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Il Genio della porta accanto! Di Nicoletta Cilenti. Intervista a Michele Emmer
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Il Genio della porta accanto! Di Nicoletta Cilenti
Intervista a Michele Emmer Nato a Milano nel 1945 e laureatosi in Matematica Roma nel 1970, Michele Emmer è professore ordinario di istituzioni di matematica presso l'Università di Roma "La Sapienza". In precedenza ha insegnato alle università di Ferrara, L'Aquila, Trento, Sassari, Viterbo e Venezia.
D.:Come si è avvicinato alla matematica? • R.: Ho sempre voluto fare il matematico, e sono stato fortunato, perché ho realizzato il mio sogno. A casa mia non c'erano libri di matematica, perché in famiglia nessuno si occupava di questa materia: in particolare, mio padre Luciano era - ed è tuttora - regista di cinema. Io ho sempre avuto in mente l'idea di studiare matematica, ma non saprei spiegarne il motivo. Certo è che, come dicevo, ho avuto davvero molta fortuna nella mia vita, in quanto sono riuscito a svolgere il mestiere che desideravo. L'unico episodio legato alla matematica che ricordo di quando ero piccolo si riferisce a quando vidi il film Paperino nel regno della matemagica, ma all'epoca avevo già dodici anni
D.: Come è iniziata la sua carriera di matematico? • R.: Nel 1970, io svolsi la tesi su un teorema di Caccioppoli avendo per relatori due matematici, di cui poi uno in particolare - Umberto Mosco - è diventato famoso e ha vinto anche il premio Feltrinelli; l'altro, Andrea Schiaffino, adesso è professore a Roma "Tor Vergata", ma all'epoca era assistente a Ferrara. Casualmente quest'ultimo, pochi giorni dopo la mia laurea, ebbe un posto a Roma, per cui mi chiese se volessi andare a insegnare a Ferrara. All'inizio io fui abbastanza titubante, perché stavo per sposarmi: il trasferimento lo vedevo un po' complicato, soprattutto per mia moglie. Alla fine, però, andai a Ferrara, capitando nel posto giusto al momento giusto. Infatti, negli anni Settanta, la matematica italiana delle superfici minime era all'avanguardia nel mondo. Il matematico più famoso in questo campo era Ennio De Giorgi, morto nel 1996, tre mesi dopo avermi concesso una lunga intervista televisiva a cui tengo moltissimo. A Ferrara, in particolare, c'era Mario Miranda, l'allievo prediletto di De Giorgi, e in quella città ebbi occasione di incontrare anche Enrico Giusti ed Enrico Bombieri, il quale nel '76 vinse la medaglia Fields e in seguito si trasferì a Princeton, dove vive tuttora.
. Il matematico più famoso in questo campo era Ennio De Giorgi, morto nel 1996, tre mesi dopo avermi concesso una lunga intervista televisiva a cui tengo moltissimo. A Ferrara, in particolare, c'era Mario Miranda, l'allievo prediletto di De Giorgi, e in quella città ebbi occasione di incontrare anche Enrico Giusti ed Enrico Bombieri, il quale nel '76 vinse la medaglia Fields e in seguito si trasferì a Princeton, dove vive tuttora.
Quindi io mi ritrovai a lavorare con un gruppo di matematici di altissimo livello. Nel 1973, mi capitò di risolvere un problema, aperto da due secoli, su "superfici minime e capillarità", ottenendo un risultato che successivamente si rivelò utile anche per le sue applicazioni nei voli spaziali della NASA. Il relativo lavoro, pubblicato in italiano su una rivista di Ferrara, fu presto citato a livello internazionale e mi permise di balzare a un certo livello di notorietà, e di diventare quasi immediatamente, dopo soli due o tre anni, assistente e professore incaricato all'Università di Trento. Successivamente, nel campo della ricerca mi trovai nella stessa situazione in cui si trova un regista quando, realizzato un primo film bellissimo, poi non sa cosa proporre nel secondo: di fatto, non mi capitò più di risolvere un altro problema di quella portata.
D.: Come le è nato l'interesse matematico per le bolle di sapone? • R.: Quando mi laureai, nel 1970, non sapevo nulla di superfici minime. Poi, però, come accennavo, mi recai a Ferrara, che all'epoca era, assieme a Pisa, il più importante centro italiano ad occuparsi di tale argomento. Quindi non scelsi io di occuparmene: capitai lì, a Ferrara, e come primo problema da studiare mi proposero quello su superfici minime e capillarità, aperto ormai da duecento anni, e su cui lavoravano molti americani e tedeschi. E devo dire di essere stato fortunato, perché il mio articolo con la soluzione del problema in questione, raggiunta con Mario Miranda e grazie a qualche idea suggeritaci dall'amico Bombieri, uscì nel maggio del '73, mentre tre mesi dopo fu pubblicato quello redatto da un matematico tedesco che aveva un po' copiato le mie idee: se fosse accaduto il contrario, sarebbe stato un guaio! Dopo questo lavoro sulle superfici minime, mi interessai all'argomento in relazione alle bolle di sapone, diventando amico di parecchi matematici che pure se ne occupavano. Così, nel '76 o nel '77, mi venne l'idea di realizzare un film sulle bolle di sapone... ed ecco che allora torna in ballo il cinema! All'inizio, i film li giravo con la RAI, e il loro produttore era mio padre, sebbene io in effetti facessi tutto da solo: con mio padre è sempre stato un po' difficile dialogare. Il film Le bolle di sapone, in particolare, uscì nel '79, e nell'86 andò in mostra alla Biennale d'Arte di Venezia
D.: E cosa pensa del film A beautiful mind? • R.: Beh, lo stesso si può dire per tale film, che in America ha vinto ben quattro Oscar. La matematica in esso non c'è, pur essendo un'opera sul matematico John Nash; ma non deve esserci, perché non consiste in questo lo scopo di un film che dura due ore. A beautiful mind mi è piaciuto molto, tanto che, a suo tempo, lo presentammo in anteprima a Venezia, grazie anche al permesso del regista. In quell'occasione venne pure il matematico che aveva fatto da consulente per il film: ci raccontò di essersi arrabbiato moltissimo - come pure John Nash - perché nell'opera vi sono parecchie incongruenze e alcuni particolari inventati. Il film mostra addirittura alcune scene in cui il figlio di Nash rimane sempre piccolo, nonostante siano trascorsi dieci anni. Ma un film è un film, per cui deve funzionare in quanto tale: deve, cioè, funzionare come linguaggio; il resto non interessa. Il vantaggio offerto da un'opera che parli di matematica è che poi ci può essere una ricaduta positiva per i matematici, ma il film non è stato realizzato per questo: è stato girato per ricavarvi più soldi possibili! Tra l'altro, era la prima volta che tre major americane si mettevano insieme per fare un film;
e il pensare di realizzarlo su un matematico che fu schizofrenico per quarant'anni non era, in fondo, così ovvio. Nel film, quindi, le parti che riguardano la matematica sono pochissime e non necessariamente fedeli: il matematico consulente del film raccontava di essersi arrabbiato moltissimo durante le riprese della famosa lezione di Nash sull'ipotesi di Riemann, perché il regista aveva detto alla troupe: «Adesso andate alla lavagna e scrivete tutta la matematica che vi ricordate!». Perciò, tutto quello che compare scritto sulla lavagna è privo di senso. Ma la macchina da presa inquadra il protagonista, e quindi nessuno del pubblico guarda le formule. E anche se qualcuno guardasse la lavagna, come potrebbe capire queste ultime? Vi riuscirebbero solo i matematici, cioè una percentuale infinitesima degli spettatori.
D.: C'è bisogno, oggi, di più studenti di matematica? • R.: No, io non credo, tutto sommato, che il numero di studenti di matematica sia inferiore alle necessità. È insensato avere troppi studenti rispetto alla capacità di assorbimento del mondo del lavoro: è quel che accade, per esempio, al corso di scienze della comunicazione qui a Roma, dove al primo anno vi sono 5.000 studenti che frequentano le lezioni al cinema. Ciò significa prendere in giro le persone: tra due anni non ci sarà più bisogno di nessuno di loro; e all'estero sapranno perfettamente se una persona si sarà laureata in un corso che comprendeva 5.000 studenti e assistendo alle lezioni nei cinema anziché nelle aule universitarie! A matematica e a fisica, una quindicina d'anni fa si verificò un boom eccessivo di iscritti. Adesso, invece, gli studenti di matematica sono forse leggermente al di sotto del numero auspicabile, ma sicuramente c'è più bisogno di informatici. Ed è un bene che i corsi di laurea in matematica e in informatica siano stati divisi, perché in precedenza esistevano molte ambiguità. Del resto, mentre quando ero studente io, tutti coloro che studiavano matematica applicata erano giudicati imbecilli, oggi, al contrario, tale materia viene considerata non solo allo stesso livello, ma addirittura anche di più della matematica pura: sono nati così alcuni nuovi corsi di laurea, tra cui quello specialistico in ingegneria matematica creato da Quarteroni a Milano
. Il dramma attuale, per chi fa matematica, consiste nel fatto che, dopo il dottorato e le borse di studio, non si presentano sbocchi. Di soldi, infatti, non ce ne sono più, e le assunzioni sono bloccate: i concorsi per ricercatore sono bloccati, quelli per associato sono bloccati... è tutto bloccato! Inoltre, i dottori di ricerca, per tenere 3-4 corsi universitari, sono pagati 1.700 o, al massimo, 2.000 euro l'anno, che è una cifra ridicola. Per di più, i corsi li dovrebbero tenere i "vecchi", che sono, appunto, pagati per questo, mentre i giovani dovrebbero fare ricerca e occuparsi assai meno di tali incombenze: questo è il vero problema dell'università italiana, che secondo me è veramente insensata.
D.: Inoltre, l'età media dei docenti universitari è molto alta... • R.: Sì, l'età media dei docenti, qui all'Università di Roma, è di 56 anni, perché la metà di noi sono entrati fra gli anni Settanta e Ottanta. E nel resto dell'Italia non è che la situazione sia molto diversa. Per questo motivo, il bloccare per due anni le assunzioni di nuovi ricercatori è un suicidio: i giovani vanno via e non ha luogo il normale ricambio degli associati e ordinari
. Di conseguenza, l'università sarà costituita tutta da vecchi "generali" e non vi saranno giovani in gamba! Non ci si pensa, ma tra cinque o sei anni, di colpo, nel giro di soli tre anni, la metà dei docenti andrà in pensione: dove sono, dunque, coloro che prenderanno degnamente il loro posto? Occorre che qualcuno formi adesso i ricercatori e i professori che verranno dopo di noi, ma "formare" significa anche "dare delle prospettive". Oggi le prospettive dei ragazzi che si laureano, anche se sono molto bravi, consistono, se va loro bene, nel frequentare il dottorato per quattro anni e, successivamente, nel tirare avanti con assegni di ricerca e con borse di studio. Quindi le giovani leve hanno la prospettiva di ritrovarsi disoccupate verso i 33-34 anni: chi è così stupido da intraprendere tale carriera in Italia? Perciò, chi può se ne va all'estero; perfino mio figlio e sua moglie, entrambi architetti, vivono e lavorano a Parigi.
La situazione attuale del nostro paese è intollerabile, a causa di tutto un meccanismo perverso; ed è un peccato, perché l'Italia vantava ottime università e centri di ricerca di eccellenza. Noi, con il Sessantotto, volevamo cambiare le cose, ma in realtà ci siamo riusciti solo in parte. Però non si può continuare così, perdendo competitività come paese e non dando ai ragazzi la possibilità di crearsi una famiglia, di avere dei figli; ciò è colpa anche nostra, dei professori universitari, che sono degli "elefanti" con poca voglia di cambiare lo stato delle cose.
Come si fa a compiere una buona divulgazione o, come lei preferisce dire, "diffusione della cultura"? • R.: Secondo me, una delle chiavi importanti è l'etica, di cui non si parla mai. Per etica intendo l'etica del linguaggio, di quello che si dice. Occorre, cioè, usare un linguaggio etico, dal momento che nel nostro mondo la chiacchiera sembra aver sostituito la conoscenza: in altre parole, sembra che il "parlare" di un argomento o il sentirne parlare coincida con il "conoscere"; in realtà non è così, non funziona così. Rispetto ad altre discipline, la matematica ha il grande "handicap" di dimostrare quello che dice: perciò, in qualche modo, è "eversiva". Il grande problema iniziale che si presenta con gli studenti non di matematica, e anche con alcuni di matematica, consiste nel riuscire a insegnare loro qualche nozione di logica - ad esempio: "detto ciò, questa è la conseguenza..." - perché non sono abituati a ragionare. Io credo, quindi, che occorra applicare un'etica del linguaggio, ovvero usare un linguaggio chiaro, sobrio, non enfatico né narcisistico. Rientra nel campo dell'etica, per intenderci, il non andare a intervistare a casa una persona alla quale hanno appena rapito il figlio.
La mia prima moglie, biologa e figlia di un famoso anatomo-patologo, morì nel 1998 di cancro al pancreas, e io con lei ho vissuto da vicino la storia Di Bella, che è emblematica della cattiva divulgazione scientifica. Venne infatti costruita una storia sul nulla, perché i risultati della sperimentazione furono negativi nel 98 percento dei casi, e, nel 2 percento, né negativi né positivi. Ma gli effetti di quella campagna televisiva cominciata da Santoro, che per primo portò Di Bella in televisione, si rivelarono drammatici. Quando parlo di etica, quindi, intendo dire che occorre essere consapevoli di ciò che facciamo, sebbene in matematica, forse, si rischino pochi danni con un comportamento non etico. Dire in televisione che tutti, seguendo certe cure, possono guarire - al punto che il Governo, per finanziare la cura, introduce un ticket, facendolo pagare ai malati di cancro - è un esempio di cattiva divulgazione. L'etica deve spingere chi si occupa di diffusione della cultura ad andare cauto in ciò che fa: perché quello che viene detto in televisione, o scritto sui giornali, arriva a centinaia di migliaia di persone, e può darsi che provochi danni ad almeno una di esse.
D.: Un altro problema è quello dell'abuso della matematica... • R.: Infatti. I miei studenti mi accusano di essere sempre autoreferenziale. Ma una volta mi capitò di essere invitato in una trasmissione di RaiDue dedicata al Lotto, tra i cui ospiti vi erano anche Little Tony - in quanto aveva vinto giocando tre numeri sulla ruota di Venezia - e Roberto Vacca. Il tema della trasmissione era cercare di capire se i sistemi servano per vincere. Quando toccò a me di parlare, dissi: «Sono tutte fesserie, per carità! Sperate che vostra moglie o vostro padre sognino i numeri giusti, e su quei numeri giocatevi al Lotto cinquemila lire, o una cifra del genere. Magari, se volete, cambiate ruota; ma questa storia dei sistemi che fanno vincere è veramente una sciocchezza, perché, se andate a calcolare la probabilità che avete di vincere anche giocando dieci milioni di lire, scoprirete che essa è talmente irrisoria da risultare praticamente uguale a zero. Cioè, giocare mille lire o giocare cinquanta milioni è lo stesso: perciò, giocate mille lire!». Il conduttore allora ribatteva: «Ma si vince...». E io ribadivo il concetto: «Certo, può darsi che uno vinca; ma, anche se giocate milioni, la probabilità di vincere non aumenta praticamente di nulla». Dopo, nel momento in cui andava in onda la pubblicità, il conduttore mi disse: «Ma allora, la pianta di dire queste cose? Io faccio una trasmissione che viene seguita da sei milioni di persone...».
«Beh, e che me ne importa se è seguita da sei milioni di persone?», gli dissi io, «mi è stato chiesto se valga la pena di buttare i soldi per vincere, e io ho risposto no, che non ne vale la pena, perciò divertitevi, giocate mille lire, e fine!». Quello che le ho appena raccontato è un tipico esempio di abuso della matematica, benché io debba ammettere che la smorfia mi diverte moltissimo. Chiaramente, come nel caso Di Bella, posso citare anche cento o duecento persone che al Lotto hanno vinto miliardi - o che sono guarite - ma questo non vuol dire che la probabilità del verificarsi di un certo evento non sia praticamente zero. Quindi, più che un problema di matematica, si tratta di un problema di logica: oggi mancano i nessi logici, la capacità di ragionare, non tanto quella di fare i conti. D.: L'intervista si conclude qui. Grazie di tutto. R.: Non c'è di che.
D.: L'intervista si conclude qui. Grazie di tutto. • R.: Non c'è di che. • Per quehttp://www.matematicamente.it/cultura/interviste_a_matematici/intervista_a__michele_emmer_200710091783/6/sta interivta si è fatto riferimento al sito :