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La Procreazione Medicalmente Assistita. P er l’uso delle sue dispense scolastiche, si ringrazia il prof. don Stefano Cucchetti , docente di bioetica presso il Seminario Arcivescovile di Milano e presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano. 1. Psicologia della procreazione
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La ProcreazioneMedicalmente Assistita Per l’uso delle sue dispense scolastiche, si ringrazia il prof. don Stefano Cucchetti, docente di bioetica presso il Seminario Arcivescovile di Milano e presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano
1. Psicologia della procreazione Il dinamismo fisiologico della procreazione s'iscrive all'interno del vissuto biografico dei soggetti: corpo, sessualità, personalità, formazione, storia. Il vissuto interiore attorno alla procreazione appare complesso e capace di coinvolgere una pluralità tra i fattori più radicali che compongono l'identità personale, alla ricerca di una loro integrazione.
1.1 Il desiderio della procreazione Il progetto (più o meno) cosciente di un figlio è correlato a molteplici significati, molti del tutto inconsci. Spesso si descrive il progetto di avere un figlio con il termine “desiderio”, definito come “movimento creativo e trasformativo che vive nell'attesa”. Alcune specificazioni del desiderio: a. incarnare l'amore della coppia nella carne del figlio riaffermando il legame coniugale; b. desiderio di trasmettere i propri geni nell'aspirazione a una sorta di immortalità; c. portare in sé, nutrire, proteggere e allevare, nelle forme specifiche della propria identità sessuale, maschile o femminile.
1.2 L’assunzione del ruolo genitoriale L'iscrizione biografica di questo desiderio passa attraverso l'assunzione del ruolo di genitori. Alla nascita di un figlio corrisponde la nascita di un padre e di una madre: dinamica altrettanto complessa e delicata. La procreazione deve diventare propriamente una filiazione, vale a dire il riconoscimento di senso e di valore alla nascita. Nasce una relazione genitoriale capace di incontrare i bisogni e di desideri del figlio, simili, ma anche differenti rispetto ai propri. La genitorialità è considerata un evento che richiede una modifica dell'identità personale, una modifica dei contesti relazionali, a partire da una ridefinizione dei rapporti di coppia e del proprio ruolo sociale. Il figlio si impone alla coppia come nuovo ambito di possibile realizzazione, ma anche come rinuncia ad altri progetti di vita.
1.3 Diventare figli C'è un'altra identità coinvolta in questo complesso dinamismo psichico: l'identità del figlio. La nascita e lo sviluppo di questa identità si lega direttamente al rapporto che si instaura con i desideri dei genitori. Il bambino nasce e cresce, prima che nel mondo, nella mente dei futuri genitori, nello spazio mentale della coppia: egli può essere sognato, immaginato, desiderato, progettato, ma può essere anche temuto, odiato per i cambiamenti fisici e psicologici che può portare. La progressiva affermazione e identificazione di sé come figlio avviene allora nell'equilibrio tra un'identificazione e una differenziazione dell'identità del bambino nei confronti della proiezione narcisistica dei genitori su di lui. La rete che si deve creare è quanto mai complessa e delicata.
2. Etica della procreazione Due conclusioni: - il generare è esperienza del vivere che attraversa tutte le dimensioni della persona, che coinvolge l'uomo e la donna in tutti i livelli del loro essere; - nessuno tra i livelli descritti può ergersi ad unico interprete dell'esperienza. L'assunzione di una prospettiva unilateralmente fisicista, psicologica, sociale o teologica, che pretendesse di definire ed esaurire la comprensione del procreare umano risulterebbe come un'indebita riduzione di un vissuto complesso. L'esperienza invoca una sintesi consegnata necessariamente alla libertà del soggetto che è chiamata ad accogliere ed interpretare la complessità descritta per farne emergere il senso pieno.
La procreazione umana è quindi un atto che coinvolge la libertà dell'uomo e della donna di fronte alle condizioni in cui esso oggi si pone. La qualità autentica di questo atto, capace di raccogliere tutti gli elementi descritti e di configurarli in unità èl'accoglienza. L'autentico atto procreativo è atto accogliente. Il figlio si impone come “altro”, come terzo rispetto alla coppia, alle sue attese, ai suoi desideri o alle interpretazioni culturali assunte. L'altro non consente di essere ridotto a parte, copia, proiezione o possesso della coppia. L'accoglienza è qualità dell'atto che lascia essere l'altro in quanto altro. E' atto che dispone uno spazio, non nella misura del proprio interesse, ma nella misura dell'alterità che si impone. Ecco la qualità etica della scelta di generare: l'uomo e la donna promettano se stessi a colui che deve venire. Accettino che tra se stessi e la realizzazione della loro vita si metta di mezzo il figlio; dispongano di se stessi nel senso del servizio.
Questa qualità determina quindi il principio generale della bioetica nel campo della procreazione: la dimensione tecnica dell'agire e, quindi, anche le moderne tecniche sulla procreazione, dovranno configurarsi come aiuto al compimento di questo atto. Ogni pretesa di sostituzione della logica dell'accoglienza con la logica dell'efficacia tecnica sarà da riconoscere come illecita. Questo criterio generale chiede poi di concretizzarsi in una criteriologia più vicina alla pratica concreta e quindi più utile nella valutazione della casistica. Identifichiamo quattro principi che ci sembrano possano declinare concretamente la disposizione etica descritta e che riprendono le dimensioni già descritte dell'atto morale.
2.1 La dignità del concepito Il rispetto dell'altro che è il concepito, il riconoscimento della sua dignità. Attorno a questo principio si è sviluppato uno dei dibattiti culturali più significativi nella nostra cultura: quello attorno alla personalizzazione del concepito.
2.1.1 Dibattito attorno allo statuto del concepito Alla radice del dibattito attorno allo statuto e all'identità del frutto del concepimento, sta oggi il concetto di «persona». Dietro questa terminologia si colloca il riconoscimento etico- giuridico dell'embrione e del feto come portatori di diritti autonomi (e non solo riconosciuti da altri): la persona infatti, da un punto di vista giuridico è la titolare di diritti propri. La questione attuale però ha radici antiche ed è riflesso dell'accesa e mai risolta discussione filosofica e teologica attorno all'animazione dell'uomo. Da che punto, nel suo sviluppo, l'uomo può essere considerato come persona? In che momento Dio infonde l'anima razionale nell'individuo? Le due domande sono analoghe.
Le posizioni si differenziano in tre grandi categorie. a. Una prima opinione difende l'idea di unapersonalizzazione immediata. Secondo gli esponenti di questa corrente il feto è portatore di diritti dal momento in cui avviene l'incontro tra i due gameti. Le argomentazioni addotte però si differenziano. Argomentazione bio-fisica: per alcuni basta il richiamo al dato bio-fisiologico: con la fecondazione siamo di fronte ad un essere appartenente alla specie umana portatore di un'individualità genetica irripetibile: questo corrisponde alla definizione classica di persona. Argomentazione probabilistica: altri, più scettici sulla deducibilità di una conclusione filosofica dal dato positivo, affermano però l'argomento tradizionale secondo cui, nel dubbio circa la vita, essa va protetta come se fosse vita umana. Argomentazione della potenzialità: infine, una terza posizione richiama la tradizione aristotelica, riconoscendo nell'embrione una persona in potenza, quindi già portatrice della dignità personale.
b. Un secondo gruppo attribuisce tutela all'embrione a partire dal suo annidamento in utero che avviene attorno al 14° giorno dalla fecondazione. Argomentazione della totipotenzialità: la scelta di questo confine si motiva con la comparsa delle prime tracce riconoscibili del sistema nervoso centrale e all'uscita dal livello di totipotenzialità delle singole cellule. Fino a questo momento ogni singola cellula poteva autonomamente dar vita ad un embrione, come avviene nella gemellazione omozigote. Argomentazione ostetrica: ulteriore argomentazione a favore di questo confine è apportata da coloro che sottolineano l'impianto in utero, e quindi l'inizio di una relazione costitutiva con la madre, come criterio per definire una persona.
c. L'ultimo gruppo di argomentazioni raccoglie tutti coloro che parlano di unatutela differita. Qui le voci si differenziano ancora di più passando da chi attende lo sviluppo delle strutture fetali tipiche dell'uomo (attorno alla sesta-ottava settimana), a chi richiede lo sviluppo delle strutture in grado di ospitare le qualità razionali superiori tipiche dell'essere umano (attorno alla 24a settimana), fino alla posizione estrema di chi lega la personalizzazione alla comparsa dell'autocoscienza, anche alcune settimane dopo la nascita.
2.1.2 La riscoperta dell’argomentazione etica Questo dibattito che sembra minato da un difetto di radice. Ritroviamo un approccio intellettualista che cerca di delimitare il confine della persona senza rendersi conto che questa ha un carattere simbolico. Più che una deduzione logica, un'interpretazione pratica che coinvolga la libertà può riconoscere la presenza di una persona. Un genitore si comprende tale a partire dall'atto coniugale che lo ha generato alla maternità-paternità. Per questo la libertà è chiamata a giocarsi di fronte ad un figlio prima di qualsiasi deduzione intellettuale attorno al concetto di personalizzazione. I dati biologici sono indicatori di questa direzione, ma non esauriscono la grandezza del procreare; è necessario sfuggire allora da un loro utilizzo strumentale. Il discorso tipico della tradizione morale chiede il coinvolgimento di una libertà che abbia la qualità dell'accoglienza nei confronti della nuova vita, prima della certezza riguardo la sua definizione ontologica. Per questo ogni pratica che non rispetti il frutto della fecondazione umana come se fosse una persona appare, da un punto di vista etico, indegna e gravemente disordinata.
2.2 La dignità del concepimento L'accoglienza dell'altro che è il nascituro chiede la custodia dell'atto generativo nella sua qualità profondamente umana. L'analisi svolta dell'atto generativo ce ne ha consegnato l'altezza e la complessità che orienta la libertà nella forma dell'accoglienza. Per questo ogni scelta che non corrisponda pienamente a questa misura risulterebbe indegna della procreazione umana. In esso uomo e donna sono chiamati ad essere presenti con tutta l'unità personale di corpo, psiche e spirito.
L'unità dell'atto che raccoglie in un unico abbraccio amante il complesso fascio di significati dischiusi dal desiderio e dal bisogno di un figlio, custodisce la verità di un'accoglienza che rispetti la radicale alterità dell'altro e non sia proiezione dei soggetti. Tale unità non si misura certo in una categoria temporale, anzi spesso i diversi momenti del generare si dispongono nella biografia di una qualsiasi coppia in modo distinto: la volontà di un figlio, l'espressione dell'amore tra i coniugi, l'atto effettivamente generativo non sono tenuti insieme da un'unità di tempo, ma da una qualità della libertà che decide. Per questo si dovrà riconoscere come non rispettoso della dignità della procreazione umana ogni tecnica che realizzi una dissociazione tra i diversi significati dell'agire.
2.3 La custodia del contesto familiare L'accoglienza del nascituro si realizza nella garanzia di poter venire al mondo in quel contesto sociale in cui si realizza la generazione stessa: la famiglia composta dai suoi genitori biologici. Ogni frattura del ruolo genitoriale, realizzabile dalle moderne tecniche di procreazione medicalmente assistita, risulta quindi indegna della procreazione umana. Evidentemente questa affermazione di custodia dell'unitarietà del ruolo genitoriale (tra genitorialità biologica, ostetrica e sociale) non mette in discussione la liceità - e persino alto valore etico - delle pratiche di adozione. In questi casi infatti, la genitoriale non viene attivamente infranta, ma si trova già spezzata dalle vicende drammatiche della biografia del bambino. Di fronte a questa frattura, la pratica di affidamento e adozione, diventa espressione della responsabilità di tutta la società di fronte ai propri figli feriti. Più genericamente, ogni tecnica che non consenta una consapevolezza e un esercizio di tale responsabilità dei coniugi nei confronti della famiglia umana, privilegiando eccessivamente l'affermazione individuale, appare lontana dalla qualità alta della libertà che si configura nella forma genitoriale.
2.4 La garanzia educativa Il compito dell'accoglienza in cui si declina l'imperativo etico nell'esperienza generativa non può però richiudersi nell'istante della procreazione e della gestazione, ma chiede di dispiegarsi nel tempo. Da qui discende il compito educativo che i genitori devono assumere. L'educazione non è una tecnica; è invece una forma del comportamento mediante il quale il soggetto dispone di se stesso. Soltanto scegliendo per se stesso il genitore può scegliere bene anche per il figlio. Anche in questo caso, l'unitarietà dell'atto generativo e del compito educativo non indica né l'esclusività nella titolarità pedagogica, né l'illegittimità dell'intervento sociale su questo campo. La società, nelle sue forme, è chiamata a sostenere la famiglia, condividendo il compito di accoglienza dei propri figli ed eventualmente a proporsi in forme vicarie qualora le biografie dei soggetti rivelassero incapacità o impossibilità a svolgere questo compito.
3. Una questione da porsi cfG. Angelini, Il figlio, p. 15 “Perché un uomo e una donna si decidono a fare un figlio? Davvero si «decidono» a tanto? È appropriata l'espressione «fare un figlio»? Un figlio è «fatto», oppure solo «desiderato», o addirittura «invocato», e quindi eventualmente «ottenuto»? E come precisare la qualità del «desiderio» o della «volontà» originaria che presiede alla decisione di generare? A quali condizioni quella decisione può apparire «buona», può suscitare dunque consenso e gratitudine in colui che appunto in forza di essa viene in questo mondo?”.
“Il «sì» alla vita, da parte di chi nasce, è insieme un «sì» all'iniziale «progetto» dei genitori, alle loro attese o in ogni caso al «disegno» che essi avevano nel cuore? Oppure si tratta di un «sì» a un «disegno» altro da quello dei genitori? Come si manifesta e con quale peso questa eventuale differenza tra l'originario «progetto» dei genitori e il disegno a cui invece di fatto consente il figlio? Non sarà forse condannata ad apparire ineluttabilmente arbitraria e prepotente una decisione come quella di dare la vita a un uomo, e con la vita di necessità molto altro - una patria, una lingua, una tradizione, addirittura un'educazione, un carattere? Il genitore, lo voglia o non lo voglia, diventa di fatto come un «destino» per il figlio, cioè una presenza non solo inevitabile, ma in molti modi determinante; tale suo rilievo non riguarda soltanto le condizioni materiali del vivere, ma le forme stesse del carattere, della coscienza e dunque alla fine l'identità del figlio. Come conciliare tale rilievo esorbitante del genitore con la tanto apprezzata e reclamata «autonomia» dell'uomo?“.
cfG. Angelini, Il figlio, p. 68-69 “Dare la vita: avere in dono la possibilità di regalare la vita, per realizzare la vita. "Opera sullo sfondo della riflessione (…) un pregiudizio civile tipico della modernità: il pregiudizio per cui il «fine» della vita sarebbe comunque quello dell'«autorealizzazione»; vale dunque quello che serve alla mia «realizzazione», è male invece quello che la pregiudica. Si propone inevitabile la domanda: ma davvero è possibile per l'uomo «realizzarsi»? (…) Con formula icastica Gesù chiude la strada a ogni progetto umano di «autorealizzarsi»: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8, 36). (…) La verità della seconda affermazione è invece quella di una promessa; essa apparirà come vera soltanto alla luce del compimento pasquale del destino di Gesù”.
“La promessa che Gesù fa non è un'altra rispetto a quella che comunque sta all'inizio di ogni vita e anche all'inizio di ogni matrimonio; essa solo manifesta la verità di una promessa che, al di fuori della prospettiva del suo vangelo, appare insieme indispensabile e oscura. Per «salvare la vita», occorre che l'uomo non cerchi in alcun modo di trattenerla; cerchi piuttosto una causa abbastanza degna per la quale meriti di regalare ciò che in ogni caso non si può risparmiare. Il figlio è appunto una delle forme che assume questa buona causa. (…) Comprendere il valore morale della generazione… è possibile a condizione di comprendere la generazione stessa quale forma di quel la carità nella quale si riassume il senso del vangelo di Gesù”.