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F. Nietzsche. “La Nascita della Tragedia” . La realtà, secondo Nietzsche, è generata dall'incontro-scontro di due principi opposti: rifacendosi alla mitologia greca li individua rispettivamente nelle divinità di Dioniso ed Apollo . Dionisiaco Caos Divenire Infinito Istinto Oscurità
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F. Nietzsche “La Nascita della Tragedia”
La realtà, secondo Nietzsche, è generata dall'incontro-scontro di due principi opposti: rifacendosi alla mitologia greca li individua rispettivamente nelle divinità di Dioniso ed Apollo
Dionisiaco Caos Divenire Infinito Istinto Oscurità Inquietudine Ebbrezza Apollineo Forma Stasi Finito Ragione Luce Serenità Sogno Caratteri dell’esistenza
L'alternarsi dei due elementi, apollineo e dionisiaco, è all'origine non solo della vita, essi sono un binomio inscindibile che caratterizza anche l'interiorità dell'uomo. L'uno è necessario e allo stesso tempo bisognoso dell'altro.
Apollineo e dionisiaco • Ogni vera arte è o apollinea o dionisiaca o risultato di entrambe: si tratta di impulsi o tendenze artistiche antitetici, dalla cui modulabile combinazione scaturisce in ogni tempo l'opera d'arte. • Apollineo e dionisiaco costituiscono gli unici veri impulsi artistici: l'arte apollinea per eccellenza è la scultura, quella dionisiaca la musica (almeno nelle sue forme più elevate). La tragedia è il classico esempio di perfetta sintesi dei due impulsi.
Sogno ed ebbrezza • Tuttavia apollineo e dionisiaco trovano espressione anche a livello elementare nel sogno (apollineo) e nell'ebbrezza (dionisiaco): nel sogno il mondo viene plasmato dal soggetto, nell'ebbrezza è invece il soggetto che viene plasmato dalla natura. In questo senso l'arte apollinea è gioco con il sogno, quella dionisiaca gioco con l'ebbrezza, con l'estasi. • L'artista apollineo gioca con la realtà nella propria ideazione creativa, gioca con il sogno nella propria traduzione produttiva. L'artista dionisiaco, invece, da un lato si abbandona all'ebbrezza, dall'altro si spia in quello stato: così nella sua creazione si intrecciano sobrietà e ebbrezza.
“ Proprio in questo, nel cogliere l'essenza della vita, la tragedia e l'arte in generale divengono la giustificazione estetica della vita. • In altre parole l'esperienza che lo spettatore vive durante la tragedia rende la vita possibile e degna di essere vissuta. L'uomo attraverso la tragedia si riappropria delle sue passioni contrastanti e realizza che gioia e dolore sono entrambi necessari, sono entrambi presenti nella vita. Impara a godere tanto dell'uno quanto dell'altra. Egli apprende la natura tragica della vita. ” F. Nietzsche, La nascita della tragedia
Rapporto apollineo e dionisiaco nella storia greca • La fase più antica della cultura greca (omerica) si sviluppò sotto il dominio esclusivo dell'apollineo (nell'epica, appunto). Il dionisiaco era allora appannaggio dei culti selvaggi del Vicino Oriente: la loro progressiva penetrazione in Grecia produsse la reazione ancora riscontrabile nell'irrigidimento apollineo dell'arte dorica. Dal compromesso scaturì il culto greco di Dioniso, raffinato rispetto ai precedenti asiatici, e simbolicamente collegato a quello di Apollo proprio nel centro della venerazione apollinea, a Delfi. • Con il culto di Dioniso si diffuse potentemente in Grecia anche la musica. Il flauto e il ditirambo caratterizzarono il culto del nuovo dio: in alternativa alla musica apollinea, eseguita con la lira,e al suo ritmo, la musica dionisiaca introdusse la potenza emotiva della tonalità, della melodia e della armonia. • La religione dionisiaca fu una religione misterica: al centro del suo culto si ritrovano la rievocazione della dolorosa lacerazione della unità primordiale nella molteplicità propria della individuazione e la aspirazione degli iniziati alla sua ricostituzione, nella perdita della personale identità. Così nel ditirambo la potenza della musica dionisiaca, coniugata ai movimenti della danza, ne riproduceva simbolicamente agonia e gioia.
"qui si parla soltanto un'esistenza rigogliosa, anzi trionfante, nella quale tutto l'esistente è reso divino, non importa se sia buono o cattivo" F. NIETZSCHE, La nascita della tragedia, tr., Roma, Newton Compton 1993, p. 124. • Gli dei olimpici nascono per dominare l’orrore ed il dolore della caducità umana. Gli uomini si cullano nel mondo dell'apollineo per escludere il dolore dalla vita e per poter continuare a vivere senza guardare l'altra faccia dolorosa dell'esistenza. • In un primo tempo in Grecia apollineo e dionisiaco convivono separati solo con la tragedia attica ( Sofocle ed Eschilo) si armonizzano dando origine a sublimi capolavori.
La religione olimpica suggerisce una piena adesione e fruizione della vita, in tutti i suoi aspetti, a dispetto di preoccupazioni d'ordine morale o della spiritualità propria di una religione della trascendenza. • Tuttavia ai Greci non sfuggiva il volto orrido dell'esistenza: la verità dionisiaca rivelava lo sfondo tragico della vita, la irrisolta contraddizione, il dolore e l'eccesso che la caratterizzano, come maledizioni della individuazione. Ne sono ancora evidenze i risvolti oscuri della mitologia e la sapienza di Sileno. In questo senso la religione olimpica (con l'arte a essa connessa) incarnò la reazione a quello strato di credenze pre-elleniche: il terrore titanico precede la vittoria della gioia olimpica. • Il mondo olimpico fu insomma la creazione dell'istinto apollineo per la bella illusione: il terrore richiedeva il superamento nella gioia, allo scopo di rendere sopportabile l'esistenza. • Così nel mondo greco arcaico la tendenza apollinea risultò dominante, coprendo con il gusto per la misura e l'equilibrio ogni accenno di eccesso o di deformità, come pure ogni spinta alla esagerata autoaffermazione, riferibili in qualche modo allo scenario preellenico. E la successiva diffusione del culto di Dioniso produsse la risposta dorica. La tragedia attica costituì una ulteriore fase, di correlazione tra le due tendenze.
Tragedia come accoppiamento perfetto di dionisiaco e apollineo musica e parola • La tragedia nacque dalla lirica. Essa a sua volta si era delineata come genere con Archiloco (VII sec. A.C.). La sua natura non sarebbe stata soggettiva, come tradizionalmente accettato: in essa, come in ogni vera arte, si deve invece riscontrare la presenza della oggettività, come azzeramento della volontà individuale. Il lirico è in primo luogo un compositore e, in quanto tale, artista dionisiaco che abbandona la propria soggettività individuale per identificarsi con la vera realtà metafisica e esprimerla nella musica. Sotto l'influenza apollinea egli riesce a simbolizzare la musica in idee e linguaggio specifici. La musica precede l'idea. • Il contributo particolare di Archiloco fu quello di introdurre il canto popolare in letteratura: come nella lirica, anche in quel caso l'elemento dionisiaco (musica) risulta originario rispetto alla simbolizzazione verbale (apollinea).
La tragedia greca avrebbe avuto originariamente, secondo la tradizione che risale a Aristotele, una connessione con il culto di Dioniso: allestita all'interno delle celebrazioni dionisiache ad Atene, sarebbe sorta dal ditirambo dionisiaco. • In questo senso un ruolo centrale avrebbe avuto il coro tragico, cui si riduceva in origine l'intera recita. Il coro rappresentava il corteo dei seguaci del dio, che, nell'estasi, si coglievano trasformati in satiri. La sua funzione primitiva sarebbe dunque stata quella di esprimere con quelle figure semibestiali il sentimento secondo cui in fondo alle cose la vita è, a dispetto di ogni mutare delle apparenze, indistruttibilmente potente e gioiosa. • Alla presenza di quel coro la comunità poteva riporre la propria veste civile e recuperare il senso dell'unità con il tutto della natura: una esperienza consolatoria resa necessaria dall'estasi dionisiaca, con la quale si era gettato uno sguardo sull'essenza dolorosa dell'esistenza. I Greci trovarono nella mediazione artistica del coro satiresco il riscatto dalla nausea radicale della ebbrezza dionisiaca.
Nella loro condizione estatica i seguaci di Dioniso si vedevano trasformati in satiri: questo sarebbe dunque stato il punto di partenza del dramma tragico. A differenza di quella del poeta epico, la visione del coro non implicava distacco e esteriorità, ma piena partecipazione e fusione con le figure dell'estasi. Tuttavia tale visione dionisiaca necessitava di una seconda esperienza visionaria, per poter realizzare la scena originaria del dramma: la rappresentazione apollinea del dio da parte di un attore, che affiancava il coro. Ciò comportò anche la ulteriore frattura nel seguito degli adoratori di Dioniso, tra coro e spettatori. Il coro aveva allora il compito di commuovere gli spettatori, così che essi non vedessero un attore in scena, ma la figura visionaria che l'attore intendeva rappresentare. In questo lo spettatore doveva ancora partecipare della visione del coro.
La tradizione antica attesta il nesso tra le prime forme tragiche e i miti relativi alle sofferenze di Dioniso, il suo sbranamento a opera dei Titani e la sua rinascita. La dottrina misterica alla base della tragedia consiste appunto in quanto alluso nel mito: l'unità fondamentale di tutte le cose, la individuazione come colpa, la speranza della reintegrazione nell'unità.
L'Edipo secondo Nietzsche è stato concepito come l'eroe passivo, l'uomo nobile che non pecca "ma che alla fine, in virtù del suo immenso soffrire, esercita intorno a sé un'azione magica e benefica". F. NIETZSCHE, La nascita della tragedia, tr., Roma, Newton Compton 1993, p. 140. • E' vero che con il suo agire (l'assassinio di suo padre, l'incesto con la madre) distrugge ogni legge naturale e morale ma: "proprio da questo agire viene tracciato un superiore, magico cerchio di effetti, che fondano un nuovo mondo sulle rovine di quello vecchio crollato". F. NIETZSCHE, Nietzsche Opere 1870-1881- La nascita della tragedia, tr., Roma, Newton Compton 1993, p140.
Edipo e l’oltreuomo • In questa analisi troviamo infatti in embrione l'idea dell’oltreuomo. • L'accettazione del suo immenso dolore lo porta ad affermarsi come un uomo nuovo. Egli infatti non si uccide per cessare di soffrire, ma si acceca con il desiderio di sopportare la sofferenza. • Edipo è colui che, sciogliendo l'enigma della sfinge, ha violato i vincoli della natura, ha attinto ad una conoscenza sconvolgente che lo precipiterà nel baratro. • Dopo aver varcato il limite che separa l'uomo dalla natura dionisiaca, il singolo dal tutto, egli non può fare altro che sperimentarne su se stesso l'esito terrificante. • Non saprà più chi è, diverrà figlio marito e padre nello stesso tempo. E proprio per proteggerci da quest'orrore il mito apollineo fa si che con l'accettazione del dolore Edipo possa ristabilire l'ordine prima violato.