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Parrocchia Santa Maria della Consolazione. I venerdi di 2006 Quaresima. Il libro dei Salmi. Il salmo 23. don Alfonso Capuano. D.M. Turoldo.
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Parrocchia Santa Maria della Consolazione I venerdi di 2006 Quaresima Il libro dei Salmi Il salmo 23 don Alfonso Capuano
D.M. Turoldo Dio, o pastore di costellazioni, Spirito che apri il volo agli infiniti stormi di uccelli verso i terminali delle loro migrazioni; Spirito che spiri avanti tutti i pensieri degli uomini buoni e giusti; Spirito che conduci i pellegrini dello spirito negli incantati pascoli della santità, e gli erranti riconduci da sperduti deserti sulle vie della vita, e mai desisti, Divino mendicante, di cercare la pecorella smarrita: se il vederti con gli occhi del corpo è di troppo in questa valle oscura, che almeno sempre oda i tuoi passi mentre mi cammini accanto, o Compagno di traversata; e ciò sia a tua gloria più ancora che il prestarti a guidare le stelle nella notte. Amen
Un testo universale «Le centinaia di libri che ho letto non mi hanno procurato tanta luce e conforto quanto questi versi del Sal 23: Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla...; anche se dovessi passare in un burrone di tenebre, non temerei alcun male, perché tu sei con me». H. Bergson
Un testo universale The Lord is my shepherd Liszt «Quanto siamo felici d'essere nelle mani di un tal pastore... Egli cerca il nostro vero bene e ci sa dare ad ogni ora l'alimento necessario». Charles de Foucauld
Un testo universale Il poeta indù Tukaram ha più di un riferimento al nostro testo nel suo «salmo LXVIII»: Dovunque io vada tu sei il compagno che mi tiene la mano e mi conduce. Sulla strada in cui cammino tu sei il mio solo sostegno. Al mio fianco tu porti il mio fardello. Camminando, se divago tu mi raddrizzi: hai spezzato le mie resistenze, o Dio, mi hai spinto in avanti. Ed ora la tua gioia mi penetra e mi circonda e io sono come un bambino che gioca in una festa.
Un testo universale Ricordiamo che il salmo accompagna il rito della sepoltura nella liturgia anglicana della Chiesa Alta. «Conducimi, dolce luce, nell'oscurità che mi circonda, conducimi! La notte è oscura e io sono lontano dal focolare, conducimi!...». card. Newman, The pillar of cloud
Un testo universale «Queste frasi cosi semplici si insediarono senza difficoltà nella mia memoria. Vedevo il pastore, vedevo la valle dell'ombra di morte, vedevo la tavola imbandita. Era il vangelo in piccolo. Quante volte, nelle ore d'angoscia, mi sono ricordato del bastone confortante che evita il pericolo. Ogni giorno recitavo questo piccolo poema profetico di cui non si esauriranno mai le ricchezze». Julien Green, Partir avant le jour
Un testo universale «Il testo è molto semplice e consta fondamentalmente di un solo pensiero: II Signore è il mio pastore, nulla mi mancherà. Sono due piccole frasi - in ebraico due parole ciascuna - che legano due membri: il pastore e la pecora, il Signore e io. Il legame è tanto stretto che un rifiuto è escluso: poiché il Signore è il mio pastore, nulla mi mancherà; egli provvede a me che sono nato e sono in buone mani ... nonostante la valle tenebrosa e i nemici, uno sguardo di genuina felicità passa attraverso tutta la vita». G. Ebeling
Un testo universale Dovremmo anche pensare all'influsso, forse secondario ma probabile, che il Sal 23 ha lasciato nel celebre testo del buon pastore di Gv 10. Anche se Ez 34 è il testo più vicino alla pericope giovannea, un'allusione al nostro salmo è rintracciabile in Gv 10,11: «Io sono il buon pastore: il buon pastore offre la vita per le pecore». Un'allusione che collega il v. 2 con Ap 7,17 in cui Cristo è dipinto come «il pastore che conduce a sorgenti di acqua di vita». Nella tradizione cristiana il nesso si fa più esplicito: il volto del pastore è ormai quello di Cristo, «pastore delle anime nostre» (1Pt 2,25), che cerca soprattutto la pecora smarrita (Lc 15,4-7).
Un testo universale «Attraverso questo salmo, Cristo insegna alla chiesa che bisogna che tu divenga una pecora del buon pastore, guidata dalla buona catechesi verso i pascoli e le sorgenti degli insegnamenti. Bisogna poi che tu sia sepolto con lui nella morte attraverso il battesimo. Ma esso non è morte ma solo ombra di morte. Dopo ciò, dopo averti consolato col bastone dello Spirito, egli prepara la tavola sacramentale, quella che è imbandita davanti alla tavola dei demoni. Erano essi, infatti, che opprimevano la vita degli uomini con l'idolatria. Poi egli unge con l'olio dello Spirito. E donandogli il vino che fa gioire il cuore dell'uomo, provoca nell'anima una sobria ebbrezza... Chi ha gustato questa ebbrezza cambia ciò che è effimero in ciò che non ha fine, abitando nella casa del Signore per la lunghezza dei giorni». Gregorio di Nissa, PG 46,692
Un testo universale Questo salmo è risuonato anche in occasioni strane e impensabili. S. Bonaventura nella Legenda s. Francisci (IX,7) ricorda che s. Francesco d'Assisi nell'estate del 1219, per recarsi dal sultano d'Egitto Malek el-Khamil, attraversò le linee militari musulmane cantando il v. 4 del Sal 23 («Se dovessi camminare in valle oscura...»). Il 6 giugno 1944, invece, stando a quanto racconta C. Ryan nel best-seller Il giorno più lungo, durante lo sbarco alleato in Normandia, un canadese per calmare la tensione dei suoi compagni si mise a leggere ad alta voce il Sal 23.
Il simbolismo Riteniamo che siano due i centri simbolici fondamentali attorno ai quali ruota il salmo, il pastore che procede col suo gregge verso una fresca distesa di verde (vv. 1-4) e una coppa colma sulla mensa preparata, segno di ospitalità con sfumature liturgico-sacrificali (vv. 5-6). Naturalmente questi nuclei simbolici attirano e coinvolgono una sequenza di simboli minori ad essi funzionali.
Il Signore è il mio pastore nulla manca ad ogni attesa, in verdissimi prati mi pasce mi disseta a placide acque. È il ristoro dell’anima mia, in sentieri diritti mi guida per amore del santo suo nome, dietro lui mi sento sicuro. Pur se andassi per valle oscura non avrò a temere alcun male: perché sempre mi sei vicino, mi sostieni col tuo vincastro. D.M. Turoldo
Il pastore Alla più famosa transmigrazione di primavera è da accostare anche quella estiva che indirizza il nomade verso terreni, coltivati da popolazioni sedentarie, dove si viene ammessi per il pascolo, dopo il raccolto agricolo. La transumanza è un'avventura spesso drammatica: la velocità del trasferimento è ostacolata dalle pecore incinte o da quelle che hanno appena partorito, animali feroci e predoni rendono il viaggio un incubo, rimane l'incognita della meta e dell'accoglienza da parte dei clan sedentari che accusano il nomade di essere ladro, apportatore di malattie e socialmente inferiore e pericoloso.
Il pastore La ricerca del nuovo pascolo aveva dato origine alla festa del plenilunio di primavera, trasformata poi in Israele nella festività storica della pasqua: bastone e costume di viaggio, pani azzimi cotti su lastre di pietra, erbe amare raccolte nella steppa, agnello con ossa intatte come auspicio di riproduzione nella fecondità del gregge, sangue asperso come esorcismo contro le potenze malefiche del lungo viaggio sono tutti elementi pastorali e pasquali (Es 12).
Il pastore Il pastore, per il semita, esprime qualcosa di più della semplice guida, che sa inaspettatamente puntare verso un pascolo o verso un'oasi o che sa procedere su una pista non pericolosa. Egli è soprattutto il costante compagno di viaggio per cui le ore del suo gregge sono le sue stesse ore, stessi i rischi, stessa la sete e la fame, il sole batte ugualmente implacabile su lui e sul gregge. Solo lui sa dare certezza e sicurezza perché i sentieri dispersivi o erronei sono con precisione scartati dal suo bastone. II pastore è perciò il salvatore, la sua capacità di condurre ad uno spiazzo erboso decide il destino delle pecore. Si comprende, allora, perché in oriente la simbolica del pastore sia stata applicata al re e alla divinità.
Nell’iconografia cristiana, il nero rappresenta le tenebre del mondo. È il buio contrapposto alla luce divina simboleggiata dai colori bianco, giallo, oro, che sono attributi di Dio.
Secondo la simbologia della Bibbia, il rosso è il colore della vita perché associato al sangue. Il sangue è l’elemento più sacro nella religiosità antica, segno dell’alleanza con Dio. Il rosso viene attribuito alla terra, alla maternità, al cuore. È associato anche al sacrificio supremo.
Il blu ha diversi significati: il cielo, sede di Dio; il vento dello Spirito; l’acqua che purifica e genera a vita nuova. Sono tutti simboli relativi alla trascendenza di Dio o alla “divinizzazione” dell’uomo quando viene portato all’interno della vita divina.
Nella simbologia dei colori sembrano rappresentati come due livelli di vita. L’altro è il rosso vivo della vita di Dio illuminata da fasce gialle. Essa avvolge la creatura estraendola dalle tenebre del mondo come in un nuovo parto. Uno è fuori, posto all’esterno di Dio; è un rosso imbrattato di macchie nere, simbolo del peccato, della lontananza.
L’acqua della vita passa dalla croce blu dell’aureola del Cristo al vello della pecora, rivestendola di una vita nuova, purificata.
La costruzione dell’immagine rende evidente il suo significato materno, di un amore viscerale, completamente chinato sulla piccolezza della creatura, donato in modo totale dal Cristo Risorto, che porta chiari i segni del suo sacrificio e della sua vittoria.
Quale mensa per me tu prepari sotto gli occhi dei tuoi nemici! del tuo olio profumi il mio capo, il mio calice è colmo di ebbrezza! Bontà e grazia mi sono compagne quanto dura il mio cammino: io starò nella casa di Dio lungo tutto il migrare dei giorni. D.M. Turoldo
L’ospitalità Il secondo centro simbolico è quello dell'ospitalità. Il Signore applica pienamente le leggi della cordialissima ospitalità orientale: profuma la testa agli invitati, offre la coppa spumeggiante dell'amicizia, prepara una mensa che, indicando protezione e vincoli di reciproca assistenza, diviene asilo inviolabile contro i nemici e le ostilità di ogni genere. Il Signore, quindi, «si cinge, ci fa mettere a tavola, e si presenta per servirci» (Lc 12,31).
L’ospitalità L'anticipazione del banchetto definitivo e pienamente saziante l'ebreo la sperimentava ogni volta che accedeva al tempio. La lunga strada e i pericoli vissuti erano lasciati alle spalle, le persecuzioni sparivano perché il tempio era intoccabile e difendeva chi si attaccava agli angoli dell'altare (1 Re 2,28-35). La casa che l'israelita sognava più di ogni altra era appunto quella del suo Dio edificata sul colle di Sion. Il salmo diventa, allora, la proclamazione della gioia di partecipare alla vita religiosa, alla liturgia, al dialogo interpersonale con Dio, alla mistica sazietà dell'intimità della preghiera, espressa anche attraverso i sacrifici di comunione comprendenti appunto il pasto sacro.
Intorno agli anni 1420 - 22 il discepolo di s. Sergio di Radonez, s. Nicone, incaricò i due grandi iconografi Rubljov e Cjornyj, di adornare di icone e di affreschi la cattedrale della s. Trinità, che era stata costruita dopo la distruzione compiuta dai tartari, nel 1409, del famoso monastero. L'icona della Trinità di Rubljovraffigura l'episodio biblico dell'ospitalità di Abramo. In Genesi 18,1-15 apparvero ad Abramo e Sara tre angeli per annunciare loro la nascita di un figlio. I Padri e tutta la tradizione della chiesa hanno sempre visto in questo episodio una prefigurazione della Trinità. Il Concilio dei Cento Capitoli (1551) dichiarerà tale icona modello universale della rappresentazione della Trinità. Nel 1904 la commissione di restauro ha tolto gli ornamenti metallici d'oro che la ricoprivano e l'ha ripulita, conservandola nel museo Tretjakov di Mosca. Esegesi dell’icona
Nell’icona i tre angeli esprimono il ritmo della vita trinitaria. Prima vediamo gli elementi che richiamano all’unità. Un elemento molto importante è il colore blu che, se osserviamo l’icona, è presente nelle vesti di tutte e tre le figure, mentre gli altri colori variano figura per figura. Il blu è il colore della divinità che le tre persone divine condividono, gli altri colori invece sottolineano le specificità di ogni persona.
Un altro tratto comune che caratterizza i tre angeli è la somiglianza del volto. Come la presenza del blu che indica la divinità, così anche questo tratto richiama l’unità della trinità. Ogni angelo presenta un volto giovanile, né maschile né femminile, per esprimere l’eternità della divinità delle tre persone.
Anche fisicamente i tre angeli sono uguali. Il loro corpo è molto allungato rispetto alle proporzioni normali. Questo è un elemento tipico dell’icona: non si tratta infatti di raffigurare corpi materiali, ma il loro “spessore spirituale”. Questo aspetto è molto rilevante nelle icone dei santi.
Molto importante per sottolineare l’unità è il cerchio in cui i tre angeli possono essere inscritti: il cerchio indica il tutto, l’unità della vita di Dio.
L’angelo al centro dell’icona è messo in risalto oltre che dalla posizione anche dalla vivacità dei colori e dalle linee che sembrano attirare lo sguardo su di lui; sembra preferibile ritenere che si tratti del Figlio. Perché allora il Figlio è al centro e non il Padre? 1. Non si può parlare di Dio se non partendo da Gesù, il Figlio. 2. L‘asse centrale dell’icona presenta i richiami al mistero pasquale e alla croce di Gesù.
L’angelo al centro è rivolto verso quello di sinistra, il Padre. Lo sguardo dei due personaggi si incontra e sembra si possa intuire un dialogo in quegli sguardi. In quello sguardo del Figlio verso il Padre e del Padre verso il Figlio possiamo vedere la missione che il Figlio riceve dal Padre. L‘argomento del colloquio che si svolge più attraverso lo sguardo che le parole sembra essere la coppa al centro della tavola che contiene un agnello, indicata dalle mani dei due.
Il rosso della tunica dell’angelo centrale richiama l’amore prontissimo della sua obbedienza “fino alla morte”. In questa figura il blu è il colore del mantello: quel colore che nel Padre è velato e nascosto, qui è manifesto e predominante per dire che è Gesù che ci ha rivelato il vero volto di Dio e il suo amore per noi: Questi due colori poi ci ricordano anche che Gesù è Dio (blu) e uomo (rosso),
L’albero che sta alle spalle dell’angelo centrale richiama l’albero della vita nel paradiso e l’albero della Croce. L’albero è curvo sulle spalle dell’angelo centrale come se egli stesse per caricarselo addosso… Il colle sembra offrirsi al Figlio per essere salito. E’ il colle del calvario sul quale il Figlio darà «la vita per le pecore». Il Padre guarda verso quel colle come Abramo guardò il monte Moira quando saliva per offrire il proprio figlio Isacco.
Il Padre, a sinistra, siede con solennità sul trono. Lo sguardo e il gesto della mano destra hanno qualcosa di imperativo. Anche il vestito oro e rosa (trasparenza) proclama che lui è l’origine della divinità e la sorgente della vita; il blu in questa figura è quasi totalmente nascosto dal mantello: egli è il Dio che nessuno ha mai visto e che il Figlio ha rivelato. Alle sue spalle il tempio, luogo della presenza di Dio, sua casa.
L’angelo di destra è in atteggiamento di “infinita devozione”. Egli è, interamente, soltanto una “grande inclinazione” verso gli altri; il suo corpo disegna un'ampia curva. Sembra ricevere tutto dagli altri e attendere tutto da loro. E’ lo Spirito che nulla dice di suo, ma testimonia tutto ciò che Gesù ha fatto. Il mantello verde richiama la sua azione: dare la vita, rinnovare continuamente il mondo. Alle spalle la roccia, simbolo di forza interiore.
La funzione dello Spirito è quella di rendere gli uomini simili a Gesù per introdurli nella vita di Dio. Per questo il suo sguardo è rivolto verso coloro che guardano l’icona, anzi precisamente verso l’apertura che si crea davanti alla tavola-altare alla quale i tre sono seduti, il lato vuoto al quale ogni uomo è invitato. Lo sguardo dell’angelo di destra indica la missione dello Spirito che «è la faccia di Dio inclinata sul mondo».
Ma che rapporto c’è tra l’angelo di centro e l’angelo di destra, tra il Figlio e lo Spirito? Se guardiamo l’angelo di centro, il Figlio, notiamo che egli ha il volto e lo sguardo rivolti verso il Padre per contemplare la sua volontà, ma ha il petto rivolto verso l’angelo di destra come per “inviarlo”. Lo Spirito effuso è il compimento del mistero pasquale, il compimento della salvezza.
Se osserviamo bene l’icona e allarghiamo il nostro sguardo a partire dal calice che sta sulla tavola-altare vediamo che i contorni dei due angeli laterali formano la sagoma di un altro calice che contiene l’angelo centrale. A questo punto è ancora più chiaro il senso del calice posto sull’altare. I due calici si richiamano, illuminandosi a vicenda. L’agnello nel calice sull’altare-mensa è il Figlio amato dal Padre perché “da la vita”.
Ed ecco alla conclusione del nostro cammino un posto vuoto, un’apertura fissata dallo Spirito. La prospettiva inversa dell’icona e in particolare delle pedane dei troni dei due angeli laterali crea un naturale coinvolgimento, come se l’icona fosse un invito alla comunione e anticipazione della patria. Ma quell’apertura può anche essere vista come una ferita… una “ferita” in Dio quasi che il cerchio della vita divina sia in qualche modo lacerato, una lacerazione attraverso la quale lo Spirito può effondersi.
In quella lacerazione della vita di Dio, sta la nostra chiamata alla comunione. Ma quella ferita è anche la ferita dell’uomo: la lacerazione in Dio è il suo amore per l’uomo, mentre la lacerazione dell’uomo è la sua sete di Dio. Entrambi gli aspetti nell’icona si fondono … il desiderio di Dio e il desiderio dell’uomo … per tutti e due desiderio di comunione.
La struttura • A. Il canto del pastore (vv. 1-4) • una dichiarazione tematica: Jahweh ro`î (v. 1a) • una descrizione pastorale di sosta (vv. 1b-3a) • una descrizione pastorale di cammino (vv. 3b-4c) • una dichiarazione tematica: sostegno (v. 4d) • B. Il canto dell'ospite (vv. 5-6) • una dichiarazione tematica: Davanti a me una tavola (v. 5a) • una descrizione ospitale generale (v. 5b-5d) • una descrizione ospitale specifica e sacra (v. 6)
Il canto del pastore • Il Signore è il mio pastore: 1a • non manco di nulla; 1b • su pascoli erbosi mi fa riposare 2a • ad acque tranquille mi conduce. 2b • Mi rinfranca, 3a • mi guida per il giusto cammino, • per amore del suo nome. 3b • Se dovessi camminare in una valle oscura, 4a • non temerei alcun male, 4b • perché tu sei con me. 4c • Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. 4d
Dichiarazione tematica Il Signore è il mio pastore: Il salmo si apre con una dichiarazione tematica (v. 1a) di due soli vocaboli che, proprio per la sua estrema concisione, ha fatto discutere gli studiosi. Non c'è motivo però di dubitare molto sul valore di questa semplice frase nominale Jahweh ro`î, «Jahweh-mio pastore»: si tratta di una proclamazione kerygmatica e polemica al tempo stesso: il Signore, e nessun altro, è il mio pastore.
Descrizione di sosta non manco di nulla; La scena pastorale si svolge subito nei versetti successivi. È una descrizione pastorale di sosta (vv. 1b-3a) in cui domina l'atmosfera del riposo. È un clima di assoluta fiducia: «nulla mi manca» o «mi mancherà», come dice il v. 1b. La memoria del passato amore di Dio pastore di Israele è radice della fiducia presente e della speranza futura.
Descrizione di sosta su pascoli erbosi mi fa riposare Il quadro si apre innanzitutto con un'antitesi: mentre di solito si parla di «pascoli nella steppa», qui si introduce l'idea di una meravigliosa distesa di pascoli verdeggianti ed erbosi. Ma il simbolo ancor più importante per l'orientale è quello dell'acqua, il polo verso cui tende ogni attesa, nella steppa bruciata dal sole inesorabile dell'oriente.
Descrizione di sosta ad acque tranquille mi conduce. Un cenno a parte merita la specificazione che accompagna le acque: «acque di riposo», «acque quiete», «tranquille» e quindi pacifiche o, come traducono alcuni, «luogo di riposo ove c'è acqua», o come rende la Vg, «acque di ristoro». Ma il vocabolo «riposo» ha una risonanza più sottile perché è in pratica un sinonimo di pace, è un dono divino che si connette a quello della terra promessa.
Descrizione di sosta Mi rinfranca, La frase del nostro salmo acquista, allora, un'allusività raffinata: le acque sono segno d'un dono pieno ed esaltante, quasi «sabbatico» (il riposo), che ricolma il fedele di pace e di serenità, anticipazione del «riposo eterno» che la liturgia ha liberamente tratto anche dal nostro salmo. E la precisazione di questo riposo la si ha nel v. 3a: Dio «restituisce la vita».
Descrizione di cammino mi guida per il giusto cammino, Siamo, così, al quadro successivo del gregge in marcia, una descrizione pastorale di cammino (vv. 3b-4) o di transumanza. «Il pastore sa scegliere le piste migliori ed esenti da pericolo. I «sentieri di giustizia» (v. 3b) sui quali Dio conduce il suo gregge è un'espressione semitica per indicare innanzitutto il cammino che conduce diritto alla meta, la pista giusta.