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NICCOLÒ MACHIAVELLI A cinquecento anni dalla redazione del Principe. Dalla lettera al Vettori del 12 dicembre del 1513 . Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e
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NICCOLÒ MACHIAVELLI A cinquecento anni dalla redazione del Principe.
Dalla lettera al Vettori del 12 dicembre del 1513. Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo havere inteso - io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo De principatibus; dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto, disputando che cosa è principato, di quale spezie sono, come e' si acquistono, come e' si mantengono, perché e' si perdono. E se vi piacque mai alcuno mio ghiribizzo, questo non vi doverrebbe dispiacere; e a un principe, e massime a un principe nuovo, doverrebbe essere accetto: però io lo indirizzo alla Magnificentia di Giuliano. Filippo Casavecchia l'ha visto; vi potrà ragguagliare in parte e della cosa in sé e de' ragionamenti ho hauto seco, ancora che tutta volta io l'ingrasso e ripulisco.
La prima critica e il primo elogio di Machiavelli - scritti ambedue in lingua latina – lo qualificano come «ignorante».
«Considerando adunque tutte queste cose, si vede come a' legislatori di Roma era necessario fare una delle due cose a volere che Roma stesse quieta come le sopradette republiche: o non adoperare la plebe in guerra, come i Viniziani; o non aprire la via a' forestieri, come gli Spartani. E loro feciono l'una e l'altra; il che dette alla plebe forze ed augumento, ed infinite occasioni di tumultuare. Ma venendo lo stato romano a essere più quieto, ne seguiva questo inconveniente, ch'egli era anche più debile, perché e' gli si troncava la via di potere venire a quella grandezza dove ei pervenne: in modo che, volendo Roma levare le cagioni de' tumulti, levava ancora le cagioni dello ampliare. Ed in tutte le cose umane si vede questo, chi le esaminerà bene: che non si può mai cancellare uno inconveniente, che non ne surga un altro. » (Disc., I, VI, 17-20).
Certamente Machiavelli non disponeva di alcun tiolo di dottore. Era figlio di un dottore in legge, ma non si era addottorato né in legge, né in Teologia né in Diritto canonico. I titoli che mette avanti nella dedica a Lorenzo di Piero de’ Medici sono seccamente due : “la lunga esperienza delle cose moderne” – quella che aveva maturato come diplomatico e come segretario – e la “lezione delle antique” – la lunga riflessione sulle Storie. Lo sguardo di Machiavelli dispone di stimoli – l’ammirazione per la città antica – ma non dispone di filtri, è diretto sulle cose. Machiavelli, da un lato guarda alla religione cristiana come inadatta a creare i presupposti per rinnovare i destini di nobiltà e di gloria che si erano consumati con Roma (come incisivamente commenterà I. Berlin, “scegliere di condurre una vita cristiana significa condannarsi all’impotenza politica”; dall’altro lato, analizza l’uomo portando in primo piano le dimensioni del calcolo e della scelta, che si compie affermando alcuni valori e negandone altri, senza possibilità di composizione armonica o di stratificazione gerarchica predefinita. Scompare del tutto – e tanto meno è ricercata - la possibilità della composizione delle virtù, e della loro ordinatio ad unum che nell’universo scolastico conduceva fino a Dio attraverso la struttura della creazione.
a. per cominciare la religione – osservata dal punto di vista del politico – è un legame sociale imprescindibile, che va assolutamente conservato. b. dal punto di vista del politico la religione non va riguardata sotto il profilo del suo valore di verità, ma per la capacità sua di rendere stabili i comportamenti sociali. In questo senso Machiavelli non è certamente un pluralista – il problema della convivenza di diversi culti e di diverse religioni in uno stesso stato gli è del tutto estraneo; però, certamente è un relativista. c. alcune religioni sono più funzionali di altre allo sviluppo di modelli politici storicamente vincenti e gloriosi: per esempio il cristianesimo è incompatibile, secondo il Machiavelli dei Discorsi con la virtù antica, e dunque con l’orgogliosa difesa della libertà politica da parte dei cittadini.
Proviamo a entrare nel vivo delle sue idee, in questo caso, anche in virtù della ricorrenza con particolare riferimento al Principe. a. Qual è l’oggetto dell’analisi: ”la cognizione delle azioni degli uomini grandi”. b. Quali sono gli strumenti dell’analisi: ”la lunga esperienza delle cose moderne e una continua lezione delle antiche” c. Qual è il mezzo espressivo: una lingua asciutta secca, incisiva, ma in fondo assai poco ornata e tanto meno “ciceroniana”. d. Chi è il soggetto che compie l’analisi: è un “popolare” , perché si comprende meglio il principe quando lo si guarda da posizione distaccata: “a conoscere bene la natura dei principi conviene essere populare”.
A partire dalle opere di Machiavelli, del suo modo specifico di presentare i temi storico-politici, viene meno il fondamento di qualsiasi visione monistica del mondo. Dall’altro lato, data la pluralità degli universi sociali, è necessario constatare che ognuno di essi, in quanto esiste, comporta l’esclusione, o se si vuole la rinuncia a tutti gli altri possibili. Come scrisse Isaiah Berlin: “La conquista capitale di Machiavelli è … l’aver portato alla luce un dilemma insolubile, l’aver piantato un punto interrogativo permanente sulla via della posterità. Esso deriva dal suo riconoscimento de facto che fini altrettanto ultimi, altrettanto sacri, possono contraddirsi reciprocamente, che interi sistemi di valori possono entrare in collisione senza che sia possibile un arbitrato razionale … come parte della normale condizione umana.” (BERLIN I., L’originalità di Machiavelli, in Controcorrente, Milano Adelphi, 2000, p. 106.)
Quando Machiavelli ci parla della “lunga esperienza delle cose moderne e [di]una continua lettura delle antiche”, proprio non è il caso di interpretare il passo come se si trattasse di una esibizione retorica. Egli prende in esame i casi che gli si prospettano nella sua attività di diplomatico e di segretario e quelli che ha letto nelle storie degli antichi come due serie di eventi, due repertori adatti ad effettuare comparazioni termine a termine. • Machiavelli si sforza effettivamente di costruire tipologie che valgano come criteri e indicatori specifici: egli vorrebbe costruire degli strumenti di analisi che vadano oltre le circostanze e le contingenze. Il suo modo di leggere gli eventi non è né provvidenzialista né storicista (benché non sfugga del tutto ai pregiudizi di un altro modello: quello ciclico). In particolare le opportunità di sopravvivenza di un principato nella storia dipendono da alcuni fattori precisi: • - sono condizionate dalla loro origine, la quale già di per sé offre maggiori risorse o maggiori difficoltà; • - sono condizionate dal contesto internazionale, per la diverse minacce che presenta, ma anche per le diverse opportunità che offre; • - sono condizionate dalla natura del conflitto interno fra il popolo e gli ottimati, che d’altra parte può configurarsi come una risorsa nella forma che si realizza a Roma (almeno prima della legge agraria), oppure presentarsi come una minaccia come nel periodo che segue (minaccia che d’altra parte opera in forma continua in tutta la storia di Firenze).