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FLESSIBILITÀ, PRECARIETÀ, LAVORI ATIPICI. Prof.ssa Cristina Alessi Facoltà di Economia Università degli Studi di Brescia. LA NOZIONE DI “FLESSIBILITÀ”. N.B. - Etimologia: “flectere” (piegare)
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FLESSIBILITÀ, PRECARIETÀ, LAVORI ATIPICI Prof.ssa Cristina Alessi Facoltà di Economia Università degli Studi di Brescia
LA NOZIONE DI “FLESSIBILITÀ” N.B. - Etimologia: “flectere” (piegare) “Flessibilità” è il modo d’essere di ciò che, potendo essere piegato, si adatta a differenti condizioni strategia volta a minimizzare i rischi in un contesto economico dominato dall’incertezza Uno dei modi che l’imprenditore ha per “adattarsi” al mercato è utilizzare in modo flessibile uno dei fattori della produzione: il lavoro 2
PERCHÉ LA FLESSIBILITÀ? Problema dell’impresa: competitività l’impresa tende ad impiegare esattamente la quantità di forza lavoro retribuita che è necessaria alla produzione di un certo bene o servizio in un dato periodo di tempo Due possibili strade: a) aumentare/diminuire la manodopera b) modulare gli orari di lavoro 3
LE DUE TIPOLOGIE DI FLESSIBILITÀ A) la c.d. FLESSIBILITÀ NUMERICA (O ESTERNA) possibilità per l’impresa di far variare in più o in meno il numero dei suoi lavoratori in relazione con il proprio ciclo produttivo B) la c.d. FLESSIBILITÀ FUNZIONALE (O INTERNA) modulazione, da parte dell’impresa, di vari parametri della situazione in cui i lavoratori prestano la loro opera (es. possibilità di variare l’orario di lavoro o le mansioni cui sono adibiti i lavoratori) 4
La funzione del diritto del lavoro, in questo quadro, è quella di contemperare le esigenze dell’impresa con quelle delle persone che lavorano Ragioni: Il lavoro non è una merce (V. Convenzioni OIL) Il contratto di lavoro non è un contratto qualunque. Come ricorda un grande giurista: “in realtà non esiste il lavoro, ma esistono uomini che lavorano; il lavoratore non impegna nel rapporto con il datore di lavoro qualche cosa del suo patrimonio, distinto dalla sua persona, ma impegna la sua stessa persona; egli non mette in gioco il suo avere, ma piuttosto il suo essere” (L. Mengoni) PERCHÉ IL DIRITTO DEL LAVORO SI OCCUPA DI FLESSIBILITÀ?
DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI FLESSIBILITÀ Parlando di flessibilità “esterna” si intende normalmente il crescente ricorso a contratti c.d. “atipici”, che presentano deviazioni rispetto al contratto di lavoro subordinato standard: Contratti a termine Contratti di somministrazione Part-time / Job sharing Job on call (lavoro intermittente) 6
In tempi più recenti, parlando di contratti flessibili e/o atipici si intendono anche i c.d. “co.co.co” o “co.co.pro”, cioè (tecnicamente) i lavoratori a progetto Si tratta in questo caso di lavoratori AUTONOMI, che però presentano molti profili di contatto con i lavoratori subordinati Alcuni esempi di lavoratori qualificati come “co.co.co” sono i c.d. pony express e i lavoratori dei call centers SEGUE….
Quali sono le dimensioni del fenomeno? DIAMO I NUMERI… Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro, IV trimestre 2010
LAVORO A TEMPO INDETERMINATO/LAVORO A TERMINE Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro, IV trimestre 2010
È probabilmente il principale emblema della flessibilità “non è chi non veda come l’assenza o la presenza di un elemento accidentale del contratto come il termine sia idoneo ad incidere sulle aspettative di vita della gente” (M. Napoli, 1996) La durata limitata nel tempo del contratto di lavoro ha riflessi importanti sulla vita delle persone Molti studiosi (economisti, sociologi etc.) se ne sono occupati Es. Luciano Gallino (Il costo umano della flessibilità) Richard Sennet (L’uomo flessibile) IL CONTRATTO A TERMINE
Interessi sottesi alla disciplina del contratto a termine: Interesse dell’impresa a far fronte ad incrementi temporanei della propria attività senza dover ricorrere all’assunzione a tempo indeterminato Interesse del lavoratore a non essere discriminato per il solo fatto di lavorare a termine … ma vi sono anche interessi “inespressi” Spesso il contratto a termine è utilizzato come un periodo di prova Il fatto di lavorare a termine mette il lavoratore in una condizione di debolezza contrattuale che potrebbe indurlo a rinunciare a far valere i propri diritti QUALI INTERESSI?
Il contratto a tempo indeterminato costituisce la “forma comune” dei rapporti di lavoro (Dir. 99/70/CE) Cosa significa? Rapporto di regola/eccezione tra contratto a tempo indeterminato e contratto a termine (art. 1, D. Lgs. n. 368/2001) Come si traduce, giuridicamente, una regola di questo tipo? Vi sono varie possibilità di attuazione… In genere, si stabilisce che è possibile ricorrere al contratto a termine SOLO in presenza di ipotesi eccezionali Oppure si fissa un tetto massimo alla stipulazione di contratti a termine con la stessa persona …E LE REGOLE GIURIDICHE
Principio di parità di trattamento Il lavoratore non può essere trattato diversamente (id est: in modo sfavorevole) per il solo fatto di lavorare a termine) Però vi sono alcune tutele che dipendono dalla durata indeterminata del rapporto Es.: malattia, disciplina limitativa del licenziamento etc. E soprattutto alla cessazione del rapporto non vi sono tutele nel mercato del lavoro… LA TUTELA DEL LAVORATORE
IL LAVORO INTERINALE • Si tratta del contratto di somministrazione di lavoro • Ha una struttura triangolare: il lavoratore viene assunto da un’Agenzia per il lavoro, che poi lo manda a svolgere l’attività lavorativa presso un altro datore di lavoro (utilizzatore) Tra Agenzia e lavoratore viene stipulato un contratto di lavoro (a termine o a tempo indeterminato) Tra Agenzia e utilizzatore viene stipulato un contratto commerciale Tra lavoratore e utilizzatore c’è un rapporto di mero fatto (anche se si produce qualche effetto giuridico)
È forse l’ipotesi più “destrutturante” perché il lavoratore lavora presso un soggetto che non l’ha assunto Si tratta del fenomeno che la l. 1369 del 1960 chiamava “interposizione” e che era vietato dalla medesima legge Ha la stessa struttura del c.d. “caporalato” Quali tutele? Principio di parità di trattamento: il lavoratore non può essere trattato in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori dell’impresa nella quale viene inviato Responsabilità solidale dei due soggetti (Agenzia e utilizzatore) per tutti i crediti del lavoratore SEGUE… In questo caso serve ad evitare il c.d. lucro parassitario
È il contratto con cui il lavoratore si impegna a restare a disposizione del datore di lavoro per lo svolgimento di attività a carattere discontinuo o intermittente In sostanza, il lavoratore è tenuto ad attendere la chiamata del datore di lavoro Si tratta di un contratto di dubbia legittimità, alla luce di una sentenza della Corte cost. sul part-time (C.- Cost. 210/1992) Quali tutele? Per il periodo in cui il lavoratore è a disposizione, è dovuta l’indennità di disponibilità… IL LAVORO INTERMITTENTE (JOB ON CALL) … ma la legge precisa che durante il periodo di disponibilità il lavoratore “non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati né matura alcun trattamento economico e normativo
Le ipotesi che abbiamo appena visto rientrano pur sempre nell’area del lavoro SUBORDINATO Ciò garantisce un nucleo, sia pur ridotto rispetto al lavoro a tempo indeterminato, di tutele (es.: malattia, gravidanza, minimi contrattuali, etc. etc.) Come abbiamo visto nella tabella precedente, però, buona parte dei lavoratori c.d. “atipici” sono i c.d. “co.co.co” o “co.co.pro”, cioè lavoratori formalmente AUTONOMI…. … ma che hanno molte caratteristiche dei lavoratori subordinati, ad es.: Lavorano spesso per lo stesso committente Devono coordinare la propria attività con quella del committente Spesso lavorano all’interno dell’organizzazione produttiva del committente IL LAVORO A PROGETTO Un caso limite… ma non troppo: il ricevitore di scommesse in un’agenzia ippica: Cass. 26986/2009
Per questi lavoratori l’esclusione dall’area del lavoro subordinato comporta(va) l’esclusione totale dalle tutele previste dal codice civile e dalle leggi speciali Perciò spesso si ricorre(va) alle collaborazioni in alternativa al lavoro subordinato Le ragioni erano legate ai vantaggi, sia economici che non, collegati a questi contratti: Minori costi (retributivi, previdenziali ecc.) Maggiore elasticità nella gestione del rapporto di lavoro Minori tutele nei confronti del lavoratore (ad ec., licenziamenti, malattia, ecc.) Per questo sulla questione si era aperto un consistente dibattito tra i giuristi del lavoro (ma non solo) sui possibili rimedi …SEGUE
Come ha operato la legge? In primo luogo, la legge ha operato sul fronte della distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato L’introduzione di criteri distintivi certi avrebbe dovuto evitare l’uso “distorto” delle collaborazioni In effetti, questa tecnica ha avuto risultati positivi, perlomeno nelle ipotesi di violazioni più eclatanti (caso “Atesia”) In secondo luogo, alcune delle tutele previste per i lavoratori subordinati sono state estese anche ai collaboratori, sia pure in misura limitata Es: malattia e gravidanza Di recente anche i c.d. “ammortizzatori sociali” …SEGUE
Fin qui abbiamo visto come la legge cerca di garantire al lavoratore flessibile/atipico un nucleo di tutele nel rapporto di lavoro Ma quali sono le conseguenze della flessibilità sulla vita delle persone? E come si può porre rimedio alle conseguenze più “pesanti”? Prima di provare a rispondere, dobbiamo chiarire che quando parliamo di lavoratori flessibili non ci riferiamo solo ai giovani… Le statistiche dimostrano che una quota molto elevata di lavoratori flessibili si colloca nella fascia di età compresa tra i 30 e i 49 anni IL COSTO UMANO DELLA FLESSIBILITÀ
Vediamo alcune delle conseguenze più eclatanti L’incertezza e/o il basso livello di reddito certamente ritarda l’uscita dalla famiglia, perché non consente di raggiungere l’indipendenza economica… Lo stesso vale per la formazione di una famiglia, perché l’assenza di un reddito certo impedisce di fare progetti a lunga scadenza… Sul piano delle esperienze professionali: La frammentazione dei percorsi lavorativi può impedire la formazione di una professionalità compiuta; Non sempre il fatto di cambiare posto di lavoro e attività risulta poi un vantaggio dal punto di vista della crescita professionale (si v. il caso Mc Donalds) SEGUE…
L’Unione Europea ha da qualche tempo coniato un neologismo: flexicurity (tr. It.: flessicurezza) Secondo la definizione della Commissione CE, la flex. può essere definita come “strategia integrata volta a promuovere contemporaneamente la flessibilità e la sicurezza sul mercato del lavoro” Come si può capire, l’enfasi è posta sulla sicurezza NEL MERCATO DEL LAVORO L’idea di fondo è che i lavoratori devono essere messi in grado di transitare da un posto di lavoro all’altro attraverso una serie di strumenti: Forme contrattuali flessibili e affidabili; Strategie di lifelong learning; Efficaci politiche attive nel mercato del lavoro; Moderni sistemi di sicurezza sociale QUALI RIMEDI? Com (2007) 359 def
L’Italia deve lavorare su molti fronti: Mancano efficaci strumenti di politica attiva del lavoro, servizi all’impiego etc. (salvo rare eccezioni); L’edificazione di un sistema di formazione continua (sul modello francese) è da anni attesa, ma non ancora realizzata; Anche il sistema degli ammortizzatori sociali è lontano dall’avere una forma organica e una portata universale Il periodo di crisi che stiamo vivendo sta portando a galla queste contraddizioni (si v. gli ultimi interventi in materia di CIG) Naturalmente, per la costruzione di un sistema come quello delineato dalla Commissione servono molti investimenti, ma anche in questo caso la crisi non aiuta (di recente è stato ridotto anche il fondo per l’occupazione) E L’ITALIA?
Bisogna tornare nell’ottica della ricerca del “posto fisso”? Forse la risposta da dare è più sfumata… Per la discussione, dovremmo chiederci: A) è vero che le imprese hanno bisogno di dosi massicce di flessibilità? B) se non è così, si può provare a riportare al centro della discussione l’idea della dignità della persona e del lavoro ”decente”, come ci ricorda anche l’OIL? TORNARE AL POSTO FISSO?