250 likes | 589 Views
L’attività di Parini nel suo contesto storico. Estremi biografici -> 1729-1799 .
E N D
L’attività di Parini nel suo contesto storico Estremi biografici -> 1729-1799. Localizzazione geo-politica -> Ducato di Milano: dal 1713-14, dopo la fine della Guerra di Successione spagnola, passato dal dominio spagnolo a quello Asburgico. Dal 1740, sale al trono la figlia di Carlo VI, Maria Teresa, che regnerà per quarant’anni, annettendo al trono dal 1765 (dopo la morte del marito, Francesco Stefano di Lorena), il figlio primogenito Giuseppe, dal 1780 Giuseppe II. Contesto politico-culturale -> Parini è attivo a Milano nel pieno periodo delle riforme teresiane = riduzione dei privilegi feudali; censimento della popolazione e censimento catastale, funzionale ad una razionalizzazione del prelievo fiscale; istruzione obbligatoria dai 6 ai 13 anni; riforma dell’Università; abolizione dell’Inquisizione, della censura sulla stampa, della servitù della gleba; opere pubbliche tese a migliorare il rendimento agricolo e favorire l’industria e il commercio.
Il gruppo milanese de «Il Caffè» «Il Caffè» uscì regolarmente ogni 10-15 giorni dal giugno 1764 al maggio 1766. Si presentò come l’organo ufficiale di un gruppo che aveva voluto chiamarsi Società dei Pugni, e riuniva gli intellettuali più combattivi e “illuminati” della Milano degli anni Sessanta: tre loro i fratelli Pietro e Alessandro Verri, Cesare Beccaria, l’economista Gianrinaldo Carli, il matematico Paolo Frisi. Il modello era lo «Spectator» diretto da Joseph Addison, pubblicato a Londra come quotidiano tra il 1711 e il 1712. L’obiettivo dei redattori de «Il Caffè» fu la diffusione di un’idea di cultura antiaccademica (anche sul piano linguistico), moderna, attenta ai bisogni della società, aderente al vero e all’utile – vero e utile che si possono considerare un po’ le parole d’ordine della rivista, accanto al celebre motto «cose non parole».
Le opere pariniane prima del progetto de Il Giorno 1752: Poesie di Ripano Eupilino, divise in «serie» e «piacevoli». Il successo di questa raccolta gli vale nel 1753 l’ammissione all’Accademia dei Trasformati. Capitoli in terzine: es. su Lostudio (1755) e Il Teatro (1755). Capitoli in versi sciolti Sopra la guerra (1758, contro le guerre di conquista) e L’auto da fé (1761, contro l’intolleranza religiosa). Discorsi, i più famosi dei quali Sopra la Nobiltà (1757-1759) e Sopra la poesia (1761). Saggi polemici, in forma di lettera pubblica, dove discusse criticamente le prese di posizione di Antonio Bandiera e Onofrio Branda.
L’evoluzione del progetto de Il Giorno Parini aveva progettato originariamente una serie di tre poemetti, e solo più tardi pensò ad un poemetto unico diviso in quattro parti. Nel 1763 a Milano uscì Il Mattino (ed. Agnelli), seguito nel 1765 da Il Mezzogiorno (ed. Galeazzi). Nel 1766, scrivendo all’editore veneziano Colombani, Parini promise di consegnargli entro la primavera seguente una terza parte, che avrebbe dovuto intitolarsi La sera, ma che non fu mai pubblicata, e che negli anni seguenti finì per sdoppiarsi, dando luogo agli abbozzi de Il Vespro e de La Notte.
Da L. Caretti, Parini, in Antichi e Moderni, Einaudi, 1976, pp. 207-07 La ragione principale, dunque, per cui il Parini non riuscì a portare a termine il Giornoe perché il poemetto non raggiunse mai una intrinseca unità, e rimase inorganico e frammentario fino all’ultimo, sembra proprio doversi ricercare nel fatto che la critica pariniana verso la società aristocratica lombarda, positiva inizialmente come denuncia morale, si venne poi palesando priva di una propria prospettiva storica di fronte all’incalzare degli avvenimenti ed alla grande rivoluzione europea in atto, e perciò si arrestò, necessariamente spuntata e sentimentalmente perplessa, sull’orlo di una crisi più profonda del previsto, una crisi autentica degli istituti e non già solamente un infiacchi-mento dei costumi, tale insomma da non illudere più sulla possibilità di riformare pacificamente dall’interno la società aristocratica lombarda ma da scrollarla sin dalle fondamenta.
Incipit del Dialogo sopra la Nobiltà Benché l'umana superbia sia discesa fino ne' sepolcri, d'oro e di velluto coperta, unta di preziosi aromi e di balsami, seco recando la distinzione de' luoghi perfino tra' cadaveri, pure un tratto, non so per quale accidente, s'abbatterono nella medesima sepoltura un Nobile ed un Poeta, e tennero questo ragionamento: Nobile. Fatt'in là mascalzone! Poeta. Ell’ha il torto, Eccellenza. Teme Ella forse che i suoi vermi non l'abbandonino per venire a me? Oh! le so dir io ch'e' vorrebbon fare il lauto banchetto sulle ossa spolpate d'un Poeta. N. Miserabile! non sai tu chi io mi sono? Ora perché ardisci tu di starmi così fitto alle costole come tu fai? P. Signore, s'io stovvi così accosto, incolpatene una mia depravazione d'olfatto, per la quale mi sono avezzo a' cattivi odori. Voi puzzate che è una maraviglia. Voi non olezzate già più muschio ed ambra, voi ora. Quanto son io obbligato a cotesti bachi che ora vi si raggirano per le intestina! essi destano effluvii così fattamente soavi che il mio naso ne disgrada a quello di Copronimo, che voi sapete quanto fosse squisito in fatto di porcherie. N. Poltrone! Tu motteggi, eh? Se io ora do che rodere a' vermi, egli è perché in vita ero avezzo a dar mangiare a un centinaio di persone; dove tu, meschinaccio, non avevi con che far cantare un cieco: e perciò anche ora, se uno sciagurato di verme ti si accostasse, si morrebbe di fame.
L’attività di Parini tra anni Sessanta e Settanta • dal 1768 Parini è il poeta stipendiato del teatro Regio • nel 1769 dirige la «Gazzetta di Milano» • alla fine del 1769 viene nominato professore di Belle Lettere alle Scuole Palatine (una sorta di scuola superiore statale) • nel 1773, dopo la soppressione della Compagnia di Gesù, le Scuole Palatine vengono trasferite al palazzo di Brera e diventano Regio Ginnasio. • dal 1776, quando viene istituita a Brera l’Accademia di Belle Arti, Parini insegna anche agli allievi dell’Accademia.
Il genere de Il Giorno Si suole definire Il Giorno come un poemetto satirico-didascalico: nel quale cioè il modo della satira si innesta sulla tradizione del genere poema-didascalico. N.B. διδάσκω in greco vuol dire istruisco. Il poema didascalico aveva avuto grande fortuna nell’antichità classica, grazie ad alcuni capolavori come Le opere e i giorni di Esiodo, il De rerum natura di Lucrezio o le Georgiche virgiliane. Nell’ambito della letteratura italiana il momento di massima fioritura del poema didascalico è il sec. XVI. Nel 1524 Giovanni Rucellai conclude Le Api, nel 1530 Luigi Alamanni La coltivazione. Seguirà nel 1590 la Nautica di Bernardino Baldi.
La polemica cinquecentesca sull’endecasillabo sciolto L’endecasillabo sciolto si diffonde nell’uso italiano a partire dal secolo XVI, per impulso di alcuni letterati e poeti tra i quali spicca Gian Giorgio Trissino; questi adopera gli sciolti per la tragedia Sofonisba (1524) e soprattutto per il poema epico L’Italia liberata dai Goti (1547). La sua tesi è che lo sciolto sia superiore a terzina e ottava perché si presta meglio a trattare una materia “continuata”, cioè alla poesia narrativa e realistica. Nel 1557 (col Discorso sopra il comporre dei romanzi) G.B. Giraldi Cinzio replica che lo sciolto non suona grave e solenne come sosteneva Trissino: anzi, è troppo vicino al sermo communis della prosa per funzionare applicato alla materia epico-eroica.
L’endecasillabo sciolto fra Cinquecento e Settecento Se l’endecasillabo sciolto non ha successo nella poesia epica (di qui il fallimento dell’Amadigi di Bernardo Tasso), risulta invece funzionale come metro per le traduzioni dai classici (per es. l’Eneide volgarizzata da Annibal Caro) e per – appunto – il poema didascalico. Torquato Tasso lo adopera infatti per Le sei giornate del mondo creato. La polemica rima vs. endecasillabo sciolto torna molto viva nel Settecento, e vede schierati letterati e critici di grande fama e autorevolezza. Nel 1758 la svolta è segnata da un volumetto intitolato Versi sciolti di tre eccellentissimi autori, stampato a Venezia per iniziativa di Saverio Bettinelli. I tre eccellentissimi autori erano Carlo Innocenzo Frugoni, Francesco Algarotti e Bettinelli medesimo.
I capisaldi della tradizione eroicomica europea Alessandro Tassoni, La secchia rapita, 12 canti in ottave, I° ed. 1621, II° e ultima nel 1630; Nicolas Boileau, Le lutrin [Il leggio], 4 canti nel 1674 + altri 2 nel 1683, in versi alessandrini; Alexander Pope, The Rape of the Lock [Il riccio rapito], poemetto in distici a rima baciata (heroic couplets): I° ed. in 2 canti nel 1712, definitiva in 5 canti nel 1714, arricchita della machinery.
Vorrei cantar quel memorando sdegno ch'infiammò già ne’ fieri petti umani La secchia rapita Un’infelice e vil secchia di legno che tolsero a i Petroni i Gemignani. Febo che mi raggiri entro lo ‘ngegno L’orribil guerra e gl’accidenti strani, tu che sai poetar servimi d’aio e tiemmi per le maniche del saio. Je chante les combats, et ce prélat terribleLe lutrinQui par ses longs travaux et sa force invincible, Dans une illustre église exerçant son grand cœur, Fit placer à la fin un lutrin dans le chœur. C'est en vain que le chantre, abusant d'un faux titre, Deux fois l'en fit ôter par les mains du chapitre : Ce prélat, sur le banc de son rival altier Deux fois le reportant, l'en couvrit tout entier. Muse redis-moi donc quelle ardeur de vengeance De ces hommes sacrés rompit l'intelligence, Et troubla si longtemps deux célèbres rivaux. Tant de fiel entre-t-il dans l'âme des dévots !.
L’incipit de The Rape of the Lock What dire Offence from amorous causes springs, What mighty Contests rise from trivial Things, I sing—This verse to CARYLL, Muse! is due: This, ev’n Belinda may vouchsafe to view: Slight is the Subject, but not so the Praise, If She inspire, and He approve my Lays. Say what strange Motive, Goddess! could compel A well-bred Lord t’assault a gentle Belle? Oh say what stranger Cause, yet unexplor’d, Could make a gentle Belle reject a Lord? In Tasks so bold, can Little Men engage, And in soft Bosoms dwells such mighty Rage?
Guerra di Successione Spagnola: momenti di svolta novembre 1700: muore senza eredi Carlo II di Spagna. In base al suo testamento gli succede Filippo d'Angiò, nipote del re di Francia Luigi XIV, e assume il titolo di Filippo V. settembre 1701: Inghilterra, Paesi Bassi e Austria, riuniti a L’Aja, si impegnano ad impedire che le volontà testamentarie del defunto Carlo II trovino piena attuazione. Il rischio è che il trono di Francia e quello di Spagna siano unificati di fatto, creando uno strapotere del ‘blocco borbonico’. aprile 1711: quando la coalizione franco-spagnola sembra ormai avviata alla sconfitta, muore l’imperatore d’Austria Giuseppe I, e gli succede il fratello Carlo d’Asburgo (Carlo VI), che si era candidato a regnare in Spagna. Si profila così il pericolo opposto a quello per cui era scoppiata la guerra, cioè uno strapotere del blocco asburgico, con l’unificazione del trono imperiale e di quello spagnolo. luglio 1713: ad Utrecht, dopo lunghe trattative, viene stipulato un trattato di pace tra la Francia, da una parte, e l'Inghilterra, il Portogallo, la Prussia, l'Olanda e la Savoia, dall'altra. Gli accordi tra Francia ed Austria vennero siglati in seguito, a Rastadt (marzo 1714). Una conseguenza importante degli accordi di pace fu l’assegnazione agli Asburgo dei possedimenti ex-spagnoli in Italia, tra cui il Ducato di Milano e il Regno di Napoli.
Lo Scriblerus Club Lo Scriblerus Club fu un circolo letterario fondato da cinque letterati di orientamento tory: Alexander Pope, Jonathan Swift, John Gay, Thomas Parnell, e John Arbuthnot. Il loro scopo comune fu inizialmente quello di mettere in ridicolo gli atteggiamenti supponenti di certi eruditi e sedicenti ‘dotti’. Per questo inventarono un personaggio fittizio, MartinusScriblerus, il cui nome tradotto in italiano potrebbe suonare ‘Martino Scribacchino’. Nel 1713, come gioco letterario di scrittura collettiva, i membri della S.C. cominciarono a redigere le Memorie di MartinusScriblerus. Ma dalla loro officina, soprattutto nella seconda fase del loro sodalizio, uscirono diversi capolavori: fra il 1726 e il ’28 i Gulliver’s Travels di Swift, The Beggar’s Opera di Gay e la Dunciad dello stesso Pope, oltre al Peri Bathous, or, of the Art ofSinking in Poetry, altra opera scritta a più mani.
La machinery ne The Rape of the Lock Secondo la definizione di Pope stesso, la machinery“the Part which the Deities, Angels or Daemons, are made to act in a Poem” (soprattutto di in un poema epico, naturalmente). Ma nel tessuto del Rape, Pope innesta un sistema di divinità che riprende – mettendola in ridicolo – la dottrina della setta dei Rosacroce. Dottrina fondata sull’idea che i quattro elementi fondamentali dell’universo (di lontana ascendenza empedoclea e aristotelica) fossero animati dalla presenza di altrettante creature ‘elementari’ o ‘elementali’: i Silfi (signori dell’aria), gli Gnomi (terra), le Ninfe (acqua) e le Salamandre (fuoco).
Distribuzione della materia nel Rape of the Lock [I] Il sole è già alto quando a Belinda dormiente appare in sogno Ariel, il suo Silfo protettore, per avvisarla che una sventura ignota incombe su di lei. Svegliata dal suo cagnolino, Belinda si dedica al complesso rito del trucco e della vestizione, devotamente assistita dalla cameriera e dai Silfi. [II] Elegante e ingioiellata, Belinda esce a fasi ammirare per le vie di Londra. Un particolare incanto viene dai riccioli biondi che scendono sul suo collo, ai quali invano il Barone ha rivolto i suoi desideri, celebrando un rito propiziatorio sulla sua toilette. Ariel convoca i Silfi e organizza la difesa di Belinda. [III] Nella residenza regale di Hampton Court si incontrano politici e ‘vips’. Qui Belinda comincia una partita a carte [raccontata come una guerra]; e quando sta per avere la meglio, il Barone, con la complicità dell’invidiosa Clarissa che porge le forbici, le taglia a tradimento un ricciolo sulla nuca. [IV] Il taglio del ricciolo ha sancito la sconfitta dei Silfi. Belinda resta quindi in balia dello Gnomo Umbriel, che scende nella caverna dello Spleen e le riversa addosso ira, lacrime e recriminazioni. Invano Sir Plume chiede al Barone di restituire il riccio. [V] La brutta Clarissa incita Belinda al buon umore, ma ottiene l’effetto di esacerbare lo scontro. Segue una battaglia a colpi di occhiatacce, e Belinda costringe alla resa il Barone gettandogli al naso una presa di tabacco. Ma il riccio ormai non si trova più: è stato assunto in cielo come la chioma della regina Berenice.
Un giudizio autocritico di Pope sul Rape This whimsical piece of work, as I have now brought it up to my first design, is at once the most a satire, and the most inoffensive, of anything of mine. People who would rather it were let alone laugh at it, and seem heartily merry, at the same time that they are uneasy. [A. Pope], The Correspondence of Alexander Pope, ed. G. Sherburn, Oxford, Claredon Press, 1956, vol. I, p. 211.
L’incipit de Il Vespro Ma de gli augelli e de le fere il giorno E de' pesci squammosi e de le piante E dell'umana plebe al suo fin corre. Già sotto al guardo de la immensa luce Sfugge l'un mondo: e a berne i vivi raggi Cuba s'affretta e il Messico e l'altrice Di molte perle California estrema: E da' maggiori colli e dall'eccelse Rocche il sol manda gli ultimi saluti All'Italia fuggente; e par che brami Rivederti o Signor prima che l'alpe O l'appennino o il mar curvo ti celi A gli occhi suoi. Altro finor non vide Che di falcato mietitore i fianchi Su le campagne tue piegati e lassi, E su le armate mura or braccia or spalle Carche di ferro, e su le aeree capre De gli edificj tuoi man scabre e arsicce, E villan polverosi innanzi a i carri Gravi del tuo ricolto, e su i canali E su i fertili laghi irsuti petti Di remigante che le alterne merci A' tuoi comodi guida ed al tuo lusso; Tutti ignobili aspetti. Or colui veggia Che da tutti servito a nullo serve.
Le ‘favole’ nel Giorno 1. MT I 313-386; MT II 287-363: Favola di Amore e Imene (inc. Tempo già fu, che il pargoletto Amore) 2. MT I 749- 771, MT II 764-786: Favola della Cipria (inc. D’orribil piato risonar s’udìo) 3. MZ 250-338; MG 254-338: Favola del Piacere (inc. Forse vero [Vero forse] non è, ma un giorno è fama) 4. MZ 1112-1182; MG 1096-1178 (nel MG diventa il brano finale): Favola del Tric-trac(inc. Occulto ardea / già di ninfa gentil misero amante; MG Già per ninfa gentil tacito ardea) 5. NT 276-349; Favola del Canapè(inc. Un tempo il canapè nido giocondo)
MT I 313-386; MT II 287-363.Favola di Amore e Imene (inc. Tempo già fu che il pargoletto Amore Spunto: il GS ha bisogno di una compagna per trascorrere le ore, ma questo non implica di necessità le nozze, né tanto meno la procreazione. Favola: Amore, pargoletto pestifero, viene affidato dalla madre Venere al fratello maggiore, Imene, divinità tutelare delle nozze. Dei due fratelli A. è più possente, I. più cauto. Per un po’ l’accordo tra i due funziona (è l’età dell’oro delle unioni felici e durature: fra i pastorel, però!). Ma poi, una volta cresciuto, A. rivendica il diritto di regnare da solo. La madre, incapace di tenerlo a freno, divide i regni. Amore regnerà di giorno e sulle anime, Imene sui corpi, la notte. Obiettivi polemici: 1. lo smarrimento della capacità di vivere nella sua (naturale?) globalità la vita erotica. 2. la consuetudine, giuridicamente consolidata, del cicisbeismo.
MT I, 749- 771, MT II 764-786Favola della cipria (inc. D’orribil piato risonar s’udìo) Spunto: è terminato il rito della pettinatura, e l’ultimo tocco del parrucchiere è la cipria sui capelli. Favola: scoppia una lite fra giovani e vecchi alla corte d’Amore, il quale interviene personalmente a sedarla, perché è un monarca che ogni diseguaglianza odia in sua corte. Amore insegna ai vecchi militanti (notare l’ossimoro) come truccarsi per sembrare giovani, mentre ordina ai suoi ministri alati di impolverare le chiome dei giovani, così che solo il tatto possa consentire alle dame di distinguere fra amanti di diverse età. Obiettivo polemico: la falsa uguaglianza, che cerca di sopprimere una diversità naturale (legata all’andamento progressivo del tempo e alla fisiologica ciclicità della vita umana), contrapposta alla falsa disuguaglianza che il GS rivendica per sé e i suoi pari, ‘naturalmente’ superiori al volgo. N.B. Va letta in pendant con la favola del Piacere.
MZ 250-338; MG 254-338.Favola del Piacere (inc. Forse vero non è, ma un giorno è fama) Spunto: è il momento di sedersi a tavola, dove i nobili soddisfano non la fame, il naturale bisogno di cibo, bensì la voluttà. Favola: un tempo gli uomini furono uguali, guidati dagli stessi istinti e capaci di adoperare la stessa forza. Plebe e nobiltà erano nomi sconosciuti. L’unico affanno, comune anche quello, era il dolore, e tutti ugualmente si adoperavano per sfuggirlo. Ma agli dei, scontenti di questa uniformità, inviarono sulla terra il Piacere, genio capace di spandere ovunque un fremito soavissimo . Con l’avvento del Piacere, tra gli uomini si distinsero quelli che avevano avuto in dono dalla natura organi più sensibili, i quali cercarono subito di soddisfare i nuovi stimoli, e rapidamente affinarono i loro gusti. I più rozzi restarono legati al soddisfacimento dei bisogni primari, e dunque rimasero inferiori e succubi degli uomini sensibili. Ob. polemico:la disuguaglianza fondata su basi pseudo-scientifiche.
MZ 1112-1182; MG 1096-1178 (= nel MG diventa il brano finale)Favola del tric-trac (inc. Occulto ardea / già di ninfa gentil misero amante; MG Già per ninfa gentil tacito ardea) Spunto: dopo il pranzo viene il momento del gioco Favola: c’erano una volta due amanti che potevano parlarsi solo con gli sguardi, perché il marito della dama vigilava sulla loro conversazione. L’amante disperato si rivolse allora a Mercurio, che gli ispirò divinamente l’idea di un gioco di dadi che producesse un rumore insopportabile, tale da mettere in fuga i mariti gelosi. O almeno così funzionava il tric-trac nella ‘ferrea età’, perché nell’epoca moderna, ormai, i mariti non sono più gelosi: e infatti la tavola e i bussolotti che servono al gioco sono stati ricoperti di panno. Obiettivo polemico: il falso progresso dei costumi; il fatto che la gelosia sia fuori moda non è un segno di incivilimento, ma di corruzione.
NT 276-349Favola del Canapè (inc. Un tempo il canapè nido giocondo) Spunto: nel salotto la nobile compagnia prende posto per dedicarsi al rito della conversazione. Fra le umili sedie campeggia il canapè. Favola: ad inventare il canapè era stato Amore, desideroso di offrire alle dame un luogo adatto alla conversazione intima: il canapè è infatti un divano a tre posti, dove accanto ai due amanti poteva sedersi Amore stesso. Il successo del canapè era stato da destare l’invidia nel popol vario delle sedie minori, e qualche volta anche nel talamo. Due malvagi geni, Puntiglio e Noia, hanno preso quindi possesso della macchina elegante, che ora è occupata dalle nonne tossicose e dalle madri sbadiglianti. Obiettivo polemico: il salotto come luogo di una sociabilità ‘vuota’, occasione non di scambio culturale, ma di esibizione della vanità.