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GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA ED ECONOMIA LOCALE. prof. Maurizio Fanni Ordinario di Finanza Aziendale. Premessa.
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GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA ED ECONOMIA LOCALE prof. Maurizio Fanni Ordinario di Finanza Aziendale
Premessa • (*) Viene condotta un’analisi sul sistema commerciale della provincia di Trieste con l’obiettivo di stimare la possibile convivenza tra GDO/centri commerciali da una parte, e piccoli esercizi/centri urbani dall’altra. L’intervento prende le mosse dallo Studio condotto dal Gruppo di Ricerca dell’Università di Trieste – Facoltà di Economia costituito dai prof.ri Giovanni Panjek, Maurizio Fanni e Pio Nodali (quale Comitato Scientifico curatore) e dai ricercatori dottori Giuseppe Borruso, Andrea Porceddu, Giulia Nogherotto e Silvana Palmiero (quale staff operativo).
Le ipotesi di espansione della grande distribuzione si giocano sulla ridotta superficie della provincia di Trieste, per il cui sviluppo queste trovano a competere per l’uso del suolo con le funzioni portuali, quelle industriali e terziarie già presenti sul territorio • Il contributo cerca quindi di inserire i mutamenti del comparto commerciale nell’ambito delle iniziative avviate o previste sul territorio triestino, analizzando gli elementi di criticità e alcune possibilità di sviluppo e di convivenza sia delle diverse forme di commercio, sia delle diverse attività produttive
Introduzione Lo sviluppo di un moderno sistema distributivo, idoneo ad equilibrare le esigenze della Grande Distribuzione Organizzata e del commercio tradizionale costituisce una delle occasioni mancate dell’Italia Il Friuli Venezia Giulia appare come un territorio affollato di strutture per la GDO, con una capacità di vendita, specialmente nell’area udinese (la quale ospita oltre il 30% di tutti gli insediamenti di GDO della regione) superiore alla media del Nord Italia Il Piano Regionale del Commercio fotografa al 2005 superfici di vendita riferite alla GDO nel comparto alimentare intorno al 40% e nel comparto non alimentare intorno al 60% (con riferimento alla Provincia di Trieste nel comparto alimentare circa 62% e nel comparto non alimentare circa 38% )
La strategia della Regione Friuli Venezia Giulia ha fissato intorno al 65% (segmento alimentare) e 60% (segmento non alimentare) il massimo di quote di mercato raggiungibile dalla GDO • Ma se in passato si sono avute punte di clientela corrispondenti ad una popolazione assai più numerosa di quella residente (circa 1,2 milioni di abitanti) per effetto dell’afflusso di clientela austriaca e poi anche slovena e croata, oggi il quadro che emerge è diverso necessità di interventi di programmazione strategica regionale particolarmente rigorosi capaci di tener conto degli interessi di tutti gli attori coinvolti nelle attività commerciali
Si fa strada la convinzione che se le Regioni e gli altri enti locali non dovessero intervenire con norme che controllassero l’espansione della GDO si rischierebbe, in molte aree regionali da un lato il decadimento dei centri urbani e dall’altro la congestione degli assi di comunicazione extra urbani È L’URBANISTICA CHE DOVREBBE DETTARE I PRINCÌPI DELLA PROGRAMMAZIONE COMMERCIALE
Appare poi indispensabile che nei nuovi piani regionali si cerchi di tenere conto delle esigenze delle strutture commerciali medie (250/1500 mq) e piccole (fino a 250 mq) Tali constatazioni suppongono, peraltro, un ruolo forte dei Comuni e la condivisione delle responsabilità con le imprese commerciali stesse
Argomenti dello studio • GDO – caratteristiche e tendenze evolutive • Trieste – città del commercio (Porto) – situazione geoeconomica Convivenza di commercio cittadino di qualità e commercio low cost • Utenza Jugoslava (’70 – ’90) • Attività economiche cinesi (fine ’90 – ½ 2000) • Commercio ‘centrale’ in declino GDO inizia tardi (2 strutture esistenti): • Urbana (Il Giulia) • 1a corona; frangia urbana (Le Torri d’Europa) • Sviluppo grandi strutture e concorrenza: • Friuli • Slovenia • Croazia (Istria) • GDO e prospettive di sviluppo con particolare focus sull’Area ex Aquila: • Centri commerciali fuori città - Out of town shopping mall • Polo di Muggia • Ritorno in città (Back to Downtown) • Nuove realizzazioni GDO urbana • Fattori di criticità nel rapporto GDO/negozi del centro cittadino • Ipotesi di lavoro per lo sviluppo futuro
LA GDO TRIESTINA • Elevata densità di popolazione, ma molti anziani (bassa propensione allo spostamento) • Offerta di centri commerciali sovradimensionata => Assenza di sviluppo armonico della attività commerciali • Valutazione del bacino potenziale da ridiscutere • Forte concorrenza regionale e da oltreconfine => si comincia ad andare in Slovenia • Prevalente traffico di attraversamento; rischio di congestione in alcune aree cittadine
GDO: centri commerciali esistenti e pianificatiin provincia di Trieste (oltre 10.000 mq superficie di vendita)
GDO: centri commerciali esistenti e pianificati in provincia di Trieste - Caratteristiche (1) Costruzione prevista; (2) Autorizzato; in costruzione; * elaborazioni da ‘Retecivica’; ‘Nomisma’ Nostra elaborazione da: Piano di settore del Commercio; Comune di Muggia (2005); Piano Regionale della Grande Distribuzione; Retecivica; Nomisma; Osservatorio sul Commercio
STRUTTURE DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE PER UNITÀ, SUPERFICI DI VENDITA E ADDETTI (DATI 2007) Sito Internet Infocommercio.it – Banca dati Servizio Monitor (valore soglia per la definizione di Grande Magazzino, Supermercato, Ipermercato pari a 400 mq.) (numero di addetti al momento della realizzazione della struttura di vendita; valore superfici in mq.)
CRITICITA’ DEL COMMERCIO URBANO • Le caratteristiche del sistema imprenditoriale => presenza di due poli: • Attività di servizio alla comunità locale (commercio ed edilizia) • Grandi attori economici senza significativi legami con il territorio (settore assicurativo, compagnie di navigazione ed ex imprese a partecipazione statale) => Assenza di dimensioni imprenditoriali intermedie e di un tessuto di piccola impresa manifatturiera. • La crisi delle attività commerciali. Il commercio triestino è caratterizzato da una crisi strutturale e dal relativo sovradimensionamento rispetto alle esigenze dell’area => caduta dei blocchi => perdita della posizione di terminale italiano per il commercio transfrontaliero; CESSAZIONE DI ATTIVITA’ ”STORICHE” • Un terziario privo di domanda locale. La Provincia di Trieste, che dispone di una cospicua offerta di servizi avanzati, non possiede in loco altrettanta e adeguata domanda. • La marginalità dell’area. “L’Italia finisce a Venezia”. Un concetto che sintetizza ed esprime non solo la condizione di marginalità, reale e percepita, di Trieste rispetto al resto del paese, ma anche il senso di malessere e di frustrazione diffusi per una situazione di collegamenti infrastrutturali largamente deficitaria.
LE CONSEGUENZE SULLA CITTÀ DI TRIESTE Da dati provenienti da Confcommercio emerge che a Trieste nei primi sei mesi del 2007 il saldo fra aperture e chiusure dei negozi è risultato pesantemente negativo: meno 385 esercizi, fra commercio, servizi e ristorazione. A fronte di 168 nuovi esercizi, 553 hanno chiuso. L’unico saldo positivo riguarda i servizi finanziari: sono otto in più, sempre nel primo semestre 2007. E la crisi dei negozi potrebbe non arrestarsi anche a causa dell’apertura di nuovi centri commerciali.
Sono ormai troppi i piccoli commercianti e gli artigiani costretti a chiudere l’attività a causa della imposizione elevata (cui si deve aggiungere l’incoerente peso dei c.d. studi di settore), della difficoltà di ricorrere all’autofinanziamento, dell’endemica sottocapitalizzazione tipica di tutte le imprese minori, delle leggi, delle consuetudini e dei comportamenti che privilegiano le grandi aziende, della crisi economica in corso e soprattutto dell’ulteriore lievitazione del numero di centri della GDO, con il rischio di snaturare il centro storico
E con riferimento ai centri di GDO in atto e programmati occorrerà svolgere un attento controllo nel territorio al fine di evitare un autogol dovuto al sovraffollamento. In futuro per rendere attivi i centri commerciali dell’area triestina dovrà soccorrere una politica tesa a richiamare nuova clientela dai Paesi limitrofi. A Trieste per ora non si è fatto molto. Vi è l’impegno sulla ricerca, le attività portuali, il turismo, l’attività di crociera, e c’è un impegno della Confcommercio per catturare il flusso che potrebbe derivarne, un impegno verso la cultura teatrale, lo sviluppo dell’attività congressuale ed alcune manifestazioni uniche come la Barcolana e la Bavisela, ma tutto ciò non basta a tenere in vita il settore commerciale.
La crescita dei nuovi centri commerciali lede inesorabilmente la rete dei negozi di vicinato ed inoltre per ogni dipendente assunto dalla grande distribuzione se ne perdono assai di più nel piccolo dettaglio Si aggiunga che i centri della GDO non creano vera occupazione per i giovani. Il turnover del personale è altissimo
FATTORI DI CRITICITÀ NEL RAPPORTO GDO/NEGOZI DEL CENTRO CITTADINO Un rilevante fattore di criticità inerente il rapporto tra GDO/territorio e centro cittadino è da ascrivere ai caratteri strategici ed operativi della Grande Distribuzione comunque organizzata (grandi magazzini, supermercati, ipermercati, centri commerciali, ecc) I gruppi societari collegati alle strutture d GDO operano nella logica del mercato ed anche nei casi in cui i loro vertici siano disponibili ad una collaborazione con gli enti locali e con l’ambiente dei consumatori ed effettivamente vogliano dar vita a modelli di sviluppo sostenibile di lungo periodo e di responsabilità sociale sul territorio che li ospita, manifestano dei vincoli di struttura esclusivamente dipendenti dalla ricerca del vantaggio competitivo
Presenza imponente del franchising nelle strutte della GDO • 49% dei marchi all’interno del Centro Commerciale Torri d’Europa sono in franchising • maggior valore percepito da parte del cliente nel momento in cui effettua l’acquisto • ricchezza che esce dal territorio (gli incassi di gran parte dei negozi vanno a finire nelle sedi delle rispettive catene sotto forma di canoni di affitto del marchio, pagamento di royalties e/o di tasse d'ingresso “entry fee”)
dietro i marchi del franchising ci sono grandi gruppi; i negozi non si riforniscono dalle aziende di produzione locali ma ricevono le merci dai rispettivi centri di approvvigionamento; si attenua il legame all’interno della filiera tra imprese del settore commercio e imprese del settore industriale con sede legale in provincia o regione; impoverimento del potere di spesa sul territorio • perdita di specificità del prodotto
Rischio di degrado urbano • Pericolo di spopolamento di negozi dal centro cittadino e • di proliferazione di banche, bar e uffici, con conseguenze che lasciano intendere un depauperamento del paesaggio urbano
Deturpazione del paesaggio periferico • Qualora l’architettura del centro commerciale dovesse risultare incompatibile con l’ambiente naturale circostante • Inferiore qualità dei contratti di lavoro
Questione fiscale • casi in cui le società della GDO non hanno la sede legale nel territorio della Regione Friuli Venezia Giulia • mancato introito delle imposte che le società della GDO usano dichiarare nei luoghi ove hanno la sede legale • sono devolute alla Regione Friuli Venezia Giulia, se il versamento ha luogo nel territorio della Regione stessa, le seguenti quote fisse dei proventi che vanno allo Stato: • 6/10 del gettito dell’Irpef; • 4,5 /10 del gettito dell’Irpeg (ora Ires) ; • 8/10 (destinato a divenire 9,1/10 con la legge finanziaria 2008) del gettito dell’Iva, esclusa quella relativa all’importazione, al netto dei rimborsi effettuati ai sensi dell’articolo 38 bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni.
La perdita di gettito per la comunità regionale è ingente Già oggi la Regione si trova così nella necessità di distinguere le imprese c.d. mono impianto (che versano nel territorio regionale) da quelle multi impianto che versano altrove
Cosa fare? • Per le nuove localizzazioni di GDO L’intensificarsi delle attività e dei studi legati alla GDO hanno evidenziato che i comportamenti e le pratiche nelle fasi di localizzazione, progettazione e gestione delle nuove strutture distributive se da un lato si basano sul rispetto di specifici parametri quantitativi (es. potenziali consumi futuri) da un altro lato non sempre sono i più sostenibili e idonei per un territorio
L’approvazione degli incrementi a livello di superfici commerciali per la grande distribuzione dovrebbe essere prevista per legge solo nel caso in cui ad esempio siano rispettate delle condizioni di contesto (fattori di criticità)
Fin dal momento della scelta localizzativa è possibile agire ‘responsabilmente’, perseguendo soluzioni che non abbiano impatto negativo sulla qualità urbana, ma che servano anzi a riqualificare aree degradate e siano coerenti dal punto di vista dei trasporti
l ruolo della grande distribuzione può risultare inoltre particolarmente importante nelle operazioni di riqualificazione urbana e nella trasformazione di aree nelle quali le funzioni di occupazione del suolo sono divenute obsolete. In tal senso, per creare benefici per il territorio in cui è insediato, una soluzione può essere l’implementazione, da parte del commercio extra-urbano, di misure per uno sviluppo sostenibile del territorio
Esempi • soluzioni urbanistico-localizzative, progettuali e gestionali in campo energetico • soluzioni logistiche per la mobilità • soluzioni per la gestione dei rifiuti • politiche dei “tempi”, di pari opportunità e di prodotto • sistemi di gestione ambientale e sociale • strategie di comunicazione
Le strade “regolative e incentivanti”, che impongono o rendono più conveniente il rispetto di requisiti e criteri progettuali e gestionali di questo tipo, sono le prime da percorrere per arrivare a soluzioni come quelle appena esposte. Uno strumento molto rilevante è dato proprio dalle normative regionali per la programmazione e localizzazione di queste strutture, o i piani del commercio a livello comunale; in modo analogo possono muoversi altri enti come i ministeri, le Province e le agenzie locali
Un pilotaggio più efficace delle dinamiche in atto dovrebbe quindi fondarsi sull’uso integrato di strumenti d’azione complementari, quali: • la formulazione di linee-guida sulle diverse tematiche settoriali da parte dell’istituzione regionale, sul modello delle Planning Policy Guidances pubblicate con cadenza periodica dal Department of Environment, Transports and The Regions del governo britannico (l’emergente quadro federalista nell’assetto dello Stato e la riforma già avviata con il decreto Bersani autorizza ad individuare nelle Regioni il soggetto cui attribuire questa competenza);
Planning Policy Guidances Strumenti di regolazione “a monte” dell’intervento con cui le amministrazioni orientano la progettazione Sostituiscono modelli normativi di carattere prescrittivo
un nuovo protagonismo delle istituzioni intermedie nel promuovere processi negoziali tra attori locali in competizione (dalle Province, la cui azione deve “forzare” il quadro delle competenze in materia pianificatoria con uno scatto di “creatività” politica, alle autonomie funzionali, che possono ridurre il peso dell’individualismo degli operatori settoriali);
l’individuazione, da parte delle istituzioni intermedie e dei Comuni, di interventi trasformativi strategici in grado di ridurre gli impatti negativi sull’intero sistema economico e territoriale, con il fine di valorizzarne le interazioni progettuali in termini di riassetto complessivo; • la definizione di azioni volte ad assicurare il recupero e la valorizzazione del patrimonio insediativo e culturale esistente, nel tentativo di controbilanciare l’effetto attrattore dei grandi centri commerciali suburbani ed extraurbani con un rafforzamento del commercio di vicinato (progetti di qualificazione urbana, centri commerciali naturali, integrati con i programmi “complessi” (Priu, Prusst e così via).
Per il commercio urbano. Alcune soluzioni. La cooperazione tra grande distribuzione ed enti locali può dare una mano alla riqualificazione della vita e del commercio cittadini Un segnale forte deve venire anche (e soprattutto) dal fronte del commercio urbano
Molti paesi europei ed extraeuropei sono riusciti a trovare delle soluzioni vincenti in risposta all’insediamento di grosse catene commerciali nelle zone extraurbane, intervenendo per riequilibrare i flussi di traffico e di attrazione del consumatore, per evitare il degrado e l’abbandono dei centri storici, per evitare il peggioramento della qualità della vita per le famiglie e gli anziani residenti nella zona urbana, oltre che la chiusura delle attività commerciali
Business Improvement Districts (B.I.D.) Il BID è un nuovo soggetto operante per rivitalizzare gli spazi pubblici urbani e fissare standards più elevati per le zone commerciali. Il sistema si basa sull’attivazione, all’interno un’area geograficamente definita del centro urbano, di uno strumento di “autogestione” con il quale i privati (residenti, proprietari immobiliari, commercianti, etc.), attraverso la costituzione di una partnership, cooperano con l’amministrazione locale per contribuire anche economicamente a implementare l’offerta dei servizi “aggiuntivi” a quelli esistenti, giudicati non sufficienti per sostenere il processo di qualificazione urbana. Si tratta, in sostanza di un contributo del privato al miglioramento dei servizi pubblici
Il BID nasce dall’iniziativa di una comunità commerciale locale, che identifica se sussistono i requisiti per un progetto di investimento o per dei servizi che avranno un impatto positivo nell’ambito del commercio. Stabilita l’utilità, e dopo aver definito l’area dell’intervento, si passa allo sviluppo di un piano commerciale per l’implementazione dei programmi/servizi previsti; infine si definiscono le modalità di raccolta dei fondi e la loro destinazione, oltre che il soggetto preposto alla gestione del progetto e alle procedure di implementazione.
Le associazioni di zona Molti svantaggi competitivi associati alla piccola dimensione aziendale possono essere eliminati o attenuati grazie al trasferimento delle funzioni imprenditoriali dal punto vendita ad una struttura centrale, che sia capace di svolgere le funzioni di marketing altrimenti inaccessibili per i singoli dettaglianti. Lo sforzo richiesto al piccolo dettaglio tradizionale è quello di rinunciare ad una parte della propria autonomia decisionale, dando vita a forme di associazionismo tra dettaglianti, al fine di poter sopravvivere in un mercato dove è presente anche la grande distribuzione.
Una forma di associazionismo alla quale i dettaglianti possono ricorrere è la partecipazione ad una associazione di zona. Questa formula prevede che il dettagliante deleghi ad una struttura esterna all’impresa alcuni compiti e funzioni altrimenti troppo costose da svolgere singolarmente.
L’associazione di zona potrebbe quindi attuare delle strategie di marketing mix per il centro città, come ad esempio l’utilizzo di un proprio logo per tutti i punti vendita del centro, una mappa con la localizzazione dei negozi, politiche pubblicitarie comuni, riqualificazione delle strutture commerciali, programmazione e promozione di eventi e manifestazioni, e così via
Centri commerciali naturali Un altro strumento operativo per la valorizzazione del centro storico è certamente il “centro commerciale naturale”: questa forma, che si sta rapidamente diffondendo in Italia, sembra essere la più adeguata a risolvere gli storici problemi del commercio cittadino, dato che si basa su un’offerta commerciale dove ogni esercizio lavora nella più completa autonomia (rispettati gli interessi privati), ma con l’ausilio di una figura che si occupa di studiare le soluzioni che valorizzano le singole attività (coordinamento unico).
Per competere con il sistema dei centri commerciali integrati i centri commerciali naturali hanno bisogno di una maggiore strutturazione ed organizzazione (attraverso consorzi, associazioni e/o cooperative), da creare con progetti, società di gestione e regole definite tra le imprese che vi partecipano, e devono puntare soprattutto ad una gestione coordinata dei centri urbani tra tutti gli attori pubblici e privati che in essi hanno un ruolo.
A ciò si sommano considerazioni circa la necessità del commercio urbano di INNOVARE LA TIPOLOGIA DI OFFERTA Necessità di MAGGIORE ADERENZA al mutare della domanda e necessità di porsi in termini concorrenziali alla grande distribuzione extraurbana sfruttando il valore aggiunto che l’ambiente urbano rappresenta Nascita dei cosiddetti “FORMATI IBRIDI” del commercio urbano
Esempi • Internet Cafè • Caffè letterario • Strutture polifunzionali (generiche e specializzate) • Circoli culturali • Spazi polifunzionali annessi a cinema/teatri