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Tahar Ben Jelloun. Leila El Falahi VB Liceo scientifico E.Fermi.
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Tahar Ben Jelloun Leila El Falahi VB Liceo scientifico E.Fermi
“Io non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue, di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti. Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.”
“Evacuo nella scrittura le fantasie e la follia. Metto nelle parole tutto quello che posso. Mi lascio tentare. Mi lascio andare. Per vanità. Per debolezza.”
“Io sono uno scrittore che dice cose sgradevoli sulla società, sull’umanità, non sono uno scrittore gentile, perché penso che la letteratura deve essere feroce come Caravaggio con la Maddalena, che in apparenza è saggia ma che dietro nasconde altri dipinti in cui Caravaggio è stato di una brutalità terribile. È stato molto vicino alla realtà, la più terribile.”
"Parce que vous êtes le plus suggestif de tous les peintres, je pense pouvoir vous faire revenir au Maroc par la magie du verbe. Je vous imagine en ce début d'année 1832, jeune homme élégant et réservé, quitter votre atelier de la rue des Fossés-Saint-Germain, laissant derrière vous une lumière retenue, empêchée par un ciel gris et bas d'éclater, une lumière brève et faible à laquelle les Parisiens finissent par s'habituer. Vous sortez de ce quartier et vous vous trouvez, quelques jours après, inondé par une lumière si vive, si pleine et même brutale que vous subissez un choc. Vous êtes à la fris en Méditerranée et face à l'océan Atlantique ". Tahar Ben Jelloun rend hommage à Eugène Delacroix, converti à la lumière lors de son voyage en Afrique du Nord. Mais au-delà du peintre génial, c'est la beauté de tout un pays qu'il célèbre : celle du Maroc
Ingres Hayez
“È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra che egli prende per un serpente”
“Se ne accorse solo quando fu agli ultimi scalini. Dapprima, quantunque gli paresse strano, pensò che fossero gli estremi barlumi del giorno. Ma la chiaria cresceva, cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto tramontare, fosse rispuntato. Possibile? Restò – appena sbucato all’aperto – sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d’argento. Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna. Sì, egli sapeva, sapeva che cos’era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è mai dato importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna? Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva. Estatico, cadde a sedere sul carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, la Luna… C’era la Luna! Luna!”