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UOMINI COME RONDINI. Emigrazione italiana Il comune e la sua attività Attività correlate. “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.
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UOMINI COME RONDINI • Emigrazione italiana • Il comune e la sua attività • Attività correlate
“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.” (Art. 35, Costituzione italiana del 1948)
L’emigrazione: quando e perché • Una breve discussione storica, sociale ed economica • L'emigrazione meridionale ha inizio solo dopo l'unità d'Italia. Le ragioni storiche della prima emigrazione meridionale della seconda metà del XIX secolo sono da ritrovare proprio nelle pesanti conseguenze dell’unità, che daranno origine alla cosiddetta “questione meridionale”. La questione meridionale fu un grande problema nazionale dell'Italia unita, derivato soprattutto dagli sbagli dell’allora governo sabaudo nell’affrontare i problemi locali di regioni fino a quel momento sconosciuti. La pressione causata dalle continue ronde delle forze armate, il notevole aumento delle tasse, le devastazioni del territorio sanate solo dopo molto tempo, la mancanza di concreti interventi sull’economia: queste furono le principali cause del malcontento dei meridionali. Oltre a ciò, lo Stato non reinvestì il denaro ottenuto al Sud, ma solo al Nord. Di conseguenza, si ebbe lo sviluppo di tre fenomeni: il brigantaggio, la mafia, l’emigrazione. Giustificata quest’ultima con le difficoltà economiche e le susseguenti crisi agrarie, lo Stato si trovò ad affrontare il brigantaggio, che consisteva nella resistenza delle popolazioni meridionali ai conquistatori del Nord attraverso scorrerie, boicottaggio et similia. Per loro tutti coloro che non fossero meridionali erano piemontesi. Il fenomeno mafioso, che tuttora si pone come problema emblematico, ebbe origine dal bisogno della popolazione di uno stato in cui riconoscersi: infatti, il menefreghismo del governo centrale aveva causato perfino la mancanza della cultura di un paese, di un’Italia unita. L’emigrazione massiva degli abitanti del Mezzogiorno contribuirà al mancato sviluppo economico causando una carenza di manodopera; a ciò si aggiungerà il ritardo nell’istituzione dell’obbligatorietà dell’istruzione e alla relativa garanzia di attuazione da parte dello Stato.
L’emigrazione dal Sud al Nord al giorno d’oggi • L’emigrazione dal Sud verso il Norddell’Italia è un fenomeno ancora attuale. Tra il 1990 e il 2005 quasi 2 milioni di cittadini italiani sono stati costretti ad abbandonare il Sud per andare a trovare un impiego al Nord. Il fenomeno, paragonato a quello degli anni ’50 e ’60, non è calato di molto in percentuale. Oggi, a differenza di una volta, non c’è la certezza di trovare un lavoro una volta emigrati, ed è aumentato il numero di coloro che, non riuscendo a garantirsi un impiego, sono costretti a ritornare da dove erano venuti. I contorni economici del fenomeno sono profondamente diversi da quelli del dopoguerra. Da sempre le cosiddette “rimesse” venivano spedite dagli emigrati per sostenere i membri della famiglia che erano rimasti al paese d’origine. Nella moderna emigrazione sono i genitori che sostentano i figli, recatisi altrove per studiare e/o lavorare, che non riescono a coprire le spese che il vivere comporta.
ITALIA Lazi Pu C B Sa ca Sicilia
Sardegna Nella prima metà del Novecento l’emigrazione sarda interessa una piccola percentuale della popolazione, e consiste soprattutto in movimenti dall’isola all’Europa o al continente americano. Dagli anni ‘50 si verifica una consistente emigrazione dalla Sardegna verso il resto dell’Italia, in particolare Lombardia e Piemonte, a causa del boom economico di cui beneficiava il resto della penisola. La Sardegna era una regione piuttosto povera a quel tempo e, negli anni precedenti la guerra, aveva subito diverse ondate di siccità. L’economia di allora si basava prevalentemente sull’estrazione mineraria e sulle coltivazioni, in particolare di grano e vite. La crisi si dovette alla pressione fiscale attuata nel periodo post-Unità d’Italia, ribasso del costo dei prodotti agricoli, miniere di piombo e zinco in esaurimento e relativo calo di prezzo di vendita. L’emigrazione sarda causò un grave problema alla regione: non avendo mai avuto un grande numero di abitanti, la Sardegna giunse quasi a ritrovarsi senza braccia per l’agricoltura. Negli anni ’50 gli emigranti sono soprattutto gente di città, negli anni ’60 in fenomeno coinvolge anche le campagne. Roma, Genova, Milano e, soprattutto, Torino sono le città recettrici degli emigrati sardi. L’emigrazione è “specializzata”: mentre nel Piemonte emigrano soprattutto contadini e operai sardi attratti dalle industrie in rapido sviluppo, nel Lazio, ad esempio, emigrano soprattutto pastori e funzionari d’ufficio, questi ultimi diretti a Roma. In Piemonte i sardi vengono utilizzati soprattutto per la costruzione di opere pubbliche.
Negli anni ’50 il livello di istruzione degli emigranti è piuttosto basso; dal 1963 si registra un inversione di tendenza, con l’arrivo di manodopera qualificata. Le motivazioni dell’emigrazione sono riconducibili al fattore economico, ma non solo: era diffusa anche un’insofferenza da parte delle nuove generazioni verso il modello culturale preesistente; i giovani vanno quindi a ricercare un nuovo stile di vita oltre al lavoro. Tra il 1961 e il 1971 il Governo mette a punto il cosiddetto piano di rinascita, che prevedeva il rapido sviluppo dell’industria. La principale conseguenza è che l’aumento del benessere delle zone già abbastanza sviluppate, come le città costiere, e il generale impoverimento dell’hinterland. Il piano causa una diminuzione del fenomeno migratorio, che toccherà il suo apice nel 1971, fino agli anni ’90, quando esso riprende consistenza. Per riassumere, ecco qualche numero: tra il 1955 e il 1971, su 307.759 sardi che emigrano nella penisola, ben 71.220 sono diretti in Piemonte, per un totale di oltre 175.000 in tutto il Nord Italia.
Sicilia L’emigrazione siciliana è corredata da ampie fonti letterarie, soprattutto poesie e racconti. E’ stata l’ultima ad avere inizio, ma fu da allora costante e numerosa. Visto l’aumentare della popolazione, che creava eccedenza di manodopera, e la coincidente crisi del prezzo del grano, molti siciliani si trovarono a dover prendere una decisione drastica, pur rimanendo particolarmente legati alla propria terra: dapprima rivolti quasi totalmente verso gli Stati Uniti (87% su 1.126.513 emigranti fino al 1920), dopo il secondo conflitto mondiale i Siciliani si sono diretti alle regioni settentrionali, rendendo nel frattempo la loro terra d’origine la seconda regione per numero di emigranti dopo la Calabria.
Su 400.000 emigranti circa, un quarto si trasferiva in America, un altro quarto al Nord Italia (percentuale minore delle altre regioni) e il restante 40% viaggiava fino al Nord Europa, in particolare Germania. La deruralizzazione della Sicilia nel secondo dopoguerra contribuirà a frenare i flussi migratori. La manodopera che emigra è quasi totalmente non qualificata, soprattutto per via dell’analfabetismo, che prima della Grande Guerra raggiunge il 90%, mentre dopo la Seconda si attesta sul 70%.
Puglia Nei primi decenni dell’Ottocento la Puglia era meta di braccianti provenienti dalle regioni vicine che cercavano impiego nei campi durante la mietitura, o comunque solo per una parte dell’anno. I pugliesi che emigravano altrove costituivano allora un numero abbastanza limitato. Con la crisi agricola di fine Ottocento coloro che prima venivano in Puglia emigrarono oltreoceano, e i pugliesi stessi furono costretti a emigrare dapprima sulla costa adriatica, poi negli Stati Uniti e, soprattutto, in Argentina, collegandosi alle rotte che quotidianamente partivano dal Veneto, altro luogo di esodo. Coloro che invece non decidevano di partire si recavano in Francia o in Germania, creando folte comunità in Baviera. Dalla penisola salentina si registrava anche una moderata emigrazione verso i Balcani, sulla costa opposta. Tutto ciò rimaneva comunque su basse proporzioni numeriche, circa la metà rispetto ai flussi relativi alle altre regioni.
Tra le due guerre la meta preferita fu Roma, che raccoglieva anche fenomeni migratori da altre regioni. Dopo la seconda guerra mondiale lo Stato cercò di fermare la forte emigrazione con delle riforme agrarie, ma gli interventi non furono né sufficienti né applicati in tempi brevi. Così, il pellegrinaggio verso Roma triplicò di volume, ma questa volta la Città Eterna era solo una tappa: la destinazione finale era il cosiddetto triangolo industriale (Torino, Genova, Milano), dove i pugliesi si misero al servizio dell’industria e dell’agricoltura; i salentini non disdegnarono tuttavia l’Argentina, una seconda patria per molti italiani.
PAESI EMIGRANTI “Povera terra quanto sangue perdi, quello più giovane che ti faceva forte questo salasso che te lo porta via, ti fa pallida e anemica come la morte: è cura peggiore della tua malattia. Il tuo migliore va nelle arterie altrui in popoli con più banche e meno vigore e tornerà alle tue vene che avrà già dato linfa vitale a chi, inerte e stanco, rimanderà nel tuo cuore scorie letali. Tu grande madre senza i tuoi figli e affranta pieghi i tuoi giorni, riposi con dolore, ed oggi quasi sembrano migliori persino i vecchi albori menzogneri. Come la luce di quel lontano faro che vagheggia di terre nuove per i tuoi figli ed invece bugiardo come un baro cela la lama e ti pugnala al seno e tu dissangui lungo le tue frontiere.” (F. Martella, Poesie e racconti dalla cenere di una quercia, 2005)
Calabria L’emigrazione calabrese, dovuta principalmente alla miseria che aveva da sempre condizionato la regione e, come aggravante, al “furto” di tutti i beni dei calabresi, insieme agli altri, dalle casse del Banco delle Due Sicilie, fu sin dalle origini, ovvero l’immediato post-Unità d’Italia, molto voluminosa.Pochissimi tra gli emigranti avevano ricevuto un’istruzione, perciò costoro dovettero adattarsi ai lavori più umili. Tra l’Unità d’Italia i il primo conflitto mondiale, tra immigrazione clandestina e non, emigrò certamente più di un milione di calabresi. Le direzioni del primo flusso furono principalmente due: Argentina e Brasile; tra le due guerre il numero della partenze calò e cambiò anche la meta principale, spostandosi agli Stati Uniti. La massiccia emigrazione danneggiò ovviamente l’economia, in particolare l’agricoltura, che dava da mangiare, con qualche difficoltà, a tutta la popolazione.L'esodo migratorio riprese in maniera notevole dagli anni '50 in poi, soprattutto dalle regioni meridionali verso le grandi città industrializzate della Pianura Padana. Contemporaneamente si svolgeva un'emigrazione massiccia verso i paesi più sviluppati d'Europa, Belgio e Francia tra tutti. Proprio la Francia è teatro di numerose proteste contro gli immigrati italiani, accusati di portar via il lavoro ai francesi. Nonostante il passare degli anni l’emigrazione calabrese al Nord è ancora oggi il flusso principale insieme a quello siciliano.
Campania Napoli, prima dell’Unità d’Italia, era la città più importante del regno borbonico, e attraeva la popolazione delle altre regioni del regno in cerca di miglior fortuna. Per ragioni storiche era presente un marcato legame con la Spagna, cosa che faceva affluire un buon numero di Napoletani in Spagna. Il porto di Napoli, nella prima fase dell’emigrazione, fu uno dei principali per numero di partenti. Le loro direzioni erano soprattutto l’America e il Nord Italia (flusso che crescerà notevolmente nel secondo dopoguerra). A parte il circondario di Napoli, il resto della Campania si spopolò moltissimo. Da Benevento e Avellino si ebbero molte partenze per le Americhe; dal Salernitano si creò un unico flusso di partenti, comprendente anche la Basilicata e il Nord della Calabria. L’emigrazione fu soprattutto causata dal “furto” delle casse del Banco delle Due Sicilie e dai problemi a rendere fertile il territorio, devastato dai piemontesi durante la guerra.
Negli anni Cinquanta il flusso ebbe delle modifiche: la prima tappa degli emigranti era Roma, dove gli emigranti decidevano se tentare la traversata oltreoceano, rimanere lì o proseguire; dopodiché la maggior parte di loro si recava nel Nord Italia, Lombardia e Piemonte in particolare, per essere assunti come operai. Spesso la famiglia era preceduta da un membro (solitamente il padre), che prima trovava un lavoro e una sistemazione e poi veniva raggiunto dalla famiglia. Riguardo alle mete estere, dal Nord Italia gli emigranti continuavano il loro viaggio fino in Germania, dove col tempo si è creata una folta comunità di napoletani. Rimarchevole il volume delle rimesse, non altrettanto quello dei ritorni, che comunque sono maggiori di altre regioni.
Lazio Nel 1871 ancora non era presente il concetto di territorio laziale. Quest’ultimo ha avuto origine dalla fusione di residui dello Stato della Chiesa (province di Roma e Viterbo) con territori prima appartenenti al Regno delle Due Sicilie (Frosinone). Ciò, unito alla mancanza sostanziale di fonti, impedisce di realizzare un quadro completo dell’emigrazione laziale. Una delle poche cose certe, determinata dal panorama descritto precedentemente, è la grande diversificazione delle cause dell’emigrazione di questi luoghi e delle classi sociali che colpiva. Oltre a ciò, i partenti da Roma non erano assolutamente tutti provenienti dal Lazio ma, probabilmente con un’alta percentuale, dalle regioni meridionali. Riguardo ai flussi post-1945, si ha un’emigrazione massiva, soprattutto dal frusinate, da parte dei contadini, la cui terra era stata enormemente devastata in guerra e piena di ordigni bellici. Le loro mete furono prevalentemente i paesi esteri (Stati Uniti, Canada e Francia in particolare). Da sottolineare il costante flusso di rimesse in tutto l’arco temporale delle migrazioni destinato alle famiglie rimaste a casa e l’alto numero di rientri per investire il denaro guadagnato, arricchendo così il luogo d’origine; oltre a ciò, gli emigranti aiutarono la creazione di legami economici tra il Lazio e il luogo in cui si trovavano. Dopo il 1990 il flusso migratorio è calato notevolmente.
Basilicata Già da secoli in Basilicata erano in atto migrazioni stagionali per via della alta percentuale montuosa della regione; le mete principali erano la Puglia, sede di una fiorente e vastamente praticata agricoltura, e il salernitano. La maggior parte degli emigranti si offriva in qualità di bracciante per la raccolta del grano, dell’uva, per la pastorizia etc. Nei primi anni del ‘900 la scelta sul luogo in cui emigrare cadde sull’America per via del minor costo del viaggio. Tra le due guerre le principali mete furono il Nord e il Centro Europa, spesso per lavori temporanei, e il Nord Africa. Nella seconda metà del Novecento i lucani si distinsero particolarmente tra gli emigranti: la maggior parte di loro, infatti, sapeva svolgere un mestiere; perciò furono davvero pochi coloro che cercarono lavoro come semplici manovali. Gli emigranti fornivano i loro servigi di elettricisti, argentieri, calzolai soprattutto negli Stati Uniti, Argentina (macellai e impiegati nell’edilizia), Germania, Svizzera, anche se una buona percentuale di essi si era diffusa a macchia di leopardo nel Nord Italia. Da notare, per concludere, che se alcune caratteristiche si sono con il tempo stemperate, non è mai diminuita la spinta a partire. Ancora negli anni 1990-2000 si andava in Germania, Francia e Belgio, mentre era vigorosa l’emigrazione qualificata verso le grandi città italiane. Questo è uno dei motivi per cui la Basilicata è attualmente la terz’ultima regione in Italia per numero di abitanti.
Flussi interni minori Oltre a quelli principali, la cui quasi totalità ha origine nel Mezzogiorno, si hanno numerose correnti migratorie in Italia con diverse origini e proporzioni ridotte. In particolare, si evidenziano alcuni fenomeni riguardanti il basso Centro Italia, diretti prevalentemente verso Roma e accomunati dalla scarsità del loro volume, oltre che dalle motivazioni. Per quanto riguarda il Sud, in tempi recenti c’è stata un’importante modifica nell’itinerario migratorio, ora diretto sulla costa adriatica; oggi il Veneto è la regione che accoglie il maggior numero di emigranti italiani, insieme al circondario di Roma. Curioso notare come il Veneto, che un centinaio di anni fa era la prima regione per numero di emigranti, sia diventato oggi il primo accettore di emigranti; frutto del reinvestimento del guadagno dal Sud. E’ altrettanto rimarchevole la disparità di volume dei flussi, numericamente concentrati ancora oggi al Sud. Altri flussi minori riguardano il fenomeno dell’inurbamento, con la gente che, negli ultimi cinquant’anni, ha lasciato valli alpine (soprattutto in Piemonte e Lombardia) e altri luoghi parimenti isolati per stabilirsi nella città industriali. Anche in questo caso, oggi si registra un’inversione di tendenza, con la classe medio-benestante che preferisce abbandonare l’atmosfera caotica della grande città.
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Argentina Tra il 1871 e il 1930 furono più di 16 milioni gli italiani ad emigrare all’estero in cerca di migliori opportunità di lavoro. I piemontesi erano circa 2 milioni, ben 380.000 dei quali si stabilirono in Argentina: in parte a Buenos Aires, altri a Santa Fé, Cordoba, Mendoza. Questi emigranti pagavano con il loro espatrio il prezzo imposto dal processo d'industrializzazione del Paese, in cui l'utilizzo sempre più diffuso delle macchine rendeva superflua molta forza lavoro. I piemontesi emigrati trovavano lavoro come contadini e allevatori nelle pampas e come muratori e carpentieri in città. La loro fu una storia di duro lavoro e di sacrifici, ma ebbero il vantaggio di trovarsi in un paese in cui si era appena avviato lo sviluppo dopo i moti rivoluzionari che avevano coinvolto tutto il Sud dell’America a cavallo della metà del secolo. Di conseguenza, le opportunità di lavoro erano tante, e il gran numero di italiani emigrati in Argentina influì pesantemente sulla cultura del luogo (ad oggi il 50% della sua popolazione è di origine italiana). Ancor oggi c’è un forte scambio culturale tra Italia e Argentina, con flussi provenienti da quest’ultima per le stesse ragioni.
Stati Uniti d’America Tra il 1880 e il 1915, periodo d’esodo, approdano sulle coste statunitensi per necessità lavorative ben 4 milioni di italiani, il 50% dei quali rientrerà in Italia negli anni Dieci e Venti. Il 70% di questi era meridionale, ma prima del Novecento era il contrario: gli emigranti dal Nord Italia costituivano oltre il 50% del totale. Gran parte di loro si stabilì a New York, dove nel giro di pochi anni sorse il “ghetto” di Little Italy a Manhattan, un quartiere di case popolari nato appositamente per ospitare gli operai italiani, che all’inizio ebbero problemi con la lingua e l’integrazione, superati solo con il passare degli anni. Dapprima costretti ad umili lavori di fatica, con il tempo gli italiani riuscirono ad ampliare la loro sfera d’influenza aprendo piccole attività, fino a controllare il commercio del loro quartiere. In questa crescita si intromisero anche le associazioni mafiose, che utilizzarono dapprima l’America in generale come “succursale”, e poi come separata centrale di controllo. L’emigrazione verso il continente americano settentrionale continuò fino agli anni ’80, anche se già dal ventennio fascista il numero di emigranti calò sensibilmente.
La vicenda di Sacco e Vanzetti Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti erano due anarchici italiani. Emigrati rispettivamente dalla Puglia e dal Piemonte nel 1908 e stanziatisi entrambi nel Massachussets, si distinsero particolarmente nel quinquennio 1912-1916 per il loro attivismo politico, che li portò a conoscersi e ad essere promotori un’associazione di anarchici italo-americana. Sacco era un operaio che lavorava in una fabbrica di scarpe, e dopo le dieci ore quotidiane di lavoro, era solito tenere discorsi nelle piazze chiedendo a gran voce condizioni lavorative più umane e maggiori salari. A causa della sua propaganda antigovernativa passò diverso tempo in prigione nel 1916. Vanzetti era invece un lavoratore più flessibile, e coltivava la passione della lettura (Marx e Dante in particolare), da cui derivò la sua linea ideologica. Nel 1916, dopo aver guidato una rivolta in una fabbrica, decise di seguire il progetto degli altri anarchici, ovvero evitare la coscrizione per la Prima Guerra Mondiale fuggendo in Messico. Anche Sacco, nonostante non si conoscessero, decise di fare lo stesso. Così si conobbero in Messico, e decisero di unire loro sforzi politici per ottenere maggiori risultati. Non sapevano ,però, che lo Stato li teneva sotto controllo; erano gli anni della Paura Rossa e, sebbene non si riconoscessero nel comunismo, erano ormai stati inquadrati come anarchici radicali, una delle figure demonizzate dalla campagna anti-rossi dello Stato.
Rientrati negli USA, nel 1920 scoprirono che un tipografo amico di Sacco di idee similari alle sue (e di conseguenza incluso nella sopracitata lista), Andrea Salsedo, era stato assassinato, e si vociferava fortemente che fosse stata la polizia. Durante l’organizzazione di un comizio per far luce sulla vicenda, vennero arrestati per affissione di volantini anarchici e, sfruttando il fatto che possedevano una pistola, vennero anche accusati di una rapina in cui erano rimaste uccise due persone proprio da colpi di pistola. Nonostante le forti proteste del popolo (era chiaro che si trattava di una montatura), furono condannati alla sedia elettrica e giustiziati nel 1927. Nel 1977 il loro caso fu riaperto e furono riabilitati. Nel corso di questa ricerca un nostro compagno di classe, anche lui un Vanzetti, ha svolto delle indagini riguardo alle sue origini, scoprendo di avere un bisnonno che è nato vicino al luogo dove nacque Bartolomeo Vanzetti, Villafalletto (CN); non è certo, ma potrebbe esserci un legame di parentela tra le due famiglie.
Australia Nonostante gli emigranti sapessero che il viaggio sarebbe durato circa 3 mesi tra percorso e soste, la miseria in cui vivevano e la speranza di ricchezza li attrasse verso l’Australia, un paese tranquillo che aveva bisogno in quegli anni di lavoratori specializzati per l’agricoltura (le piantagioni di una particolare qualità di zucchero) e per l’industria estrattiva (a quei tempi incentrata sulla produzione di oro). Per aumentare il numero di arrivi i produttori australiani incaricarono alcuni italiani già emigrati da tempo in Australia di reperire lavoratori che fossero utili alla causa. Questo causò un aumento del flusso; oggi l’italiano è la seconda lingua europea parlata in Australia, con più di mezzo milione di persone che la utilizzano. Gli emigranti piemontesi praticarono in Australia diversi lavori: furono cercatori d’oro nelle miniere del Victoria, tagliatori di canna da zucchero nel Queensland, mercanti, artigiani e musicisti, contadini, cuochi ed albergatori.
Francia L’emigrazione verso la vicina Francia è sempre stata massiccia; nel 1911 gli italiani in Francia (il 50% di essi proveniente dal Piemonte e dalla Toscana) divennero il primo gruppo di stranieri nel paese. Oltre agli immigrati stabili, c’era anche un alto numero di lavoratori stagionali che non vengono registrati nelle statistiche. Addirittura, dopo la fine della Grande Guerra, la percentuale di piemontesi sul totale raggiungerà il 70%. Raramente tutta la famiglia si spostava in Francia; solitamente emigrava soltanto il padre di famiglia o un solo membro di essa, a meno che non si trovasse una sistemazione stabile per tutti. Le destinazioni preferite degli emigranti erano Nizza, Lione, le campagne intorno al Rodano, Parigi. I lavori praticati erano molteplici: troviamo inizialmente un gran numero di operai, minatori, contadini, e successivamente impiegati nelle industrie chimiche, siderurgiche e metalmeccaniche.
Dopo il 1918 i piemontesi emigrati riuscirono ad intensificare un fenomeno già parzialmente attuato prima della guerra, ovvero il lavoro autonomo: i contadini divennero proprietari terrieri utilizzando i risparmi di tanti anni di duro lavoro; i manovali crearono imprese edili; furono aperte attività di vendita al dettaglio che rifornivano la stessa popolazione italiana, evitando quindi la dispersione del denaro. Fino al 1970 il fenomeno migratorio rimase abbastanza florido, fino a raggiungere una cifra costante di circa 2000-3000 emigrati all’anno in tempi recenti.
L’emigrazione dai paesi esteri all’Italia L'Italia, per gran parte della sua storia recente, è stato un paese di emigrazione. Solo nel 1973 l'Italia ebbe per la prima volta un leggerissimo saldo migratorio positivo. Negli anni novanta il saldo migratorio ha continuato a crescere e, dal 1993 è diventato il solo responsabile della crescita della popolazione italiana.
Dati Istat 2010: • 4.279.000 stranieri, di cui il 13,3% nati in Italia • Distribuzione nel territorio: - nel Nord-Ovest il 35%, • nel Nord-est il 26,8%. • nel Centro il 25,3% • nel Mezzogiorno e isole il 13%.
Oltre il 50% degli immigrati presenti in Piemonte risiede in provincia di Torino, che conta oltre 110 mila extracomunitari, il 4,9 per cento della popolazione residente. In quota percentuale rispetto alla popolazione, però, è Asti a guidare la classifica, con il 6,3 per cento, mentre nel Verbano c’è la minor concentrazione di stranieri, il 3,7 per cento. Ad Alessandria, che è la provincia dove si ha il maggior aumento percentuale (+0,7 punti percentuali) nell’ultimo anno, gli stranieri extracomunitari sono 23 mila, pari al 5,3 per cento della popolazione, con una crescita particolarmente forte nelle zone di Ovada ed Alessandria.L’incremento è minore invece a Cuneo, che, con i suoi 31 mila extracomunitari, si attesta al 5,5 per cento rispetto alla popolazione residente, e ancora meno a Biella, dove gli stranieri extra Ue rappresentano il 4,3 per cento dei residenti. Stabile la situazione in provincia di Novara, dove gli immigrati sono poco più di 18 mila, il 5,2 per cento, e a Vercelli, che conta poco più di 8000 cittadini extra Ue, pari al 4,8%.
Ogni anno, nei soli Paesi della Comunità, arrivano oltre un milione e mezzo di nuovi ospiti, molti dei quali clandestini e stagionali. Come abbiamo visto, sono svariate le cause di questo flusso migratorio per molti aspetti nuovo nelle forme e nelle dimensioni; fra queste possiamo annoverare l’accentuata divaricazione fra Paesi ricchi e Paesi poveri, la caduta del muro di Berlino, la revisione delle leggi sull’immigrazione da parte dei Paesi tradizionalmente recettori come gli Stati Uniti, ma soprattutto, come si diceva all’inizio, la diffusione attraverso i mezzi di comunicazione di massa del modello occidentale, nei Paesi dell’Est europeo e del Sud del mondo. E' pertanto legittimo chiedersi se si debbano accogliere o respingere coloro che bussano alla nostra porta.Nei prossimi vent’anni i quattro più grandi Paesi d’Europa (Francia, Germania, Regno Unito e Italia) vedranno aumentare la loro popolazione di un milione di persone mentre nello stesso periodo di tempo i Paesi Nord africani (Marocco, Algeria ed Egitto) e i maggiori Paesi del Medio oriente (Siria, Iran, Iraq e Arabia Saudita) aumenteranno la loro popolazione di 150 milioni di unità. ACCOGLIERLI O RESPINGERLI?
IL COMUNE • Introduzione • Il comune è il più piccolo degli enti territoriali, ed è “l’ente che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo” (l. n. 142/1990). • Con le modifiche alla Costituzione degli anni ‘70, il comune è stato riconosciuto come ente autonomo con poteri e funzioni amministrative, regolate dallo Statuto redatto nel 1990. Queste sono state ampliate con l’introduzione del principio di sussidiarietà, inserito nella Costituzione nel 2001. • Le funzioni del comune sono di due tipi: proprie (direttamente attribuite all’ente; es. organizzazione del territorio, sviluppo economico) o delegate (delega da parte dello Stato e/o Regione; es. anagrafe, stato civile, statistica). • Gli atti più importanti che delibera sono il bilancio e il piano regolatore.
Gli organi • Il comune è dotato di tre organi: il Consiglio comunale, la Giunta comunale e il Sindaco. • Il Consiglio comunale • E’ il “Parlamento” del Comune. Eletto ogni 5 anni, è composto da un numero variabile di consiglieri compreso tra 12 e 60, a seconda della popolazione, che non possono essere rieletti per più di due mandati consecutivi. Ha l’incarico di controllare l’operato della Giunta e di approvare gli atti proposti in seduta. Può sfiduciare il Sindaco se si verificano le condizioni.
La Giunta comunale • E’ il “Governo” del Comune, ovvero il suo organo esecutivo; è formata dal Sindaco più gli assessori (gli assistenti del Sindaco, che si occupano nel dettaglio dei diversi settori da gestire). Questi ultimi, scelti dal Sindaco, hanno l’incarico di garantire ai cittadini la regolare fruibilità dei servizi, oltre a proporre gli atti che poi verranno approvati in sede di Consiglio comunale. Non possono essere più di 1/3 dei consiglieri comunali, e comunque non più di 16. Nel merito, i vari assessorati comprendono: • Assessorato al Turismo • Assessorato alle Politiche sportive • Assessorato all’Urbanistica e Programmazione territoriale • Assessorato alle Politiche giovanili e Sociali, alla Sanità • Assessorato alle Finanze • Assessorato alle Politiche ambientali • Assessorato alla Cultura
Il Sindaco Rappresenta il Comune in tutte le sedi ed è responsabile delle azioni dell’amministrazione comunale, della quale è il capo. Si occupa di Pubblica Istruzione e Lavoro, oltre ad avere una notevole autonomia nella gestione del denaro. Può sollevare un assessore dall’incarico o essere sfiduciato dalla Giunta. Oltre al limite previsto dei due mandati consecutivi, può rimanere in carica anche per un terzo se uno dei due precedenti è stato inferiore alle metà della durata prevista. Al Sindaco fanno capo anche diverse funzioni previste dalla l. n. 142/1990 e dalla l. n. 265/1999; tra di esse troviamo la sicurezza e l’igiene pubblico, il potere di coordinazione generale riguardo alle attività e competenze in merito di informazione alla popolazione.
MUSEO DELL’EMIGRAZIONE Frossasco (TO) Il Museo dell'Emigrazione è un'opera di memoria e attualità, una creazione che mira a evocare e dare adeguato rilievo al passato dei processi migratori e a quelli piemontesi in particolare, e a condividere le dinamiche di oggi e di domani verso i piemontesi che vivono e lavorano nel mondo. La sua istituzione è stata voluta fortemente dall'Associazione Piemontesi nel Mondo, ideata e presieduta fin dalla sua costituzione da Michele Colombino e dal Comune di Frossasco che ha destinato un suo edificio ad accogliere nelle diverse espressioni il patrimonio e il valore dei piemontesi e delle comunità piemontesi all'estero.
FRATELLO CLANDESTINO Alcuni di noi, nel mese di Marzo, sono andati a vedere a teatro lo spettacolo “Fratello Clandestino” diretto da Mimmo Sorrentino. E' una storia frutto di una raccolta di testimonianze, che l'autore ha messo insieme creando un testo drammaturgico che presenta cinque giovani clandestini alle prese con i problemi legati all'inserimento nella società italiana. I racconti che ascoltiamo sono accomunati da episodi di violenza, sfruttamento e sofferenza. Percepiamo il dolore che questi giovani si portano dietro e la loro sempre più debole speranza, dopo anni passati tra gli ambienti della criminalità, poi in carcere e in comunità, di costruirsi un futuro migliore. Personalmente, siamo rimasti decisamente impressionati da questa rappresentazione; ciò che forse ci ha colpito maggiormente, turbandoci, è stata la percepibile e cruenta realtà dei fatti narrati. Infatti siamo spesso vittime di un mascheramento di parte della vera faccia del mondo che ci circonda, specialmente se ci affidiamo soltanto a mezzi di informazione come i Media. In questo spettacolo non ci sono mezzi termini, né tentativi di alleggerire le storie violente dei personaggi: abbiamo finalmente una chiara visione ed interpretazione di chi si trova a combattere contro le ingiustizie del razzismo e della incomprensione del prossimo. Gli attori sono realmente immigrati in Italia, e hanno potuto interpretare al meglio le loro parti, basandosi sulle proprie esperienze personali.
Si ringraziano: il. Sig. Fernando Martella la Dott.sa Maritano il Sindaco di Giaveno Daniela Ruffino e il Vicesindaco Carlo Giacone per la consulenza; il Comune di Giaveno per l’organizzazione dell’attività. Lavoro realizzato dalla 2H A.S. 2009/2010 dell’Istituto Superiore B. Pascal di Giaveno e coordinato dai professori Francesco Arcudi e Patrizia Vannini.