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TRAMA • La vicenda ci parla di un piccolo barbiere ebreo reduce dal primo conflitto mondiale, colpito da amnesia in seguito ad un incidente e ricoverato in un ospedale psichiatrico. Uscito anni dopo, lo smemorato protagonista, trova la sua nazione, la Tomania, sotto il regime di Adenoid Hynkel, un cattivissimo dittatore che ha promulgato severe leggi razziali contro gli Ebrei ed è fortemente intenzionato a dichiarare guerra al mondo intero. Fuggito da un campo di concentramento grazie alla sua straordinaria somiglianza con il grande dittatore , il barbiere riuscirà a sostituirsi a quest’ultimo e pronunciare, invece dall’atteso discorso per l’invasione dell’Ostria, un sentito appello alla pace nel mondo ed una difesa appassionata dei valori della libertà e della democrazia.
Da un inizio con il dialogo ridotto al minimo, si giunge fino all’apoteosi finale della parola, con una perorazione-fiume imbevuta di sincera retorica che cala il sipario sull’idea di guerra totale in modo, purtroppo, poco realistico. Molte le sequenze divenute celebri:la performance di rasatura col sottofondo della danza ungherese, l’esilarante comizio iniziale di Hynkel, il dittatore in delirio d’onnipotenza che gioca col mappamondo, l’esilarante incontro tra Hynkel e Napoloni, dittatore di Battalia, efficacia caricatura di Benito Mussolini.
Recensione • È difficile parlare di un film su cui è stato detto tutto e il contrario di tutto. Ne “il grande dittatore” è rappresentata la follia umana, il dolore degli uomini, la farsa, la tragedia, la pantomima. C’è la storia degli uomini oppressi, la guerra sempre ingiusta; c’è Paulette Goddard, Jack Oachie (uno straordinario Napoloni/Mussolini) e c’è Charlie Chaplin, uno dei più eccezionali autori dell’arte cinematografica di sempre. E poi ci sono quei sei minuti finali:una preghiera straziante per l’ umanità, che bisognerebbe far vedere in tutte le scuole e le camere di consiglio del mondo, specie in tempi come questi in cui la guerra e l’intolleranza sembrano l’unica fede di mascalzoni che regolano le nostre vite. Tutto questo Chaplin l’ha detto più di sessanta anni fa, con il coraggio di un genio che in seguito vivrà sulla sua pelle, “da quelli che decidono”. • Ci vuole un gran coraggio per far un film così nel 1940, quando in Europa è già scoppiata la seconda guerra mondiale e Hitler è ancora al suo posto più potente di prima. Eppure è incredibile che ancora oggi il messaggio del piccolo barbiere ebreo sia attualissimo, vuol dire che la stupidità umana non conosce limiti. Però la forza di lottare malgrado le ferite, il desiderio di intraprendere quella bellissima strada che è il futuro, non deve lasciarci mai. Il primo ostacolo nella ricerca della libertà è il potere dentro e fuori di noi, un potere che opprime impedendo alla vita il suo libero fluire.
Il film inizia con una guerra, quella della Tomania che vuol conquistare il mondo. Essa rappresenta simbolicamente anche il conflitto costante tra libertà e potere dentro l’uomo. Nel film la Tomania, sconfitta nella sua pretesa di dominio, cova per anni il progetto di rivalsa, fino all’avvento della dittatura di Hynkel. Così, dentro noi stessi, l’odio e il progetto vendicativo portano a sviluppare il grande dittatore, la nostra parte tirannica che, con le proprie pretese, avvelena giorno dopo giorno l’esistenza nostra e di chi ci circonda.
Tiranneggiare il mondo e la vita si può manifestare in più modi, anche nel rifiutarsi di crescere e nell’atteggiamento continuo di lamento e di pretesa, per rimproverare il mondo di essere stato cattivo e ingiusto con noi. Finchè restiamo inconsapevoli del dittatore dentro di noi, non possiamo affrontarlo e trasformarlo(finché il barbiere vive nell’amnesia, non può affrontare la realtà della vita). È necessario soprattutto contattare la nostra volontà di dominio se vogliamo renderci conto concretamente che, quando essa ha il sopravvento, la nostra energia vitale si congela e noi ci rinchiudiamo nelle nostre gabbie (quando la voce di Hynkel si diffonde nelle strade gli ebrei rientrano nelle loro case e il ghetto diventa deserto).
Il piccolo barbiere ebreo rifiuta l’azione violenta dell’attentato, ma ascolta le sue parti infantili e timide senza negarle ad affrontare un’azione coraggiosa, cioè la decisione di impadronirsi, per quello che è necessario, del potere di Hynkel. Così ha la possibilità di uscire dalla sua condizione di vittima e di perseguitato, e di salire sul palco della vita per parlare al mondo di libertà, di pace e di progresso. Il potere positivo e negativo, se separati, sono l’uno impotente e l’altro distruttivo. Debbono unificarsi e integrarsi per trasformare la storia di ognuno di noi e del mondo. Oggi, l’umanità sta tentando di unificarsi superando le scissioni e le contrapposizioni, rappresentate nel dopoguerra dalla divisione del mondo in blocchi o dal muro di Berlino. La scissione è un meccanismo di difesa dall’odio e dalla distruttività che è radicato nella psiche umana.
La fine della scissione comporta che ognuno-individui, gruppi, popoli- si riappropri del male e dell’odio che è dentro di lui, non per distruggersi o distruggere, ma per utilizzarne l’energia assieme a quella dell’amore, per cambiare se stesso e la storia. La divisione tra ariani ed ebrei, contenuta nel film, rappresenta bene questa scissione che ha caratterizzato l’umanità fino ai giorni nostri. E il piccolo barbiere ebreo, che appropriandosi del potere di Hynkel parla al mondo, rappresenta l’uomo che, divenuto persona nella sua incertezza, vuole unificare l’umanità a un livello più alto e maturo della sua storia. Contro le previsioni di tutti i giorni il film ben presto diviene il portavoce della pace universale, dell’amore fraterno e dell’uguaglianza tra gli uomini.
Chaplin disse : “LA NOSTRA INTELLIGENZA CI HA RESI CINICI; L’INTELLIGENZA DURI E SPIETATI … PENSIAMO TROPPO E SENTIAMO TROPPO POCO”.