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Una introduzione alla teoria economica marxiana. Il Capitale di Marx. Il valore e l’origine del plusvalore Nel 1° libro de Il Capitale , Marx si propone di spiegare la logica sottostante alla riproduzione del modo di produzione capitalistico.
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Una introduzione alla teoria economica marxiana Il Capitale di Marx
Il valore e l’origine del plusvalore Nel 1° libro de Il Capitale, Marx si propone di spiegare la logica sottostante alla riproduzione del modo di produzione capitalistico. Il primo capitolo si intitola “La merce” ed è aperto da una constatazione: La ricchezza della società nella quale domina il modo di produzione capitalistico si presenta come “un’immane raccolta di merci” e la merce singola si presenta come sua forma elementare. Perciò la nostra analisi comincia con l’analisi della merce. “merci”, cioè beni e servizi scambiati attraverso il mercato.
Anche i rapporti economici tra le persone diventano rapporti tra merci. L’arcano della forma di merce consiste … semplicemente nel fatto che tale forma, come uno specchio, restituisce agli uomini l’immagine dei caratteri sociali del loro proprio lavoro, facendoli apparire come caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, come proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi restituisce anche l’immagine del rapporto sociale tra produttori e lavoro complessivo, facendolo apparire come un rapporto sociale fra oggetti esistenti al di fuori di essi produttori. Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro divenano merci, cioè sensibilmente sovrasensibili, cioè cose sociali (cap. 4. Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano) La merce ha un valore di scambio ed è scambiata con altre merci tramite la moneta. La sequenza che rappresenta gli scambi è: M – D – M Il fine dello scambio della prima merce con denaro è quello di poter acquistare una seconda merce e di consumarla (utilizzarne il valore d’uso).
Il valore della prima merce è identico a quello della seconda. Marx condivide con Smith il “paradosso del valore” e con Ricardo la teoria del valore-lavoro contenuto, precisandola. Il “valore” di ogni merce, per Marx, consiste nella quantità (tempo) di lavoro astratto (cioè indipendente dal tipo di attività svolta) e socialmente necessario per produrla. L’ammontare del tempo di lavoro che viene “realizzato” quando si scambia una merce con altre merci è determinato non dal singolo produttore, ma dalle condizioni di mercato (concorrenza).
Ad eccezione del settore agricolo, tale valore equivale a un tempo di lavoro medio, che consente a chi produce in tempo minore di beneficiare di un guadagno, e costringe chi produce in maniera meno efficiente a “perdere” nello scambio una parte del proprio tempo di lavoro individuale. Inoltre lo sviluppo delle forze produttive conduce a una riduzione del tempo di lavoro socialmente necessario e quindi del valore delle merci. Il valore di scambio (valore relativo) esprime dunque il rapporto tra i “valori” della merci, cioè tra il tempo di lavoro socialmente necessario in esse contenuto.
La moneta (denaro) è una merce speciale, il cui “valore d’uso” consiste nel rappresentare il valore astratto contenuto nelle altre merci, consentendo lo scambio. Il concetto di “merce”, tuttavia, non basta per comprendere la natura del modo di produzione capitalistico, anche se ne è premessa. Esso potrebbe definire una ipotetica “società mercantile semplice” (Engels) in cui i produttori sono lavoratori indipendenti, ma questo modello di società per Marx non è mai esistito. Solo la produzione capitalistica è una produzione di merci compiuta.
La sequenza dello scambio sopra indicata ci consente tuttavia di comprendere in che cosa consista la produzione capitalistica. Prolunghiamo la sequenza ipotizzando una serie successiva di rapporti di scambio: M – D – M – D – M – D – M … Questa sequenza “prolungata” è legittima perché: 1. Le merci sono tutte equivalenti dal punto di vista del valore; 2. Ciascuna può essere domandata e utilizzata non con lo scopo di consumarla, ma di utilizzarla in ulteriori scambi (solo l’ultima merce acquistata sarà domandata per consumarne il valore d’uso); 3. Il denaro è “l’equivalente universale” del lavoro astratto contenuto in queste merci.
Isoliamo ora nella sequenza un segmento diverso da quello precedente, come evidenziato sopra. Ma ha senso il segmento isolato? Stando alla attuale formulazione (D – M – D), un detentore di ricchezza astratta acquista una merce allo scopo di tornare in possesso della stessa quantità di valore… L’operazione appare logica solo a condizione che lo scopo sia acquisire una quantità di valore superiore a quella inizialmente anticipata: D – M – D' con D' = D + D cioè D' > D Questa operazione descrive esattamente lo scopo del capitalista, che anticipa un capitale (D) allo scopo di accrescerne il valore (D).
Ma da dove deriva questo accrescimento? Marx accusa gli economisti classici di avere assunto l’esistenza del profitto e della rendita, senza però spiegarne l’origine. Per dare questa spiegazione occorre considerare la natura dello scambio tra capitalista e lavoratore. Il capitalista offre un salario, e il lavoratore? Offre la “forza lavoro” o “capacità lavorativa”. Questa forza lavoro è una merce come tutte le altre, che ha il suo valore di equilibrio = valore dei beni che compongono il salario (di sussistenza) = t. di lavoro necessarioa produrre i beni-salario.
La forza lavoro è dunque la semplice capacità di lavorare, per pagare la quale è sufficiente mantenere il lavoratore, dandogli quei beni che sono convenzionalmente ritenuti sufficienti alla sua sussistenza. Altra cosa è il lavoro, inteso come effettiva attività lavorativa, tempo di lavoro erogato dal lavoratore. Questa può essere considerata come il “valore d’uso” della merce forza-lavoro acquistata dal capitalista, il quale acquisisce così la possibilità di far lavorare il lavoratore per un numero d’ore maggiore di quello necessario per produrre l’equivalente del salario. Marx critica i classici per non avere distinto tra lavoro e forza lavoro. Se consideriamo la sequenza D – M – D', la merce M che il capitalista allo scopo di ottenere D' non è il lavoro, ma la forza lavoro. E la paga al suo giusto valore. Lo “sfruttamento” del lavoratore avviene invece dopo questo primo scambio, all’interno del processo di produzione.
Consideriamo una giornata lavorativa tipo: Giornata lavorativa Lavoro necessario Pluslavoro h.: 0 4 10 Valore equivalente al salario di sussistenza Plusvalore Valore totale delle merci prodotte = 10 h. di lavoro
Per Marx, dunque, il sovrappiù, o plusvalore, è dovuto unicamente al lavoro, ed esattamente al pluslavoro erogato dalla forza lavoro. Esso è appropriato dal capitalista. Seguiamo i passaggi della sequenza D – M – D’:
D - M … [processo lavorativo] … M' - D' il lavoratore produce merci M' aggiungendovi un valore pari a di 10h-lavoro il capitalista acquista la merce forza lavoro pagandola al suo valore = 4 h-lavoro il capitalista vende M' e ottiene un valore pari a 10h-lavoro
Il plusvalore può inoltre essere aumentato in due modi: 1. mediante il prolungamento della giornata lavorativa, ovvero della durata contrattuale degli orari di lavoro a parità di salario (plusvalore assoluto); 2. mediante l’introduzione di nuove tecniche produttive che consentano un incremento della produttività del lavoronei settori produttori dei beni-salario (plusvalore relativo).
Plusvalore assoluto Lavoro necessario Pluslavoro h. 4 10 12 Plusvalore relativo Lav. necess. Pluslavoro 3 10 h.
Le anticipazioni del capitalista non possono limitarsi al solo pagamento della forza-lavoro, eccetto che in uno stadio primitivo. Marx suddivide il capitale in due parti: K = C + V C = Capitale costante, ovvero il valore delle materie prime e delle macchine; V = Capitale variabile, ovvero il valore della forza lavoro. Di queste due anticipazioni, solo la seconda è “fruttifera” per il capitalista, perché è quella che consente di generare il plusvalore. Il valore del capitale costante, invece, si trasferisce nella merce solo per la quota di esso consumata per produrre la merce. Il valore complessivo delle merci si compone dunque di tre parti: C + V + S con S = plusvalore o surplus
In base a ciò, è possibile porre in evidenza alcune relazioni: 1. saggio di plusvalore, rapporto tra plusvalore e capitale variabile. Il saggio di plusvalore indica la sorgente del profitto. 2. saggio di profitto, rapporto tra plusvalore e capitale complessivo. Il saggio di profitto determina il saggio di crescita del sistema. Dividendo la precedente espressione per V si ottiene: ossia
Abbiamo così evidenziato il rapporto La composizione organica del capitale Questo rapporto indica una tendenza del modo di produzione capitalistico: la crescita di C relativamente a V (passaggio dalla manifattura alla grande industria). • Il saggio di profitto tende a decrescere nel tempo: è la caduta tendenziale del saggio di profitto. Tuttavia le stesse cause che fanno crescere q possono accrescere anche s, cosicché il saggio di profitto rpotrebbe anche crescere. Marx è tuttavia convinto che, nel lungo periodo, q cresce più di s. A differenza di Smith e Ricardo, Marx attribuisce la caduta dir a un fenomeno tipico della “rivoluzione industriale”: la meccanizzazione.
Questa “legge” è per Marx cruciale perché indica il limite storico del modo di produzione capitalistico “possibilità reale” del socialismo. Tra le previsioni di Marx vi è anche quella della tendenza all’immiserimento crescente delle classi lavoratrici: un peggioramento della posizione relativa della classe operaia: questa, pur migliorando il proprio reddito pro-capite, era destinata ad usufruire di una quota sempre minore, in termini relativi, del prodotto complessivo. Un’altra previsione di Marx è la tendenza alla concentrazione del capitale. Accumulazione del capitale crescita della scala di produzione (grande industria) grandi concentrazioni di capitale.
Infine, Marx sostiene che nel capitalismo vi è una tendenza alla disoccupazione strutturale. Il carattere strutturale della disoccupazione deriva da: 1. un aumento di C/V; 2. l’ingresso nella forza-lavoro di donne e ragazzi a seguito dell’introduzione di macchine. Si crea così un “esercito industriale di riserva”, cioè una massa di disoccupati che fa concorrenza agli occupati e quindi tende a comprimere il salario al livello di sussistenza.