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Introduzione allo Humanistic management Marco Minghetti Lezione 14 Pavia Ottobre – Novembre 2006

Introduzione allo Humanistic management Marco Minghetti Lezione 14 Pavia Ottobre – Novembre 2006. LA SELEZIONE.

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Introduzione allo Humanistic management Marco Minghetti Lezione 14 Pavia Ottobre – Novembre 2006

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Presentation Transcript


  1. Introduzione alloHumanistic managementMarco Minghetti Lezione 14PaviaOttobre – Novembre 2006

  2. LA SELEZIONE L’attività di selezione del personale spesso appare “un compito tanto facile quanto è definirlo: si tratta di reperire la persona più adatta a ricoprire un ruolo vacante, operando la scelta da una platea sufficientemente ampia di candidati“ Renzo Modiano , La Risorsa Umana, ed. Sperling & Kupfer

  3. Nella concezione tayloristica dell’azienda i compiti e gli obiettivi possono essere sezionati e calati “a cascata” dal top management fino agli ultimi livelli gerarchici, in base ad un sistema di ruoli prestabiliti (specificati nella descrizione delle mansioni) e tenuti insieme da una serie di regole e procedure (manuali, budget, sistemi informativi).

  4. Si genera così una cultura che imposta il suo approccio sulla definizione del ruolo o del compito da svolgere, non sulle personalità. In una azienda di questo tipo le regole di assunzione, su cui ironizza la poetessa polacca, assumono un chiaro senso: se l’individuo è considerato alla stregua di un meccanismo meccanico, “che abbia un nome è irrilevante, anche un numero servirebbe allo scopo; che poi abbia una personalità è decisamente sconveniente, perché sarebbe tentato di esprimerla all’interno del ruolo, alterandolo”.

  5. In cambio della propria individualità le persone ottengono la sicurezza (non a caso Apollo era anche il protettore delle pecore e dei bambini, osserva Handy), derivante appunto dalla omologazione di tutti a codici di comportamento chiaramente definiti e sempre uguali; e anche i prodotti che queste organizzazioni propongono al cliente generano questo senso di sicurezza.

  6. “ In TV ormai è impossibile distinguere una guerra da una partita di baseball”. Saul Bellow

  7. La crisi del degree • Renè Girard ,Adelphi, Shakespeare, il teatro dell’invidia. • La tesi fondamentale del libro è che gran parte delle opere shakespeariane si fondano su un conflitto scaturente dal desiderio mimetico, ovvero il desiderio di essere un altro, attraverso il possesso di ciò che l’altro, assunto come modello, possiede. • Il desiderio mimetico è alla base di quella crisi del degree, dell’ordine naturale e umano che spoglia di senso il reale, punto di partenza di molte tragedie shakespeariane. Il punto cruciale della crisi si ha quando l’indifferenziazione giunge al culmine.

  8. I giovani protagonisti Lisandro e Demetrio non sono mai innamorati a lungo di una ragazza, ma di volta in volta entrambi si innamorano sempre della stessa. Demetrio desidera Ermia finchè Lisandro mostra di amarla; non appena costui si volge verso Elena, lo segue.

  9. La medesima logica vale per tutti gli altri. Nella prima scena si spiega che all’inizio Elena amava Demetrio e ne era riamata. Ma poi la sua amica del cuore Ermia fece innamorare di sè Demetrio. Perchè Ermia ha rubato Demetrio all’amica del cuore? Perchè fra Ermia ed Elena sussiste lo stesso rapporto mimetico esistente fra Lisandro e Demetrio: ciò che è posseduto dall’una viene subito voluto dall’altra. Il rapporto è a due vie: tanto che, nel primo atto, è Elena ad esprimere il desiderio di “cangiarsi” in Ermia: avere Demetrio è solo un mezzo per essere Ermia. Ed infine Lisandro: dopo aver sottratto Elena a Demetrio, gli manca il pungolo della rivalità mimetica. Gli sembra allora desiderabile Ermia, designata ad essere sposa di Demetrio.

  10. Malgrado le fate e gli elfi, Shakespeare sta parlando di un fenomeno molto concreto: il desiderio mimetico (in parole semplici, l’invidia) che quasi sempre nutre di sé le relazioni personali e professionali anche nelle odierne realtà imprenditoriali. E c’è solo un modo, tragico e paradossale, per chiudere il circolo vizioso, la guerra di tutti contro tutti, che il desiderio mimetico avvia: la distruzione dell’individuo preso a modello e quindi la morte di ogni legame umano.

  11. Nella sua declinazione socio-organizzativa, il fenomeno è ormai assai noto ed è denominato mobbing, che in etologia indica il comportamento aggressivo messo in atto da alcune specie di uccelli nei confronti dei potenziali contendenti. L’estraneo viene accerchiato, intimorito e respinto. Nelle aziende, il lavoratore invidiato viene chiacchierato, isolato, deriso, sabotato, sminuito, reso inutile. Siamo agli antipodi dell’impresa vissuta come “mondo vitale” sereno,fondato sull’etica della felicità condivisa.

  12. Il Giulio Cesare è il contraltare tragico del Sogno di mezza estatenella rappresentazione shakespeariana dell’invidia, mentre la figura del signor Malaussène, partorita dall’immaginazione dello scrittore Daniel Pennac, si trasferisce alla quotidianità di molte imprese: “il protagonista - annota Andrea Notarnicola - assume il ruolo di capro espiatorio dell’organizzazione e guadagna in quanto è in grado di tollerare la frustrazione di un ruolo che impone una anestesia emotiva. Né la retorica delle cerimonie aziendali riuscirà a sollevare il protagonista dal suo destino di carne organizzativa da macello”.

  13. Cerimonie aziendali in cui, viene segnalato nel Manifesto dello humanistic management, si aboliscono le parole troppo ricche di senso. La complessa vita aziendale, le articolate relazioni interne, il sofferto rapporto con i clienti, l’andamento economico, tutto è ridotto a schemi ipersemplificati. Nel peggiore dei casi, il tentativo è quello di indurre il popolo aziendale a celebrare il culto della personalità del Top Manager di turno. Un culto a cui bisogna fingere di aderire per evitare il tradizionale trattamento da sempre riservato agli eretici: essere bruciati, fired. Così, ancora una volta, la speranza dei partecipanti di ascoltare qualcosa di nuovo e di veramente interessante - una parola pulsante, che esprima il sentimento collettivo, che valorizzi sinceramente il contenuto di tutti - va delusa.

  14. Il bingo delle cazzate 1 “Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra, portata la Legge davanti alla moltitudine degli uomini, delle donne e di tutti quelli che erano in grado di intendere, sulla piazza davanti alla Porta delle Acque, lesse nel libro dal mattino fino a mezzogiorno”. “Esdra, lo scriba, stava ritto sopra una tribuna di legno preparata apposta per la circostanza, e accanto a lui stavano in piedi, alla sua destra, Mattatia, Sema, Anaia, Uria, Elkia, Maaseia; a sinistra Fadaia, Misael, Malchia, Asun, Asbadddana, Zaccaria e Mesullam. Esdra aperse il libro davanti a tutto il popolo, perché stando più in alto dominava la folla”.[1] [1] Neemia, 8, 2-3, 4-5.

  15. Il bingo delle cazzate 2 La fonte biblica, il libro di Neemia, incide indelebilmente nella nostra mente questa scena: Esdra, il sacerdote, il 'commissario ecclesiastico di Gerusalemme', ritornato dall'esilio a Babilionia, in alto sul palco; accanto a lui schierati i rappresentanti del potere temporale. Nell'esilio Esdra aveva riscritto a suo modo la Parola, il vecchio Libro della legge, espungendo, sottolineando, censurando. Ora la folla lo ascolta. Lui parla come se possedesse la verità. Il popolo conosceva la propria storia, la conosceva a memoria. Non solo l’aveva vissuta, ma l'aveva creata in quanto opera letteraria, storia orale. Ma ora di questa storia, espropriata, conta solo la versione ufficiale, ri-scritta e poi letta dall'alto dal sacerdote.

  16. Il bingo delle cazzate 3 E' l'inizio dell'ortodossia rabbinica. Il luogo esemplare dove vediamo una volta per tutte in azione quella figura sociale che modernamente ci siamo abituati a chiamare 'intellettuale', ‘intellettuale di professione’. Una figura che, rileggendo la storia ed osservando il presente, vediamo apparire in ogni dove, in mille sfaccettature diverse – ma sempre con un univoco atteggiamento di potere, una univoca forma di hybris. È il sacerdote, ma anche il missionario; l’autore, ma anche l’interprete ed il censore. È, ancora, il manager, l’organizzatore, il consulente. È l’‘esperto legittimato’. Colui al quale è stato attribuito, o che si è arrogato, il compito di ‘far prendere coscienza agli altri’ di ciò che gli altri vivono quotidianamente. In base all’ipotesi che questo eletto Terzo sappia, meglio di chi vive l’esperienza, ciò che l’esperienza significa. In base all’ipotesi che questo eletto Terzo sappia meglio di chi deve compiere una scelta quale è la scelta migliore.

  17. Il bingo delle cazzate 4 Immaginate di partecipare alla tradizionale Convention annuale. Sono invitati tutti i dipendenti. In un teatro, o nella sala convegni di un albergo, tutti sono stati riuniti per essere per essere informati ufficialmente dell’andamento dell’anno appena chiuso, e per ricevere dal vertice aziendali messaggi in merito al futuro che ci attende. Parlano il Presidente, l’Amministratore Delegato, il Direttore Generale, i Direttori di Divisione. Sono tutti schierati sul tavolo coperto di panno verde, in alto sulla pedana, ognuno con davanti il suo microfono e il suo cartellino con il nome. Non che ce ne sia bisogno. La folla conosce a memoria i loro nomi. Ma i simboli – metafore della distanza, della superiorità, del possesso della verità – contano. Come per Esdra e per Neemia e per gli altri esponenti del potere sulla tribuna di legno. Non c’è nessuna differenza.

  18. Il bingo delle cazzate 5 Immaginate ora la schiera dei partecipanti, costretti a partecipare all’evento, e ad ascoltare. Ma inevitabilmente prevenuti, perché hanno già partecipato nel corso degli anni a troppi analoghi incontri, a troppe Convention sempre uguali l’una all’altra. Immaginate che gli organizzatori, per animare l’evento, abbiano invitato magari qualche velina. Immaginate che per tener desta la platea venga proiettato un video. Ma poi il momento nel quale i detentori della verità parlano giunge inesorabile.

  19. Il bingo delle cazzate 6 Le prime parole bastano a confermare i timori: Presidente, Amministratore Delegato, Direttore Generale, Direttori di Divisione dicono le solite cose trite e ritrite. Ripetono, in fondo, come se fosse roba loro, come se fosse solo roba loro, cose che i partecipanti già sanno. La parola che descrive la vera vita dell’azienda, che tutti i partecipanti hanno contribuito a creare, è raccontata come se ci si rivolgesse ad un pubblico ignaro. Gli astanti – come il popolo ebraico – riconoscono un contenuto di verità in quello che dicono le persone sedute a quel tavolo, di fronte alla folla schierata, ma è la verità rivista ed interpretata dal punto di vista della difesa del potere. Una parte dei contenuti che sono alla base della situazione dell’azienda, e che tutti conoscono, sono stati espunti. Altre informazioni sono state edulcorate.

  20. Il bingo delle cazzate 7 Come potranno i partecipanti evitare che il tedio, il fastidio, il disappunto traspaiano troppo evidentemente dai loro volti? Come potranno allo stesso tempo rendere meno noiosa la necessaria permanenza nella sala? Ecco qui la grande idea del Bingo delle Cazzate. Pensate che ognuno dei partecipanti, in barba alla rigorosa organizzazione prevista dal responsabile della comunicazione interna, si sia dotato di una cartella da tombola, o da bingo, dove al posto dei numeri ci siano le parole, le frasi fatte, i luoghi comuni che presumibilmente verranno tirati fuori da chi sta parlando. Mission, valori, cultura, globalizzazione, minaccia della Cina,cultura del servizio, attenzione al cliente. Ora, in cosa consiste il gioco?[1] Ognuno dei partecipanti ha sulle ginocchia la sua cartella. Finge di ascoltare con rapimento le alate frasi di chi sta parlando, ma getta appena può lo sguardo sulla sua cartella. Ha buone probabilità, quindi, di fare ambo, terna, cinquina, tombola. Non sappiamo cosa vincerà. Nulla probabilmente – ma resterà la soddisfazione di aver smascherato la vanità del discorso. Al testo ufficiale, alla narrazione della vita organizzativa ricostruita dal punto di vista del potere si risponde così con un gesto de-costruzionista. Scherzosa, ma anche disperata difesa della parte mancante nel racconto. 1] Le regole per giocare al « Bingo delle cazzate » sono state dettagliatamente descritte in un numero di Hamlet da Luca Varvelli (Varvelli, 2002).

  21. Il bingo delle cazzate 8 La costruzione della storia dal punto di vista del potere – Esdra e Neemia che dall’alto del palco impongono la loro versione, e vogliono vedere, debbono vedere, tutti contenti – è operazione legittima. Ma la documentazione dei fatti, la narrazione, la lettura degli eventi, l’espressione del giudizio e del commento e del dolore e della gioia non si riassume in questa operazione. Nello stesso testo biblico, in quelle stesse parole del libro di Neemia, possiamo trovare traccia dell’altra versione, sommersa: il punto di vista del popolo, la stessa storia raccontata da altre voci. E così accade anche per la nostra Convention: tra le righe dei comunicati ufficiali leggeremo, se vorremo leggerlo, anche il non detto, ciò che chi parlava ex cathedra non ha voluto o saputo dire. Quella versione della storia che comunque circolerà nei discorsi nei corridoi, alla macchinetta del caffè, in mensa, in mail scambiate tra partecipanti delusi, in scritti sulle porte dei cessi, forse anche in qualche comunicato sindacale.

  22. Il bingo delle cazzate 9 La Rete abbassa la soglia dell’accesso fino ad azzerarla. E cambia radicalmente la prospettiva. Ognuno può guardare la Rete dal suo punto di vista. La macchina può e deve essere usata con un grado di libertà incontrollabile. La tecnologia libera e pone ognuno al centro del mondo. Di fronte all’esigenza di organizzare e di conservare e di rendere riutilizzabili le conoscenze, la gerarchia e l’autorità non sono più necessarie. E risultano comunque alla fine inefficaci. Esdra poteva imporre la sua versione perché deteneva gli strumenti tecnologici necessari per conservare versioni dell’opera. Perché l’arte della codifica delle informazioni era nota solo ai sacerdoti, e ignota al popolo. Perché le altre versioni del testo, orali, permanevano sono nella labile memoria del popolo. Oggi il suo disegno non potrebbe realizzarsi: memoria di massa e conoscenze tecnologiche sono diffuse. Francesco Varanini ne Il manifesto dello Humanistic management

  23. La tendenza verso l’omogeneità di comportamenti, la standardizzazione del pensiero, la compattazione persino dei sentimenti, è perfettamente coerente con la “gestione scientifica” dell’azienda. Il management d’ispirazione tayloristica applica con tragica serietà all’impresa la lezione che Musil trae dalla zoologia: “da una somma di individui limitati può benissimo risultare un insieme geniale”. Nelle organizzazioni fondate su un tale convincimento, chi si discosta dalle regole ferree imposte da codici di comportamento, procedure, best practices va individuato ed espulso: E' difficile immaginare dove si andrebbe a finire/ se il loro esempio fosse imitabile./…chi vorrebbe restare più nel cerchio?

  24. Questo approccio “scientifico” alla gestione aziendale è catalogato, sotto il nome di bossing, fra le affezioni più gravi che possono colpire l’organismo imprenditoriale. Dal verbo inglese to boss, che significa spadroneggiare e comandare, il termine “indica una forma di terrorismo psicologico attuato dall’azienda o dai vertici dirigenziali come strategia per ridurre, ringiovanire, riorganizzare il personale o, semplicemente, per eliminare una persona considerata sgradita”. Le logiche dello scientific management rendono insomma le relazioni umane patologiche, sia in quanto inducono comportamenti distruttivi in chi opera nella compagine aziendale, sia poiché di fatto giustificano l’adozione di pratiche di esclusione consapevolmente attuate dalla dirigenza.

  25. Una dirigenza così descritta da Galimberti: “Il culto della razionalità tende a promuovere nei posti di comando personalità narcisistiche, costrette a comparire e a farsi vedere per riscuotere consenso, séguito e approvazione, nel tentativo di compensare col potere e col successo quella scarsa stima di sé tipica di chi non sa trovare la propria identità se non nel riconoscimento esterno. In alternativa alle personalità narcisistiche troviamo personalità psicopatiche che, al di fuori del funzionamento impeccabile, rivelano un’assoluta incapacità di descrivere i propri sentimenti, un’impressionante sterilità emotiva, accompagnata da una monotonia delle idee e da una spaventosa povertà dell’immaginazione.

  26. Privi di capacità empatica, i leader, per effetto delle loro componenti narcisistiche o psicopatiche, per altro molto funzionali alla razionalità strumentale che regna sovrana nelle organizzazioni, presentano tratti di indifferenza e freddo distacco che non segnalano tanto padronanza della situazione, quanto gravi difetti di comunicazione e mancanza di qualità umana nelle relazioni e negli amori che per gli uomini di comando sono così irrilevanti da essere frequentemente intercambiabili con lasciti di indifferenza, noia e frustrazione. I leader sanno di essere amati per ciò che non sono, e sanno che il non-essere è il loro costitutivo appena compensato da un superadattamento alla realtà esterna che manda in cortocircuito il mondo dell’immaginario e i residui di sentimento che faticano a crescere nelle loro anime secche. Interrogati in proposito, forniscono risposte rigide e prive di emozioni, quando addirittura non ricorrono alla descrizione di avvenimenti esterni per loro più familiari di quelli interiori. Individuati questi tipi di personalità, le organizzazioni li promuovono a posizioni di comando. La povertà della loro realtà interiore eviterà confusioni sulle decisioni da prendere in quella esterna, l’unica che interessa all’organizzazione, mentre le capacità di adattamento alle regole del conformismo garantiranno quella insospettabile sottomissione senza condizioni all’organizzazione, nonché l’idealizzazione sentimentale del potere, al quale leader siffatti sono propensi a sacrificare per intero i residui restanti della propria personalità.”

  27. Gestite da questo genere di manager, le aziende finiscono per essere contagiate dalle loro stesse psicopatologie. Carlotta Magi, Psicologa dell’Istituto per lo Studio delle Psicoterapie di Roma, definisce infatti il mobbing una vera e propria sindrome psicosociale e multidimensionale. “E’ una sindrome, perché si presenta come un complesso di sintomi specifici ed aspecifici, fisici e psichici non riducibili ad una configurazione tipica. Psicosociale, perché colpisce l’individuo, il gruppo di lavoro e l’organizzazione, e produce disfunzioni sia a livello individuale che collettivo. Multidimensionale perché si origina, si sviluppa e coinvolge tutti i livelli gerarchici dell’organizzazione”.

  28. Di variazioni sul tema ce ne sono tantissime e molte di queste sono state rappresentate al cinema. Fra i film più recenti, viene alla mente North country, che racconta la prima azione legale di categoria per molestie sessuali iniziata nel 1984 e terminata nel 1993, quando le lavoratrici ottennero, a differenza del film, un indennizzo molto basso, ma costrinsero l'azienda ad emanare una direttiva che ha fatto storia. Tra i precedenti, contiamo Americani (´92) dove, da una commedia di David Mamet, i venditori Jack Lemmon, Al Pacino, Alec Baldwin e Alan Arkin si fanno la guerra tra loro quando il posto è in pericolo. In Italia sono stati prodotti Volevo solo dormirle addosso, con Giorgio Pasotti che taglia teste per evitare di perdere la propria, e Mobbing mi piace lavorare, interpretato da Nicoletta Braschi. Il francese A tempo pieno del francese di Laurent Cantet (già autore dell’ottimo Risorse umane) ha ottenuto il Leone d’oro a Venezia nel 2001 narrando il caso di Vincent, impiegato con moglie e tre figli. È molto dedito al lavoro, che lo costringe a numerose trasferte e quindi ad essere spesso assente. Ma finge. Perché è stato licenziato e da settimane non ricopre più il ruolo di consulente a cui teneva. In Cacciatore di teste Costa Gavras mette in scena la vicenda di un tecnico altamente specializzato che, a quarant´anni, si trova fuori dalla porta e reagisce uccidendo uno a uno i possibili rivali: i suoi parigrado e, tra gli altri disoccupati dello stesso ramo, coloro che potrebbero essere di ostacolo al suo reinserimento.

  29. Ma anche nella vita reale, finisce che la sindrome del mobbing non solo provoca diffuse disfunzioni a livello individuale e organizzativo, distruggendo quindi una cospicua parte del valore dell’impresa, ma conduce ad esiti tragici. Lo prova, fra i tanti, il caso del cinquantaquattrenne direttore dell'ufficio acquisti di una multinazionale dell'energia. Decideva le sorti di grossi appalti con amministrazioni pubbliche, ospedali, aziende. Gli mancavano tre anni per andare in pensione. Poi è entrato in crisi. Ha dichiarato: “Il capo mi vessava, mi maltrattava davanti ai colleghi, mi aveva tolto incarichi e responsabilità. L’ultima umiliazione l’ho subita il pomeriggio dell' 11 novembre (2004). Quella sera gli ho sparato”.

  30. Il clone e il mostro Titania, descrivendo il disordine provocato dal suo litigio con Oberon nella natura, sottolinea che perfino le quattro stagioni, come i quattro innamorati, sono divenute un miscuglio mostruoso. Il mostro è l’ultima fase di una confusione totale, in cui scompare ogni tratto distintivo: “son le stagioni sovvertite...la primavera, l’estate e il fecondo autunno, e l’iracondo inverno si sono scambiate le livree; e il mondo sbalordito non più dai lor prodotti distingue le stagioni”. E così l’apice del non senso si avvicina con la metamorfosi mostruosa di Bottom, che assimila elementi propri di un asino e di un essere umano.

  31. Mostruosità nella mostruosità è infine il suo accoppiamento con Titania: l’essere più leggiadro, la regina delle fate, si unisce al più infimo e stupido degli uomini, per di più fisicamente imbestiato. • Il desiderio mimetico, l’invidia, produce una contro-realtà in cui i personaggi si dissolvono: credono di essere circondati da mostri, ma sono mostri essi stessi. • L’ordine naturale e umano è sconvolto, ogni significato è andato perduto: la distinzione fra uomini, fate e animali è scomparsa, così come, in Blade Runner, non è più possibile discernere gli uomini e gli animali “veri” da quelli “elettrici”, dai replicanti.

  32. “La replicazione come strategia”, di Sidney G. Winter e Gabriel Szulanski, Sviluppo e Organizzazione • “la replicazione, fenomeno familiare come <<approccio McDonald>>, è una strategia perseguita da un gran numero di imprese attive in almeno sessanta settori”

  33. “La vera, profonda rivoluzione della Rete”, “è la sua rinnovabilità, il suo essere in tempo reale, sempre lì, pronta a essere modificata, trasformata, innovata, mutata. E' la mutazione che disorienta, spaventa, sfugge a ogni tentativo di essere cristallizzata. E' questo che rende la Tech-Net economy incomprensibile ai più….

  34. “E' l'insostenibile immaterialità della mutazione di un sistema che un attimo dopo è già diverso, che si evolve velocemente e senza ritorni.” Carlo Massarini

  35. A scanner darkly • Nel romanzo di Dick, il protagonista è un agente infiltrato nel mondo della droga, ma poichè neppure i suoi superiori sanno chi sia (per mantenere segreta l’identità lui e il suo capo quando si incontrano indossano tute disindividuanti), gli viene ordinato di tenere sotto controllo sé stesso. L’abitazione in cui vive insieme a degli amici viene attrezzata con olocamere e microfoni (proprio come la casa del Grande Fratello di Canale 5). A partire da quel momento, Bob A(r)ctor (il protagonista) passa sempre più tempo a guardare i video di sé stesso e dei suoi amici. Fino a quando dimentica di essere Bob Arctor ed infine impazzisce. Nelle ultime pagine del libro alla domanda “Chi sei?” risponde “io sono un occhio”: il messaggio si è trasformato in mezzo, l’identità (il fine) è stata travalicata dallo strumento, l'oscuro scrutare è divenuto soggetto e oggetto di sè stesso, l’utilizzatore della tuta disindividuante si è totalmente “disindividuato”.

  36. Al centro di A scanner darkly si pone l'invenzione della "tuta disindividuante", consistente in “una lente al quarzo collegata a un computer, la cui banca dati conteneva fino a un milione e mezzo di minuziose raffigurazioni fisionomiche... Quando era attivato, il computer proiettava ogni sorta di colore di occhi e di capelli, di fattezze e di tipo di naso, di conformazione della dentatura, di configurazione ossea del viso su una membrana sottilissima, che assumeva in un nanosecondo ogni diversa caratteristica fisica, per passare immediatamente alla successiva…. Pertanto, chi indossava una tuta disindividuante diveniva un Signor Ciascuno” continuamente mutante e che appariva all’esterno “solo come una macchia confusa“.

  37. Sorprendente appare il parallelismo con la tensione ad assumere molteplici identità tipica della attuale “modernità liquida”. Sempre secondo Bauman, il mondo oggi si scopre pieno di infinite possibilità, ma a nessuno è consentito pietrificarsi in una realtà perenne. La vita desiderata tende a essere la vita come la si vede in TV (magari quella proposta dai “reality” show!) o una confusa scansione (“a scanner darkly…”) delle immagini che appaiono sugli schermi dei computer: questi oggi sono gli specula da cui scrutare gli esempi indispensabili a modellare (ma solo per un momento) la nostra instabile identità. We are such staff the dreams are made off…

  38. Frankestein è l’archetipo del terrore che non tramonterà mai: la Cosa Senza Nome Stephen King

  39. La Creatura è dotata di una personalità nuova e originale: Frankenstein, “collage chirurgico di organi morti di diversa provenienza” (Giorgio Celli ) con una propria “integritàs, concordantia e claritas.” con propri desideri, emozioni, volontà;

  40. DEDALUS “l’immagine estetica è percepita come un insieme, limitato e contenuto in sé…questa è l’integritas, l’interezza” “Dopo aver sentito che la cosa è una…la si percepisce complessa, multipla, divisibile, separabile, composta dalle parti, armonica. Questa è la concordantia.” “Lo splendore di cui parla san Tommaso è la quidditas, l’essenza di una cosa”

  41. Oggi la Cosa Senza Nome è divenuta il Blob, l’alieno gelatinoso di film degli anni Cinquanta come The Quatermass Experiment (1956) o, appunto, The Blob (1958), che, come anche il Baldanders borgesiano (“il cui nome possiamo tradurre Già diverso o Già altro") descritto nel Manuale di zoologia fantastica, segna il trionfo dell’informe in quanto forma sempre sul punto di cambiare.

  42. Già più di trent'anni fa McLuhan sosteneva che ogni nuovo medium avrebbe incorporato parti del precedente. Il percorso delle tecnologie non è per eliminazione diretta, ma per stratificazione. Internet è telefonia più televisione, più radio, più calcolatore, più software. Ed il futuro è tutto questo più…più cosa? Non si sa, tranne che è una “Cosa Senza Nome”, di cui al massimo si può dire che sarà “la prossima”

  43. Uno dei mutanti che oggi occorrono è allora l’individuo che porta in sé i germi di questo sviluppo accumulativo: che lo sa intuire, anticipare, gestire, indirizzare E’ il potenziale leader che guida la propria azienda al successo operando come agente di cambiamento radicale, trasformando strutture burocratiche in organizzazioni proiettate verso il nuovo e il diverso.

  44. Produzione originalità creatività metadisciplinarietà Scambio relazione personalizzata orientamento al servizio e alla qualità Produzione serialità standardizzazione specializzazione lavoro Scambio mercato di massa orientamento al prodotto e alla quantità Scientific versus humanistic management (1)

  45. Livello cognitivo riduzionismo di ogni varianza, timore dell’innovazione deresponsabilizzazione personale sul risultato finale razionalità pura (modello meccanicistico) trionfalismo funzionale, specchio della negazione sistematica della indispensabilità relazionale con l’altro Livello cognitivo valorizzazione della diversità apertura al futuro coinvolgimento individuale sui rischi da assumere e sui fini da perseguire e ricerca dell’equilibrio fra morale individuale ed etica collettiva combinazione tra razionalità ed emotività dialogo interfunzionale, effetto della cura di ciascuno verso il proprio autosviluppo e verso gli altri, della continua ricerca e donazione di senso Scientific versus humanistic management (2)

  46. Livello organizzativo Totalitario, definitivo, prescrittivo, fondato sulla centralità del comando, su modelli, procedure e “best practices”, su un’attenzione ossessiva ai processi di esecuzione, sul controllo Livello organizzativo (simposio platonico) Partecipativo, impermanente, fondato sulla convivialità, su uno “stare insieme per”, sulla delega agli individui e l’imprenditorialità diffusa, sulla “governance” di sistema e non sul “controllo” di dettaglio Scientific versus humanistic management (3)

  47. Metafore, modi di pensare Macchina, automatismo, piramide, sistema di significati prescritti e predefiniti Metafore, modi di pensare Sforzo collettivo e continuo di generazione di significato, mondo vitale, labirinto, testo, partitura musicale, rappresentazione teatrale o cinematografica, blog Scientific versus humanistic management (4)

  48. Modi di concepire le persone Risorse umane “unidimensionali” e interscambiali, cloni, simulacri e replicanti dickiani, irresponsabili ed irriflessivi, ciecamente obbedienti Modi di concepire le persone Identità uniche e molteplici, soggetti “in divenire” e pertanto mutanti, per quanto consapevoli della propria “singolarità”, aperti al futuro e in ‘colloquio’ con il mondo circostante, liberi in quanto capaci di vincolarsi a scelte responsabili Scientific versus humanistic management (5)

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