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Una storia infinita…. Campo coltivato e dintorni. La storia ha per protagonista un coleottero di medie dimensioni con le elitre adorne di dieci belle strisce longitudinale, che gli avevano guadagnato presso gli entomologi un grazioso nome specifico: Doriphora decemlineata. .
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Campo coltivato e dintorni La storia ha per protagonista un coleottero di medie dimensioni con le elitre adorne di dieci belle strisce longitudinale, che gli avevano guadagnato presso gli entomologi un grazioso nome specifico: Doriphora decemlineata. Questo insetto ben integrato nel suo ambiente di origine, soggetto a numerose interazioni stabilizzanti con gli altri organismi compresenti viveva in parziale incognita nelle montagne del Colorado. Nessuno avrebbe potuto indovinare che questo innocuo essere era destinato a diventare un grande protagonista della storia, un vero flagello.
Nel Colorado vivevano anche i cercatori d’oro, rudi avventurieri spesso di origine irlandese o tedesca, amanti delle patate. Un giorno, al contrario di Adamo che ne fu scacciato, la doriphora entrò nell’eden, nel chiuso recinto di un campicello di patate. Fu un vero colpo di fulmine. Un matrimonio ecologico: la doriphora decise che la solanacea a misura d’uomo aveva foglie più morbide, ricche e gradevoli di quelle spontanee, suo cibo abituale, e che molte piante coltivate insieme erano un cibo abbondante e a portata di mano, non sparso in giro, misto ad altre specie di sapore sgradevole. Si sviluppò così una generazione di doriphore ben nutrite: le doriphore da solanacea coltivata.
Per procurarsi il suo alimento prediletto e ormai pressoché indispensabile il pirata a dieci strisce diventò un giramondo, un coleottero hippy, ben deciso a prendere possesso di tutti i campi di patate del mondo. Di pianta in pianta, di orto in orto cominciò il suo prodigioso viaggio che lo portò dal sud-est degli stati uniti alle rive dell’Oceano Atlantico. Clandestino in miniatura si imbarcò tra le derrate, a bordo delle navi in partenza per l’Europa e, Colombo alla rovescia, sbarcò nel 1921 in Francia presso la città di Bordeaux.
E’ regola generale che quando un organismo, animale o vegetale, si sposta dalla sua area di origine in una zona con clima favorevole, non trova nella nuova latitudine nemici naturali specifici che possano contrastare efficacemente la sua crescita, può così riprodursi in modo catastrofico. • La doriphora, 15 anni dopo il suo arrivo, aveva conquistato la Francia e gran parte della Spagna e alla fine degli anni 30 si presentava ai confini della Svizzera.
La seconda guerra mondiale 1942. Gli Americani perdono le Filippine, invase dalle truppe del Sol levante, vengono così privati dei loro più importanti centri di produzione di piretro, un insetticida di origine vegetale ottenuto dalle infiorescenze di alcune specie di crisantemi. Agricoltori (doriphore ecc.) ed eroi (pidocchi ecc.) avevano un gran bisogno di insetticidi e l’industria svizzera non chiedeva altro che di poter aprire questo nuovo mercato. 1800. Un passo indietro. Un chimico di Strasburgo (Zeidler) sintetizza una molecola: il diclorodifeniltricloroetano. Una felice esercitazione di laboratorio. 1939. Il grande genetista P.Müller lavora a Basilea alla ricerca di qualche composto dotato di buone qualità insetticide. Si imbatte nel composto sintetizzato da Zeidler che si rivela un killer micidiale e versatile. Una mosca muore dopo una breve agonia, sottoponendo una branda da campo ad irrorazione la branda rimane immune da parassiti per almeno 300 giorni. La chimica del carbonio e il pianeta terra DDT
N. L. Allinger M. P. Cava D. C. De jongh C. R. Johson N. A. Lebel C. L. Stevens Chimica organica Zanichelli 1985 1.3. La chimica del carbonio e il pianeta Terra Sono stati necessari circa 4,5 miliardi di anni di luce solare e i composti del carbonio per generare tutta la vita attualmente presente sulla terra. L 'uomo, ultimo venuto, ha camminato su questo piccolo pianeta solo per pochi milioni di anni e solo negli ultimi cento anni ha imparato a trasformare i composti del carbonio in medicinali, carburanti e manufatti su larga scala. Fino a poco tempo fa la nostra abilità nel produrre queste trasformazioni industriali sulle molecole organiche era ritenuta una virtù innegabile che rendeva l'uomo e le sue macchine padroni dell'ambiente naturale. Si producevano così prodigiosi farmaci, fibre fantastiche, detergenti miracolosi, supercarburanti. E avevamo aspirina, pillole per il controllo delle nascite, giocattoli di plastica, Pepsi Cola e cibo sufficiente per la maggior parte della popolazione, per la maggior parte del tempo. Ma ora abbiamo l'aria sporca. I pesci vengono intossicati dentro laghi e fiumi nei quali noi non osiamo più nuotare. Le spiagge marine egli stessi mari sono impestati di micidiali combinazioni di petrolio greggio e di scarichi industriali. L'U.S. Food and Drug Administration riferisce che oltre 500 000 tipi di differenti nuove molecole di sintesi portate dai grandi fiumi finiscono ogni anno nei mari di tutto il mondo. Il piombo contenuto come additivo nella benzina viene ritrovato oggi mescolato alla neve che cade nelle regioni polari. Il grasso -del corpo delle foche polari e dei pinguini dell'antartico è contaminato dal DDT. Il problema del DDT richiede ulteriori commenti: questo prodotto chimico ha in- fluito da solo sulla popolazione degli insetti nel mondo a un punto tale che la terra ora pro- duce sufficiente cibo per i bisogni dell'intera popolazione umana. Ne stiamo però pagando 10 scotto, poiché il livello di diffusione del DDT ha raggiunto ora dei limiti pericolosi. Mentre al momento siamo stati costretti a interromperne l'uso (il che comporta la fame per una parte della popolazione mondiale) è chiaro che occorrono soluzioni migliori a largo raggio per il futuro. È ovvio che l'industria chimica organica ha cambiato il nostro mondo sia in meglio che in peggio. L 'inquinamento e la sovrappopolazione sono problemi molto seri e vanno affrontati molto seriamente. Questi problemi sono sia scientifici che politici; la parte scientifica può essere risolta ma richiede mezzi economici rilevanti; la parte politica è meno chiara. Infatti si fanno discussioni su come impiegare le nostre risorse. Si fa cioè una questione di priorità di scelte. poiché voi iniziate 10 studio della chimica organica dovete tenere bene presenti questi problemi. Molti di voi probabilmente diventeranno biologi, fisici, insegnanti o ricercatori di chimica. Sia in queste che in analoghe posizioni voi potete contribuire a risolvere alcuni dei problemi che quelli che hanno lavorato prima di voi hanno contribuito a creare. La qualità della vita, la vita stessa dipende dal vostro modo di pensare sul mondo. Chiunque ha qualche conoscenza di chimica organica ha la possibilità e l'obbligo di lavorare per questo scopo. E noi speriamo vogliate farlo.
Sienko-Plane, Chimica Principi e proprietà, II edizione italiana p.661 Piccin Editore Padova 26.12 Insetticidi _Vi sono tre classi principali di insetticidi organici: quelli clorurati, quelli fosforati e i carbammati. Il DDT costituisce l'esempio classico di quegli insetticidicloro-organici che hanno causato tante controversie a causa della loro persistenza nell'ambiente. Il DDT venne sintetizzato per la prima volta nel 1874 nel corso della tesi di dottorato di Othmar Zeidler in Germania. Esso venne riscoperto nel 1939 dall'entomologo svizzero Paul Müller, che ricevette anche il premio Nobel per averne svelato le potenti proprietà insetticide. Nella II guerra mondiale gli Alleati lo usarono largamente come agente disinfestante al posto del piretro, molto scarso. Dopo la guerra, il DDT conobbe successi spettacolari nel controllo di malattie che vengono trasmesse dagli insetti, come il tifo, la malaria e la febbre gialla. Sorsero però due problemi: (1) certi insetti svilupparono immunità al DDT; mentre nel 1948 vi erano 12 specie immuni, nel 1967 questo numero era già cresciuto a 165. (2) A causa della sua lunghissima persistenza (il periodo di semi-decomposizione nell'ambiente va da 2 a 4 anni, in confronto al periodo di semi-decomposizione nell'ambiente che va da 1 a 10 settimane per i composti di organofosforo ed è di 1 settimana per i carbammati) il DDT ha tutte le possibilità di distribuirsi nell'ambiente. Esso si accumula nella catena alimentare e ha effetti particolarmente deleteri sui pesci e sugli uccelli da preda. È inquietante la constatazione che residui sempre più grandi di DDT si riscontrano oggi nell'ambiente. Non vi è alcuna prova che esseri umani abbiano mai subito danni attraverso l'uso normale del DDT; nell'uomo le concentrazioni di DDT sono in media di 11.0 ppm negli Stati Uniti e vanno da 2.2 ppm in Inghilterra a 31.0 ppm in India. La dose letale (espressa come valori di LD50, dose che è letale nel 50% dei casi in una popolazione sottoposta ad esperimento) varia da 10 ppm per ingestione orale (milligrammi per chilogrammo di peso corporeo) per lo scarafaggio a 400 ppm per il ratto. Sfortunatamente il meccanismo d'azione del DDT è sconosciuto. Si ritiene che esso si sciolga nella membrana lipidica che circonda le fibre nervose interferendo con il trasferimento ionico attraverso la membrana. In ogni caso il meccanismo d'azione sembra essere molto diverso da quello degli insetticidi a base di organo-fosforo e di carbammati i quali, come la maggior parte degli altri farmaci, interferiscono con la trasmissione dei segnali alla fessura sinaptica. Uno dei timori che si ha a proposito dell'azione del DDT sull'uomo è che, siccome il DDT si accumula nel tessuto lipidico, c'è il rischio che esso possa venir rilasciato in modo massiccio nei liquidi organici quando i grassi depositati nei tessuti adiposi venissero metabolizzati, ciò che avviene in condizioni di digiuno prolungato. La tendenza del DDT a concentrarsi nella catena alimentare è impressionante. Ostriche che vivono in acqua avente un livello di DDT di 0.001 p pm, per esempio, hanno nel loro corpo un livello di DDT di 700 ppm. Analogamente un'acqua marina contenente 0.000001 ppm determina un livello di 0.0003 ppm nel plancton, 0.5 ppm nei pesci, fino a 10 ppm negli uccelli da preda. Nel caso degli uccelli è stato attribuito al DDT l'effetto di produrre gusci d'uova molto sottili, forse a causa della inibizione degli enzimi che controllano il metabolismo di Ca2+.
A Napoli scoppia una epidemia di tifo, le truppe alleate forniscono il DDT per due milioni di persone: a causa della distruzione dell’insetto vettore l’epidemia regredisce e scompare. 1943. Ogni soldato americano riceve in dotazione un sacchetto di polvere insetticida. 1945. La doriphora entra in Italia 1972. Si nota sulle rive del Mar Nero
1948. A Müller viene conferito il premio Nobel 1947. Ad Anais, una città a Nord di Stoccolma, le mosche sono diventate resistenti al veleno e sopravvivono anche a dosi 100 volte superiori. Lo stesso tipo di resistenza si comincia a notare in altre parti del mondo. Gli insetti hanno appreso dall’esperienza e si sono dotati di enzimi capaci di detossificare le molecole sparate contro di loro. 1958. Gli uomini si rivelano meno bravi degli insetti. I loro laboratori ben attrezzati non riescono ad evitare che almeno 25 milioni di loro, vivendo in zone paludose, siano di nuovo esposti alla malaria.
Paul Hermann Müller – Biography Paul Hermann Müller was born at Olten, Solothurn, Switzerland, on January 12th, 1899, and his early childhood was spent at Lenzburg, Aargau, the birthplace of his father who was an employee of the Swiss Federal Railway. The family moved to Basle where Paul attended primary school and, later, Free Evangelical elementary and secondary schools. He commenced work in 1916 as a laboratory assistant at Dreyfus and Company and the following year he joined Lonza A.G. as an assistant chemist in the Scientific-Industrial Laboratory of their electrical plant, gaining a wealth of practical knowledge which later stood him in good stead in his career as an industrial chemist. He matriculated in 1918 and returned to school to obtain his diploma (1919) which entitled him to attend Basle University: he studied there under Professors Fichter and Rupe for his Doctorate which he received in 1925. He began his career with J. R. Geigy A.G., Basle, in May, 1925, to become Deputy Director of Scientific Research on Substances for Plant Protection in 1946. Müller's first researches concerned the chemical and electrochemical oxidation of m-xylidine, and his early work at J. R. Geigy concerned vegetable dyes and natural tanning agents. He devoted some of his spare time to research on tanning agents and he invented synthetic agents which tanned hides pure white - they were, however, not fast to light. Later, in 1930, he developed the light-fast synthetic tanning agents Irgatan FL and Irgatan FLT. He worked on disinfectants for a short while, on moth-proofing agents for textiles, on pesticides in general, and he developed Graminone, a mercury-free seed disinfectant, before, in 1935, he started his researches on new synthetic contact insecticides. Four years of intensive work led to the synthesis of dichlorodiphenyltrichloroethane (DDT) and the basic Swiss patent was granted in 1940. This compound was originally made in 1873 by an Austrian student, but had never received any particular attention. Field trials now showed it to be effective not only against the common housefly, but also against a wide variety of pests, including the louse, Colorado beetle, and mosquito; and two products based on DDT, Gesarol and Neocide, were marketed in 1942. These formulations were brought to the notice of British and American medical entomologists at a time, during World War II, when supplies of pyrethrum were rapidly falling short of demand. Production was soon established on both sides of the Atlantic and they proved to be of enormous value in combatting typhus and malaria - malaria was, in fact, completely eradicated from many island areas. These compounds have also had great value in agricultural entomology and they have provided a great stimulus in the search for other insecticides. Müller has had several papers on his work published in Helvetica Chimica Acta. He married Friedel Rüegsegger in 1927. They have two sons, Heinrich (b. 1929) and Niklaus (b. 1933), and one daughter, Margaretha (b. 1934), all married. From Nobel Lectures, Physiology or Medicine 1942-1962. Dr Müller died in 1965.
…Il DDT si comincia a trovare sciolto nel grasso di molte specie animali e vegetali …Le industrie si sono impegnate nella produzione del DDT Il mondo si è assuefatto a quello che era nato come un provvedimento ad hoc: una molecola sparata contro un insetto. Una doppia domanda mancata. Un mondo che non solo manipola, ma è manipolato
Due metafore visive a confronto esemplificano il rapporto fra noi e il mondo: parlano di sfruttamento o di protezione; dall’una all’altra cambia il messaggio, ma l’uomo non fa parte del contesto che sfrutta o protegge. Mani che sostengono, accolgono, proteggono il mondo Mani che tengono in pugno il mondo
…quella mano che sorregge la terra è dentro quella terra che è sorretta da quella mano… La terza metafora attiene alla doppia domanda di Mc Culloch, che si può così riscrivere: “che cos’è un uomo che manipola il mondo; che cos’è un mondo che un uomo può manipolarlo?” Antigone
E parola e pensiero celere come vento e impulsi a civili ordinamenti da solo apprese; e a fuggire Di inospiti geli e di gravi piogge i rovesci dal cielo ricco di risorse. Né mai senza risorse muove incontro ad alcun evento futuro: da Ade soltanto non troverà scampo, anche se ha escogitato salvezza da morbi incurabili. [1] Oscar Mondadori 1999. Traduzione di Raffaele Cantarella, p.281. Sofocle Antigone[1] Primo stasimo Coro Molte sono le cose mirabili, ma nessuna è più mirabile dell’uomo: egli attraversa il canuto mare pure nel tempestoso Noto avanza, fra le onde movendo che ingolfano intorno; e l’eccelsa fra gli dei, la Terra eterna, infaticabile, egli travaglia, volgendo gli aratri di anno in anno rivoltandola con i figli dei cavalli. E la razza spensierata degli uccelli e delle fiere selvatiche le stirpi e le marine creatura dei flutti nei lacci delle sue reti avviluppa e fa preda l’uomo ingegnoso; e vince con le sue trappole l’agreste animale vagante per i monti, e il cavallo dalla folta criniera sottoporrà al giogo ricurvo, e il montano instancabile toro.
La doppia domanda ci costringe a riflettere non solo sull’uomo e sul mondo ma anche sulla relazione fra i due, sulla rete di relazioni che è propria del vivente. C’è un cambiamento epistemologico, cambia il metamessaggio: l’osservatore fa parte del sistema osservato. Il vivente Chiaro di luna Qualcosa, infatti, va cambiato nel nostro rapporto con l’ambiente, ma senza il cambiamento delle premesse che hanno generato il problema, o non ci sono risultati apprezzabili, o ancor peggio può essere messa in pericolo l’identità di tutto il sistema.
Henri Atlan Tra il cristallo e il fumo Hopefulmonstre Firenze 1986 p.77 L' organizzazione del vivente, come quella di ogni sistema naturale, è uno stato e un processo che appaiono come tali a chiunque osservi la natura. Ma è ancora il risultato dell'attività organizzatrice dell'osservatore. Tale attività fu all'origine delle antiche classificazioni mitiche e funzionali, poi di quelle filosofi- che e infine di quelle scientifiche. Il cerchio si chiude quando si osserva la mente umana che organizza la natura, essa stessa il risultato di un processo organizzatore naturale. Tuttavia il cerchio non è completamente chiuso, poiché questo osservatore dell'osservatore, è anche l' _io" capace di osservare la natura, e di osservarsi osservante. La pratica scientifica non è che una trasformazione di questa attività organizzatrice della mente umana, organizzando il reale e scoprendo la sua organizzazione, dove l'"io", benché parte esistente ed attiva, è supposto neutro e senza effetto: oggettività scientifica. In questo caso e probabilmente per questo motivo, questa attività funziona su paradigmi logici nei quali le scienze matematiche hanno sempre svolto un ruolo privilegiato, benché ambiguo.
Edvard MunchChiaro di luna 1985 Calvino in un suo libro narra della spada del sole: La spada del sole[1] Ognuno ha un suo riflesso, che solo per lui ha quella direzione e si sposta con lui. Ai due lati del riflesso, l’azzurro dell’acqua è più cupo. “E’ quello il solo dato non illusorio, comune a tutti, il buio?” si domanda il signor Palomar. Ma la spada si impone egualmente all’occhio di ciascuno, non c’è modo di sfuggirle. “Ciò che abbiamo in comune è proprio ciò che è dato a ciascuno come esclusivamente suo?” “[2]Ogni ragazzo che impara è Palomar, ogni insegnante è un vecchio nuotatore come il signor Palomar, Palomar junior e senior nuotano insieme…Quella spada, quel riflesso non sono nelle mani di nessuno, nascono dall’orizzonte e raggiungono chiunque, ovunque due occhi guardino l’orizzonte. Galileo Galilei[3]…fa notare che, se ci troviamo su una spiaggia mentre il Sole sta tramontando sul mare, allora osserviamo una striscia luminosa che parte dall’orizzonte e si stende sulla superficie acquea lungo la direzione che congiunge il sole e noi. I nostri occhi vedono questo fenomeno, ma non possiamo certo dire che sul mare esiste un oggetto dotato di quella forma. Altri osservatori disposti in punti diversi sulla medesima spiaggia, vedono altre strisce luminose, ma tutte le strisce sono l’effetto di due fattori diversi: il primo dipende dalla riflessione della luce solare sull’intera superficie dell’acqua, e il secondo dipende da come sono fatti i nostri occhi. Se mancano gli osservatori mancano le strisce. [1] Ialo Calvino, Palomar, Einaudi, 1983, p. 15 [2] Maria Domenica Simeone in AAVV, I modi dell’imparare, Carocci Editore, Roma, 1999, p. 122 [3] Enrico Bellone, I corpi e le cose, Bruno Mondatori 2000, p. 33
Le donne indiane Cayapo del bacino amazzonico hanno un rito particolare: dipingono sui loro volti formiche durante la festa del mais. Il tema principale della festa è la celebrazione della piccola formica rossa, guardiana dei campi e amica delle donne. . …il mito inizia ad avere senso se comprendiamo l'insieme co-evolutivo del mais, dei fagioli e di questa formica. I fiori della manioca hanno un nettare che attira le formiche verso la pianticella di manioca. Le formiche usano le proprie mandibole per farsi strada fino al nettare, tagliando via tutti quei tralci di fagiolo che impedirebbero al nuovo e fragile stelo di manioca di crescere Le formiche Formiche Metalli e alchimia
..Le formiche appartenenti alla specie Formica fusca appaiono spesso strettamente legate a bruchi di farfalle del genere Glaucopsyche lygdamus al punto da sembrare che se ne stiano nutrendo: in realtà la formica non sta divorando il bruco, sta solo succhiando le gocce di miele prodotte da un particolare organo del bruco la cui unica funzione sembra essere quella di nutrire le formiche. I bruchi infatti nutrono le formiche in cambio di protezione dai parassiti dai quali sono facilmente attaccati (vespe e mosche). Formiche e bruchi appaiono quindi profondamente adattati gli uni agli altri: le formiche ricavano cibo, i bruchi protezione. Come può essersi evoluto questo coadattamento fra formiche e bruchi? Le strutture morfologiche e il modello di comportamento sia delle formiche che dei bruchi sembrano essersi evoluti in relazione reciproca. Dopo che i progenitori delle due specie si sono associati, sarebbe intervenuta la selezione naturale favorendo i reciproci cambiamenti adattativi…. (da Mark Ridley : Evolution, Blackwel Science 1996).
Vandana Shiva, Terra madre Sopravvivere alo sviluppo UTET Torino, 2002, p.164 Il sistema tradizionale di produzione degli alimenti {quello che la visione riduzionista del mondo ha marchiato come «ascientifico») gestiva il controllo dei parassiti con una serie di accorgimenti che includono il rafforzamento della resistenza della pianta, le pratiche di rotazione e coltivazione mista, il mantenimento nei campi degli habitat dei predatori di parassiti, cioè gli alberi e le siepi. Queste pratiche creavano un' ecologia e un' economia locali stabili. In presenza di condizioni ecologiche stabili, si creava un equilibrio tra le piante e i loro parassiti, grazie alla competizione naturale, alla selezione e ai rapporti predatore/preda. In genere le donne sono importanti depositarie della conoscenza tradizionale dei processi ecologici essenziali e dei rapporti tra le piante. Per esempio, le donne indie Kayapo del bacino amazzonico hanno un rito particolare: dipingono sui loro volti formiche durante la festa del mais. Il tema principale della festa è la celebrazione della piccola formica rossa, guardiana dei campi e amica delle donne. Celebrazione apparentemente senza senso dal punto di vista riduzionista; ma Posey sottolinea che il mito inizia ad avere senso se comprendiamo l'insieme co-evolutivo del mais, dei fagioli e di questa formica. I fiori della manioca hanno un nettare che attira le formiche verso la pianticella di manioca. Le formiche usano le proprie mandibole per farsi strada fino al nettare, tagliando via tutti quei tralci di fagiolo che impedirebbero al nuovo e fragile stelo di manioca di crescere. Le formiche impediscono quindi ai tralci a spira dei fagioli di arrampicarsi sulla manioca, e li lasciano sul terreno con le piante di mais, come graticcio naturale. Il mais non viene danneggiato dai tralci di fagiolo, anzi la stessa pianta di fagiolo fornisce azoto assimilabile, necessario alla coltura del mais. Le formiche sono il manipolatore naturale della natura e facilitano le attività orticole delle donne93.
L'agricoltura «scientifica», per la quale le formiche rosse erano “insetti nocivi” ha sconvolto questo equilibrio e creato condizioni favorevoli alla diffusione di patologie. Il fertilizzante organico che sviluppa la resistenza delle colture alle malattie è stato sostituito dai fertilizzanti chimici che hanno invece diminuito la resistenza ai parassiti. Dal momento , che molti parassiti sono propri di piante particolari, la sostituzione della rotazione delle colture con la coltivazione della stessa anno dopo anno sovente rafforza i parassiti. Anche l'aver sostituito le colture miste con le monocolture ha reso queste ultime più facilmente soggette alle invasioni di parassiti. La meccanizzazione delle attività agricole ha obbligato alla distruzione delle siepi e degli alberi nei campi, eliminando così i naturali habitat di alcuni predatori di parassiti. Nel controllo dei parassiti, gli uccelli e gli alberi sono altri lavoratori invisibili. La malattia dell'olmo olandese, che ha distrutto questo albero in molte zone degli Stati Uniti e dell'Europa si può far risalire all'annientamento degli uccelli predatori che si nutrivano del coleottero della scorza, responsabile a sua volta della diffusione del fungo che ha provocato la patologia dell'albero. Come ha detto il responsabile del reparto ornitologico al Public Museum di Milwaukee il peggior nemico nella vita di un insetto sono gli insetti suoi predatori, gli uccelli e alcuni piccoli mammiferi, ma il DDT uccide indiscriminatamente colpendo anche le stesse sentinelle della natura, i suoi «poliziotti»... In nome del progresso, dobbiamo diventare vittime dei nostri stessi diabolici metodi di controllo degli insetti, per un'utilità di breve durata e per perdere in seguito ogni possibilità di controllo su di essi? Come terremo sotto controllo i nuovi parassiti che attaccheranno le specie sopravvissute dopo la morte degli olmi, adesso che i difensori della natura {gli uccelli) sono stati distrutti dai veleni?94 Le mucche che producono l'humus, gli uccelli che si nutrono di insetti, gli alberi che forniscono cibo per le mucche e ospitano i nidi degli uccelli, sono i membri della famiglia terrestre su cui si devono basare le strategie di controllo permanente degli insetti. Le alternative non violente esistono, ma per vederle si richiede una percezione femminile ed ecologica, e per praticarle occorre dare spazio alle priorità femminili del sostegno e del rafforzamento della vita. 92 P. CHAUBUSSON, How Pesticzdes Increase Pests, «Ecologist», 16, 1, 1986, pp. 29-36 93 D.A. POSEY, Indigenous Ecological Knowledge and Development o! the Amazon, ir Dilemma o! Amazonian Development, a cura di E.F. Moran, Westview, Boulder 1983, p.234 94 PERKlNS, Insects, Experts and the lnsecticide Crisis, Plenum, New York 1982, p.5
Mercea Iliade Arti del metallo e alchimia Boringhieri, Torino 1987 p.50 Basterà ricordare che l'apertura di una miniera o la costruzione di una fornace sono operazioni rituali segnate spesso da una sorprendente arcaicità. I riti minerari si sono conservati in Europa fino alla fine del Medioevo: l'apertura di una nuova miniera comportava sempre cerimonie religiose. Ma è altrove che bisogna guardare per valutare l'antichità e la complessità di queste tradizioni, perché l'articolazione dei miti, la loro finalità, l'ideologia che essi implicano differiscono da un livello culturale a un altro. Si nota, anzitutto, la volontà di placare gli spiriti protettori o abitatori della miniera. Il minatore malese -scrive A. Hale -nutre idee particolari sullo stagno e sulle sue proprietà: anzitutto crede che lo stagno sia sotto la protezione e agli ordini di alcuni spiriti che egli ritiene di dover placare; crede anche che lo stagno sia vivo e che possieda molte proprietà della materia vivente: che possa spostarsi autonomamente, che possa riprodursi e che abbia particolari simpatie, o forse affinità, nei confronti di alcune persone e cose, e viceversa. Si raccomanda anche di trattare il minerale di stagno con un certo rispetto, di tener conto delle sue esigenze e, ciò che è forse ancora più curioso, di condurre i lavori di sfruttamento della miniera in modo tale da ottenerlo a sua insaputa. Sottolineiamo incidentalmente il comportamento "animale" del minerale: è vivo, si muove a suo piacimento, si nasconde, mostra simpatia o antipatia verso gli uomini, con un atteggiamento che non è privo di analogie con quello della selvaggina nei confronti del cacciatore. Benché fortemente radicato nella Malesia, l'islamismo, religione "straniera ", si rivela impotente ad assicurare il successo delle attività minerarie. E' dunque assolutamente necessario ricorrere all'assistenza di un prete della vecchia religione, soppiantata dall'islamismo. Si fa ricorso a un pawang malese, talvolta anche a uno sciamano sakai, che appartiene quindi alla popolazione più
antica, premalese, affinché diriga le cerimonie relative alle miniere. poiché conservano le tradizioni religiose più antiche, questi pawang sono in grado di placare gli dei guardiani del minerale e di intrattenere rapporti con gli spiriti che abitano le miniere. Il loro aiuto è indispensabile, soprattutto quando si tratta di minerali auriferi (che, con lo stagno, costituiscono principale risorsa mineraria della Malesia). Gli operai mussulmani devono celare accuratamente la loro religione, avendo cura che non trapeli da segni esteriori o da preghiere. "Si presume che l'oro sia sotto la giurisdizione di un dio, o dewa, che lo possiede, e la sua ricerca è, pertanto, considerata empia; perciò i minatori devono conciliarsi il dewa con preghiere e offerte, badando bene di non pronunciare il nome di Allah, e non praticare atti del culto islamico. Ogni proclamazione della sovranità di Allah offende il dewa che immediatamente nasconde l'oro o lo rende invisibile. Questa tensione tra credenze importate e la religione locale è un fenomeno ben noto agli storici delle religioni. Come in tutto il mondo, anche in Malesia i "signori del luogo" si fanno sentire nei culti che sono in relazione con la Terra: i suoi tesori, le sue opere, le sue "creature" appartengono agli autoctoni, e solo la loro religione permette di accostarsi ad essi. In Africa, presso i Bayeka, al momento di aprire una nuova galleria il capo, attorniato da un prete e dagli operai, rivolge una preghiera ai suoi "spiriti del rame" ancestrali, che regnano sulla miniera. E' sempre il capo a decidere dove si deve cominciare a scavare, per non disturbare o irritare gli spiriti della Montagna. Anche i minatori bakitara devono placare gli spiriti "signori del luogo", e durante i loro lavori sono tenuti a osservare numerosi tabù, specialmente d'ordine sessuale. La purezza spirituale svolge un ruolo di considerevole importanza. Gli aborigeni di Haiti ritengono che per trovare l’oro si debba essere casti, e cominciano la ricerca del minerale solo dopo lunghi digiuni e molti giorni di astinenza sessuale. Sono convinti inoltre che, se la ricerca risulta vana, la causa sia da ricercare esclusivamente nella loro impurità.
Ci sono molti organismi che noi chiamiamo intelligenti perché sono capaci di apprendere dall’esperienza. Ciò che loro apprendono non è ereditabile ma può aiutarli a sopravvivere. In un tempo molto più lungo della vita di un singolo individuo una specie può escogitare delle “ difese inducibili”, quelle difese per cui una pianta sintetizza sostanze chimiche protettive solo come risposta ad un attacco.
Il comunissimo pomodoro, quando è predato da insetti masticatori, viene leso in qualche punto di una foglia: nella zona lesa inizia allora la produzione di una struttura molecolare che migra nel corpo della pianta e innesca la fabbricazione di macromolecole la cui funzione consiste nell’inibire determinati processi chimici: l’inibizione agisce in modo tale da ostacolare buona parte degli eventi chimici grazie ai quali gli insetti predatori riescono a digerire le proteine contenute nelle foglie. Il predatore è così dissuaso, con argomenti convincenti, dal proseguire nell’attacco.
Molti insetti, infatti, hanno sviluppato reazioni interessanti alle strategie difensive delle piante, adattandosi ad esse sino al punto di immagazzinare nei propri corpi le armi chimiche prodotte dai vegetali e da farne uso per difendersi da altri predatori… ? …e, a loro volta, alcuni vegetali sanno sfruttare a proprio vantaggio, sistemi chimici di comunicazione tra insetti. La patata selvatica è predata da un afide che, quando è a sua volta attaccato da qualche predatore diffonde nell’ambiente una sostanza la cui funzione è quella di suscitare un allarme negli altri afidi, avvisandoli del pericolo che li minaccia. La patata Solanum berthaulthii, attaccata da insetti, è in grado di produrre e propagare tale sostanza e, attraverso una azione che imita il comportamento d’allarme dei suoi predatori, li dissuade dall’attacco e li induce alla fuga
Noi immaginiamo che le relazioni che un determinato soggetto animale intrattiene con le cose del suo ambiente abbiano luogo nello stesso spazio e nello stesso tempo di quelle che ci legano agli oggetti del nostro mondo umano. Questa illusione riposa sulla credenza in un mondo unico in cui si situerebbero tutti gli esseri viventi. … L’ape, la libellula o la mosca che osserviamo volare accanto a noi in una giornata di sole, non si muovono nello stesso mondo in cui noi li osserviamo né condividono con noi – o fra di loro – lo stesso tempo e lo stesso spazio.
Esiste una foresta-per-la-guardia-forestale, una foresta-per-il-cacciatore, una foresta-per-il-botanico, una foresta-per-il-viandante, una foresta-per-l’amico- della-natura, una foresta-per-il-legnaiolo, e, infine, una foresta di favola in cui si perde Cappuccetto Rosso.
Il ragno non sa nulla della mosca… Favole Esopo
…Dove[1] la scienza classica vedeva un unico mondo, che comprendeva dentro di sé tutte le specie viventi gerarchicamente ordinate, dalle forme più elementari fino agli organismi superiori, Uexkűll pone invece una infinita varietà di mondi percettivi, tutti ugualmente perfetti e collegati fra loro come in una gigantesca partitura musicale e, tuttavia, incomunicanti e reciprocamente esclusivi, al cui centro stanno piccoli esseri familiari e, insieme, remoti, che si chiamano Echinus esculentus, Amoeba terricola, Rhizostoma pulmo, Sipunculus, Anemonia sulcata, Ixodes ricinus ecc. Per questo Uexkűll definisce «passeggiate in mondi inconoscibili» le sue ricostruzioni dell'ambiente del riccio di mare, dell'ameba, della medusa, del verme di mare, dell'anemone marino, della zecca -questi i loro nomi comuni -e degli altri minuscoli organismi che egli predilige, perché la loro unità funzionale con l' ambiente sembra apparentemente così lontana da quella dell'uomo e degli animali cosiddetti superiori. Troppo spesso -egli afferma -noi immaginiamo che le relazioni che un determinato soggetto animale intrattiene con le cose del suo ambiente abbiano luogo nello stesso spazio e nello stesso tempo di quelle che ci legano agli oggetti del nostro mondo umano. Questa illusione riposa sulla credenza in un mondo unico in cui si situerebbero tutti gli esseri viventi. Uexkűll mostra che un tale mondo unitario non esiste, così come non esistono un tempo e uno spazio uguali per tutti i viventi. L 'ape, la libellula o la mosca che osserviamo volare accanto a noi in una giornata di sole, non si muovono nello stesso mondo in cui noi li osserviamo né condividono con noi -o fra di loro -lo stesso tempo e lo stesso spazio. Uexkűll comincia col distinguere con cura la Umgebung, lo spazio oggettivo in cui noi vediamo muoversi un essere vivente, dalla Umwelt, il mondo-ambiente che è costituito da una serie più o meno ampia di elementi che egli chiama “portatori di significato” o di “marche”, che sono i soli che interessano l’animale. L’ Umgebung è, in realtà, la nostra propria Umwelt, a cuiUexkűll non attribuisce alcun privilegio particolare e che, come tale, può anch’essa variare secondo il punto di vista da cui la osserviamo. Non esiste una foresta in quanto ambiente oggettivamente determinato: esiste una foresta-per-la-guardia-forestale, una foresta-per-il-cacciatore, una foresta-per-il-botanico, una foresta-per-il-viandante, una foresta-per-l'amico-della-natura, una foresta- per-il-legnaiolo e, infine, una foresta di favola in cui si perde Cappuccetto Rosso. Anche un minimo dettaglio -per esempio il gambo di un fiore di campo, considerato in quanto portatore di significato, costituisce di volta in volta un elemento diverso di un ambiente diverso, a seconda, per esempio, che lo si osservi nell'ambiente di una ragazza che coglie fiori per farne un mazzetto da spillare sul suo corsetto, in quello della formica che se ne serve come un tragitto ideale per raggiungere il suo nutrimento nel calice del fiore, in quello della larva della cicala che ne fora il canale medullare, utilizzandolo poi come una pompa per costruire le parti fluide del suo bozzolo aereo e, infine, in quello della mucca che semplicemente lo mastica e ingoia per nutrirsi.
Ogni ambiente è una unità chiusa in se stessa, che risulta dal prelievo selettivo di una serie di elementi o di «marche» nella Umgebung, che non è, a sua volta, che l'ambiente dell'uomo. Il primo compito del ricercatore che osserva un animale è quello di riconoscere i portatori di significato che ne costituiscono l'ambiente. Questi non sono, però, oggettivamente e fattiziamente isolati, ma costituiscono una stretta unità funzionale -o, come Uexkűll preferisce dire, musicale -con gli organi ricettori dell’animale deputati a percepire la marca (Merkorgan) e a reagire ad essa (Wirkogan). Tutto avviene come se il portatore di significato esterno e il suo ricettore nel corpo dell'animale costituissero due elementi di una stessa partitura musicale, quasi due note nella « tastiera sulla quale la natura esegue la sinfonia sovratemporale ed extraspaziale della significazione», senza che sia possibile dire come mai due elementi tanto eterogenei abbiano potuto essere così intimamente collegati. Si consideri in questa prospettiva una tela di ragno. Il ragno non sa nulla della mosca, ne può prenderne le misure come fa un sarto prima di confezionare un vestito per il suo cliente. E tuttavia esso determina l'ampiezza delle maglie della sua tela secondo le dimensioni del corpo della mosca e commisura la resistenza dei fili in proporzione esatta alla forza d'urto del corpo della mosca in volo. I fili radiali sono, inoltre, più solidi di quelli circolari, perché questi ultimi -che, a differenza dei primi, sono ricoperti di un liquido vischioso -devono essere abbastanza elastici da poter imprigionare la mosca e impedirle di volare. Quanto ai fili radiali, essi sono lisci e asciutti, perché il ragno se ne serve come una scorciatoia per piombare sulla sua preda e avvolgerla definitivamente nella sua invisibile prigione. Il fatto più sorprendente è, infatti, che i fili della tela sono esattamente proporzionati alla capacità visiva dell'occhio della mosca, che non può vederli e vola quindi verso la morte senza accorgersene. I due mondi percettivi della mosca e del ragno sono assolutamente incomunicanti e, tuttavia, così perfettamente accordati che si direbbe che la partitura originale della mosca, che si può anche chiamare la sua immagine originaria o il suo archetipo, agisca su quella del ragno in modo tale che la tela che questo tesse può essere qualificata come «moscaria». Benché il ragno non possa vedere in alcun modo la Umwelt della moscà (Uexkűll afferma, formulando un principio che doveva avere fortuna, che « nessun animale può entrare in relazione con un oggetto come tale», ma solo coi propri portatori di significato), la tela esprime la paradossale coincidenza di questa reciproca cecità. [1] Giorgio Agamben, L’aperto,Bollati Boringhieri, Torino 2002, p.46
Esopo Favole LA ZANZARA E IL LEONE Una zanzara andò dal leone e gli disse: “io non ti temo e tu non sei affatto più forte di me. Non ci credi ? In che cosa consiste la tua forza? Graffiare con le unghie e mordere coi denti? Ma questo lo fa qualsiasi donnetta quando litiga col marito. Io sì che sono molto .più forte di te. Scendiamo pure in campo, se vuoi”. E dato fiato alla tromba, la zanzara gli si gettò contro, punzecchiandolo intorno alle narici, in quella parte dove il muso non è protetto dai peli. Il leone con i suoi artigli non faceva che graffiare se stesso, finchè rinunciò al combattimento. Risultata così vincitrice del leone, la zanzara sonò la tromba, cantò l'epinicio1 e poi prese il volo. Ma andò a sbattere nella tela di un ragno. E mentre questo se la succhiava, essa faceva lamento, essa che, dopo aver mosso guerra ai più potenti, periva ora per opera di un ragno, il più vile degli insetti. IL CANE CHE INSEGUIVA IL LEONE, E LA VOLPE Un cane da caccia aveva veduto un leone e lo inseguiva. Ma quando il leone si volse ed emise un ruggito, scappò indietro pieno di paura. La volpe che l'aveva visto, esclamò; ”Miserabile! volevi inseguire il leone, tu, che non sei stato nemmeno capace di resistere al suo ruggito!” Questa è una favola che si potrebbe citare a proposito di certi insolenti che si mettono a denigrare persone assai superiori a loro; ma quando queste li affrontano, si tirano subito indietro. .l Era Il canto della vittoria.
La co-evoluzione La casualità …Il caso si propone come agente del mutamento evolutivo, ma non minaccia la selezione naturale nell’ambito dell’adattamento. La bellezza e l’efficienza aerodinamica dell’ala di uccello, la grazia e la bontà del disegno delle pinne di un pesce non sono accidenti fortunati. Inoltre, io uso il significato specifico che la parola ‘caso’ ha mantenuto a lungo nella teoria dell’evoluzione: per descrivere mutamenti che hanno luogo senza alcun orientamento determinato. Non uso la parola come una metafora generale per indicare il caos, il disordine o l’incomprensibilità.
…C'est comme si l'ontologie du monde était très féminine, une ontologie de la permissivité, de la possibilité. Tant que c'est possible, c'est possible. Je n'ai pas besoin de chercher à justifier par une optimalité idéal. Au milieu de tout ça, la vie tire les possibilités, elle bricole… Varela intervista Michel Serres
Francisco Varela's Home Page Press Releases : La Recherche n°308 Cover Press Releases "Le cerveau n'est pas un ordinateurOn ne peut comprendre la cognition si l'on s'abstrait de son incarnation" La Recherche, No.308 Avril 1998, p.109-112Entretien avec Francisco Varela par Herve Kempf Francisco J. Varela, né en 1946, docteur en biologie de Harvard en 1970, est neurobiologiste. Après avoir longtemps travaillé aux Etats-Unis, il est entré au CNRS en 1988 ou il est actuellement Directeur de recherche. Il dirige l'équipe de Neurodynamique au Laboratoire des Neurosciences Cognitives et Imagerie Cérébrale (CNRS UPR 640), à Paris. Il a notamment publié L'inscription corporelle de l'esprit (Seuil, 1993) et L'arbre de la connaissance (Addison-Wesley, 1994). Pour plus d'information consulter: http://www.ccr.jussieu.fr/varela/welcome.html
Michel Serres Lucrezio e l’origine della fisica Sellerio Editore Palermo 2000 (1977) p.140 L 'avvenimento più rivoluzionario nella storia degli uomini e forse nell' evoluzione degli ominidi non fu tanto, penso, l' accedere all' astratto o alla generalità, nel e col linguaggio, quanto piuttosto uno sradicarsi rispetto all'insieme delle relazioni che stabiliamo nella famiglia, nel gruppo, ecc., e che riguardano soltanto noi e loro, raggiungendo un accordo, forse confuso, ma improvviso, specifico, riguardo ad una cosa esterna a questo insieme. Prima di questo avvenimento, esisteva solo il reticolo delle relazioni e noi vi eravamo immersi senza possibilità di scampo. E,improvvisamente, una cosa, qualcosa, appare al di fuori del reticolo. I messaggi scambiati non dicono più: io, tu, egli, noi, voi; ecc. ma questo, ecco. Ecce. Ecco la cosa stessa. Per quanto ne sappiamo, gli animali che ci sono più vicini, voglio dire i mammiferi, comunicano fra loro ripetendo in modo stereotipato il reticolo delle loro relazioni. L 'animale segnala o fa sapere all'altro animale: sono il tuo dominante e ti do, sono il tuo dominato, dunque ricevo da te. Che cosa? Questo non ha importanza o è implicito nella relazione. Tu sei immenso e forte, io ti prego. Lucrezio dice questo del nostro rapporto con gli dèi. Donde quella condizione necessitante che obbliga gli animali a regolare l 'insieme dei problemi nati da queste relazioni all'interno stesso del loro reticolo. È solo questione di contratti ed in questo consiste il loro destino.
L’infinita varietà delle soluzioni adattative proposte dalla storia naturale è una riprova dell’infinito numero dei modi possibili di sopravvivere all’interno dei vincoli dell’ambiente naturale; ciò conferma che alla base dell’evoluzione sta l’idea della conservazione dell’adattamento e non l’idea di una progressiva ottimizzazione dell’adattamento, che si rivela invece quale vero e proprio errore concettuale. Il cambiamento dipende dalla variabilità inerente agli organismi e alle specie, e dagli infiniti modi possibili in cui questa varietà si accoppia con i vincoli ambientali. La storia naturale si delinea così come una storia di produzione reciproca di nuovi vincoli e di nuove possibilità attraverso la deriva degli accoppiamenti strutturali tra i sistemi viventi autonomi all’interno di particolari ecologie… Le nozioni di viability, di vincolo, di possibilità, di deriva naturale, di storia naturale dei vincoli e delle possibilità costituiscono una ridefinizione positiva delle limitazioni e della finitezza del punto di vista dal quale studiamo i processi evolutivi che spezza ogni legame con i valori classici e normativi dell’onniscienza, della completezza, dell’atemporalità. Canti indiani
CANTO DELL’AQUILA IN VOLO I raggi del sole sulle mie ali riposano, si allungano pigri. Un piccolo tornado grigio tenta di prendermi, si avvita incessante sul mio sentiero celeste. (canto Navajo) FARFALLE Farfalle gialle e blu sul grano che germoglia si inseguono, il viso spruzzato di polline, in file luminose. (canto Pueblo Hopi)
IL CAVALLO Il mio cavallo ha zoccoli d’agata e garretti lievi come ali d’uccelli. Una freccia piumata è il suo corpo, la sua coda è una nuvola nera. La sua criniera è di vento. Due grandi stelle ha per occhi, le sue orecchie sono come piante di mais, e la sua testa è fatta d’acque impetuose che sgorgano da sacre sorgenti. I suoi denti sono candide conchiglie che serrano briglie d’arcobaleno. Quando il mio cavallo nitrisce altri cavalli multicolori si accostano, snelli e veloci come donnole. Quando il mio cavallo nitrisce Io mi sento al sicuro. CANZONE DEL PASTORE Le mie pecore si spargono tutt’intorno a me. Cammino in mezzo a esse, mentre mangiano fiori ed erba bagnati di rugiada. La loro voce è tranquilla, il loro passo è di pace. Come schiuma del mare il mio gregge si propagherà su questa terra, sotto il mio sguardo vigile. Sarò circondato di pace.
…Dopotutto è il caso a dare alla nostra vita e al corso della storia umana, tanta ricchezza e tanto interesse. Chiamatelo pure con i suoi nomi passati di fortuna o di libero arbitrio, se così vi piace. Dovremo negare una ricchezza simile al resto della natura? “C’è voluto moltissimo pensiero per fare la rosa…L’unità estetica è molto prossima alla nozione di integrazione sistemica e di percezione olistica e si può sostenere che apprezzare un’opera d’arte è un riconoscere, forse appunto riconoscere il sé”
Non voglio confutare l’asserzione per cui le creature più complesse tendono ad aumentare la loro complessità nel tempo, ma nego decisamente che tale fatto limitato possa fornire argomenti per definire il progresso generale come spinta intrinseca della storia della vita. ‘’’’ Questa grandiosa affermazione rappresenta un caso grottesco di coda che dimena il cane , cioè dell’erronea promozione di una piccola conseguenza secondaria a causa fondamentale e determinante.
La vita comincia necessariamente in prossimità del muro sinistro, rappresentato dalla minima complessità, e immediatamente si sviluppa la moda di tipo batterico. La distribuzione di frequenza della complessità della vita diventa col tempo sempre più asimmetrica verso destra, ma la moda di tipo batterico non viene alterata.
Abbiamo avuto difficoltà a comprendere questa evidente assurdità, perché non abbiamo una idea chiara di cosa sia il cane in questione; piuttosto, con una mossa che ricorda il gatto del Cheshire di Alice nel paese delle meraviglie, identificato dal solo sorriso, abbiamo caratterizzato l’intero cane soltanto per mezzo della sua coda.
Alcune premesse: una spiegazione cibernetica La conoscenza non è una rappresentazione della realtà, ma un repertorio di azioni e di pensieri che si sono rivelati validi nella passata esperienza. Il concetto di rappresentazione vera viene sostituito da quello di viabilità Ci si può avvicinare al concetto di viabilità (viability) in molti modi. Uno di questi è il principio formulato da Leibniz e Maupertius molto tempo fa ”il principio della minima azione o, rispettivamente,della minima resistenza”.
L’acqua seguirà la spinta di gravità tanto lontano quanto potrà. Quando piove in una collina l’acqua della pioggia scorre dove trova una via. Se è fermata si raccoglie e eventualmente scorre sopra o intorno all’ostacolo. Questo a sua volta cambia la forma della collina, crea nuovi sentieri e incontra nuovi ostacoli.
Il cambiamento epistemologico è un cambiamento dei presupposti impliciti, spesso non consapevoli del nostro agire. Un cambiamento mentale in un contesto di relazioni di carattere mentale Ma in genere nella nostra cultura cambiamento mentale significa cambiamento cosciente, e l’uomo cosciente preferisce cambiare l’ambiente piuttosto che se stesso, percepirà e descriverà allora l’ambiente in funzione di questo fine. Ma ogni descrizione è anche descrizione dell’epistemologia di chi descrive. L’uomo cosciente è più incline a cambiare il mondo piuttosto che se stesso, ma la coscienza non è tutta la mente e perché ci siano eventi mentali non è nemmeno necessario che ci sia la coscienza (vedi insetti che si immunizzano al DDT).
E’ indubbio che tutta la storia dell’evoluzione culturale dell’uomo occidentale è stata segnata dalla coscienza e dal suo finalismo. • Ma se la mente complessiva e il mondo esterno non funzionassero così? Se con nostro grande disappunto non avesse quella struttura lineare che noi vogliamo imporre? • Allora ci sfuggirà la circolarità causale di natura cibernetica, l’intreccio dei molteplici livelli dell’io e del mondo. • Cambiare le premesse vuol dire cambiare le nostre strategie epistemologiche, apprendere ad apprendere ad apprendere, cambiare il modo in cui organizziamo i contesti, creare nuovi paesaggi.
Finalità cosciente • Sensibilità al contesto • Il problema del tempo Agirò sempre in modo di accrescere il numero totale delle possibilità di scelta
Laboratorio epistemologico Pensare per storie Lucilla Ruffilli: lucilla.ruffilli@fastwebnet.it Daniela Berardi: daniela.sergio@aliceposta.it