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A TAVOLA CON I ROMANI. Viaggio tra i cibi, i banchetti e le tradizioni culinarie dell’antica Roma. SOMMARIO. Cucina nell’antica Roma Com’era fatta una cucina Pasti nella giornata Pasto degli schiavi e dei soldati Cene famose Marco Gavio Apicio De re coquinaria Altri personaggi Ricette.
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A TAVOLA CON I ROMANI Viaggio tra i cibi, i banchetti e le tradizioni culinarie dell’antica Roma.
SOMMARIO • Cucina nell’antica Roma • Com’era fatta una cucina • Pasti nella giornata • Pasto degli schiavi e dei soldati • Cene famose • Marco Gavio Apicio • De re coquinaria • Altri personaggi • Ricette
CUCINA NELL’ANTICA ROMA Infatti se nel periodo repubblicano si viveva di ortaggi e polenta di farro, dal II secolo a.C. si cominciarono adadoperare in abbondanza spezie provenienti dall’Oriente per insaporire e conservare. È necessario ricordare che anche a Roma, come in tutte le società, i gusti e le abitudini alimentari cambiarono col tempo.
COM’ERA FATTA UNA CUCINA I LAVELLI servivano per pulire le stoviglie: potevano essere bacinelle di legna o terracotta, oppure in muratura con apertura per far scolare l’acqua. Il FORNO era invece il luogo in cui si faceva cuocere il cibo più grosso e si potevano preparare anche pane e biscotti. La cucina era costituita solitamente da BANCONI IN MURATURA. Adoperati come piani di lavoro, su di essi c’erano teglie, casseruole, griglie. Il FOCOLARE era il piano di cottura in muratura, realizzato con una fila di coppi all’esterno per evitare la caduta della cenere.
IL VASELLAME da cucina, di uso quotidiano e diffuso in tutto il mondo romano, era di ceramica comune, di modesto artigianato, e prodotto in fabbriche vicine al luogo di consumo per evitare costi elevati di trasporto. Le tavoledelle ricche famiglie romane venivano imbandite con vasellame in ceramica pregiata. I commensali disponevano di un piatto fondo rotondo d’argilla o di metallo pregiato. Tuttavia ogni cibo prevedeva l’uso di un diverso recipiente.
PASTI NELLA GIORNATA Tre erano i momenti in cui si mangiava in una giornata: IENTACULUM: era il pasto del mattino a base di pane condito con sale, uva secca, olive e formaggio 2. PRANDIUM: si svolgeva alla sesta ora (mezzogiorno). Si mangiavano cibi caldi e pietanze fredde avanzate dal giorno prima. 3. CENA: era il pasto principale della giornata, iniziava alle 15:00 o alle 16:00 del pomeriggio e si protraeva per molto. La Coena o Cena consisteva in un Antipasto (Gustus), che era solitamente a base di verdura ; nella cena vera e propria (Primae mensae) ricca di piatti a base di carne e pesce; e nelle Secundae Mensae ovvero il nostro dessert, a base di frutta fresca, secca e dolci e si beveva solo il vino.
Gli schiavi che vivevano nelle aziende agricole venivano sottoposti a severa disciplina per sfruttare al massimo le loro capacità di lavoro. Erano considerati veri e propri oggetti di proprietà dei padroni, assimilati al bestiame, come testimonia lo stesso Catone che tratta del cibo loro e degli animali domestici negli stessi capitoli delDe agri cultura. IL PASTO DEGLI SCHIAVI…
…E DEI LEGIONARI Constatiamo, tuttavia , che il soldato di guarnigione poteva permettersi qualche lusso alimentare : in particolare egli preferiva alimenti sotto sale, condimenti e salumi.Da scavi archeologici effettuati nelle discariche degli accampamenti sappiamo anche che i legionari consumavano grandi quantità di carne. Il pasto dei legionari durante le marce non doveva essere molto abbondante, se ci atteniamo alle fonti (Historia augusta), che attestano la presenza nel rancio di lardo, formaggio, gallette e la posca, una bevanda costituita da acqua e aceto.
Il cibo, sul quale era incentrata l’oziosa vita dell’aristocrazia romana, era motivo di incontri nei quali il padrone di casa esaltava le proprie ricchezze. • Ne troviamo testimonianza: • nella “satira VIII” del libro I di Orazio, convito di Nasidieno; • nel “Satyricon “di Petronio, cena di Trimalcione; • - nel “Carme XIII” di Catullo. CENE FAMOSE… Abbiamo modo di notare in tutte le opere un’auto-esaltazione da parte dei padroni di casa; sia attraverso il lusso e la non comune originalità nel servizio e nella presentazione delle portate, sia esaltando smodatamente gli invitati più illustri. L'intento degli autori è evidentemente quello di caricare i personaggi per farli apparire del tutto inetti.
Orazio - Libro I, satira VIII Orazio propone un dialogo in cui Fundanio, uno dei due interlocutori, racconta ad un amico il banchetto che si è tenuto il giorno precedente presso il ricco Nasidieno, il quale, pur offrendo una mensa ricchissima e molto particolare, si rivela come un anfitrione insopportabile, il cui unico scopo è quello di stupire i commensali attraverso l’abbondanza ma soprattutto l’inusualità delle portate. I cibi inusuali che Nasidieno offre sono presentati in modo spettacolare e scenografico. Ciascun piatto è accompagnato dalle spiegazioni non richieste (e quindi inopportune) del padrone di casa, riguardo la preparazione, la provenienza e le peculiarità delle pietanze. Proprio questa è la caratteristica che infastidisce gli ospiti e rivela il desiderio dell’anfitrione di esibire la raffinatezza e la singolarità dei piatti, per dimostrare, ancora una volta, il suo prestigio.
Tutto sembra procedere per il meglio quando si verifica l’imprevisto (acmé): il baldacchino che, appeso al soffitto, sovrastava la tavola, cade rovinosamente inondando di polvere la sala allestita con tanta cura da Nasidieno. Egli, vedendo rovinato lo spettacolo che avrebbe dovuto ostentare la sua ricchezza e il suo prestigio, reagisce tragicamente e il suo pianto è paragonato da Orazio a quello causato dalla perdita di un figlio. Fortunatamente però interviene Nomentano il quale, ironicamente, accusa dell’imprevisto la dea Fortuna, colpevole di vanificare troppo spesso gli sforzi degli uomini. Balatrone, un altro commensale, sostiene invece che sono proprio gli inconvenienti a valorizzare il buon padrone di casa, che altrimenti rimarrebbe in ombra. Nonostante lo spunto ironico del discorso e l’accostamento comico tra il ruolo del padrone di casa e quello di un generale, Nasidieno viene confortato da queste parole, come testimoniato dalla sua replica. Egli comunque non si accontenta e, inconsapevolmente deriso dagli ospiti, riprende la cerimonia con portate ancor più singolari e scenografiche.
Petronio Attico – Satyricon, la cena di Trimalcione Un attimo dopo arrivano delle anfore di cristallo scrupolosamente sigillate e con delle etichette incollate al collo con su scritto “Falerno Opimiano di cent'anni ”. Mentre eravamo impegnati a leggere, Trimalcione batte le mani urlando: «Oddio, dunque il vino vive più a lungo di un pover'uomo. Ma allora scoliamocelo d'un fiato! Il vino è vita e questo è Opimiano puro. Ieri non ne ho offerto di così buono, eppure avevo a cena gente ben più di riguardo». Mentre noi tracanniamo e osserviamo con gli occhi sgranati tutto quel ben di dio, arriva un servo con uno scheletro d'argento costruito in maniera tale che lo snodo delle vertebre e delle giunture permetteva qualunque tipo di movimento. Dopo averlo buttato a più riprese sul tavolo facendogli assumere varie posizioni grazie alla struttura mobile, Trimalcione aggiunge: «Ahimè, miseri noi, che cosa da nulla è un pover'uomo. Noi tutti saremo così il giorno che l'Orco ci prende. Ma allora viviamo, finché godere possiamo».
Cenabis bene, mi Fabulle, apud mepaucis, si tibi di favent, diebus,si tecum attuleris bonam atque magnamcenam, non sine candida puellaet vino et sale et omnibus cachinnis.Haec si, inquam, attuleris, venuste noster,cenabis bene; nam tui Catulliplenus sacculus est aranearum.Sed contra accipies meros amores,seu quid suavius elegantiusve est:nam unguentum dabo, quod meae puellaedonarunt Veneres Cupidinesque;quod tu cum olfacies, deos rogabistotum ut te faciant, Fabulle, nasum. Ti invito, o mio Fabullo, ad una lauta cena,fra pochi giorni, se tè lo consentono gli dei,se sei tu a portarti la cena abbondante e succulenta,non senza uno splendore di ragazzae vino e sale e un mucchio di risate.Se - come dico - sarai tu a portare tutto ciò, ti invito,bello mio, ad una lauta cena. Purtroppo il borsellinodel tuo Catullo è pieno solo di tele di ragno. In cambio avrai una sincera, affettuosa accoglienzae in aggiunta ciò che c'è di più attraente e raffinato:li offrirò il profumo che Veneri e Amorinihanno donato alla ragazza del mio cuore.tu, o Fabullo, quando lo sentirai, pregherai gli deiche ti trasformino tutto in un unico naso. Catullo - Carme XIII
MARCO GAVIO APICIO Marco Gavio Apicio fu un patrizio romano nato all’incirca nel 25 d.C. Gli storici che ce lo raccontano, come Seneca e Plinio il Vecchio, ne parlano come di un uomo raffinato ed elegante appassionato di particolari gastronomie. Fu modello di originale stravaganza per l'alta società romana ma nello stesso tempo rappresentò un fin troppo facile bersaglio per i filosofi della moderazione. Lo stesso Seneca si distinse come uno dei più severi. Egli raccontò anche la morte di Apicio, dicendo che si suicidò perché non riusciva più a mantenere il suo alto stile di vita.
De re coquinariarappresenta un testo classico della letteratura gastronomica romana. Il trattato non è altro che una raccolta di ricette in uso presso le case patrizie. Diviso in dieci libri, ci offre uno spaccato sulle tecniche di preparazione del cibo e sui numerosi prodotti utilizzati per imbandire i banchetti. DE RE COQUINARIA
Libro I: contiene suggerimenti vari, dal preparare un vino speciale, a come conservare i cibi a lungo ecc. • Libro II: detto anche Sarcoptes, è dedicato all’impiego delle carni tritate. • Libro III: definito Cepuros, è incentrato sull’uso di varie verdure, in particolare gli ortaggi. • Libro IV: vengono proposte ricette per salse, torte,antipasti, piatti di verdure e quant’altro. • Libro V: in esso è contenuto un grande riassunto sui legumi e le farine che si possono ricavare da essi. • Libro VI: viene sintetizzata la procedura per la cottura degli animali da piuma e per la cacciagione. • Libro VII:chiamato anche libro ‘ delle vivande prelibate ’ contiene le ricette più originali della cucina romana: calli di dromedario, cotenne, zampe di maiale e cinghiale,fegato d’oca e così via. • Libro VIII:capitolo dedicato ai quadrupedi molto spesso presenti nei banchetti come lepri, cervi ecc. • Libro XI e X: viene affrontato il tema del mare; ci si dedica alla preparazione del pesce, dei molluschi e dei crostacei.
Seneca ALTRI PERSONAGGI Gli dei e le dee maledicano una ghiottoneria che travalica i confini di un tale impero! Vogliono che si catturi oltre il Fasi (1) gli ingredienti della loro gastronomia, e si preoccupano di importare dai Parti volatili invece che importare vittorie. Convogliano da ogni parte tutti i cibi noti al palato più esigente; si trasporta dall'oceano, ai confini del mondo, ciò che lo stomaco guastato dalle raffinatezze lascia appena entrare: vomitano per mangiare, mangiano per vomitare, e non si danno neppure la pena di digerire le pietanze reperite in ogni angolo della terra. (1) Fiume del Caucaso, ritenuto confine tra Asia ed Europa. Il riferimento di Seneca è ai fagiani, phasiani, che presero il nome dal fiume Phasis. Consolazione alla madre Elvia, 10
Plinio il Vecchio Plinio è una miniera inesauribile di informazioni sui prodotti alimentari e sui costumi Romani, nonché quello al quale dobbiamo maggiori informazioni sulle varie specie di viti e di vini conosciuti. Il libro XIV della Naturalis Historia è dedicata a questo tema; conta 22 capitoli che trattano dell'argomento nei suoi minimi dettagli, dalle varie specie di viti, la natura del suolo, il ruolo che gioca il clima, il vino in generale, i vari vini d'Italia e d'oltremare conosciuti dai tempi più arretrati, all'enumerazione dei più famosi consumatori della Grecia e di Roma. Fornisce anche informazioni preziose sulle piante odorose, gli alberi da frutto, il grano, l'agricoltura, il giardinaggio, le piante medicinali, le carni, pesci, selvaggina, l'apicoltura, la panetteria e le verdure.
Catone bruciando di rovinoso odio per Cartagine e ansioso della sicurezza dello stato, gridando spesso in senato che Cartagine doveva essere distrutta, portò un giorno in curia un cesto di fichi da quella provincia e mostrandoli ai senatori gli chiese: “Quando pensate che questi frutti siano stati staccati dall'albero?”. Affermando tutti, ammirati dalla bellezza, che i frutti erano recenti, disse: “Sappiate che sono stati colti tre giorni fa a Cartagine: abbiamo il nemico così vicino alle mura!” Tale cosa mosse gli animi dei senatori e subito venne proclamata la terza guerra punica in cui Cartagine venne distrutta. Cato perniciali odio Carthaginis flagrans atque rei pubblicae securitatis anxius, cum saepe clamaret in senatu Carthaginem delendam esse, adtulit quodam die in curiam praecocem ficum ex ea provincia latam ostendensque patribus ex eis quaesivit: "Quando hanc pomum demptam esse putatis ex arbore?“.Cum omnes, pulchiritudine admirati, adfirmarent pomum recentem esse, "Atqui tertium, inquit, ante diem sciotote decerptam esse Carthagine: tam prope a muris habemus hostem!“ Movit ea res patrum animos statimque sumptum est Punicum tertium bellum, quo Carthago deletea est. Plinio il Vecchio, I fichi di Cartagine
Catone – De agri cultura L’opera più antica della letteratura agronomica latina è il De agri cultura di Catone. Il testo è costituito da una raccolta di consigli sulla coltivazione dei campi, sull’arte culinaria e sulle pratiche enologiche e olearie. Catone descrive i primi segni delle trasformazione dell’agricoltura latina in agricoltura mercantile; infatti sia le dimensioni aziendali sia lo specializzarsi di ogni azienda in un settore specifico tende ad ampliarsi. Grazie alla sua opera ci sono pervenuti anche degli scorci sull’ alimentazione dei legionari e degli schiavi; inoltre non mancano alcuni capitoli dedicati ai fichi, principale frutto dell’alimentazione romana, e alla loro coltivazione: “Ficos Marsicas in loco cretoso et aperto serito; Africanas et herculaneas, Sacontinas, hibernas, Tellanas atras pediculo longo, eas in loco crassiore aut stercorato serito.” “I fichi marischi li pianterai in luoghi argillosi e aperti; gli africani e gli ercolani, i saguntini, gli invernali, i tellani neri a picciolo lungo, tutti questi li pianterai in un terreno grasso o concimato.” (Catone il Censore, De Agri Cultura,8,1)
RICETTE: BEVANDAALLA RUCOLA Considerata altamente afrodisiaca, la rucola poteva essere usata anche come bevanda rinfrescante. Per prepararla frullare tre foglie di rucola con un cucchiaio di mele ed un po’ di acqua. Lentamente aggiungere ancora acqua fino adarrivare ad un litro. Le proporzioni possono variare a seconda del gusto.
Un alimento afrodisiaco: la rucola. La rucola ha origini molto antiche. I romani la utilizzavano nei filtri amorosi, ritenendola il più potente tra gli afrodisiaci. Ma non solo, addirittura pensando che ci fosse qualcosa che potenziasse l’aspetto afrodisiaco, la sua coltivazione era spesso effettuata nei terreni che ospitavano le statue falliche erette in onore di Priapo, dio della virilità. Veniva chiamata “eruca salax” o “herba salax” cioè erba lussuriosa, sconsigliata in caso di delusioni d’amore. Ma non finisce qui: durante il Rinascimento in alcuni scritti si narrava di certi monaci che a causa della rucola abbandonarono, il voto di castità. Non solo proprietà afrodisiache, la rucola era un’erba ricca di vitamina C e sali minerali.
EPITYRUM Snocciolare e tritare delle olive nere, possibilmente quelle molto grandi e seccate, utilizzando un frullatore. Aggiungere lentamente un po’ di olio e un po’ di aceto. Poi aggiungere un pizzico di ruta (se disponibile altrimenti si può sostituire conpoco prezzemolo e foglie di sedano), di semi di coriandolo, di cumino, di finocchiella selvatica, di menta. Si formerà in questo modo una sorta di paté che può essere conservato anche per più tempo in un barattolo di vetro in frigo.L’epytrum si può anche utilizzare mescolato con olive intere sempre dello stesso tipo.
Lectio: Libum [Cato, De Re Rustica, 75] Meravigliosi panini al formaggio, ottimi in qualsiasi occasione. Il loro nome deriva dal verbo “libare” che ha due significati: il primo indica “sacrificare”, e ciò fa pensare che venissero impiegati durante le pratiche religiose, mentre il secondo significa propriamente “assaggiare”, e ciò è probabilmente connesso al fatto che fossero piccoli. Libum hoc modo facito: Farai così: in una bacinella molto casei p. II bene disterat capiente lavora 6.5 hg di ricotta in mortario; ubi bene vaccina utilizzando uno sbattitore distriverit, farinae siligineae elettrico, finchè il formaggio non libram aut, si voles tenerius avrà consistenza di crema. Poi aggiungi esse, selibram similaginis 3.5 hg di farina di grano tenero e solum eodem indito; permiscetoque insaporisci con del sale. Mescola, cum caseo bene; ovum unum aggiungi un uovo, impasta per 5 min addito et una permisceto e lascia riposare. Trascorsi 10 min bene. Inde panem facito; farai delle focaccine, le poggerai su folia subdito; in foco caldo foglie di alloro unte d’olio e le adagerai sub testu coquito leniter. su una teglia. Cuocete a 200°per 30 min
Il Garum: Il Garum è una salsa liquida di interiora di pesce salato che gli antichi Romani aggiungevano come condimento a molti primi piatti e secondi piatti. Non ci sono prevenute molte notizie sulla preparazione di questa salsa, ma alcuni sostengono che fosse simile alla pasta d’acciughe, altri invece al liquido della salamoia delle acciughe sotto sale. Apicio nel “De re coquinaria” ci conferma il fatto che il Garum venga ricavato dalle interiora di animali come il pesce, ma , dando per scontato la ricetta, non ha pensato bene di tramandarla. Composti simili sono oggi presenti in popolazioni dell’Indocina ( il più noto è chiamato Nuoc Mam). Immagine di un’anfora contenente del Garum rinvenuta a Pompei.
Realizzato da: De Vincentiis LetiziaMancini FrancescaPerazzetti StefaniaPicciano Valentina