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Modulo I Parte I. L’antropologia culturale Etimologia e storia. Etimologia. L' etimologia è divenuta ormai una scienza. È la branca della filologia che cerca l'origine delle parole , attraverso lo studio dei testi antichi e il confronto tra diverse lingue.
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Modulo IParte I L’antropologia culturale Etimologia e storia
Etimologia L'etimologia è divenuta ormai una scienza. È la branca della filologia che cerca l'origine delle parole, attraverso lo studio dei testi antichi e il confronto tra diverse lingue. Noi vogliamo esercitarla al modo di Isidoro di Siviglia, che nel periodo più buio del Medioevo, quello in cui tutto il sapere fino ad allora accumulato era a rischio di scomparsa, si mise a scrivere le Etymologiae.
Isidoro di Siviglia Isidoro di Siviglia (570 ca.-636) vive nel regno visigoto, appena unificato sotto l’egida cattolica del re Recaredo (589 d.C.). Egli scrive le Etymològiae (615-636 d. C.), un’opera enciclopedica in 20 libri, che tratta dei più vari argomenti a partire dalla individuazione dell’origine (etimologia) delle parole stesse.
Le Etymològiae L’intento di tale tentativo titanico era quello di «cogliere la realtà intera attraverso la determinazione dell’origine dei vocaboli che ne costituiscono il corpo visibile e caduco». La speranza era quella di «scardinare una volta per tutte le porte oscure dell’incomprensione ed entrare con passo sicuro nel regno luminoso dell’unità: unità di parole, unità di pensiero, unità di cuori». (A. Valastro Canale, Introduzione alle Etimologie o Origini, 2 voll., UTET, Torino 2004)
Parola ed espressione Esordiamo riflettendo sulle parole, perché il linguaggio rappresenta la qualità umana più specie-specifica. Secondo Max Scheler (1874-1928), c’è una differenza essenziale tra espressione e linguaggio. Cfr.: brano in Pdf sul tema, tratto dal saggio di M. Scheler, L’idea dell’uomo (1913).
Etimologia (1) • Due mondi si concentrano • nell’espressione «antropologia culturale» • il mondo greco: • «antropologia»,daànthropos + lògos • uomo + discorso razionale • (in effetti Erodoto di Alicarnassoè considerato • il fondatore degli studi antropologici) • - il mondo latino: • «culturale», dal lt. còlere = coltivare
Erodoto Erodoto (Alicarnasso 484 a.C.-Atene 425 a. C.) nelle sue «Storie» descrive i costumi, le tradizioni, le religioni, le abitudini di moltissimi popoli dell’antichità, con cui era venuto direttamente o indirettamente in contato, nel corso dei suoi viaggi. Nella sua opera si riscontrano già i due atteggiamenti con cui ogni antropologo deve sempre combattere: l’etnocentrismoe il relativismo culturale
http://it.wikipedia.org/wiki/Erodotohttp://dariosoldani.interfree.it/erodoto/home.htmlhttp://it.wikipedia.org/wiki/Erodotohttp://dariosoldani.interfree.it/erodoto/home.html L. VI – sconfitta dei Persiani da parte dei Greci a Maratona L. IV- usanze funebri dei Galati e dei Greci
Etnocentrismo (1) È la posizione culturale di chi considera la propria cultura per modi, stili, abitudini e tradizioni, superiore alle altre con cui viene in contatto. Si tratta di una posizione che ostacola i rapporti reciproci e l’incremento antropologico, che spontaneamente ne deriva. Di qui, il suffisso peggiorativo–ismo, con cui viene denominata.
Etnocentrismo (2) • Bisogna distinguere dal peggiorativo «etnocentrismo», l’atteggiamento di etnocentratura,molto comune tra le popolazioni e addirittura indispensabile, al pari dell’autostima a livello individuale,per istaurare positive relazioni con gli altri e promuovere il reciproco incremento antropologico. • La maggior parte delle etniesi autodefinisce infatti «popolo degli uomini», escludendo inizialmente dall’umanità gli altri gruppi diversi dal proprio. • i Cheyenne chiamavano se stessi «gli uomini», mentre indicavano i Dakota con l’espressione «volpi» (Sioux) • i Bantu sono «uomini» • i Masai «uomini guerrieri» • gli Inuit «uomini cacciatori» • il Celeste Impero, Chin, è «il centro» dell’universo.
Etnocentrismo (3) L’etnocentrismo di cui l’antropologo cerca di liberarsi è l’atteggiamento per cui si tende a giudicare le forme morali, religiose e sociali di un’altra comunità sulla base della conformità alle proprie norme e a considerare le differenze riscontrate come anomalie. Anche l’esotismo, in quanto culto del pittoresco che sottolinea le curiosità e le bizzarrie degli altri può virare verso l’etnocentrismo, quando è accompagnato da un atteggiamento di svalorizzazione , e verso il vero e proprio razzismo quando produce rifiuto e ostilità.
Erodoto e l’etnocentrismo Erodoto non incorse nell’etnocentrismo, ma assunse una esemplare posizione d’equilibrio nella valorizzazione della propria e dell’altrui cultura. Fu spesso considerato un filo-barbaro, perchè la sua curiosità naturale gli faceva valorizzare e considerare in maniera positiva le tradizioni culturali degli altri popoli. Tuttavia egli non si sottrasse dall’ affermare la grandezza dei Greci soprattutto nei confronti dei Persiani. Riportò infatti il testo della stele innalzata per celebrare gli eroi di Maratona, in cui si legge: «Qui diecimila valorosi vinsero un esercito di un milione di nemici».
Etnologia e antropologia L’idea stessa di «etnologia» può essere portatrice di etnocentrismo, nella misura in cui il suo campo di applicazione, l’etnia, venga ristretto a gruppi umani uniti in un sistema considerato chiuso e tale da non avere nulla a che fare con il nostro. Per etnia si intende generalmente una popolazione (=ethnos), con un nome proprio (etnonimo), i cui componenti si richiamano ad un’origine comune e che possiede una tradizione culturale specificata dalla coscienza di appartenenza a un gruppo, la cui unità poggia sulla comunanza di lingua, di territorio e di storia. La nozione di etnia è molto rigida e di difficile storicizzazione. Poiché, oggi, nessuna società è più una etnia in senso proprio si preferisce utilizzare il termine antropologia.
Etnologia e antropologia (1) • Gli studi antropologici hanno attraversato varie tappe prima di acquisire la loro denominazione attuale: • Etnologia=analisi e interpretazione dei materiali precedentemente raccolti. Elaborazione di modelli comparativi (denominazione introdotta dallo studioso svizzero Edouard Chavannes nel 1787, per indicare la storia naturale dell’uomo ovvero lo studio di quei «fossili viventi» che sono le società primitive) • Etnografia= raccolta di dati e documenti, loro prima descrizione empirica, traduzione e classificazione dei fatti umani ritenuti utili per la comprensione di una società o istituzione (denominazione introdotta dallo storico B. G. Niebuhr, nel 1810).
Etnologia e antropologia (2) 3) la denominazione “antropologia”, che comporta un grado di generalizzazione più elevato, si è affermata intorno al XX sec., distinguendosi subito in: a) antropologia sociale= di scuola britannica, interessata a individuare le leggi della vita in società e dedicata soprattutto all’osservazione del funzionamento delle istituzioni sociali (famiglia, parentela, politica, procedure legali…) b) antropologia culturale= nata negli Stati Uniti con F. Boas. Si interessa alle questioni poste dal relativismo culturale, per giungere a fornire una sintesi dell’attività sociale specie nei fenomeni di trasmissione della cultura.
Etnologia e antropologia (3) c) l’antropologia filosofica è un discorso teorico sull’uomo d) l’antropologia fisica è lo studio biologico e fisico dei caratteri razziali, ereditari, sessuali e relativi all’alimentazione dell’uomo; comprende l’anatomia, la fisiologia, la patologia comparata, lo studio dell'evoluzione umana e del rapporto dell’uomo con gli altri primati.
Il relativismo culturale (1) - Rappresenta l’atteggiamento di chi, nel rapporto con l’altro, si ferma alla rilevazione delle differenze, assolutizzandone la distanza e considerandole perciò insuperabili. - Si tratta, come la parola documenta con il suffisso –ismo che la costituisce, dello stato peggiorativo della condizione di relatività culturale, propria di ogni cultura, imprescindibilmenteespressiva di gruppi umani determinati e specifici. - Riconoscere la relatività culturale non implica affatto chiudere ciascuna cultura nell’autoreferenzialità dei suoi confini, come tende a fare il relativismo. - Al contrario, la posizione equilibrata di relatività culturale, valorizzando le differenze, apre al confronto tra differenti e promuove lo scambio reciprocamente incrementante.
Relativismo culturale (2) Erodoto non incorse nel relativismo culturale. Egli assunse, infatti, una posizione di riconoscimento equilibrato della relatività culturale, come documentato dalla descrizione comparativa delle usanze funebri di Greci e Galati, che riporta nelle sue Storie.
Relativismo culturale (3) E’ costume funerario dei Galati, piangere il morto, disporlo sopra un tavolo su un bianco sudario, continuare i pianti e le lamentazioni, e poi cibarsi del corpo del morto per introiettare la sua forza e la sua anima. Questa usanza fa orrore a un Greco, il quale come abitudine funeraria costruisce una catasta di legno, vi pone sopra il corpo del defunto, e brucia il tutto mentre organizza giochi ginnici intorno alla pira per onorare lo spirito del defunto, così come fece Achille per venerare Patroclo morto. Erodoto continua osservando che anche a un Galata farebbero orrore gli usi funerari dei Greci, che bruciano e disperdono il corpo del defunto.
Relativismo culturale (4) A questo punto, anziché ridursi nella reciproca autoreferenzialità culturale propria del relativismo culturale, Erodoto conclude osservando che alla base delle opposte usanze,c’è e resta comunque la comune e condivisa esigenza umana di prestare onoranze funebri ai propri defunti. Da queste considerazioni possiamo ricavare due idee-guida: per un verso Erodoto mette in risalto la differenza delle usanze funebri, dall’altro ribadisce che in ogni società esistono modalità per segnare, marcare e sacralizzare il passaggio dalla vita alla morte. Abbiamo così coniugate insieme e, perciò, coinvolte nel rapporto di reciproca costruttività antropologica, tanto la particolarità specifica delle usanze funerarie, quanto la loro universalitàantropologica, che apre alla possibilità del confronto arricchente.
Cultura come agricoltura L’etimo latino della parola ci riporta all’età neolitica, al tempo in cui i nostri avi abbandonarono la vita nomade e cominciarono a vivere stabilmente/abitare in un luogo, in cui potevano praticare la coltivazione dei campi o agricoltura. Cfr.: La scoperta dell’agricoltura nel neolitico (Pdf)
L’esperienza della coltivazione Quale fu la conquista culturale, determinata dalla scoperta dell’agricoltura? Gli uomini sperimentarono ed appresero che la natura, sottoposta alle loro cure, “fioriva”, fruttificando secondo una fecondità impensabile nel suo stato selvaggio.
Estensione del significato della Cultura A seguito dell’esperienza sorprendentemente positiva della coltivazione dei campi, gli uomini estesero la pratica della coltivazione o curaanche alla natura in sé e nei propri simili. Fu così che in una società di agricoltori come quella della Roma delle origini, l’uso del verbo còlere fu esteso ad ambiti specificamente antropologici quali quello del culto dei morti e dell’educazione delle giovani generazioni.
L’agricoltura presso i Romani (1) «Apud Romanos bonus civis bonus colonus erat. Presso i Romani il buon cittadino era contadino. Bonus colonus agros colebat magna cum diligentia terram Ilbuon contadino coltivava i campi con grande diligenza, laetamine conspergebat, subigebat aratro, cospargeva la terra di letame, la dissodava con l’aratro, rastro glebas aequabat, a saxis et malis herbis purgabat. con il rastrello pareggiava le zolle, le ripuliva dai sassi e dalle erbe cattive. Ita magnam hordei et frumenti copiam percipiebat. Così otteneva una grande quantità di orzo e frumento.
L’agricoltura presso i Romani (2) Agricola sedulous etiam vineas colebat L’agricoltore solerte coltivava anche le vigne et frugiferas plantas ut malos, piros et cerasos. e le piante da frutto come i meli, i peri e i ciliegi. Agricololarum villae abundabant porcis, haedis, Le cascine degli agricoltori abbondavano di maiali, di capretti agnis, gallinis, caseo et habebant di agnelli, di polli, disponevano anche di formaggio sed etiam in pugnis victoriam magna audacia obtinebant» ma pure nelle battaglie conseguivano la vittoria con grande audacia»
Importanza dell’agricoltura presso i Romani La storia dei Romani documenta il loro apprezzamento per l’agricoltura, considerata il paradigma di ogni costruttività umana. Cfr.: materiale Word sugli antichi Romani e sulla fodazione di Roma
Cultura (1) • Il sostantivo cultus, tratto dal participio passato del verbo còlere, venne a indicare non solo il «coltivare» i campi, il «far crescere» le colture, ma anche la cura in generale per qualcosa e in senso specifico • tanto il servizio religioso verso i defunti e gli dei, quello cioè che tuttora chiamiamo «culto», • quanto la coltivazione degli esseri umani, in particolare dei giovani, cioè la loro «educazione»= «far venir fuori/far fiorire l’umanità». • Da quest’ultima accezione proviene il valore della cultura nel suo senso moderno più generale: il complesso delle conoscenze, tradizioni e saperi,usi e costumi, che ogni popolo considera fondamentali, e in quanto tali meritevoli di essere trasmessi alle generazioni successive.
Cultura (2) Così in antropologia si parla di culture orali in riferimento a quelle società in cui la trasmissione delle conoscenze è affidata alla memoria degli anziani; e archeologi, storici e antropologi denominano cultura materiale l’insieme dei manufatti prodotti da una popolazione, grazie ai quali è possibile ricostruirne modi di vita e credenze, come ciascuno di noi può comprendere visitando un museo archeologico o etnografico.
Cultura (3) Nella nostra civiltà occidentale, fondata su una pratica millenaria di scrittura, il concetto di cultura è venuto però a sovrapporsi largamente al pieno possesso dell’alfabetizzazione, ed in pratica alla conoscenza di quanto depositato nei libri. Nella mentalità corrente si è arrivati a considerare persone colte o addirittura uomini di cultura coloro che hanno letto tanti libri. E anche nella definizione delle lingue di cultura del passato o attuali è prevalente il collegamento a importanti tradizioni letterarie scritte.
Cultura (4) Tuttavia, anche in società come la nostra, la cultura non si identifica esclusivamente con le tradizioni scritte: si pensi a culture di massa come quelle attuali, in cui attraverso i grandi mezzi di comunicazione si è affermata una multimedialità sempre più intensa, che unisce codice linguistico, soprattutto parlato, immagine e suono. Non a caso la denominazione, coniata in tempi molto recenti, di beni culturali si estende non solo al patrimonio librario di una nazione, ma a tutta la sua arte, e addirittura all’ambiente.
Cultura (5) D’altro canto, nel nostro «villaggio globale», si sono ampliati e moltiplicati i processi di acculturazione e soprattutto di fusione fra culture dipopoli e razze, anche assai lontani. Certo, il rapporto con l’altro, il diverso, può essere fonte di conflitti: ma la storia ci mostra che la chiusura verso l’esterno non solo caratterizza in realtà una sottocultura, ma è alla lunga insostenibile e dannosa. Ed è proprio ciò che la cultura ci insegna a evitare.
Storia Per tutta l’antichità greco-romana abbiamo documenti a contenuto etno-antropologico. Il De bello gallico di Giulio Cesare (8 libri scritti fra 58 e il 50 a.C.) è denso di considerazioni sulla cultura, la religione, gli usi e i costumi dei Galli. Del resto, in epoca romana, conoscere i popoli diversi, che venivano conquistati militarmente fu necessario, per organizzare l’amministrazione dell'impero. Dalla caduta di Cartagine (intorno al 146 a.C.), Roma si trovò alla testa di un impero immenso, delle cui popolazioni ignorava quasi tutto. Rapidamente la sua metodica amministrazione permise di raccogliere informazioni su vari paesi soggetti e su quelli che intendeva assoggettare.
Storia (1) La modalità della ricerca etnoantropologica greco-romana fu raccolta dagli Arabi, anch’essi desiderosi di conoscere i popoli che, attraverso la loro diaspora vittoriosa, andavano islamizzando. Masudi, intellettuale arabo, viaggiò in Africa, in India, in Madagascar e raggiunse la Cina, scrivendo le sue notazioni etno-antropologiche nell’opera che porta il titolo I prati d’oro. Ibn Khaldum (1332-1406) affrontò non solo la descrizione di popoli e costumi diversi, ma problemi come i rapporti tra ambiente naturale, razza, tecniche e generi di vita, temi che verranno riconsiderati solo alla fine del XIX secolo.
Storia (2) Con l’affermarsi del Cristianesimo si determinò “un modo relativamente nuovo di intendere i diversi, rispetto alla filosofia greca”; Un modo che sottolineava “l’universalità della natura umana di fronte a Dio. Questa posizione metteva in crisi la distinzione fra popoli civili e popoli barbari” (Carlo Tullio-Altan, Manuale di Antropologia Culturale, Bompiani, Milano, 1971, p. 22).
Storia (3) In Europa intanto mercanti e missionari prevalentemente italiani furono i primi “artigiani” della tecnica di ricerca antropologica. - Giovanni del Pian del Carpine (1182-1251) viaggiò tra i Mongoli e si spinse fino al Karakorum, lasciando una Storia dei Mongoli, che offre una descrizione delle popolazioni mongoliche estremamente accurata. - I mercanti ebbero in Marco Polo, chi li rappresentò in modo brillante con il famosissimo testo Il Milione. Marco Polo visitò la Cina, l’India, il Giappone e visse a lungo al servizio di Kubilay Khan, signore mongolo della Cina tra il 1270 e il 1290.
Storia (4) Le nuove scoperte geografiche, in particolar modo quella delle Americhe, aprirono uno spazio sconfinato all’analisi e alla descrizione di popoli altri e diversi. La colonizzazione distrusse molte culture, ma ci fu anche chi reagì contro questi disastri, e pazientemente raccolse tradizioni e costumi dei popoli delle Americhe. Padre Bartolomeo de las Casas (1474-1566) offre una testimonianza polemica della colonizzazione spagnola scrivendo Storia apologetica degli Indiani, in cui difende i nativi dalla deculturazione e dall’invasione europea. Allo stesso modo Garcilaso de la Vega, storico ispano-peruviano redasse un testo sulla cultura degli Incas, pubblicato intorno al 1610. Il gesuita Giuseppe d’Acosta redasse in Perù la Storia naturale e morale delle Indie.
Garcilaso de la Vega Uno dei primi "meticci" del Nuovo Mondo, Garcilaso de la Vega (1539-1616) detto «El Inca», (il cui vero nome era Gómez Suárez de Figueroa) fu un famoso scrittore di tematiche riguardanti il popolo inca. Era il figlio del conquistador spagnolo Sebastián Garcilaso de la Vega e della principessa inca Isabel Suárez Chimpu Ocllo, che era una discendente del potente sovrano inca Huayna Capac. Come parlante nativo quechua nato a Cuzco, De la Vega scrisse resoconti della vita inca, della storia del popolo e della conquista ad opera degli spagnoli.
Garcilaso de la Vega (1) Il suo capolavoro, il libro intitolato Comentarios Reales de los Incas (1609), è basato sulle storie che egli aveva sentito raccontare dai suoi parenti inca quando era bambino a Cuzco. I Comentarios contengono due sezioni: - la prima riguardante la vita degli Inca, - la seconda tratta della conquista spagnola del Perù. Molti anni dopo, quando la guerriglia di Tupac Amaru II (José Gabriel Condorcanqui, 1738- 1781) aveva molta presa, un editto reale di Carlo III di Spagna proibì la pubblicazione dei Comentarios, a Lima, per i contenuti considerati pericolosi. Il libro da allora non fu più stampato in America fino al 1918, ma continuò a circolare clandestinamente.
Meticcio Con il termine meticcio si definivano in origine gli individui, nati da un genitore bianco e da un genitore indio. I meticci, che presentano carnagione olivastra, occhi e capelli scuri nascevano dall'incrocio fra i conquistadores europei, solitamente di origine spagnola o britannica, e le popolazioni indigene precolombiane. Attualmente il termine viene usato anche in senso generico, indicando individui nati dall'incrocio di due razze diverse.
Storia (5) Il Settecento fu l’epoca delle grandi spedizioni organizzate con impegno da specialisti nei vari rami della botanica, della zoologia, della geografia e della medicina. Nel Settecento si completò la scoperta delle terre non conosciute con le spedizioni in Oceania, in cui primeggiò il capitano James Cook, che ci lasciò un resoconto del suo viaggio nell’Oceano Pacifico. Come è noto, Cook fu ucciso dagli hawaiani, durante una complessa situazione in cui il capitano fu scambiato per il dio locale Lono.
L’esotismo Il Settecento fu il secolo delle grandi scoperte geografiche e contemporaneamente della passione per l’esotismo, che può essere considerata la «spinta sentimentale» che portò alla complessa, vasta e contraddittoria elaborazione della scienza etnoantropologica. Non a caso, Charles de Secondat, barone diMontesquieu (1689-1755), nelle sue Lettere persiane(1721), si servì di un persiano come protagonista di dialoghi che criticavano la società del suo tempo. La civiltà europea appariva al persiano “illuminista” arbitraria, convenzionale e fortuita in confronto ai costumi e ai modi di vita della sua civiltà esotica.
Le lettere persiane L'opera comprende 161 lettere, scritte da tre giovani persiani immaginari, Usbek, Rica e Rhedi, che viaggiano in Europa e soggiornano per un lungo periodo in Francia, tra il 1712 e il 1720, scambiando con i loro amici e familiari orientali, una ricca corrispondenza. La loro ironia si appunta sull'irrazionalità delle istituzioni e del sistema politico francese, sulle ingiustizie e le malversazioni, cui sono sottoposti i sudditi, sul fanatismo che ne avvelena l'esistenza. Benché lucidamente critico sulle nefandezze dell'assolutismo europeo, il saggio Usbek non sa riconoscere le più tetre forme del dispotismo orientale, di cui egli stesso è responsabile. Nell' harem che ha lasciato per venire in Europa, le sue amanti sono segregate, prigioniere di eunuchi cinici e spietati. Roxane, la donna che egli ama, gli farà capire con una lettera drammatica le reali condizioni di vita dell' harem.
Roxane «Sì, ti ho ingannato: ho sedotto i tuoi eunuchi, mi sono presa gioco della tua gelosia, ho saputo fare un luogo di delizia e di piaceri del tuo orribile serraglio. […] Come mi hai potuto stimare tanto credula da convincermi che io ero al mondo solo per assecondare i tuoi capricci e che tu, mentre ti permettevi tutto, avevi il diritto di contristare tutti i miei desideri? No! Io ho potuto vivere nella schiavitù, ma sono rimasta sempre libera: ho riformato le tue leggi su quelle della natura, e la mia anima si è sempre mantenuta indipendente. […] Eravamo entrambi felici: tu mi credevi ingannata, ed io ti ingannavo. […]Ma è finita: il veleno mi consuma, la forza mi abbandona, la penna mi cade di mano; sento affievolirsi fino il mio odio: io muoio». Dal serraglio di Ispahan, il giorno 8 della luna di Rebiab 1, 1720.
Storia (6) L’interesse degli illuministi non era di identificare le reali condizioni di vita dei popoli, quanto di contestare le condizioni della loro stessa società, che veniva criticata sulla base del mito di uno stato selvaggio, in cui l’uomo era originariamente felice. Il mito si alimentò al di fuori delle reali esperienze etnografiche, che erano piuttosto patrimonio di pochissimi ricercatori. L’uomo naturale o «buon selvaggio» fu il termine di paragone continuo, che J. J. Rousseau propose , nella sua polemica con lo Stato assolutista e feudale e con l’intera tradizione del suo tempo, contro l’uomo artificiale e sociale. La sua convinzione era che la società avesse inferto all’umanità le più profonde ferite e che i mali della convivenza derivassero dalle organizzazioni politiche.
J. J. Rousseau (1712-1778) L'idea centrale della filosofia di Rousseau è che ogni uomo nasce buono e giusto e, se diventa ingiusto, la causa è da ricercare nella società, che ne corrompe l'originario stato di purezza, favorendo il pensiero razionale che porta al freddo calcolo e al cinismo tipico delle civiltà moderne. Lo stato originario di purezza è il cosiddetto «stato di natura», ovvero la condizione propria del «buon selvaggio», che vive assecondando la sola legge naturale del proprio istinto. L’istinto si armonizzerebbe, naturalmente e necessariamente, con le esigenze della realtà circostante, mentre tutta la struttura morale delle società civili implicherebbe l’ imposizione arbitraria e artificiale di un codice di comportamento, che andrebbe a sovrapporsi, cancellandolo, a quello stato di correttezza morale innata. '
La Société des Observateurs de l’Homme Nel 1799, al moltiplicarsi dei resoconti di viaggi e al culmine dell’istanza antropologica comparativa, viene fondata laSociété des Observateurs de l’Homme, che si propone di effettuare comparazionitra i popoli dell’antichità, i selvaggi e gli indigenti, p. es. i sordomuti. Nel 1800, Joseph Marie De Gérando (1772-1842) scrive una guida per tale ricerca, intitolata: Considérations sur le diverses méthodes à suivre dans l’observation des peuples sauvages. Il discorso antropologico, fin qui svolto surrettiziamente ad intenti extra-scientifici, si muove lentamente in direzione dell’acquisizione di uno statuto epistemologico per l’antropologia.
Modulo IParte II Statuto epistemologico dell’antropologia
Lo statuto epistemologico dell’antropologia • L’antropologia conquista il proprio statuto epistemologico • - distinguendosi dalle discipline contigue • perseguendo lo studio del proprio oggetto, • secondo il propriometodo, • producendo monografie.
Antropologia e discipline contigue • Antropologia e sociologia • Antropologia e storia • Antropologia e etnolinguistica • Specializzazioni
Antropologia e sociologia • Si possono considerare «sorelle quasi gemelle» • a) La sociologia nasce nel XIX sec. in Francia ad opera di A. Comte e a seguito delle esigenze di riorganizzazione socio-culturale, indotte dalle rivoluzioni politiche e industriali dell’età post-napoleonica riformismo sociale+filosofia • L’antropologia nasce poco dopo dalla saldatura tra l’interesse romantico per l’esotico, il progetto kantiano di un’antropologia filosofica e l’impresa coloniale spirito antiquario e storia naturale • - Entrambe sono imperniate su: • ricerche classificatorie, schemi evolutivi • valorizzazione tipologica di razze e etnie, • - Entrambe sostengono l’azione di riforma sociale • e mirano a «civilizzare» i cosiddetti primitivi.