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Problemi di una filosofia dell’immaginazione 2011/10 Ultima lezione. Appunti dal Corso di Filosofia teoretica (si parva licet componere magnis ) in lingua volgare tratti dallo studente di filosofia Lapo Piccionis. Non è affatto necessario che si sappia immaginare,
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Problemi di una filosofia dell’immaginazione 2011/10 Ultima lezione
Appunti dal Corso di Filosofia teoretica (si parva licet componeremagnis) in lingua volgare tratti dallo studente di filosofia Lapo Piccionis
Non è affatto necessario che si sappia immaginare, e nel mondo grande e vario di chi vive in terra e in mare, forse l’unico animale che recidere sa il nodo che lo vincola al reale liberandolo, a suo modo,
siamo noi, scimmie addestrate. Non è il caso di vantarsi: è una piega evolutiva, che consente di adattarsi alla vita ed ai suoi affanni dando inizio alla cultura: se mi metto nei tuoi panni e comprendo la natura
delle tue varie intenzioni, e se immagino i moventi da cui sorgono le azioni e mi fingo quel che senti, posso dare alla mia vita una forma più corale, e far sì che sia inserita nelle pieghe del sociale.
Appartengo ad un processo che si dà nel tramandare: e se vige questo nesso è perché so immaginare. Solo se, nella mia mente, io so in fondo figurare i pensieri della gente, mi è possibile imparare.
Così è andata, ma di forme frutto dell’evoluzione ce ne sono torme e torme, e la tua immaginazione è una forma tra le tante. Ne son prive le formiche? Ne son prive, e nonostante son di noi molto più antiche.
Se per te l’immaginare è soltanto uno strumento che fa all’uomo guadagnare un positivo adattamento, devi allora riconoscere che la fantasia è casuale che poteva non esistere: ben rinchiusi nel reale
si può certo ancora esistere. Ma se ora invece penso alla forma del mio vivere, sai, comprendo che del senso della vita e del mio mondo, è la fantasia una forza che si irradia nel profondo: è il mio tronco, non è scorza.
Ha un suo ruolo nel pensare, nel dar forma all’altrimenti, e consente di ampliare l’orizzonte delle menti. Un bambino si addormenta sa da poco camminare: ma una voce già lo tenta e lo spinge a immaginare.
È una voce che racconta; lui l’ ascolta a bocca aperta, la comprende e non si adonta anche se è una cosa certa che non sia vera per niente. Non è vera, eppur non mente, perché l’immaginazione fa una neutralizzazione
di ogni autentica credenza e sospende l’esistenza: così è la fantasia in fenomenologia. Sul quaderno poi ho tracciato degli schemi col righello. Ahimè, triste è il risultato. Il disegno non è bello
ed il testo incomprensibile: la finzione del possibile? il ricordo del presente? - non capisco proprio niente! Qualche pagina più avanti si fa un po’ più chiaro il testo. I problemi restan tanti, ma ho capito almeno questo:
quando immagini, tu poni mondi, azioni, casi, eventi ed insieme te supponi: fingi che ti sian presenti e che possano toccarti le vicende immaginate. Posson gli occhi lacrimarti per vicende sventurate
di cui certo tu ben sai che non sono mai accadute e che non saranno mai. Tu lo sai, ma le hai vissute come fossero presenti: non a te, uomo reale, ma al lettore degli eventi: al tuo ego finzionale.
Sai, io parlo di presente , ma in un senso in fondo nuovo: ciò che intendo non è niente più che il dir ch’ io qui mi trovo, che il mio qui, finzionalmente, è coinvolto da quel mondo che si finge nella mente e mi scuote nel profondo.
Il trovarsi è condizione della ridda di emozioni che nell’immaginazione provo senza aver ragioni, perché Ettore non muore – non è nato, poveretto – perché non c’è un cacciatore, per salvare Cappuccetto.
Sulle forme del trovarsi abbiamo fatto mille esempi, ma gli appunti sono scarsi e i discorsi un poco scempi. Delle forme dunque taccio, ma di dir mi riprometto che, se fingo, questo faccio: pongo me come soggetto
implicato tuttavia: un implicito lettore, un io della fantasia o quel finto spettatore che la tela vuol che sia. Dopo giorni, ore e minuti persi sulla fantasia ci siam detti compiaciuti:
ora giunto è il gran momento di affrontare un nuovo tema: dell’imago in movimento, or si parli – il tempo scema. Molti film abbiamo visto – neanche uno fino in fondo! – Ogni volta un imprevisto: lo Spinicci è furibondo.
Devo dire, lo confesso, che la scelta dei filmati mi ha lasciato un po’ perplesso: sono tutti un po’ invecchiati. Professore, mi consenta: son finiti gli anni Trenta, ciò che a lei pare recente non lo è proprio per niente.
Un quesito le porrei: lei va al cinema a Pompei? Forse questi suoi filmati glieli ha Adamo un dì prestati dopo quel morso fatale che causò per punizione lo svuotarsi del reale e dell’immaginazione
un bisogno fresco e nuovo? Qui finiscono gli appunti: altri fogli ahimè non trovo, per chiarir quei due o tre punti che mi restano un po’ oscuri, vaghi, incerti o inconsistenti e che rendono insicuri certe volte gli studenti.
Per l’esame non mi assillo, non farò una notte insonne, te lo dico, son tranquillo: ho contato le colonne! Se mi dice: Filarete, Vai, che faccio un figurone: lui non sa, e io – vedrete: altro che immaginazione!
Per il resto, dammi retta: per gli esami è sufficiente il parlare senza fretta, far la faccia intelligente. Asseconda i suoi capricci - tu di’ spesso “banalmente” – e vedrai che lo Spinicci si accontenta facilmente.
Per l’esame si può fare, ma c’è un dubbio che mi assale: se tu vuoi filosofare non ha senso farlo male. Devi farne un’ossessione, io ci provo, almeno penso, devi rendere ragione: il barare non ha senso
Ma se poi ti senti incerto e ti chiedi: son capace? non sarò troppo inesperto? sarò un principe o un batrace? È l’errore più risibile il timore di sbagliare. Tu ti fermi, ed è visibile che il tuo sbaglio è nel non fare.
Ne sarò io mai capace? Sono un principe o un batrace? Io, per me, mi sono assolto e il problema l’ho risolto, gracidando tuttavia un po’ di filosofia