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Evoluzione storica della normativa di tutela Stato della Chiesa

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Presentation Transcript


  1. Evoluzione storica della normativa di tutela Stato della Chiesa La normativa più antica in materia è quella promulgata dalle bolle pontificie. Nel Rinascimento i papi umanisti vollero proteggere le testimonianze del passato. Martino V nella bolla Etsi de cunctarum (1425) definiva sacrileghe le devastazioni di edifici antichi e imponeva la demolizione delle fabbriche abusivamente addossate ai monumenti. Martino V denuncia il degrado della città, dovuto al disordinato sviluppo urbano di Roma, dove predominavano gli interessi privati e le conseguenze delle attività lavorative dei macellai, dei pescivendoli e dei conciatori. Reintroduce poi una specifica magistratura, già attiva nel ‘300, quella dei “Maestri delle strade” con l’incarico di vigilare sul decoro artistico della città.

  2. Il loro era un ruolo determinante per la vita della città, sia in quanto giudici delle tante controversie private in tema di confini, edifici, mura, scoli e deflussi, sia come ispettori sulla viabilità e la nettezza urbana. Le loro funzioni influivano sulla gestione e sul controllo dei patrimoni immobiliari di Roma. I Maestri non furono però imparziali perché legati agli interesse della potente aristocrazia municipale romana. • Pio II (Enea Silvio Piccolomini) consentì il prelievo di marmi dal Colosseo per costruire la Loggia delle Benedizioni antistante San Pietro e dettò precise norme nella bolla Cum almam nostram urbem in sua dignitate et splendore conservari cupiamus (1462).

  3. Con tale bolla si proibisce a chiunque, senza previa licenza del pontefice, di demolire, distruggere o danneggiare gli antichi edifici pubblici o i loro resti esistenti in Roma e nel suo distretto, anche se si trovano in fondi di proprietà privata. • Sisto IV nella bolla Cum Provvida Sanctorum Patrum decrete (1474) aveva cercato di impedire l’alienazione delle opere d’arte conservate nelle chiese. • Le prescrizioni ebbero però un’efficacia assai limitata, infatti a Roma si continuò ad asportare marmi dai monumenti antichi, ma addirittura a farne calce, come afferma Raffaello nella lettera indirizzata a Leone X del 1515. Leone X nominò prima Bramante e poi Raffaello Ispettore Generale delle Belle Arti.

  4. Nel 1704 l’editto del cardinale Giovanni Battista Spinola vieta l’esportazione di oggetti archeologici, di libri rari, di codici e manoscritti. Tale dettato venne successivamente precisato nell’editto del cardinale Annibale Albani del 10 settembre 1733, il quale stabiliva anche di eseguire un disegno delle cose che non potevano essere conservate, e stabiliva una speciale salvaguardia per le iscrizioni. Era cioè un editto di difesa complessiva del patrimonio culturale. Nel 1802 si ripristinò la carica di Ispettore Generale delle belle Arti e la carica fu data ad Antonio Canova, che fu curatore del recupero per lo Stato della Chiesa delle opere trafugate.

  5. Il trattato di Parigi del 1805 sancì la restituzione delle opere asportate da Napoleone. • Nel 1820 (il 7 aprile) il cardinale Bartolomeo Pacca emanò un editto che è da ritenersi il più completo testo giuridico del tempo sull’argomento. Oltre a riconfermare quanto già delineato dai predecessori, in esso si istituiva una struttura amministrativa, che faceva capo a una commissione centrale a Roma, articolata in sottocommissioni, residenti in varie città dello Stato pontificio, quasi tutte composte da tecnici. Si disponeva anche di catalogare le opere d’arte in edifici pubblici, e di tutelare gli oggetti concernenti arti e tradizioni popolari.

  6. Si imponeva una tassa doganale per l’esportazione, oltre a introdurre norme precise in materia di vincolo, di restauro dei monumenti pubblici e privati e le condizioni per il finanziamento di questi lavori. • Granducato di Toscana • Molto meno sistematico è l’atteggiamento verso il proprio patrimonio espresso in terra toscana, almeno fino al XVIII secolo allorché sarà ispirato da quello dello Stato della Chiesa. • La prima legge promulgata in materia è del 30 maggio 1571, il testo è voluto da Cosimo I de’ Medici e intendeva preservare la memoria di chi aveva edificato a ornamento e splendore di Firenze.

  7. Buona parte della legislazione successiva vietava l’esportazione di pietre dure, necessarie al principe per l’edificazione della sua cappella in San Lorenzo. Il patrimonio da conservare , tutelare e offrire al pubblico godimento è soprattutto quello dinastico per il quale si provvede all’edificazione della Galleria degli Uffizi. Una politica di tutela molto conservatrice viene espressa nel 1602, quando viene vietata l’esportazione dei dipinti di Michelangelo, Raffaello, Andrea del Sarto, Beccafumi, Rosso Fiorentino, Leonardo, Franciabigio, Perin del Vaga, Pontormo, ecc. Tutti artisti ben rappresentati nelle raccolte medicee.

  8. Nel 1754 con la dinastia lorenese viene emesso un editto il 26 dicembre, modellato su quelli pontifici, che vieta l’esportazione di manoscritti, medaglie, statue, urne, bassorilievi, teste, frammenti, quadri, pitture antiche. Tale norma però viene smentita da Pietro Leopoldo che il 5 agosto 1780 dispone la liberalizzazione del commercio antiquario, riconfermando il divieto di esportazione delle pitture antiche senza la licenza del direttore della Real Galleria. • Tali divieti vennero estesi nel 1816 ai beni delle corporazioni religiose, e nel 1818 anche a quelli di spettanza della Chiesa.

  9. Repubblica di Venezia • Alla legislazione veneziana si può far risalire lo spirito del moderno catalogo. Nel 1773 il Consiglio dei dieci disponeva che fosse stilato un catalogo in cui fossero descritti luogo per luogo i quadri, in considerazione della conservazione di un raro e pregevole ornamento della Dominante. Il compito di stilare il catalogo fu affidato ad un Ispettore cioè a Anton Maria Zanetti il Giovane. Con periodicità semestrale l’Ispettore doveva presentare una relazione sullo stato di conservazione delle opere catalogate, segnalando eventuali abusi o disordini accertati. Il provvedimento cercava di contenere la dispersione dei dipinti, il cui fiorente mercato aveva privato la città degli originali, sostituiti con le copie.

  10. Un laboratorio pubblico di restauro, affidato alla direzione del pittore Pietro Edwards “Ispettore al restauro generale delle pubbliche pitture”, avrebbe provveduto alle opere che necessitavano di interventi. • La tutela era indirizzata solo al patrimonio ecclesiastico, la cui alienazione era vietata, a meno di un decreto del Senato, già dal XV secolo. Per quanto riguarda invece i patrimoni privati, il governo veneto – espressione del potere di una oligarchia di collezionisti e mecenati – non è mai intervenuto per impedirne la dispersione, né per regolamentare il mercato.

  11. Nel Settecento a Venezia erano tre le magistrature con compiti di tutela: i provveditori al sal, gli inquisitori di Stato e i riformatori dello studio di Padova. • Ai primi era affidato il compito di provvedere alle spese di restauro dei palazzi di proprietà dello Stato e delle opere in essi contenute. Gli inquisitori avevano responsabilità nel tentare di prevenire furti e alienazioni. • I riformatori si occupavano degli aspetti conservativi e di restauro.

  12. Regno di Napoli • Carlo VII di Borbone ha emanato nel 1755 un bando nel quale si affermava il divieto perentorio di vendere e esportare oggetti di antichità. Il divieto si estendeva anche alle pitture antiche, alle pietre lavorate e ai marmi. Il dettato è di pochi anni successivo all’avvio delle sistematiche campagne di scavo promosse proprie da Carlo nelle città di Ercolano (1738) e di Pompei (1748). • Il bando venne rinnovato nel 1766 e nel 1769 da Ferdinando il quale in seguito emanò ulteriori decreti (1822) che vietavano di demolire gli edifici di nobile architettura e istituivano una commissione di antichità e belle arti, incaricata di vigilare a che essi fossero rispettati.

  13. La prima legislazione unitaria italianaIl primo provvedimento è datato 1865 n. 2359 e sancisce la possibilità di esproprio per quei monumenti in rovina, a causa della mancata conservazione attuata da parte dei proprietari.Nel 1875 fu inserita nel Ministero della pubblica istruzione la Direzione generale degli scavi e dei monumenti, poi denominata Direzione generale delle antichità e belle arti.

  14. A livello perifericofu affidata la tutela ai prefetti, che presiedevano la Regia Commissione conservatrice dei monumenti e delle opere d’arte, cui spettava compiti di vigilanza sulla conservazione dei monumenti.Durante la prima guerra mondiale fu istituita nel Ministero della pubblica istruzione la Direzione generale delle Accademie e biblioteche per la diffusione della cultura. Il 20 giugno 1909 fu adottata la legge n. 364 circa le antichità e le belle arti, che stabiliva l’estensione della tutela alle cose immobili e mobili di interesse storico, archeologico e artistico, con esclusione delle opere di autore vivente o risalenti a meno di 50 anni.Alla legge seguì il Regolamento adottato con R.D. n. 363 del 30 gennaio 1913.

  15. I motivi del ritardo dell’ordinamento si devono principalmente alla inconciliabilità delle posizioni assunte da un lato dai responsabili della tutela che volevano che prevalesse l’interesse pubblico, dall’altro dalla nuova classe dirigente liberista schierata a difesa della proprietà privata. • Con la legge del 1909 veniva istituito l’istituto della notifica d’importante interesse, strumento giuridico ancora in vigore, e si sanciva l’inalienabilità delle cose appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e ai privati. • Il 14 giugno 1923 venivano formulate le Norme per la compilazione del catalogo dei monumenti e delle opere di interesse storico, archeologico e artistico.

  16. Per il vero e proprio assetto della materia si deve arrivare alle leggi n. 1089 del 1.6.1939 (Tutela delle cose d’interesse artistico e storico) e n. 1497 del 29 giugno 1939 (Protezione delle bellezze naturali). • I beni di enti pubblici o legalmente riconosciuti – come gli enti ecclesiastici – dovevano venire catalogati a cura dei proprietari, che restavano comunque responsabili della loro conservazione. I beni di proprietà privata erano sottoposti a tutela mediante la notifica sotto forma amministrativa.

  17. Le leggi del 1939La legge n. 1089/1939 estendeva la tutela alle cose mobili e immobili di interesse storico artistico archeologico o etnografico. Formavano poi oggetto di tutela le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; le cose di interesse numismatico, i manoscritti, i carteggi, i libri, le stampe, le incisioni aventi carattere di rarità e di pregio. Erano comprese poi le ville, i parchi e i giardini di interesse storico-artistico. Si aggiunsero anche quelle cose immobili che a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura avevano interesse particolarmente importante.La legge n . 1089 era composta di 73 articoli e normava anche gli ambiti della demolizione, della rimozione e del restauro.

  18. Il Testo Unico n. 490/1999Il 20 ottobre 1999 venne approvato dal Consiglio dei Ministri il testo del D.Lgs. N. 490/1999 nel quale erano inserite tutte le disposizioni legislative vigenti, suddiviso in due parti: il Titolo I relativo ai beni culturali e il Titolo II relativo ai beni paesaggistici, ciascuno suddiviso in Capi e Sezioni. Formato da 166 articoli. • D.P.R. n. 283/2000Stabilisce l’assoluta inalienabilità di alcuni beni come i monumenti nazionali, i beni archeologici, i beni di interesse storico. Inoltre stabilisce l’obbligo di ottenere in via preventiva l’autorizzazione ministeriale prima di procedere all’alienazione dei rimanenti beni di interesse culturale.

  19. Nel 2004 il D.Lgs. N. 42/2004 ha realizzato con il Codice dei beni culturali e del paesaggio il rassetto della materia dei beni culturali innovando il contenuto di molti istituti.Il Codice è stato poi rettificato da alcune leggi. La differenza tra Codice e Testo Unico è che l’uno è un testo organico che ha valore normativo in sé, il secondo è un insieme di leggi già in vigore. • Il Codice è composto da 184 articoli e di un allegato A, si compone di 5 parti:1) – Disposizioni generali (artt. 1-9)– che definisce il significato di patrimonio culturale e disegna il rapporto tra Stato e Regioni2) – Beni culturali (artt. 10-130) – individua i beni culturali disciplinandone la tutela, la fruizione e la valorizzazione

  20. 3) – Beni paesaggistici (artt. 131-159) – è dedicata ai beni paesaggistici 4) Sanzioni (artt. 160-181) – disciplina le sanzioni amministrative e penali con riferimento alla seconda e alla terza parte del CodiceL’allegato A contiene un elenco di categorie di beni con specificati i loro valori applicabili al commercio e all’esportazione.

  21. Per quanto riguarda più propriamente l’opera di censimento e di catalogazione i padri fondatori sono Giovanni Morelli e Giovan Battista Cavalcaselle, che nel 1861 furono in caricati di catalogare le opere dell’Umbria e delle Marche. Ministro della pubblica istruzione era Francesco De Sanctis che incaricò i suddetti studiosi per timore che il patrimonio delle corporazioni religiose soppresse andasse sperperato. Fu un capillare lavoro di schedatura, il primo che fu realizzato in Italia. Essi visitarono luoghi remoti, schedarono opere di autori e di personalità minori, controllarono anche lo stato di conservazione delle opere. Nel 1863 Cavalcaselle propose la predisposizione di un catalogo per i musei e per le chiese.

  22. E’ però con la pubblicazione nel 1902 del primo Elenco di edifici monumentali a cura della Direzione generale delle antichità e belle arti, che si forniva implicitamente un criterio di rilevamento e di catalogazione, comprensivo di illustrazioni. • La legge del 1907 concernente le Norme per la redazione dell’inventario dei monumenti e degli oggetti d’arte formulava criteri per la compilazione di un inventario che includeva la fotografia dell’oggetto con una sintetica indicazione di autore, soggetto, collocazione e misure. • Nel 1923 fu promulgato il regio decreto con le Norme per la compilazione del catalogo dei monumenti e delle opere d’interesse storico, archeologico e artistico.

  23. Il catalogo deve essere costituito di schede descrittive in tre esemplari, corredati da riproduzioni fotografiche. • La scheda deve avere il nominativo della cosa, la materia e le dimensioni, il soggetto rappresentato, età o scuola cui appartiene e – se possibile – l’autore, la provenienza. Dev’essere annotata anche l’indicazione del luogo ove gli oggetti sono collocati, corredata dello stato di conservazione. • Le basi scientifiche del catalogo si sono fondate sulla relazione di Roberto Longhi tenuta al convegno dei soprintendenti che si è svolto a Roma nel 1938. Longhi limita la scheda ai dati identificativi come il soggetto e le particolarità iconografiche, le misure, il materiale e la tecnica. Necessario è il corredo dell’immagine fotografica.

  24. I suggerimenti espressi dal Longhi, anche se la Direzione generale delle antichità e belle arti li fece propri convertendoli in una circolare ministeriale, non ebbero immediatamente seguito, sebbene la stretta correlazione indicata tra validità scientifica e strumento di tutela sia stata in seguito presa a fondamento degli attuali criteri del catalogo. Una commissione istituita nel 1967 elaborò nuovi modelli di scheda, diversificati per le diverse classi di materiali, ma tutti raccordati per restituire il quadro di insieme di ambiti e di complessi

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