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L’atomo e i quanti di energia. Università Cattolica di Brescia Stage Estivi - Laboratorio di Fisica Moderna 15-17 Luglio 2002. Mattia Benedet, Raffaele De Troia, Piero Del Boca, Alberto Giannì, Luca Guasco, Carmine Ignone, Serena Nocera, Marzia Romeo, Stefania Spennato, Stefano Stella.
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L’atomo e i quanti di energia Università Cattolica di Brescia Stage Estivi - Laboratorio di Fisica Moderna 15-17 Luglio 2002 Mattia Benedet, Raffaele De Troia, Piero Del Boca, Alberto Giannì, Luca Guasco, Carmine Ignone, Serena Nocera, Marzia Romeo, Stefania Spennato, Stefano Stella
ESPERIMENTO DI THOMSON Thomson nel 1897, alla luce della teoria elettromagnetica elaborata da Maxwell il quale sosteneva che tutti gli effetti magnetici sono legati ad effetti elettrici,tramite un tubo catodico,in cui le particelle cariche(elettroni) possono essere accelerate,si propose di misurare il rapporto tra la carica(e) e la sua massa (m), cioè:
L’esperimento si basa sul fenomeno secondo il quale una carica posizionata in un campo magnetico B subisce una forza F perpendicolare alla propria velocità v, che determina un’accelerazione centripeta a e quindi un moto circolare uniforme. La forza è data (espressione di Lorentz): Se B e v sono perpendicolari allora:
Come misurare v? Elettroni in movimento? Si crea un campo elettrico E uniforme che produce sugli elettroni una forza F=eE dando un accelerazione. Per ottenere un campo elettrico si deve creare una differenza di potenziale tra catodo e anodo tramite un diverso accumulo di cariche nei due poli. Gli elettroni del flusso che si creano tra anodo e catodo urtandosi con l’elio generano per eccitazione l’emissione di radiazioni elettromagnetiche visibili. vale la conservazione dell’energia meccanica (dove l’energia potenziale è eD V ): anodo catodo e
Come creare il campo magnetico B? Tramite due bobine di Helmotz, con raggio uguale alla loro distanza reciproca otteniamo un campo magnetico uniforme perpendicolare alla velocità v del flusso. Siccome abbiamo da prima: Nell’ esperimento tenendo costante il potenziale risulta che tra corrente I e l’inverso del raggio r del fascio esiste una proporzionalità diretta I = K*(1/r) Mentre tenendo fisso il valore della corrente I si ha una proporzionalità diretta tra il potenziale e il raggio r del fascio luminoso. B = k I k = 7,8 x 10 -4 T/A
I dati ottenuti da noi negli esperimenti Il valore teorico previsto: e/m = 1,76 x 1011 C/Kg
L’ATOMO DI THOMSON Il modello atomico di Thomson (detto plum pudding) fu uno dei primi a giustificare la stabilità e la neutralità dell’atomo, data la presenza in egual numero di particelle positive e negative sparse nell’atomo stesso.
L’ESPERIMENTO DI RUTHERFORD Nel 1911, grazie alla scoperta della radioattività dei coniugi Curie e alla conseguente classificazione dei raggi alfa, beta, Rutherford mise a punto un esperimento, detto oggi di “scattering”. L’apparato sperimentale è costituito da: • - sorgente di particelle a; • - schermo di piombo con sottile fenditura per ottenere un fascio molto sottile; • - laminetta sottile di metallo (oro, alluminio ecc.) contro cui viene indirizzato il fascio di particelle a; • - schermo di solfuro di zinco (materiale fluorescente che emette lampi di luce quando viene colpito dalle particelle dopo che esse hanno superato la laminetta di metallo);
LA CONFUTAZIONE DI RUTHERFORD Secondo il modello di Thomson, le particelle alfa avrebbero dovuto attraversare indisturbate la lamina d’oro e raggiungere il rivelatore (fig.1). Rutherford, tuttavia, osservò che una piccola parte dei raggi veniva deviata o addirittura totalmente riflessa. (fig.2)
LA STRUTTURA ATOMICA DI RUTHERFORD E I SUOI DIFETTI Secondo la teoria di Maxwell dell’elettromagnetismo gli elettroni in orbita intorno al nucleo avrebbero dovuto perdere rapidamente energia per irraggiamento e quindi precipitare sul nucleo.
Risultati dell’esperimento con la camera di Rutherford Andamento del log del numero di particelle [N()] in funzione del log del rapporto tra il quadrato del numero atomico del materiale della laminetta e il seno alla quarta dell’angolo /2.
Con lo studio degli spettri di emissione ci è stato possibile osservare direttamente la natura quantistica del modello atomico. Lo studio della spettroscopia ebbe inizio alla fine del 1800 mettendo così in crisi la meccanica classica, che ipotizzava l’atomo come un sistema in cui all’elettrone è permesso occupare qualsiasi stato energetico. Ciò era errato, infatti l’energia di atomi e molecole è circoscritta a valori ben determinati: un atomo infatti se investito da una certa quantità di energia, trovandosi quindi in uno stato eccitato, emette radiazioni sotto forma di fotoni.
Questo “salto quantistico” da un livello energetico all’altro obbedisce alla legge E=hv in cui E rappresenta la differenza di energia fra i due livelli, h la costante di Plank (6,626x10-34 ) e v la frequenza del fotone emesso; la quantità di energia è proporzionale infatti alla lunghezza d’onda della radiazione emessa. I fotoni emessi da un atomo sono individuabili attraverso lo spettro dell’elemento stesso e rappresenta una sorta di sua “impronta digitale”. Analogamente noi abbiamo avuto modo di studiare, attraverso uno spettrofotometro, gli elementi dell’idrogeno e del mercurio.
Uno spettrofotometro è composto da: • una sorgente luminosa costituita da una lampada a scarica; • una fessura collimante; • una lente collimante; • un reticolo di diffrazione; • una lente focalizzante; • una piastra con fenditure di vario spessore; • un sensore di luce. • Entro il bulbo di una lampada a scarica è creata una differenza di potenziale, che permette l’eccitamento degli elettroni del gas a bassa pressione contenuto nel bulbo (ognuno di essi contiene un diverso tipo di gas a seconda dell’elemento di cui si deve studiare lo spettro). Attraverso una lente il fascio di luce viene collimato in direzione del reticolo di diffrazione. Esso costituisce l’elemento principale di uno spettrofotometro, lo strumento che permette di osservare e misurare lo spettro prodotto da una sorgente luminosa, e di determinare gli elementi principali che lo compongono (righe o bande spettrali). Attraverso un sensore di luce collegato ad un elaboratore elettronico, è stato possibile ricavare i dati relativi all’elemento da esaminare. Da qui si è ricavato il grafico dell’intensità delle onde emesse in funzione della loro lunghezza d’onda.