Bruto», subivano i dolorosi lutti provocati dalle necessità di stato.
L’episodio raffigurato in questo quadro rievoca la vittoria ottenuta dai greci contro i persiani alle Termopili nel 480 a.C. I greci, comandati dal re di Sparta Leonida I, che proprio in questa battaglia perse la vita, pur essendo solo 300 uomini, grazie al loro eroismo di combattenti riuscirono a sconfiggere un esercito di gran lunga più numeroso, riuscendo in questo modo ad evitare che la Grecia venisse invasa dai persiani del re Serse.