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Nozioni di finanza pubblica

Nozioni di finanza pubblica. Il Pil , è la produzione di beni e servizi del paese in un anno;

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Nozioni di finanza pubblica

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Presentation Transcript


  1. Nozioni di finanza pubblica • Il Pil, è la produzione di beni e servizi del paese in un anno; • Il Debito pubblico è la somma dei deficit che si sono accumulati negli anni nei confronti di altri Stati, individui, imprese, banche o soggetti stranieri, che hanno sottoscritto obbligazioni (come BOT e CCT) destinate a coprire il fabbisogno finanziario statale. • La spesa per gli interessi corrisposti ai detentori delle obbligazioni statali viene indicata come servizio del debito. • Il deficit pubblico si calcola solitamente in percentuali rispetto al PIL, per indicare quanta parte della ricchezza prodotta ogni anno sarebbe necessaria per ripagare il debito.  • L'esigenza di tenere sotto controllo l'espansione del debito pubblico ha due principali motivazioni: • se cala la fiducia dei sottoscrittori circa la capacità del debitore di pagare gli interessi e di restituire il capitale, il finanziamento del debito può avvenire solo corrispondendo interessi più elevati, facendo ulteriormente aumentare il debito; • se una parte dei risparmi privati finisce col finanziare il debito pubblico, si sottraggono risorse agli investimenti privati, con conseguenze negative sulla crescita dell'economia.

  2. Il debito pubblico in Italia

  3. Il debito pubblico in Italia • La spesa pubblica si divide in spesa pubblica “per lo Stato minimo”, e in quella “per lo Stato sociale”. • La prima finanzia la polizia, i magistrati, i soldati. Ossia l’ordine, la giustizia, la difesa. La seconda lo Stato Sociale • La spesa per lo stato minimo è rimasta all’incirca la stessa nel secondo dopoguerra, mentre è esplosa quella per lo stato sociale. • I conti comparati sulla spesa pubblica per lo stato minimo e per quello sociale vanno fatti escludendo la spesa per interessi sul debito, che è il frutto del cumularsi dei deficit nel corso del tempo e non della spesa corrente. • L’Italia ha speso più di quanto incassasse per troppo tempo, e si trova oggi ad avere un gran debito pubblico. • Intorno al 1990 il bilancio dello Stato va in pareggio prima del pagamento degli interessi. In altre parole, non genera un nuovo deficit prima di pagare gli interessi sul cumulato dei deficit prodotti nel corso della storia (il debito). • Nel 1986 il rapporto il debito pubblico era pari al 120% del PIL;

  4. Debito pubblico e stabilità • L’Unione Europea aveva imposto la riduzione del debito stato; • Aveva posto il divieto di aiuti di Stato; • Armonizzato le normative statali per la liberalizzazioni dei mercati fino ad allora gestiti tramite riserva originaria o concessioni; • L’unica via di uscita per soddisfare tali richieste era di procedere ad una massiccia liberalizzazione e privatizzazione; • Lo Stato doveva uscire dal mercato.

  5. Mercato e Stato • Il problema era trovare il giusto equilibrio tra Stato e mercato, tale da garantire il cd welfare ma senza alterare le dinamiche «virtuose» del mercato; • Lo Stato, secondo la dottrina economica prevalente, deve intervenire soltanto in caso di «fallimento del mercato»; • Evento che si verifica allorché la mancata realizzazione di alcune delle condizioni di efficienzadel mercato impedisca al sistema di raggiungere una ottima allocazione delle risorse, il cdOttimo paretiano. • Per efficienza del mercato s’intende la capacità di svolgere qualsiasi attività economica con il minor dispendio di risorse e ottenendo il miglior risultato possibile, e comprende sia i processi produttivi che i processi di allocazione delle risorse; • L’Ottimo paretiano identifica invece la condizione che esiste quando, dopo aver operato tutti i possibili miglioramenti della struttura economica, si giunge ad un punto in cui è impossibile migliorare la situazione di un individuo senza compromettere il benessere di un'altra persona.

  6. Fallimenti del mercato • Beni pubblici: Le caratteristiche del bene pubblico impediscono un'ottima allocazione delle risorse e la soddisfazione dei bisogni del consumatore, e quindi necessitano la gestione e la regolazione da parte dello Stato; • Monopoli ed Oligopoli privati: leimprese monopolistiche fissano il prezzo non sulla base del costo marginale, ma ad un livello superiore, violando le condizioni dell'efficienza paretianasia a carico dei competitors che dei consumatori. Lo Stato interviene attraverso la normativa ANTITRUST; • Asimmetrie Informative: i consumatori e i produttori non sono esattamente informati sulle alternative di consumo e di produzione attuali e future come pretenderebbe una delle ipotesi dell'equilibrio concorrenziale. Le azioni di ogni individuo e il raggiungimento dei suoi obiettivi, infatti, dipendono e sono condizionate da un insieme di eventi esterni (compreso il comportamento di altri individui) sui quali il singolo non ha poteri. Lo Stato interviene riducendo tale asimmetria con obblighi informativi e di trasparenza; • Esternalità: Si verifica, più precisamente, una divergenza tra il beneficio netto privato e quello sociale, come nel caso di produzioni inquinanti. In ogni caso ci sarà, quindi, un individuo che vedrà aumentare il suo benessere a danno di un altro; lo Stato interviene o con un sistema di imposte e sussidi con cui eguagliare il costo marginale sociale al beneficio marginale socialee con laregolamentazione, fissando limiti massimi alle diseconomie e standard di produzione. 

  7. Fallimento e intervento dello Stato • Accordi, intese e pratiche restrittive della concorrenza NON sono vietate se: • contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico; • Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. • Senza dimenticare le eccezioni previste per gli AIUTI di STATO; • Conclusione: il mercato e la concorrenza sono la regola, il fallimento del mercato e l’intervento dello Stato sono l’eccezione che deve essere giustificata e proporzionata.

  8. La «ritirata» dello Stato • L’eccesso di debito pubblico, il costo e l’inefficienza delle imprese pubbliche e dei monopoli, le nuove regole del mercato unico imposero un forte ridimensionamento dello Stato; • Tale riduzione fu attuata attraverso liberalizzazioni e privatizzazioni accompagnate però da «misure compensative» a sostegno del mercato e a tutela del welfare.

  9. Le privatizzazioni • Le privatizzazioni consistono nella sostituzione del regime giuridico di diritto pubblico con quello di diritto privato. • Privatizzazioni delle imprese pubbliche Prima del 1990, il sistema delle partecipazioni statali consentiva di per sé, se l’impresa era organizzata come S.P.A., la vendita delle azioni a privati e quindi l’uscita dell’impresa dal controllo pubblico. Gli interventi di smobilizzo venivano gestite dalla holding a cui spettava anche il corrispettivo. • Nelle privatizzazioniche si sviluppano successivamente, in conseguenza della crisi della finanza pubblica, per diminuire l’indebitamento pubblico il corrispettivo della vendita viene fatto affluire al Tesoro e lo Stato diventa direttamente azionista. • Tipologia delle privatizzazioni: • FREDDE:  si trasforma il precedente assetto organizzativo in s.p.a., che diventa il modello organizzativo prevalente, ma il controllo azionario rimane in mano pubblica; • CALDE: le azioni vengono trasferite in tutto o in parte ai privati. • Varie modalità: • soppressione di aziende pubbliche e successiva attribuzione delle loro attività ad s.p.a. appositamente costituite (ad es. Azienda di stato per i servizi telefonici: soppressa e le sue attività sono state trasferite a IRITEL, poi divenuta TELECOM); • trasformazione di imprese-ente in società per azioni (IRI, ENEL, INA, banche pubbliche); • trasformazione di aziende in imprese ente e di ente in s.p.a (Ferrovie dello Stato, Poste)

  10. Le liberalizzazioni • I servizi pubblici sono stati i settori maggiormente interessati e precedentemente gestiti tramite la riserva originaria ex art. 43 Cost.; • In forza della normativa comunitaria e della regolazione dell’AGCM (nata in Italia nel 1990), le liberalizzazioni: • non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati. • Ma, qualora tali imprese intendano svolgere attività in mercati diversi operano mediante società separate. • Al fine di garantire pari opportunità di iniziativa economica sono tenute a rendere accessibili beni o servizi, nei suddetti mercati diversi, a condizioni equivalenti, alle altre imprese direttamente concorrenti.

  11. I principi e gli strumenti delle liberalizzazioni • Separazione della RETE dal SERVIZIO: monopolio della rete, concorrenza per il servizio e diritto/obbligo di accesso per i competitors; • Separazione dei MERCATI: monopolio del servizio UNIVERSALE, liberalizzazione dei servizi accessori; • Separazione organizzativa e contabile tra attività in monopolio e attività svolta in concorrenza; • Tutela regolatoria e finanziamento del SERVIZIO UNIVERSALE con il cd CONTRATTO DI SERVIZIO PUBBLICO;

  12. Privatizzazione e liberalizzazioni • Sebbene la liberalizzazione economica sia spesso associata con la privatizzazione, i due fenomeni possono restare distinti. • In Italia, alle privatizzazioni fredde non sono seguite, in molti casi, le privatizzazioni calde, così la successiva liberalizzazione di alcuni mercati, come gas naturale ed energia elettrica, nei quali è stato istituito un sistema di concorrenza, ma gli operatori sono rimasti parzialmente o totalmente pubblici. • È ovvio invece che le liberalizzazioni funzionano più efficientemente con privatizzazioni anche calde.

  13. La privatizzazione del sistema bancario • L’apertura del mercato dei capitali, l’Unione economica monetaria, l’area Euro e la crescente globalizzazione del mercato del credito, hanno condotto alla riforma del sistema bancario pubblico italiano che, sin dalle leggi bancarie del 1926 e del 1936-38, si caratterizzava per la forte prevalenza della mano pubblica. • Agli inizi degli anni 90 il sistema di credito in italia era così strutturato: • I maggiori istituti bancari erano enti pubblici; • In alcuni casi erano società controllate indirettamente dallo Stato; • Le restanti erano Casse di Risparmio; • Il settore era poi penalizzato dalla segmentazione, dal regime autorizzatorio di BDI per l’espansione territoriale e dalla mancanza di concorrenza;

  14. La privatizzazione del sistema bancario • Il sistema in cui lo Stato di fatto controllava il mercato del credito per fini di politica economica e finanziaria entrò in crisi con l’apertura dello stesso; • Nuovi strumenti finanziari e nuovi operatori, anche esteri, cominciarono ad aggredire il mercato; • Le Banche italiane erano non solo pubbliche (era quindi necessaria una modifica soggettiva) ma erano anche sottodimensionate e sottocapitalizzate;

  15. La legge Amato • La l.n.218/1990 nasce con il preciso obiettivo di determinare la fuoriuscita dello Stato dalla diretta gestione delle banche e favorire il raggiungimento di una mobilità delle risorse investite nelle banche pubbliche; • Con tale legge del 1990 fu disciplinato il primo modello di privatizzazione: • l’azienda bancaria fu scorporata e conferita ad una nuova SPA e le azioni furono attribuite all’ente pubblico di controllo; • L’ente di controllo, trasformato poi in FONDAZIONE, avrebbe continuato a svolgere funzioni di holding e di erogazione di fondi a fini sociali; • L’attività «sociale» veniva finanziata dalla banca attraverso la distribuzione dei dividendi;

  16. Il «problema» della Legge Amato • La legge Amato, tuttavia, non conseguì i risultati attesi, in quanto le Fondazioni-azioniste solo marginalmente si impegnavano nei nuovi compiti, preferendo di gran lunga continuare ad occuparsi di credito. • Al fine di separare le Banche S.p.A. dalle Fondazioni, e fissare, per queste ultime, un regime civilistico, si rendeva, pertanto, necessario un nuovo intervento, attuato con legge delega 23 dicembre 1998 n.461, alla quale sono seguiti il D.lgs. 17 maggio 1999, n.153 e l’Atto di indirizzo del Ministro del Tesoro Amato del 5 agosto 1999. • Tale ultima riforma imponeva per le Fondazioni, trasformate in enti di diritto privato e dotate di autonomia statutaria e gestionale, la dismissione delle partecipazioni di controllo delle Banche. • Alle Fondazioni veniva imposta: • la dismissione del 51% del capitale delle S.p.A. in un tempo massimo di quattro anni, pena la perdita delle numerose agevolazioni fiscali; • il divieto di detenere partecipazioni di controllo di imprese che non fossero strumentali ai settori istituzionali di utilità sociale, riaffermati quale unico terreno della loro attività.

  17. VIZI & VIRTU’ DELLA PRIVATIZZAZIONE FREDDA • La vicenda delle privatizzazioni presenta riflessi di particolare rilievo sul piano storico, politico e socio-economico: • Inadeguatezza strutturale ed organizzatoria dei modelli; • scadente resa dei servizi erogati; • necessità di reprimere i sistematici abusi perpetrati dai vertici politici; • Ha segnato il fallimento del principio di economicità di gestione e l’imposizione da parte degli organi ministeriali di prezzi politici rovinosi e di strategie economiche asservite a fini di partito; • Ha imposto allo Stato un ritiro massiccio dall’economia e ne è derivato anche un mutamento di strategia pubblica verso una politica di regolazione esterna. • La necessità di contemperare diverse esigenze, la libertà dei mercati, le pari opportunità di accesso ad essi ed il pieno soddisfacimento dei bisogni dell’utenza ha dato il via all’inaugurazione di un sistema incentrato su nuove figure organizzative: le Autorità Amministrative indipendenti;

  18. Il ritardo delle privatizzazioni calde • La legge stabiliva che il Ministero del Tesoro predisponesse un programma di riordino delle partecipazioni; • Veniva prevista poi la quotazione delle società partecipate e l’imputazione dei ricavi alla riduzione del debito pubblico; • Data l’inerzia del Ministro, si decise un ulteriore intervento legislativo che, indipendentemente dalla «programmazione», imponeva la cessione delle azioni attraverso due modelli: • La gara, che avrebbe garantito la massimizzazione dei ricavi; • La trattativa ristretta, che invece permetteva di «controllare» i nuovi soci;

  19. La trattativa privata • La l.n. 474/1994 dava però espressa preferenza alla trattativa privata, prevedendo: • l’individuazione di un nucleo di azionisti di riferimento, tramite atto del Governo, da convocare alla procedura ristretta; • Poteva essere previsto a carico degli eventuali acquirenti: • condizioni economiche e gestionali; • Divieto di cessione delle partecipazioni; • Divieto di cessione dell’azienda; • Risarcimento e penali in caso di inadempimento;

  20. La golden share • Il termine "Golden share" (letteralmente "azione dorata") indica l'istituto giuridico, di origine britannica, in forza del quale uno Stato, durante o a seguito di un processo di privatizzazione (o vendita di parte del capitale) di un'azienda pubblica, si riserva dei poteri speciali. E questo indipendentemente dall'effettivo numero di azioni da esso possedute. • La Golden share, com'è ovvio, ha la finalità di tutelare l'interesse della collettività in quelle società attive in settori strategici quali, per esempio, l'energia o la difesa. • È prevista negli ordinamenti giuridici di diversi Paesi europei, introdotta tipicamente negli anni '90 con l'avvio dei primi processi di privatizzazione delle aziende pubbliche. • La quota in mano pubblica può essere al limite ridotta ad una sola azione, simbolica, e conferisce allo Stato un potere sulle scelte strategiche anche quando la privatizzazione è completata. • La sua esistenza, ed utilizzo, è stata contestata dalle autorità comunitarie perché contraria ai principi di libera circolazione dei capitali così come indicata nei trattati di Schengen.

  21. La golden share in Italia • La legge prevedeva, a favore del Ministro del Tesoro, poteri importanti che furono inseriti nello statuto delle SPA privatizzate: • Clausola di gradimento; • Potere di veto; • Diritto di nomina almeno di un amministratore o di un sindaco revisore;

  22. La golden share in Italia • Clausola di gradimento: il Ministro poteva bloccare l’ingresso di soci non graditi, esercitando tale facoltà entro 60 giorni dalla data di iscrizione nel libro dei soci; • Potere di veto: potere del Ministro di vietare il trasferimento, la fusione, la scissione o il mutamento dell’oggetto sociale; • Diritto di nomina: la possibilità di nominare almeno un membro del cda o del collegio sindacale, mantenendo quindi un ruolo importante nella governance della Spa;

  23. I limiti comunitari della Golden Share • Tali poteri vengono generalmente giustificati per il fine «tutoriale» che lo Stato dovrebbe effettuare per la salvaguardia della mission affidata a tali Spa; • Ma la legge non imponeva molte restrizioni alla discrezionalità del Ministro, divenendo quindi lo stesso titolare di un potere capace di incidere, limitandola, sulla libera circolazione dei capitali; • Il legislatore nazionale tentò di modificare la legge imponendo principi e parametri nell’esercizio del potere che lo rendessero coerente con principi di proporzionalità, non discriminazione, tutela di interessi generali.. • La maschera non convinse l’UE;

  24. Le prime ammissioni di «colpa» • Nel 2000, dopo la condanna per violazione del diritto comunitario, la normativa viene ulteriormente modificata prevedendo: • Che i poteri della GS fossero utilizzati solo per motivi di ordine pubblico, sicurezza, sanità e difesa; • La clausola di gradimento dovesse essere finalizzata alla tutela della trasparenza e stabilità del mercato o in caso di pericolo per la continuità del servizio erogato; • Nel 2003, la Commissione risponde con una lettera di messa in mora per le Golden Share detenute in Telecom, Eni, Enel e Finmeccanica;

  25. Il lungo addio.. • Nel 2010, si giunge alla conclusione della “golden share”, bloccando la procedura di infrazione avviata dall'Unione Europea. • E' stata infatti modificata la disciplina e, in particolare, i poteri speciali; • La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 26 marzo 2009, C-326/07 ha giudicato incompatibili con la normativa comunitaria i poteri speciali detenuti dallo Stato italiano in Telecom Italia, Eni, Enel e Finmeccanica; • In particolare, secondo la Commissione, la violazione consisterebbe nel fatto che il decreto del 2004 non specificherebbe in modo sufficiente i criteri di esercizio dei “poteri speciali”, non permettendo agli investitori di conoscere le situazioni in cui detti poteri verranno utilizzati, e mantenendo «ampi poteri discrezionali nel giudicare i rischi per gli interessi vitali dello Stato»

  26. Dalla Golden Share alla lotta contro le cd «scalate ostili» • La lotta per la conservazione del controllo industriale ed economico dello Stato pare essersi spostato sul piano finanziario; • Come Spagna e Francia, l’Italia ha previsto degli strumenti di difesa a favore dei c.d. «campioni nazionali», ovvero di società strategiche con rilevante partecipazione pubblica; • La legge prevede che tali spa possano emettere azioni o strumenti finanziari partecipativi con diritto di voto ma con diritti ridotti per la distribuzione dei dividendi.

  27. SPA partecipate..mostri giuridici • In mancanza del processo di privatizzazione calda, molte spa, anche quotate, sono ancora di controllate dallo Stato, come nel caso di Enel, Eni, Poste Italiane e Rai; • Sono giuridicamente private ma sostanzialmente pubbliche, godendo di un regime derogatorio rispetto al CC e al TUIF; • Sono funzionalmente degli «organismi di diritto pubblico», quindi sottoposte alla normativa sull’evidenza pubblica; • Sottoposte al controllo del giudice amministrativo e della Corte dei Conti; • Hanno obblighi e limiti che le rendono meno concorrenziali ma occupano una posizione predominante, per non dire dominante nel mercato, impedendone quindi lo sviluppo concorrenziale.

  28. Privatizzate partecipate • È vero che con l’abrogazione del vecchio sistema delle partecipazioni statali e la scomparsa delle sue strutture portanti (Ministero delle Partecipazioni statali, enti di gestione e società capogruppo) le nuove società a partecipazione pubblica non sono più soggette a direttive vincolanti né a controlli; • Ma il loro indirizzo verso certi obiettivi non esclusivamente lucrativi è condizionato dal peso partecipativo pubblico. • Finché non si provvederà alla dismissione delle azioni, il Ministero del Tesoro, su cui si concentra l’intero pacchetto azionario, è tenuto alla loro gestione esercitando in via esclusiva i diritti di azionista, sia pure d’intesa con i ministri dell’Industria e del Bilancio. • Nella fase attuale di privatizzazione non risulta, pertanto, agevole l’inquadramento giuridico di tali società tra quelle di diritto comune disciplinate dagli artt.2247 ss c.c.; • Si pone, pertanto, un dubbio: assecondare la veste giuridica di tali società per azioni, applicando le regole del diritto comune, ivi compresa quella della responsabilità illimitata dell’unico azionista (art.2352 cc.), ovvero ritenere che conservino i connotati pubblicistici e debbano perciò essere assoggettate ad un regime di diritto pubblico?

  29. BANCA D’Italia 2008 • Lo statuto della Banca Centrale all'articolo 3 specifica le tipologie giuridiche dei soggetti che possono detenere quote del capitale sociale. Prima della revisione del 12 dicembre 2006, lo stesso articolo indicava invece che il pacchetto di controllo doveva essere detenuto da soggetti pubblici. • La legge 28 dicembre 2005, n. 262, prevedeva all'articolo 19, comma 10: è ridefinito l’assetto proprietario della Banca d’Italia, e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici. • La distribuzione delle quote è rimasta sostanzialmente invariata dal 1948 ad oggi, e gli unici cambiamenti sono stati dovuti alle acquisizioni e fusioni bancarie avvenute nel frattempo. Al 31 gennaio 2008 l'elenco dei principali partecipanti, indicato sul sito, è il seguente: • Partecipante Quote Voti • Intesa Sanpaolo S.p.A. 30,3% 50 • UniCredito Italiano S.p.A. 22,1% 50 • Assicurazioni Generali S.p.A. 6,3% 42 • Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. 6,2% 41 • INPS 5,0% 34 • Banca Carige S.p.A. 4,0% 27 • Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. 2,8% 21 • Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. 2,5% 19 • Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli S.p.A. 2,1% 16 • Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza S.p.A. 2,0% 16 • Si può osservare come il numero di voti non sia proporzionale al capitale detenuto, per evitare sia eccessive frammentazioni che eccessive concentrazioni nell'esercizio del diritto di voto.

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