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Il Libro di Giona. don Alfonso Capuano. Il Libro di Giona. A. La persona e il racconto B. Il suo messaggio: 1. L'interpretazione; 2. La datazione. La persona.
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Il Libro di Giona don Alfonso Capuano
Il Libro di Giona A. La persona e il racconto B. Il suo messaggio: 1. L'interpretazione; 2. La datazione.
La persona Giona (in ebr. Jònah, "colomba"): l'unica persona con questo nome che conosciamo nell'AT è un figlio di Amittai, profeta di Gat-Chefer (2Re 14,25), al tempo del re Geroboamo II (783-743 a.C.). Ma non è certo questa l'epoca di composizione del nostro libro.
La persona Per stabilire una relazione tra Geroboamo II e l'autore del nostro libro, qualche studioso propone di ammettere l'esistenza di una tradizione secondo la quale il profeta dell'VIII secolo si sarebbe ribellato a una missione divina (come leggiamo in certi tratti biografici di Elia e di Geremia), e su questa vicenda l'autore del libro avrebbe intessuto la meravigliosa narrazione che leggiamo. Ma tutto ciò non è necessario. E’ più naturale ritenere che "Giona" sia non l'autore, ma il protagonista.
Il racconto Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore: «Alzati, va’ a Ninive la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a me». Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s'imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore … Intanto Giona, sceso nel luogo più riposto della nave, si era coricato e dormiva profondamente ... Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia ... Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona.
JHWH Giona Ninive Tarsis Giaffa nella barca nel luogo più basso in mare nel ventre
Il racconto Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e ne venne in mare una tempesta tale che la nave stava per sfasciarsi. I marinai impauriti invocavano ciascuno il proprio dio e gettarono a mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla ... si avvicinò (a Giona) il capo dell'equipaggio e gli disse: «Che cos'hai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo». Quindi dissero fra di loro: «Venite, gettiamo le sorti per sapere per colpa di chi ci è capitata questa sciagura». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. Gli domandarono: «Spiegaci dunque per causa di chi abbiamo questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?».
Il racconto Egli rispose: «Sono Ebreo e venero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra». Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: «Che cosa hai fatto?». Quegli uomini infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva il Signore, perché lo aveva loro raccontato. Essi gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?». Infatti il mare infuriava sempre più. Egli disse loro: «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia».
Il racconto Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano perché il mare andava sempre più crescendo contro di loro. Allora implorarono il Signore e dissero: «Signore, fà che noi non periamo a causa della vita di questo uomo e non imputarci il sangue innocente poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere» ... Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti.
JHWH Giona Marinai dei sono Ebreo e venero implorano, offrono sacrifici, fanno voti fuggiva il Signore Giaffa Tarsis cercano di raggiungere gettatemi in mare finisce pregano nel ventre
Il racconto Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore suo Dio e disse: Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce ... E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull'asciutto.
Il racconto Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore:«Alzati, và a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò». Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, di tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città, per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta».
Il racconto I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per ordine del re e dei suoi grandi: «Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua.
Il racconto Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?». Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.
JHWH Giona Ninive Ma il racconto continua The end
Il racconto Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito. Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand'ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?».
Il racconto Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì un riparo di frasche e vi si mise all'ombra in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino. Ma il giorno dopo, allo spuntar dell'alba, Dio mandò un verme a rodere il ricino e questo si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d'oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venir meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere».
Il racconto Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la morte!». Ma il Signore gli rispose: «Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?».
Il messaggio A sottolineare l'atteggiamento negativo del profeta verso il volere divino, l'autore intreccia nella narrazione il motivo mitologico del pesce (che inghiottisce il profeta, ma lo vomita poi sulla spiaggia giusta) e l'irritazione di fronte alla dimostrazione della bontà di Dio: ambedue questi aspetti avviano il lettore alla comprensione di questo singolare libro profetico.
Il messaggio Che l'autore non intenda tracciare una biografia di Giona e tanto meno un quadro di storia generale, ce lo attestano varie osservazioni: non dà il luogo d'origine del profeta, non dice dove il pesce l'ha vomitato né come raggiunse la città di Ninive, tace il nome del re sotto il quale la capitale assira si convertì (nessun re assiro è mai stato chiamato "re di Ninive"), non spiega come poté conoscere che Dio ritrattava le minacce, non accenna minimamente a ciò che capitò in seguito alla città e al profeta.
Il messaggio Tutto porta a credere che l'autore non aveva tanto intenzione di offrire uno spaccato di storia, quanto di inculcare un insegnamento. E questo traspare dal rimprovero rivolto da Dio al profeta (4,10-11) e dall'oggetto della divina misericordia, cioè la capitale di un popolo pagano che oppresse e portò in schiavitù molti cittadini del regno settentrionale di Israele. Jhwh, dunque, è il Dio di tutta la terra, non soltanto della Palestina: non in teoria, ma in modo palese e pratico, sicché dimostra misericordia verso chiunque si pente dei propri peccati. Del profeta, per contro, l'autore fa un tipico rappresentante dell'odioso e ridicolo particolarismo di alcuni ebrei, forse anche scandalizzati dal fatto che non si vedeva ancora il compimento degli oracoli profetici contro le nazioni vicine.
Il messaggio Il racconto di Giona s'innalza al di sopra dei più grandi rappresentanti della religione dell'antico Israele. Amos aveva insistito sull'uguaglianza dei popoli davanti alla giustizia di Dio, ma l'autore di Giona proclama l'uguaglianza davanti all'amore di Dio (che Amos aveva appena sfiorato in 9,7). Egli è anche più profondo e generoso dell'autore di Rut e del c. 56 di Isaia che rivendicano ai pagani convertiti il diritto alla naturalizzazione (ebraica), perché ammette che gli stranieri, pur restando tali, possono diventare adoratori del vero Dio: l'autore di Giona riprende e sviluppa ancora un tema che era stato intravisto solo dalla seconda parte del libro di Isaia (o Deuteroisaia): il dovere missionario di Israele verso le nazioni.
Il messaggio La narrazione testimonia un'arte assai sviluppata, con mezzi molto semplici: pochi discorsi, poche analisi psicologiche, e tuttavia i personaggi sono tratteggiati in modo chiaro e preciso dalle loro stesse azioni. Ad esempio: non è detto che, ricevuto l'ordine, Giona si sia indignato, ma è narrata la sua fuga; non è detto che Jhwh si sia irritato per la disobbedienza del profeta, ma che sollevò una tempesta; non si spiega come il profeta si sia pentito della sua ostinazione, ma è detto che pregò; non è detto che Jhwh lo abbia perdonato, ma che ordinò al pesce di portarlo sulla spiaggia. Giona è tratteggiato come una tipica persona ostinata, egoista, dal cuore stretto, Jhwh come la bontà e l'indulgenza paterna in persona. Nessun altro libro dell'AT ha saputo, con mezzi così semplici, mettere in luce con forza e grazia questo aspetto del carattere divino. Un generale tono umoristico con una punta di emozione e di satira permea tutto il racconto.
L’interpretazione La negazione della storicità del libro non dipende dalla narrazione di eventi apparentemente improponibili e quindi dalla fede o meno sulla possibilità dei miracoli, ma dal tenore letterario del libro e dall'attenzione rivolta alla volontà dell'autore, agli insegnamenti che intende impartire. La storia dell'interpretazione di questo libro, apparentemente difficile, attesta che le pagine scritte con l'intenzione di dimostrare la verosimiglianza di qualche racconto hanno fatto perdere totalmente di vista i reali insegnamenti che erano nella volontà dell'autore e che ha saputo esprimere eloquentemente. Molti apologeti che hanno cercato di spiegare come possibili eventi storici certe narrazioni, hanno semplicemente fatto sfoggio di un insolito razionalismo e di una poco attenta lettura del testo.
L’interpretazione Agli antipodi, il racconto fu anche considerato come un'allegoria: Giona ("colomba") sarebbe Israele che doveva portare il messaggio divino tra le nazioni, ma ne fu impedito perché inghiottito da Babilonia; liberato dall'esilio, restò deluso dalla mancanza della punizione divina contro le nazioni, e solo con molta riluttanza accettò la missione assegnatagli. Secondo questa (piuttosto fantastica) interpretazione, il ricino (4,6ss) è Zorobabele (cf. Esd) e Babilonia il mostro marino. In favore della storicità fu spesso addotto il testo evangelico di Mt 12,40, il cosiddetto "segno di Giona": ma questa conclusione non è richiesta da alcuno dei tre testi evangelici (Mc 8,11-12; Mt 12,38-42; Lc 11,29-32).
La datazione La data di composizione si deduce dai dati che precedono. Non ci è dato, finora, di individuare il materiale antico del quale, verosimilmente, l'autore si servì, ma si può senz'altro ritenere che l'umanitarismo e l'universalismo sono dovuti a lui e al suo tempo, e ciò aiuta a collocare cronologicamente l'opera. Le idee espresse sono ben difficilmente immaginabili nel periodo preesilico; anche il particolarismo giudaico è caratteristico dell'epoca postesilica (cf. Ne). Alcuni studiosi pensano che l'autore combatta le misure esclusiviste adottate da Esdra e Neemia, ma lo scritto è ben comprensibile anche senza questo preciso riferimento, perché era uno spirito diffuso all'epoca del postesilio. L'autore viveva in un'epoca nella quale non solo Ninive era già stata distrutta (cioè dopo l'anno 612), ma era già avvolta nella leggenda: ci voleva un intero giorno per percorrerla, aveva centoventimila abitanti, ecc., digiunarono anche le bestie (3,4.7-8; 4,11).
La datazione Le prime testimonianze sicure sono il testo del libro del Siracide che parla dei "dodici profeti" (Sir 49,10) e le parole di Tobia che ricordano chiaramente il nostro libro esortando il figlio a fuggire da Ninive perché la città sarà distrutta, come predisse Giona (Tb 14,4.8: la città era certamente già distrutta). Siccome il Siracide risale, come data approssimativa, verso il 190 a.C., il nostro libro a quell'epoca doveva già godere di notevole antichità e ascendente, dato che faceva parte della letteratura sacra. D'altra parte la composizione del libro di Tobia si pone tra il IV e il III secolo; è probabile che alla stessa epoca risalga il racconto di Giona. La sua fisionomia tardiva è poi confermata anche dai numerosi aramaismi che vi si riscontrano. Anche il messaggio del libro ben si adatta a quest'epoca storica. www.micromedia.unisal.it