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Disordini linfoproliferativi cronici Giovanni Del Poeta Cattedra Ematologia Università Tor Vergata Roma. INTRODUZIONE I. Tutti i disordini linfoproliferativi, sia acuti che cronici, originano da cellule bloccate nei vari stadi di differenziazione linfocitaria B .
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Disordini linfoproliferativi croniciGiovanni Del PoetaCattedra EmatologiaUniversità Tor VergataRoma
INTRODUZIONE I • Tutti i disordini linfoproliferativi, sia acuti che cronici, originano da cellule bloccate nei vari stadi di differenziazione linfocitaria B. • L’osservazione morfologica e la caratterizzazione immunofenotipica con anticorpi monoclonali sono indispensabili alla definizione diagnostica. • Studi di citogenetica o di biologia molecolare e l’osservazione al microscopio elettronico sono utili per completare l’ inquadramento diagnostico.
Sviluppo della cellula B e linfomi corrispondenti derivati ad ogni stadio Antigene indipendente Antigene dipendente Differenz. terminale
INTRODUZIONE II • La caratterizzazione immunofenotipica dei linfomi non Hodgkin è basilare nella classificazione WHO (forme a precursoriB e T e forme mature) • La trattazione che seguirà riguarda la nostra esperienza soprattutto per quanto riguarda le malattie linfoproliferative croniche (linfomi indolenti B) che maggiormente hanno beneficiato dei notevoli progressi delle tecniche di caratterizzazione immunologica mediante citometria a flusso.
INTRODUZIONE III • Un corretto inquadramento diagnostico dei disordini linfoproliferativi cronici (MLPC) ha importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche. • Una corretta diagnosi differenziale tra i vari MPLC a cellule B implica un iter terapeutico differenziato per le diverse patologie.
L’EMOCROMO • Nelle MLPC spesso l’unico dato alterato è rappresentato da una LINFOCITOSI ASSOLUTA e persistente. • Il valore del numero assoluto di linfociti per porre tale sospetto è tra i 3-5000 linfociti/ml, secondo la maggior parte degli Autori. • Il tempo di persistenza della linfocitosi è fissato al di sopra dei 2-6 mesi (Catovsky).
ASPIRATO MIDOLLARE e BIOPSIA OSSEA • L’aspirato midollare è la procedura da consigliare per valutare l’infiltrazione del tessuto midollare nelle MLPC (HCL e linfomi in cui spesso le cellule della malattia non sono circolanti). • Tale procedura permette: 1) osservazione morfologica delle cellule, 2) tipizzazione fenotipica con anticorpi monoclonali delle cellule neoplastiche. • La biopsia ossea è importante per 1) valutare la distribuzione delle cellule neoplastiche nel MO, e 2) indispensabile per la definizione diagnostica di HCL in cui spesso l’aspirato midollare è infruttuoso (“punctio sicca”).
BIOPSIA LINFONODALE • La biopsia linfonodale si esegue 1) quando il paziente presenta una massa linfonodale persistente da oltre 4 settimane o 2) quando nel sangue periferico o nel midollo osseo si osserva un numero aumentato di linfociti con fenotipo suggestivo per diagnosi di linfoma. • Oggi è suggerito di processare il linfonodo a fresco o dopo congelamento in azoto liquido per favorire la tipizzazione con anticorpi monoclonali di superficie che permettono di identificare le cellule mantenendo l’architettura del tessuto. • Sul linfonodo è possibile eseguire tecniche di colorazione citochimica, caratterizzazione immunofenotipica e molecolare (Harris)
ANTICORPI MONOCLONALI I • Nella caratterizzazione delle MLPC l’elemento più utile alla DIAGNOSI è l’analisi del fenotipo eseguita con anticorpi monoclonali che reagiscono sia contro antigeni presenti sulla membrana cellulare che contro antigeni espressi a livello citoplasmatico e nucleare (Catovsky, Jennings, Knuutila, Matutes). • La disponibilità degli anticorpi monoclonali e della citofluorimetria ha permesso 1) velocità di esecuzione, 2) accuratezza di valutazione, 3) quantizzazione della intensità di espressione, 4) valutazione simultanea di più antigeni, utile anche nel follow-up del paziente per il monitoraggio della malattia residua.
ANTICORPI MONOCLONALI II • E’ necessario operare una scelta per definire il pannello di reagenti minimo ma sufficiente per garantire una accurata diagnosi differenziale. • Un approccio metodologico corretto è quello di una tipizzazione in due fasi: 1) pannello di orientamento diagnostico (B, T, clonalità B), 2) pannello ampliato in senso B o T per una definitiva precisa diagnosi. • In tal senso, per la filiera B sono impiegati il CD19, il CD22; per la filiera T il CD3 di membrana, per la clonalità B le catene leggere delle Ig, espresse sulla membrana o nel citoplasma. Infine molto utili il CD2, indicativo di precursori T e NK e il CD5, caratteristicamente positivo nella LLC-B
BIOLOGIA MOLECOLARE I • Le tecniche di biologia molecolare non sono sempre necessarie alla diagnosi delle MLPC, ma spesso possono chiarire 1) la filiera di origine della neoplasia, e 2) l’origine clonale di alcune MLPC. • Lo studio del riarrangiamento dei geni delle Ig per le cellule B e del TCR per le cellule T permette di chiarire un dubbio diagnostico 1) quando il numero di cellule da esaminare è piccolo, 2) per i disordini cronici T dove il fenotipo non è sempre suggestivo per la diagnosi.
BIOLOGIA MOLECOLARE II • Nelle MLPC B è sempre possibile documentare un riarrangiamento clonale sia delle catene pesanti che delle catene leggere delle Ig, poiché tali patologie sono caratterizzate dall’espansione di cellule B bloccate ad un livello relativamente maturo di differenziazione. • Per la cellula T sono riconosciuti due tipi di recettore, TCRab e TCR gd, differenti per i due tipi di catene: le catene gd riarrangiano più precocemente delle catene ab. Le LGL CD3+/CD8+sono patologie neoplastiche caratterizzate da proliferazione abnorme di elementi granulari monoclonali. • Infine esistono alterazioni molecolari che sono specificatamente presenti in alcune MLPC: il riarrangiamento del gene bcl-1 nel linfoma mantellare e il riarrangiamento del gene bcl-2 nel linfoma follicolare.
LINFOMI INDOLENTI I • I Linfomi Indolenti (MLPC), secondo la dizione americana corrente, rappresentano circa il 40% di tutti i linfomi non Hodgkin. • Sintomo di presentazione è la comparsa di tumefazioni linfonodali non dolenti, spesso al collo. • Sintomi sistemici (febbre, dimagrimento, sudorazione profusa) sono presenti in meno del 25% dei casi. • La leucemizzazione non è infrequente (40-70%) e può costituire il primo segno della malattia.
LEUCEMIA LINFATICA CRONICA (LLC) • La LLC rappresenta la forma di leucemia di più frequente riscontro nell’adulto (30% circa di tutte le leucemie dell’adulto). • 1/5 dei pazienti ha meno di 55 anni. • La LLC è asintomatica e la diagnosi spesso è del tutto occasionale. • Esame emocromocitometrico con presenza di una linfocitosi assoluta (>5000/ml). • Adenomegalie superficiali e profonde, splenomegalia ed epatomegalia. • Nelle fasi avanzate è presente pancitopenia dovuta a insufficiente attività mielopoietica o a meccanismi di tipo autoimmune.
MORFOLOGIA (LLC) • Linfociti piccoli e maturi con scarso citoplasma e cromatina nucleare addensata a zolle. • Presenza di ombre nucleari dette ombre di Gumprecht. • Presenza di meno del 10% di linfociti più grandi nucleolati, i prolinfociti, linfociti a citoplasma più ampio, linfociti con nucleo clivato, linfociti con caratteristiche di immunoblasti e linfoblasti (Catovsky, 1990). • LLC a morfologia “atipica” (LLC/LPC, a “large” o “cleaved” lymphocytes) con più del 10% di linfociti atipici sembrano correlate a una prognosi più sfavorevole (Oscier, 1997).
MORFOLOGIA (LLC): Configurazione fusata degli elementi linfoidi
IMMUNOFENOTIPO (LLC) • I linfociti esprimono antigeni di membrana della linea B: CD19, CD20, CD23 e un antigene espresso dai linfociti T: CD5. • Bassa densità di espressione delle Ig di superficie con catene leggere (k o l) di un solo tipo (popolazione monoclonale).
La distribuzione dell’ espressione di CD38 ci ha permesso (Del Poeta et al, Blood, 2001) di identificare due sottogruppi distinti di pazienti: 1) (n=118) caratterizato da percentuali molto basse di CD38 (mai superiori al 20%) e 2) (n=50) con valori di CD38 sempre superiori al 35%