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La mente nel corpo II. Giacomo Romano Dipartimento di Filosofia e Scienze Sociali Università degli Studi di Siena, a. a. 2008/2009 Corso di Filosofia della Mente , II parte 04/12/08. Una cognizione senza coscienza.
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La mente nel corpoII Giacomo Romano Dipartimento di Filosofia e Scienze Sociali Università degli Studi di Siena, a. a. 2008/2009 Corso di Filosofia della Mente, II parte 04/12/08
Una cognizione senza coscienza • Per il Cognitivismo è possibile ipotizzare stati cognitivi che non siano coscienti • Eppure noi, esseri umani, ogni qualvolta che siamo impegnati in un processo cognitivo, avvertiamo un senso del sé, ne abbiamo esperienza: IO so quel che sto dicendo e sento che sono IO a provare questa sensazione … • [Disponiamo di un primo chiarimento: per VTR l’esperienza è associata all’avvertire un sé]
Mente computazionale … e mente fenomenologica • Ray Jackendoff compie una distinzione netta tra mente computazionale ed esperienza cosciente; ma qual è il loro rapporto? • Per Jackendoff la mente computazionale, ad un livello intermedio nell’elaborazione dei processi cognitivi CAUSA l’esperienza • Secondo Jackendoff ogni processo cognitivo ha a) un correlato cosciente che b) compone un soggetto conoscente frammentario
Coscienza, epifenomenismo e riflessività • Per Jackendoff questa impostazione cognitivista ha una conseguenza abbastanza notevole: la coscienza non avrebbe un valore causale e quindi sarebbe un epifenomeno • Per VTR occorre cambiare prospettiva nello studio della coscienza e affidarsi all’impostazione orientale nello studio della mente, che riconosce il senso del sé
Sé • Ma che cosa si intende per “sé”? • Tutte le tradizioni riflessive si sono dovute cimentare con la concezione ingenua di un Sé (anche se non è chiaro quale sia) • L’unica tradizione che affronta il problema (per VTR) sarebbe quella derivata dalla pratica della consapevolezza e della presenza, perché ne coglie la contraddizione
Sé ed esperienza • “La tensione fra il costante senso del sé nell’esperienza comune da un lato, e l’incapacità di trovarlo nella riflessione dall’altro, è di centrale importanza nel buddhismo, secondo il quale l’origine dell’umana sofferenza sarebbe proprio in questo tentativo di afferrare e di costruirsi un senso del sé là dove esso non esiste.” (VTR: p. 86)
Sé e tradizione cartesiana • La speculazione cartesiana (e quel che ne deriva) sorge dall’interrogativo sul sé (sulla mente in generale) • Tuttavia questa tradizione non riesce a cogliere la natura dell’Io pensante che è posta a fondamento della conoscenza • C’è un problema comune evidente: perché avvertiamo un sé ma non riusciamo ad identificarlo?
Il sé nell’ Abhi-dharma • In questa tradizione di pensiero buddhista si è sviluppata una riflessione sulla natura dell’esperienza (in particolare di quella del sé) fondata sulla distinzione di categorie* • Nella serie di categorie dei cinque aggregati l’esperienza è considerata in una prospettiva progressiva: forme (rupa); sentimenti/sensazioni (vedana); percezioni (discernimenti)/pulsioni (samjña); formazioni disposizionali (samskara); coscienza* (vijñana)
L’irreperibilità del sé • In nessuna di queste specifiche forme dell’esperienza è possibile individuare il sé, neppure nella coscienza*, che si presenta solamente come un flusso illusorio (metafora della fiamma delle candele) • Il sé è associato all’unità psicofisica del soggetto, ma non si sa bene quale sia la relazione che li lega
La non identità del sé • Nella tradizione occidentale si è provato ad identificare il sé con una entità differente rispetto al soggetto (Cartesio e Kant) • Non vi è modo tuttavia di cogliere l’aspetto processuale del sé, se si distingue dalla realtà del soggetto • La soluzione a questo enigma deve essere ricercata nella pratica (secondo VTR): quella della presenza e della comprensione
Il sé e il cervello* • Le neuroscienze presentano molti dati che confermano la discontinuità dell’esperienza (in particolare nell’inquadratura percettiva) • L’avvertire la discontinuità sarebbe una prospettiva condivisa tra l’esperto nella pratica della consapevolezza e della presenza e il neuroscienziato dotato della conoscenza adeguata ad interpretare i dati forniti dai più recenti mezzi tecnologici
Esperienza e sé • “… l’unica cosa che non abbiamo trovato è un sé o un io realmente esistente. Si noti tuttavia che abbiamo trovato l’esperienza.” (VTR: p. 107) • La scienza, come la meditazione buddhista, hanno mostrato che non esiste un sé corrispondente ad una effettiva entità; ma la scienza non offre alcuna soluzione … almeno la scienza cognitiva tradizionale …
Il sé e il nuovo programma delle neuroscienze cognitive • I progressi più recenti (1991) degli studi cognitivi hanno aperto una nuova prospettiva di ricerca che potrebbe suggerire una soluzione al gap avvertito tra esperienza e senso del sé • L’attenzione delle neuroscienze cognitive si è concentrata sulle proprietà di auto-organizzazione delle unità cerebrali (le aree neuronali e loro interconnessioni)
L’insoddisfazione per il Cognitivismo • Il recupero del principio di auto-organizzazione deriva da due difficoltà del Cognitivismo: • 1) la natura sequenziale della elaborazione di simboli; • 2) la natura localizzata delle operazioni simboliche
L’ispirazione connessionista • Forse non bisogna partire dalle unità astratte e simboliche per descrivere le operazioni del cervello, ma da unità più semplici connesse biologicamente • Un modello di connessione tra le unità elementari del cervello (neuroni) è la regola di Hebb (1949), che può governare una intera rete di neuroni
L’auto-organizzazione delle reti neurali • C’è una tendenza in ogni rete neurale* ad auto-organizzarsi e a creare spontaneamente delle interazioni con altre reti a cui può essere collegata • Questa tendenza si concretizza nella manifestazione di una (o più) proprietà nuova(e) rispetto a quelle possedute dai semplici costituenti della rete
Interazione e auto-organizzazione • Le proprietà emergenti che sono espresse da una rete neurale sono riconoscibili in ogni sistema di elementi interagenti (non solo neurali), senza che queste siano generate da fattori esterni! • … anche se sembrano spiegare particolarmente bene i sistemi cognitivi, composti di solito da sistemi del genere
Connessionismo ed emergenza • I modelli connessionisti sono efficaci nel riprodurre particolari capacità cognitive (riconoscimento, memoria associativa, generalizzazione categoriale), sono simili ai sistemi biologici e comportamentisti; per di più si adattano all’esperienza • I modelli connessionisti sono adatti a rappresentare l’attività cerebrale, che è un fitto sistema di interconnessioni dotato di una coerenza interna di cui non sappiamo esattamente la genesi
La pervasività del Connessionismo* • Anche della percezione visiva* si può disporre di un modello connessionista: non è un processo sequenziale! • In realtà “si può dire che il meccanismo fondamentale di riconoscimento di un oggetto visivo o di un attributo visivo sia l’emergenza di uno stato globale fra gruppi neurali risonanti” (VTR: p. 123)
Il parallelo ardito • L’idea degli aggregati categoriali (skandha) presentato dalla tradizione buddhista si può concepire come una metafora dell’emergenza dei processi cognitivi, in cui non è possibile individuare delle sequenze distinte • La pratica buddhista esamina l’aspetto fenomenologico; ma è pur sempre un fenomeno di emergenza!