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Università degli Studi di Roma “Sapienza” Facoltà di Giurisprudenza Master in Diritto Privato Europeo e della Cooperazione Roma, 7 febbraio 2014. La procreazione medicalmente assistita nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Gianluca Montanari Vergallo
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Università degli Studi di Roma “Sapienza” Facoltà di Giurisprudenza Master in Diritto Privato Europeo e della Cooperazione Roma, 7 febbraio 2014 La procreazionemedicalmenteassistita nellagiurisprudenzadella Corte EuropeadeiDirittidell’Uomo Gianluca Montanari Vergallo Professore aggregato di Bioetica Università di Roma “Sapienza”
Bioetiche a confronto: impostazione cattolica (1) Non tutto ciò che è nuovo è migliore e non tutto ciò che è possibile è anche moralmente lecito. La liceità morale di una tecnica, anche in campo medico, deriva dal beneficio che essa porta all’uomo, inteso nella sua duplice dimensione, fisica e spirituale. Quindi non è ammissibile una tecnica che porta l’uomo a rinnegare l’esistenza di Dio o a mettersi sullo stesso piano di Dio. Questo succede nella fecondazione in vitro, perché è l’uomo a dare la vita, non Dio.
Bioetiche a confronto: impostazione cattolica (2) Di conseguenza, le tecniche di fecondazione assistita sono moralmente ammissibili se non sostituiscono l’atto sessuale, unico strumento pensato dal Creatore per dare la vita; quindi, la tecnologia deve limitarsi ad aiutare l’uomo a sopperire alla difficoltà riproduttiva, senza però tentare di sostituirsi alla volontà di Dio.
Bioetiche a confronto: impostazione utilitarista Tutto ciò che realizza un beneficio per l’individuo, come avere un figlio (e non averlo se non lo si desidera), o per la collettività (evitando la trasmissione delle malattie) deve essere consentito dall’ordinamento perché il nostro è uno Stato laico e pluralista. Critica: pur vivendo in uno Stato laico e pluralista, molti divieti sanzionati penalmente e civilmente derivano da precetti morali, come non uccidere e non commettere falsa testimonianza. E’ vero che la legge morale non può entrare automaticamente in quella dello Stato, perché altrimenti sarebbe vietata anche la convivenza, ma quando la legge morale è a tutela di altri soggetti (come nei divieti di uccidere e di falsa testimonianza), lo Stato può farla entrare anche nel proprio ordinamento.
Bioetiche a confronto: impostazione personalista Il rispetto della dignità umana è cardine della nostra Costituzione, che riconosce e tutela “i diritti inviolabili dell’individuo”, mette il rispetto della persona come limite persino dei trattamenti sanitari obbligatori e tutela l’infanzia e la maternità.
Effetti sulla P.M.A. L’impostazione cattolica blocca ogni forma di concepimento che non avvenga nel corpo della donna ed in seguito ad atto sessuale. Quella utilitarista non pone limite a queste tecniche. Quella personalista individua nell’embrione una forma di vita appartenente alla specie umana e quindi afferma che deve essere tutelato; altrimenti sarebbe considerato un oggetto, liberamente strumentalizzabile, il che è fisicamente inverosimile, così come è fisicamente inverosimile sostenere che l’embrione è persona. Ovviamente, così si apre il problema di come bilanciare gli interessi dell’embrione con quelli della coppia.
Art. 2 - Diritto alla vita 1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena. 2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: (a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale; (b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta; (c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione.
Art. 8 - Diritto al rispetto della vita privata e familiare 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Art. 14 - Divieto di discriminazione Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.
Evans v. U.K. – fatto (1) Durante gli accertamenti propedeutici all’esecuzione di un trattamento di PMA, la sig.ra Evans scopre di essere affetta da tumore alle ovaie e che avrebbe dovuto subire, con una certa urgenza, un intervento di ovariectomia. La signora e il suo compagno (sig. J.) firmarono il consenso a che fossero prelevati dall’utero ovuli da inseminarsi con lo sperma del compagno per poi essere crioconservati e impiegati dopo l’intervento di ovariectomia.
Evans v. U.K. – fatto (2) La donna chiese, inoltre, la crioconservazione dei suoi ovuli, ma i sanitari risposero che il trattamento richiesto, avendo una bassa probabilità di riuscita, non veniva effettuato dalla clinica. A questo punto intervenne il signor J. che, rassicurando la donna, affermò, davanti ai sanitari, che la crioconservazione degli ovuli non era necessaria, in quanto loro non si sarebbero mai lasciati e lui voleva essere il padre dei suoi figli. Furono generati in vitro e crioconservati sei embrioni. Due settimane dopo (novembre 2001) fu eseguita l’ovariectomia. I sanitari le fecero presente che avrebbe dovuto attendere due anni per l’impianto nel suo utero degli embrioni suddetti.
Evans v. U.K. – fatto (3) Nel frattempo, la relazione fra la sig.ra Evans e il sig. J. terminò. La signora Evans espresse la volontà di voler comunque mettere al mondo un figlio biologicamente proprio. Il sig. J. revocò il proprio consenso all’impianto degli embrioni nell’utero della donna gli embrioni e chiese che gli stessi fossero distrutti. La donna ricorse presso l’Alta Corte britannica chiedendo un’ordinanza di ingiunzione a carico di J. per il rilascio del suo consenso, lamentando che la normativa interna viola gli artt. 2, 8, 14 CEDU.
Evans v. U.K. – Motivi del rigetto da parte dell’Alta Corte britannica (1) J. aveva acconsentito al trattamento da effettuarsi insieme alla ricorrente e non aveva mai affermato che tale trattamento potesse proseguire nel caso in cui la relazione si fosse conclusa. Il giudice sottolineò che lo scopo della legge britannica in materia di procreazione assistita è quello di garantire il consenso continuato di entrambe le parti dall’inizio del trattamento fino al momento dell’impianto.
Evans v. U.K. – Motivi del rigetto da parte dell’Alta Corte britannica (2) Quanto alla presunta violazione da parte del diritto interno degli articoli 2 e 8 della Convenzione, il giudice sottolineò che l’embrione non è una persona con dei diritti protetti dalla Convenzione e che il diritto alla vita famigliare vantato dalla ricorrente non sussiste perché i due si sono lasciati. Dunque non sono stati violati né l’articolo 2 né l’articolo 8 della Convenzione.
Evans v. U.K. – Motivi del rigetto da parte dell’Alta Corte britannica (3) La ricorrente lamenta la violazione dell’art. 14 CEDU perché la legge interna le impedisce di concepire un figlio, discriminandola quindi rispetto alle altre donne, le quali invece possono concepire figli attraverso rapporti naturali. Il giudice sottolineò che, a parti invertite, non si potrebbe certamente imporre alla donna l’impianto degli ovuli qualora la relazione finisse o semplicemente qualora la donna rifiutasse l’impianto. Ciò presuppone, proprio per il principio di non discriminazione, la mancanza di un obbligo per l’uomo di mettere a disposizione il proprio materiale genetico in un caso analogo. L’art. 14 della Convenzione non ammette discriminazione tra uomini e donne.
Evans v. U.K. – Grand Chamber 10/4/07 (1) Il consenso ai trattamenti è regolato in maniera differente nei diversi Stati. Austria e Estonia: revoca solo fino al momento della fecondazione dell’ovulo, successivamente la decisione di impiantare o meno l’embrione spetta alla donna; Italia e Germania: le parti non possono revocare il consenso una volta che l’ovulo è stato fecondato; Spagna: revoca del consenso sino all’impianto. Mancando il consenso di tutti gli Stati membri in merito ad una determinata disciplina, la decisione di ogni singolo Stato beneficia di un certo favor.
Evans v. U.K. – Grand Chamber 10/4/07 (2) Riguardo alla contestata violazione dell’art. 2 CEDU, secondo cui il diritto alla vita di tutti deve essere protetto dalla legge, in assenza di un consenso a livello europeo sulla definizione scientifica e giuridica dell’inizio della vita, il problema di “quando il diritto alla vita inizia” rientra nel margine di apprezzamento di cui godono gli Stati in questa materia. « … an embryo does not have independent rights or interests and cannot claim [...] a right to life under Article 2».
Evans v. U.K. – Grand Chamber 10/4/07 (3) Nel concetto di vita privata rientra anche il diritto al rispetto della decisione di diventare o meno genitore. Gli Stati hanno il compito di assicurare un equo bilanciamento dell’interesse pubblico e privato. Nel perseguire tale scopo, gli Stati godono di un margine di apprezzamento che deve essere tanto più ampio quanto maggiore è il divario tra i livelli di tutela apprestati dalle legislazioni nazionali in una determinata materia. Poiché la bioetica è un territorio ancora lacunosamente disciplinato, il margine di apprezzamento che spetta agli Stati in tale ambito deve essere necessariamente più ampio.
Evans v. U.K. – Grand Chamber 10/4/07 (4) «As regards the balance struck between the conflicting Article 8 rights of the parties to the IVF treatment, the Grand Chamber […] has great sympathy for the applicant […]. However, […] it does not consider that the applicant’s right to respect for the decision to become a parent in the genetic sense should be accorded greater weight than J.’s right to respect for his decision not to have a genetically related child with her. The Court accepts that it would have been possible for Parliament to regulate the situation differently. The Grand Chamber considers that, given the lack of European consensus on this point, the fact that the domestic rules were clear and brought to the attention of the applicant and that they struck a fair balance between the competing interests, there has been no violation of Article 8 of the Convention».
Evans v. U.K. – Grand Chamber 10/4/07 (5) «The reasons given for finding that there was no violation of Article 8 also afford a reasonable and objective justification under Article 14»
Evans v. U.K. – Grand Chamber 10/4/07 (6) Dissenting opinion di due giudici La Corte avrebbe dovuto considerare con maggiore attenzione l’eccezionale situazione della ricorrente che non avrebbe potuto procreare in altro modo se non ricorrendo all’utilizzo dei propri embrioni fecondati col seme dell’ex compagno, poiché negare alla donna l’impianto degli embrioni non avrebbe soltanto limitato il suo diritto ad avere un figlio biologicamente suo, ma avrebbe negato alla radice tale diritto. Inoltre, in questa particolare situazione riveste un peso particolare la “promessa” fatta dal compagno al momento della crioconservazione degli embrioni.
Costa e Pavan v. Italia, Sez. II, 28/8/2012 I ricorrenti, dopo aver avuto una figlia affetta da mucoviscidosi (fibrosi cistica), hanno scoperto di essere portatori sani di questa grave patologia. I ricorrenti interruppero una seconda gravidanza dopo che la diagnosi prenatale evidenziò che il feto era affetto da mucoviscidosi. I ricorrenti lamentano di non poter accedere alla diagnosi genetica preimpianto al fine di selezionare un embrione che non sia affetto da tale patologia e sostengono che a tale tecnica possono accedere categorie di persone delle quali essi non fanno parte. A questo titolo invocano gli articoli 8 (lo Stato impone loro di iniziare una gravidanza secondo natura e procedere all’I.V.G. ogniqualvolta una diagnosi prenatale dovesse rivelare la malattia) e 14 della Convenzione per discriminazione rispetto ai portatori di malattie virali.
Costa e Pavan v. Italia, Sez. II, 28/8/2012 Articolo 4, co. 1, legge n. 40/2004 - Accesso alle tecniche « Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico. [...] » Articolo 5, co. 1, legge n. 40/2004 - Requisiti soggettivi « [...] possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. » Articolo 14, co. 5, legge n. 40/2004 - Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni « I soggetti di cui all'articolo 5 sono informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell'utero. »
Costa e Pavan v. Italia, Sez. II, 28/8/2012 Ai fini dell'accesso alle tecniche, la certificazione dello stato di infertilità o sterilità deve essere effettuata: « [...] tenendo conto anche di quelle peculiari condizioni in presenza delle quali - essendo l'uomo portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili per infezioni da HIV, epatite B e C - l'elevato rischio di infezione per la madre o per il feto costituisce di fatto, in termini obiettivi, una causa ostativa della procreazione, imponendo l'adozione di precauzioni che si traducono, necessariamente, in una condizione di infecondità', da farsi rientrare tra i casi di infertilità' maschile severa da causa accertata e certificata da atto medico, di cui all'art. 4, comma 1della legge n. 40 del 2004» (D.M. 11 aprile 2008, n. 31639). Questo decreto del 2008 sostituisce il precedente decreto del 2004, che ammetteva esclusivamente la diagnosi preimpianto osservazionale e non anche quella genetica.
Costa e Pavan v. Italia, Sez. II, 28/8/2012 Art. 12 Conv. Cons. d'Europa sui Diritti dell'Uomo e la biomedicina ("Convenzione di Oviedo") del 4 aprile 1997 – Test genetici predittivi « Non si potrà procedere a dei test predittivi di malattie genetiche o che permettano sia di identificare il soggetto come portatore di un gene responsabile di una malattia sia di rivelare una predisposizione o una suscettibilità genetica a una malattia se non a fini medici o di ricerca medica, e con riserva di una consulenza genetica appropriata. » Il § 83 del Rapporto esplicativo alla Convenzione di Oviedo dispone così: L’articolo 12, di per sé, non prevede alcun limite al diritto di eseguire test diagnostici su un embrione per stabilire se è portatore di caratteri ereditari che comporteranno una malattia grave per il bambino che dovrà nascere.
Costa e Pavan v. Italia, Sez. II, 28/8/2012 Il Governo eccepisce il difetto della qualità di vittima dei ricorrenti. A suo dire, a differenza dei richiedenti nella causa decisa dal tribunale di Salerno (ordinanza depositata il 13 gennaio 2010), i ricorrenti non hanno adito le autorità per poter effettuare una diagnosi preimpianto e non si sono visti opporre un rifiuto da parte delle stesse. I ricorrenti non avrebbero esaurito le vie di ricorso interne. A dire dei ricorrenti, l’ordinanza in questione costituisce una decisione isolata, emessa da un giudice unico sulla base di una procedura d’urgenza e, comunque, la legge vieta in maniera assoluta l’accesso alla diagnosi preimpianto.
Costa e Pavan v. Italia, Sez. II, 28/8/2012 La Corte ricorda che, in mancanza di uno specifico rimedio interno, spetta al Governo dimostrare, appoggiandosi sulla giurisprudenza interna, lo sviluppo, la disponibilità, la portata e l’applicazione della via di ricorso da esso invocata. Inoltre, il Governo non può invocare l’esistenza di un mezzo d’impugnazione interno in assenza di una giurisprudenza interna che dimostri l’effettività di quest’ultimo nella pratica e nel diritto, tanto meno quando tale giurisprudenza promani da un organo giudiziario di primo grado. Nel caso di specie, la Corte rileva che l’ordinanza del tribunale di Salerno è stata pronunciata da un giudice di primo grado, non è stata confermata da un organo di grado superiore ed è solo una decisione isolata.
Costa e Pavan v. Italia – difesa del Governo sulla violazione dell’art. 8 (1) Il Governo osserva che, in sostanza, i ricorrenti invocano un «diritto ad avere un figlio sano», diritto non tutelato, in quanto tale, dalla Convenzione. Quindi la doglianza dei ricorrenti sarebbe irricevibile ratione materiae. Se, malgrado ciò, la Corte dovesse ritenere che l’articolo 8 trovi applicazione nel caso di specie, il diritto dei ricorrenti al rispetto della vita privata e familiare non sarebbe stato comunque violato. Il divieto di accedere alla diagnosi preimpianto costituisce, infatti, una misura prevista dalla legge, volta al perseguimento di uno scopo legittimo, vale a dire la tutela dei diritti altrui e della morale, e necessaria in una società democratica.
Costa e Pavan v. Italia – difesa del Governo sulla violazione dell’art. 8 (2) Infatti, disciplinando la materia, lo Stato ha tenuto conto della salute del bambino nonché di quella della donna, esposta al rischio di depressioni dovute alla stimolazione e alla puntura ovariche. Inoltre, la misura in questione sarebbe volta a tutelare la dignità e la libertà di coscienza delle professioni mediche ed eviterebbe il rischio di derive eugenetiche. Infine, in mancanza di un consenso europeo in materia, gli Stati membri godrebbero di un ampio margine di apprezzamento, stante la natura morale, etica e sociale delle questioni sollevate dal presente ricorso.
Costa e Pavan v. Italia – Applicabilità dell’art. 8 (1) Secondo il Governo, i ricorrenti lamentano la violazione di un «diritto ad avere un figlio sano». La Corte constata che il diritto da essi invocato altro non è se non la possibilità di accedere alle tecniche della procreazione assistita e poi alla diagnosi preimpianto per poter mettere al mondo un figlio non affetto da mucoviscidosi, malattia genetica di cui sono portatori sani. Infatti, nel caso di specie, la diagnosi preimpianto non è tale da escludere altri fattori suscettibili di compromettere la salute del nascituro, quali, ad esempio, l’esistenza di altre patologie genetiche o di complicanze derivanti dalla gravidanza o dal parto. Il test in questione è infatti mirato alla diagnosi di una «specifica malattia genetica di particolare gravità [...] e incurabile al momento della diagnosi»
Costa e Pavan v. Italia – Applicabilità dell’art. 8 (2) Il concetto di «vita privata» ai sensi dell’art. 8 è un concetto ampio comprendente, tra gli altri: - il diritto dell’individuo ad allacciare e sviluppare rapporti con i simili; - il diritto allo «sviluppo personale»; - il diritto all’autodeterminazione; - l’identificazione, l’orientamento e la vita sessuale; - il diritto al rispetto della decisione di diventare o di non diventare genitore; - il diritto dei ricorrenti al rispetto della decisione di diventare genitori genetici; - l’accesso alle tecniche eterologhe di P.M.A. Il desiderio dei ricorrenti di mettere al mondo un figlio non affetto dalla malattia genetica di cui sono portatori sani, attraverso la D.G.P., costituisce una forma di espressione della vita privata e familiare dei ricorrenti. Pertanto, l’art. 8 trova applicazione nel caso di specie.
Costa e Pavan v. Italia – osservanza dell’art. 8 (1) Ingerenza prevista dalla legge e scopo legittimo La normativa italiana consente l’accesso alle tecniche di P.M.A. a persone sterili e a soggetti fertili portatori di HIV, epatite B o C. La legge n. 40/2004 impedisce a tutte le categorie di persone l’esecuzione della diagnosi preimpianto. Il divieto in questione costituisce quindi un’ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e familiare. A parere della Corte, l’ingerenza è certamente «prevista dalla legge» e può ritenersi intesa al perseguimento degli scopi legittimi di tutela della morale e dei diritti e delle libertà altrui. Ciò non è contestato dalle parti.
Costa e Pavan v. Italia – osservanza dell’art. 8 (2) Necessità in una società democratica (1) La doglianza dei ricorrenti non riguarda la domanda se, in sé, il divieto loro posto di accedere alla diagnosi preimpianto sia compatibile con l’art. 8 della Convenzione. I ricorrenti denunciano in realtà la sproporzione di una tale misura a fronte del fatto che il sistema legislativo italiano li autorizza a procedere all’I.V.G. qualora il feto dovesse essere colpito dalla patologia di cui sono portatori. Per giustificare l’ingerenza, il Governo invoca la preoccupazione di tutelare la salute del «bambino» e della donna nonché la dignità e la libertà di coscienza delle professioni mediche, e l’interesse ad evitare il rischio di selezioni eugenetiche.
Costa e Pavan v. Italia – osservanza dell’art. 8 (2) Necessità in una società democratica (2) Questi argomenti non convincono la Corte. Premesso che il concetto di «bambino» non è assimilabile a quello di «embrione», non si vede come la tutela degli interessi menzionati dal Governo si concili con la possibilità offerta ai ricorrenti di procedere ad un aborto terapeutico qualora il feto risulti malato, tenuto conto in particolare delle conseguenze che ciò comporta sia per il feto, il cui sviluppo è evidentemente assai più avanzato di quello di un embrione, sia per la coppia di genitori, soprattutto per la donna. Per giunta, il Governo omette di spiegare in quale misura risulterebbero esclusi il rischio di derive eugeniche e quello di ledere la dignità e la libertà di coscienza delle professioni mediche nel caso di esecuzione legale di I.V.G.
Costa e Pavan v. Italia – violazione dell’art. 14 (1) I ricorrenti lamentano di subire una discriminazione rispetto alle coppie sterili o infertili o di cui l’uomo sia affetto da malattie virali sessualmente trasmissibili (quali il virus dell’HIV e quello dell’epatite B e C), le quali possono fare ricorso, secondo i ricorrenti, alla diagnosi preimpianto. E’ vero che il D.M. del 2008 consente alle coppie in cui l’uomo sia affetto da malattie virali sessualmente trasmissibili di accedere alla P.M.A. al fine di evitare il rischio, derivante dalla procreazione secondo natura, di trasmissione di tali patologie alla madre e al figlio. Ma la trasmissione non viene evitata attraverso D.G.P.; viene evitata attraverso tecniche di depurazione dello sperma dalla componente infettiva. A differenza della D.G.P., si tratta quindi di uno stadio precedente a quello della fecondazione dell’embrione.
Costa e Pavan v. Italia – violazione dell’art. 14 (2) Ai sensi dell’articolo 14 della Convenzione, la discriminazione deriva dal fatto di trattare in modo diverso, salvo giustificazione oggettiva e ragionevole, persone poste in situazioni paragonabili in una data materia. Nel caso specifico, la Corte constata che, in materia di accesso alla diagnosi preimpianto, le coppie di cui l’uomo sia affetto da malattie virali sessualmente trasmissibili non sono trattate in modo diverso rispetto ai ricorrenti. Il divieto di accedere alla diagnosi in questione interessa, infatti, qualsiasi categoria di persone.
Argomenti a sostegno del divieto della diagnosi preimpianto nella legge n. 40/2004 1) ogni diagnosi preimpianto rientra nel concetto di ricerca clinica e sperimentale, sempre vietata laddove non finalizzata (come nella diagnosi preimpianto) alla tutela della salute ed allo sviluppo dell’embrione; 2) la finalità della legge di tutelare l’embrione e l’insieme degli altri divieti a ciò funzionali impongono, per ovvie ragioni di coerenza, di interpretare la norma nel senso di vietare le diagnosi preimpianto.
Argomenti contro il divieto della diagnosi preimpianto nella legge n. 40/2004 (1) 1) Manca un esplicito divieto nella legge, che infatti non nomina mai la diagnosi preimpianto, il che è tanto più rilevante perché la legge è provvista di sanzioni penali; 2) la diagnosi preimpianto non può rientrare nell’attività di ricerca e sperimentazione, in quanto queste sono funzionali alla crescita delle conoscenze cliniche, e non all’utilizzo di tecniche già validate per la diagnosi di malattie; tuttavia, il divieto di diagnosi preimpianto potrebbe rientrare nel divieto di tecniche che predeterminano le caratteristiche genetiche dell’embrione; …
Argomenti contro il divieto della diagnosi preimpianto nella legge n. 40/2004 (2) 3) diritto della coppia all’informazione sullo stato di salute degli embrioni (art. 14, comma 5); diritto che, anche se non fosse stato espressamente previsto, sarebbe comunque rientrato nel diritto scegliere in piena consapevolezza circa le conseguenze delle tecniche; 4) la finalità della legge non è rilevante in quanto è quella di bilanciare i diritti di tutti i soggetti coinvolti e quindi non può essere richiamata né a sostegno del divieto né a sostegno della liceità della diagnosi preimpianto.
Trib. Cagliari, 24/9/2007 È lecita e deve essere pertanto eseguita la diagnosi preimpianto dell'embrione allorché concorrano le seguenti condizioni: a) sia stata richiesta dai soggetti aventi diritto ad essere informati sul numero e «sullo stato di salute degli embrioni prodotti»; b) abbia ad oggetto gli embrioni destinati all'impianto nella donna; c) sia strumentale all'accertamento di eventuali malattie dell'embrione e finalizzata a garantire adeguata informazione a coloro che abbiano avuto legittimo accesso alle tecniche di P.M.A.
Trib. Salerno, 9 gennaio 2010, n. 191 (1) Il mutamento del quadro normativo operato dalle linee-guida emanate dal ministero della Salute con decreto dell'11 aprile 2008, nonché il ruolo dominante assunto dalla salute della madre nel riassetto dato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 251 del 2009, alla disciplina contenuta nella l. n. 40 del 2004, consentono di ritenere ammesso il ricorso alla procreazione medicalmente assistita anche alle coppie, pur non sterili né infertili, che rischiano concretamente di mettere al mondo figli affetti da gravi malattie a causa di patologie genetiche trasmissibili, e che, attraverso la diagnosi preimpianto sugli embrioni creati "in vitro", possono evitare detto rischio.
Trib. Salerno, 9 gennaio 2010, n. 191 (2) Fattispecie relativa a coppia portatrice di mutazione del gene SMA1, causante l'atrofia muscolare spinale di tipo 1. La legge sulla p.m.a. detta all'art. 12 le principali sanzioni amministrative a carico di chi applichi le peculiari tecniche nel difetto dei requisiti legalmente prescritti. Poiché non prevede sanzioni per il medico che praticasse il trattamento in favore di coppie non sterili, il giudice afferma che la legge consente di sottoporvi le coppie affette da gravi patologie geneticamente trasmissibili.
S.H. e altri v. Austria – Grand Chamber 3/11/2011 I ricorrenti lamentavano in particolare che le disposizioni della legge austriaca sulla procreazione assistita, impedendo l’unica tecnica medica con la quale essi avrebbero potuto concepire un bambino, violavano i loro diritti riconosciuti dall’articolo 8 in combinato disposto con l’articolo 14. Per la legge austriaca, solo gli ovuli e lo sperma dei coniugi o delle persone che vivono una relazione simile al matrimonio possono essere usati ai fini della procreazione medicalmente assistita. In circostanze eccezionali, lo sperma di un terzo può essere usato per un’inseminazione artificiale per introdurre sperma negli organi riproduttivi di una donna. Questo metodo è noto come fecondazione in vivo. In tutte le altre circostanze, ed in particolare allo scopo della fecondazione in vitro, l’utilizzazione dello sperma di donatori è proibita.Gli ovuli o le cellule vitali possono essere usati solo nelle donne da cui provengono. In tal modo la donazione di ovuli è sempre vietata.
S.H. e altri v. Austria – Grand Chamber 3/11/2011 (2) Italia, Lituania e Turchia vietano nel complesso la fecondazione assistita eterologa. I Paesi che permettono la donazione di sperma non distinguono nel loro ordinamento tra l’utilizzo di sperma ai fini di fecondazione in vivo o di fecondazione in vitro. La donazione di ovuli è vietata in Croazia, Germania, Norvegia e Svizzera, oltre ai tre Paesi sopra menzionati. La Convenzione sui diritti umani e biomedicina del 1997 non tratta la questione della donazione di gameti, ma vieta di ricorrere a tecniche di riproduzione medicalmente assistita per scegliere il sesso del bambino. Il suo articolo 14 recita: “L’utilizzo di tecniche di procreazione medicalmente assistita non sarà consentito per scegliere il sesso del nascituro, eccetto per evitare una grave malattia ereditaria collegata al sesso.”
S.H. e altri v. Austria – Grand Chamber 3/11/2011 (3) – difesa del Governo e controdeduzioni Il rischio dello sfruttamento delle donatrici, a cui il governo si riferisce, non è pertinente in circostanze come quelle del caso di specie. Per combattere ogni potenziale abuso nella società austriaca è sufficiente vietare la remunerazione della donazione di ovuli o sperma; divieto peraltro già previsto in Austria. Inoltre, l’argomento che la donazione di ovuli conducesse a relazioni atipiche in cui la maternità di un bambino concepito attraverso la procreazione artificiale è condivisa tra la madre genetica e la madre che ha dato alla luce il bambino e risultasse in uno stress emotivo per il bambino non era persuasivo, poiché oggi molti bambini crescono in situazioni famigliari in cui essi sono geneticamente affini ad un solo genitore.
S.H. e altri v. Austria - Grand Chamber 3/11/11 (4) – difesa del Governo Il divieto di eterologa ha un fondamento giuridico nel diritto interno e persegue un fine legittimo, segnatamente la tutela dei diritti di altri, in particolare dei donatori potenziali.Anche se il diritto al rispetto della vita privata comprende il diritto di realizzare il desiderio di avere un figlio, ciò non significa che lo Stato abbia l’obbligo di consentire indiscriminatamente tutti i mezzi tecnicamente realizzabili di riproduzione né tantomeno di metterli a disposizione delle persone interessate. Il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati dovrebbe permettere loro di stabilire un armonioso equilibrio tra gli opposti interessi alla luce degli specifici bisogni e tradizioni sociali e culturali dei loro Paesi.
S.H. e altri v. Austria - Grand Chamber 3/11/11 (5) – Violazione dell’art. 8 Previsione di legge e scopo legittimo La Corte ritiene che il provvedimento in questione fosse previsto dalla legge, segnatamente dall’articolo 3 della Legge sulla Procreazione Artificiale, e che perseguisse uno scopo legittimo, segnatamente la protezione della salute o della morale e la protezione dei diritti e delle libertà altrui. Ciò non è in discussione tra le parti, che hanno concentrato i loro argomenti sulla necessità dell’ingerenza.
S.H. e altri v. Austria - Grand Chamber 3/11/11 (6) – Violazione dell’art. 8 Al fine di stabilire se il divieto impugnato fosse “necessario in una società democratica” la Corte deve considerare se, alla luce del caso nel suo insieme, i motivi addotti per giustificare il divieto siano pertinenti e sufficienti ai fini dell’articolo 8 § 2. Il compito della Corte non è quello di sostituirsi alle competenti autorità nazionali per stabilire la politica più appropriata per la regolamentazione della procreazione artificiale.
S.H. e altri v. Austria - Grand Chamber 3/11/11 (6) – Violazione dell’art. 8 Laddove un importante aspetto dell’esistenza o dell’identità di 7n individuo sia in gioco, il margine di discrezionalità consentito allo Stato è di norma limitato. Laddove, tuttavia, non esiste alcun consenso tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa, sia per ciò che riguarda l’importanza relativa degli interessi in gioco o il mezzo migliore per salvaguardarli, in particolare laddove la causa sollevi questioni di sensibilità morale o etica, il margine è più ampio. Grazie al loro diretto e continuo contatto con le forze vitali dei loro Paesi, le autorità dello Stato sono, in linea di massima, in una posizione migliore rispetto al giudice internazionale per pronunciarsi non solo “sull’esatto contenuto dei requisiti della morale” nel loro paese, ma anche sulla necessità di una limitazione destinata a dar loro una risposta. Di norma vi è un ampio margine di discrezionalità se allo Stato è richiesto di stabilire un armonioso equilibrio tra opposti interessi privati e pubblici o tra diritti tutelati dalla Convenzione.
S.H. e altri v. Austria - Grand Chamber 3/11/11 (7) – Violazione dell’art. 8 Tuttavia, questo non significa che le soluzioni del legislatore non possano essere soggette ad analisi della Corte. Spetta alla Corte esaminare attentamente gli argomenti presi in considerazione nel corso del processo legislativo che hanno condotto alle scelte fatte dal legislatore e determinare se un armonioso equilibrio sia stato stabilito tra gli opposti interessi dello Stato e quelli di coloro che sono direttamente toccati da tali scelte legislative.