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HIV-1 e HIV-2, famiglia Retroviridae, genere Lentivirus, sono gli agenti etiologici dell'AIDS, malattia infettiva contagiosa caratterizzata da una grave compromissione della risposta immunitaria cellulo-mediata che favorisce l'insorgenza di infezioni opportunistiche e di insolite forme di tumori maligni..
E N D
1. 1981-2008E’ cambiata la realtà dell’infezione da HIV?
Facoltà di Medicina VeterinariaUniversità di Pisa
3. Famiglia Retroviridae “umani”
Genere Oncovirus: HTLV-I e HTLV-II
Genere Lentivirus: HIV-1 e HIV-2
Il nome di Retrovirus deriva dal fatto che nella cellula infetta il genoma virale a RNA è trascritto in DNA dall’enzima virale transcriptasi inversa (RT): il DNA così prodotto può quindi entrare nel nucleo ed integrarsi nel cromosoma cellulare.
4. Caratteristiche comuni dei Lentivirus umani ed animali Condivisione di caratteristiche cliniche, biologiche e molecolari.
Tra quelle cliniche:
associazione con malattie a lungo periodo d’incubazione
associazione ad immunodeficienza
coinvolgimento del sistema emopoietico
coinvolgimento del S.N.C
infezione progressiva di tipo cronico
esito letale della malattia
scarsa o nulla efficacia della risposta immunitaria dell’ospite
5. Lentivirus animali e umani
6. Scoperta HIVI MMWR June 5, 1981 / Vol. 30/ No. 21Epidemiologic Notes and ReportsPneumocystis Pneumonia --- Los AngelesIn the period October 1980-May 1981, 5 young men, all active homosexuals, were treated for biopsy-confirmed Pneumocystis carinii pneumonia at 3 different hospitals in Los Angeles, California.
1983 Barré-Sinoussi e coll. isolano un virus ad attività RT in soggetto affetto da linfoadenopatia generalizzata ad etiologia ignota: tale virus mostra caratteristiche simili ad una altro retrovirus noto: HTLV-I (Barrè-Sinoussi F. et al. Isolation of a T-lymphotropic retrovirus from a patient at risk for acquired immunodeficiency syndrome (AIDS). Science, 1983; 220: 868-871)
1983 Montagnier e coll. dimostrano che tale virus è simile ad HTLV-I nella capacità di infettare una particolare sottoclasse dei linfociti T (CD4), ma uccide le cellule CD4 invece di stabilizzarle in continua crescita come HTLV-I. Si propone quindi il nome di LAV per tale isolato virale: virus associato a linfoadenopatia (Montagnier L. A new human T lymphotropic retrovirus: characterization and possible role in lymphadenopathy and acquired immunodeficiency syndromes. In R.C: Gallo, M.E. Essex and L. Gross. Human T cell leukemia/Lymphoma virus. 1984; 363-379)
7. Scoperta HIVII 1984 Gallo e coll. pubblicano uno studio riguardante la caratterizzazione di un retrovirus umano, diverso da HTLV-I, isolato da cellule mononucleate del sangue periferico di pazienti adulti con AIDS; tale virus condivide con HTLV-I e II caratteristiche strutturali, biologiche e molecolari, ma non la capacità citocida nei confronti dei linfociti T; tale virus viene denominato HTLV-III (Gallo R.C. et al. Frequent detection and isolation of cytopathic retroviruses (HTLV_III) from patients with AIDS and at risk for AIDS. Science 1984; 223: 500-503)
1984 Levy e coll.isolano un retrovirus in pazienti affetti da AIDS ed in pazienti asintomatici appartenenti a differenti gruppi a rischio; questo lavoro indica per la prima volta che esiste uno stato di portatore sano di virus dell’AIDS; tale virus venne denominato ARV: virus associato all’AIDS (Levy J. et al. Isolation of lymphocytopathic retroviruses from San Francisco patients with AIDS. Science 1984; 225: 840-842)
8. Scoperta HIVIII La sequenziazione del genoma di questi isolati virali portò a riconoscere che i tre prototipi, LAV, HTLV-III, ARV, erano membri di uno stesso gruppo di Retrovirus, ma con somiglianze solo remote col genoma di HTLV-I e II.
1986 la Commissione Internazionale della Tassonomia del Virus raccomanda l’adozione del termine HIV: virus dell’immunodeficienza umana per definire l’agente patogeno dell’AIDS.
1986: identificazione di un sierotipo differente da HIV-1, definito HIV-2, dotato di minor attività patogena e con diffusione limitata in alcune regioni dell’Africa Occidentale (Senegal, Costa d’Avorio, Guinea Bissau). HIV-1 e HIV-2 possono essere distinti sulla base dell’analisi della sequenza genetica che codifica per le glicoproteine del rivestimento esterno virale
9. Ulteriori Scoperte su HIV 1 e HIV 2 Estrema variabilità genetica di HIV 1 e HIV 2
Per HIV1 sono stati descritti 3 gruppi
M (Mayor) con 9 sottotipi (A,B,C,D,E,F,G,H,J,K) che hanno raggiunto una notevole divergenza genetica ed hanno una certa associazione con precise aree geografiche
O (Outlayer) con 5 sottotipi
N (Non M – Non O) con pochi sottotipi
Per HIV 2 sono descritti 8 sottogruppi (A-H) e nessun sottotipo
Perché questa variabilità genetica che porta a gruppi e sottotipi? Per l’elevata frequenza di errore della RT che, analogamente a quella di altri Retrovirus, ma con capacità 10 volte maggiore, non è in grado di correggere gli errori di incorporazione delle basi appaiate in modo errato.
10. Distribuzione globale di gruppi e sottotipi di HIV
11. Origine di HIVI Verosimilmente HIV è entrato nella popolazione umana a partire dai Primati probabilmente più di 100 anni orsono. Non si sa quale gruppo o sottotipo sia entrato per primo nella popolazione umana sebbene il gruppo O sembri uno dei più antichi e con capacità evolutive molto lente.
La prima documentata evidenza di infezione da HIV è in un Africano del Congo e risale al 1959 (Nahmias M. et al. Evidence for human infection with an HTLV III/LAV like-virus in Central Africa, 1959. Lancet 1986; i: 1279-1280)
La sequenziazione del virus isolato da una famiglia norvegese infetta a metà degli anni ’60 ha mostrato molte analogie coi virus attualmente circolanti di gruppo O ( Frolan S.P. et al. HIV-1 infection in Norwegian family before 1970. Lancet 1988; i: 1344-1345)
14. Origine di HIVII Non sono note in maniera conclusiva le origini di HIV1 e HIV 2 ma molti ricercatori ritengono che HIV derivi dagli scimpanzè (SIVcpz).
La giustificazione di queste ipotesi deriva dalle somiglianze genomiche tra SIV e HIV e dalla prevalenza di SIV nei Primati che vivono in Africa ove l’epidemia di AIDS sembra aver avuto inizio.
Nel passaggio dallo scimpanzè all’Uomo non si è avuto subito “adattamento” del virus all’Uomo ma si stima che ci siano stati almeno 3-4 passaggi interspecie con acquisizione da parte di HIV di caratteristiche differenti da SIV e successiva diffusione nell’arco di 30-50 anni.
15. Origine di HIVIII HIV è quindi verosimilmente derivato da un virus progenitore entrato nella specie umana più di 100 anni orsono e successivamente ADATTATOSI all’UOMO anche attraverso più di un passaggio di specie.
Significativo è che una bassa prevalenza di HIV Ab è stata rilevata nella specie umana su sieri precedenti all’emergenza dell’endemia: nel 1976 in un villaggio del Congo l’HIV sieroprevalenza era pari allo 0.76%.
La diffusione di HIV e l’epidemia di AIDS avrebbero potuto aver luogo per cambiamenti sociali e comportamentali della popolazione umana (indigenza, emigrazioni, prostituzione, promiscuità, uso di siringhe contaminate)
16. Virus a struttura icoesaedrica (diam.100-120 nm) formato da un pericapside esterno e da un nucleocapside interno (core)
Il pericapside esterno è costituito da un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare cui sono ancorate 72 spike esterni formati dalle Gp virali ed in particolare dalla gp 120 che sporge verso l’esterno, la gp 41 inserita nel doppio strato fosfolipidico. Le proteine del nucleocapside sono la p24, la p17, la p6 e la p7. La p24 è la componente principale del nucleocapside. All’interno del nucleocapside sono presenti il genoma ed alcuni enzimi: RT, Integrasi (IN), Proteasi (PR).
Virus a struttura icoesaedrica (diam.100-120 nm) formato da un pericapside esterno e da un nucleocapside interno (core)
Il pericapside esterno è costituito da un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare cui sono ancorate 72 spike esterni formati dalle Gp virali ed in particolare dalla gp 120 che sporge verso l’esterno, la gp 41 inserita nel doppio strato fosfolipidico. Alla faccia interna del doppio strato fosfolipidico è presente uno strato proteico: proteina di matrice p17
Virus a struttura icoesaedrica (diam.100-120 nm) formato da un pericapside esterno e da un nucleocapside interno (core)
Il pericapside esterno è costituito da un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare cui sono ancorate 72 spike esterni formati dalle Gp virali ed in particolare dalla gp 120 che sporge verso l’esterno, la gp 41 inserita nel doppio strato fosfolipidico. Alla faccia interna del doppio strato fosfolipidico è presente uno strato proteico: proteina di matrice p17
Virus a struttura icoesaedrica (diam.100-120 nm) formato da un pericapside esterno e da un nucleocapside interno (core)
Il pericapside esterno è costituito da un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare cui sono ancorate 72 spike esterni formati dalle Gp virali ed in particolare dalla gp 120 che sporge verso l’esterno, la gp 41 inserita nel doppio strato fosfolipidico. Le proteine del nucleocapside sono la p24, la p17, la p6 e la p7. La p24 è la componente principale del nucleocapside. All’interno del nucleocapside sono presenti il genoma ed alcuni enzimi: RT, Integrasi (IN), Proteasi (PR).
Virus a struttura icoesaedrica (diam.100-120 nm) formato da un pericapside esterno e da un nucleocapside interno (core)
Il pericapside esterno è costituito da un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare cui sono ancorate 72 spike esterni formati dalle Gp virali ed in particolare dalla gp 120 che sporge verso l’esterno, la gp 41 inserita nel doppio strato fosfolipidico. Alla faccia interna del doppio strato fosfolipidico è presente uno strato proteico: proteina di matrice p17
Virus a struttura icoesaedrica (diam.100-120 nm) formato da un pericapside esterno e da un nucleocapside interno (core)
Il pericapside esterno è costituito da un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare cui sono ancorate 72 spike esterni formati dalle Gp virali ed in particolare dalla gp 120 che sporge verso l’esterno, la gp 41 inserita nel doppio strato fosfolipidico. Alla faccia interna del doppio strato fosfolipidico è presente uno strato proteico: proteina di matrice p17
17. HIV-1 e HIV-2, famiglia Retroviridae, genere Lentivirus, sono gli agenti etiologici dell’AIDS, malattia infettiva contagiosa caratterizzata da una grave compromissione della risposta immunitaria cellulo-mediata che favorisce l’insorgenza di infezioni opportunistiche e di insolite forme di tumori maligni.
21. REPLICAZIONE DI HIV LEGAME TRA VIRUS e CELLULA OSPITE
Principale recettore di HIV: molecola CD4 che si ritrova alla superficie della cellula bersaglio cioè il Linfocita T CD4+ che riconosce la gp 120 del rivestimento esterno di HIV.
Oltre al recettore CD4 che lega il virus altri co-recettori sono essenziali per “facilitare” l’ingresso di HIV nelle cellule bersaglio: tra questi il recettore R5 ed X4; in base all’utilizzo dei co-recottori possiamo differenziare ceppi R5 con spiccato tropismo per i MoMa, ceppi X4 con spiccato tropismo per i linfociti T e ceppi R5/X4 con tropismo per entrambi i tipi cellulari.
Altre cellule bersaglio oltre ai linfociti T ed ai MoMa? Cellule dendritiche, fibroblasti, linfociti CD8, linfociti B, cellule gliali, cellule endoteliali, cellule epiteliali intestinali e precursori emopoietici del midollo osseo.
24. Peculiarità della replicazione di HIV HIV è caratterizzato da un turnover estremamente elevato: l’emivita del virus extracellulare è di circa 6 ore con una durata completa del ciclo replicativo di 2,5 giorni.
Ogni giorno vengono prodotte ed eliminate da 100 milioni a 10 miliardi di particelle virali, a seconda delle fasi di malattia.
Verificandosi approssimativamente una mutazione ogni ciclo replicativo, la rapidità del turnover amplifica la frequenza di mutazioni.
Nel soggetto infetto è presente un insieme di varianti virali geneticamente distinte o “QUASI SPECIE” con un grado di divergenza genica del 2-10%.
25. Vie di trasmissione di HIV La sindrome è stata inizialmente descritta in omosessuali, bisessuali ed in TD, ma ben presto venne descritta anche la trasmissione attraverso rapporti eterosessuali così come divenne evidente che politrasfusi ed emofilici potessero contrarre la malattia dal sangue o dagli emoderivati e che le madri potessero trasmettere il virus ai neonati.
Queste principali vie di trasmissione:
Sangue
Contatti sessuali
Passaggio materno fetale
non sono cambiate si possono spiegare con le differenti concentrazioni di HIV nei differenti liquidi biologici (per inciso le vie di trasmissione sono analoghe a quelle di HBV ma con infettività 20 volte minore per HIV)
27. Isolamento di HIV da differenti fluidi corporeiI SANGUE
HIV libero e cellule infette da HIV sono entrambi presenti nel sangue; le cellule infette risultano più numerose, anche in corso di adeguata terapia antivirale:
da 1:1000 a 1:10.000 cellule infette nei soggetti asintomatici
1:10 nei pazienti con diagnosi di AIDS
LIQUIDO SEMINALE
Alta quantità di HIV libero in tutti gli stadi della malattia correlati alla presenza di virus nel plasma
Alta quantità di cellule infette che varia dallo 0.01% al 5% per cui le cellule infette sembrano rappresentare una sorgente di trasmissione maggiore rispetto ai virus liberi e se il paziente presenta una qualunque malattia venerea , aumentando la quantità di cellule infiammatorie aumenta il numero di cellule infette.Sangue, prostata, testicoli, uretra, ghiandole secretorie: rappresentano la fonte di HIV presente nello sperma
28. Isolamento di HIV da differenti fluidi corporeiII SECREZIONI CEVICO-VAGINALI
HIV libero è stato trovato di rado nelle secrezioni vaginali
Per solito sono state trovate cellule infette che aumentano in presenza di co-infezioni sessualmente trasmesse.
La sorgente d’infezione potrebbe essere rappresentata da ghiandole secretorie di vagina e cervice; GB cavità uterina, sangue mestruale.
LATTE: elevati livelli di virus e grande numero di cellule infette
SALIVA: virus infettante in meno del 10% dei campioni ed in quantità limitate (< 1 PI/ml) ed anche le cellule infette sono a livelli molto bassi: ciò sembra dipendere dalle proprietà antivirali dirette di sostanze contenute nella stessa saliva e dall’assenza di CD4
URINA, SUDORE, LACRIME, FECI: non vi è presenza di HIV infettante
LIQUOR è presente una grande quantità di virus: fino a 1.000 PI/ml
29. Trasmissione con sangue-emoderivatiI TOSSICODIPENDENTI
Sono stati tra i primi in USA ed in Europa a contrarre l’infezione. HIV è probabilmente entrato in questa popolazione verso la metà degli anni ’70 con rapida diffusione intorno al 1985
La quantità di sangue residuo che viene inoculata attraverso l’uso di una siringa già utilizzata può variare da 10 a 100 mL corrispondente a:
0.6-6 PI nel soggetto asintomatico
70-700 PI nel paziente AIDS
30. Trasmissione con sangue-emoderivatiII SANGUE ed EMODERIVATI
Il rischio di trasmettere l’infezione con sangue infetto è stato molto elevato, > del 90%: lo screening per la ricerca di HIV Ab nel sangue ha nettamente ridotto la possibilità di trasmissione; attualmente con tecniche di ricerca di RNA virale il rischio di trasmissione di HIV (e di HCV) tramite trasfusioni è di circa 1 su 2.000.000 di Unità di sangue trasfuso
Le nuove metodiche di inattivazione di HIV negli emoderivati garantiscono una sicurezza ancora >: il 50% degli emofilici è stato infettato dal 1982 al 1983; il riscaldamento ad alte temperature prima della liofilizzazione del fattore VIII e IX ha reso impossibile il verificarsi di nuove infezioni attraverso questa modalità
L’esposizione negli operatori sanitari
Percutanea: rischio di trasmissione dello 0.31%: all’incirca 1 ogni 324 esposizioni parenterali
Esposizione mucosale o cutanea a sangue infetto: rischio di 1:1.000 esposizioni
31. Trasmissione sessuale E’ la più frequente modalità di trasmissione di HIV: 75-80%: (trasmissione eterosex: 70%; omosex : 5-10%)
Il partner recettivo è il più a rischio: nel rapporto eterosex il rischio è > di 2-5 volte nella trasmissione Uomo -> Donna che in quella Donna -> Uomo
Rischio per singolo rapporto
Rapporto anale recettivo: 0.1-3% (da 1/1000 a 3/100)
Rapporto vaginale recettivo: 0.03-0.2% (da 3/10.000 a 2/1.000 a 1/500)
Rapporto vaginale insertivo: 0.03-0.1% (da 3/10.000 a 1/1.000)
Rapporto oro-genitali: responsabili di infezioni in entrambi i partner con bassa frequenza
La trasmissione sessuale è tanto maggiore
tanto maggiore è il numero dei partner,
tanto maggiore è la frequenza dei rapporti
in presenza di altre malattie sessualmente trasmesse
32. Trasmissione verticale La trasmissione verticale può avvenire:
in utero durante la gravidanza
durante il travaglio del parto
con l’allattamento
La % di trasmissione oscilla tra il 35% dell’Africa ed il 14% dell’Europa , ma l’impiego delle terapie antivirali, del taglio cesareo e l’adozione di allattamento artificiale hanno ridotto la prevalenza della trasmissibilità in Europa Occidentale a circa l’1% .
33. Patogenesi dell’infezione da HIVmodello sperimentale per infezione diretta mucosa vaginale scimmia Rhesus Bersaglio iniziale: cellule dendritiche o “cellule presentanti l’antigene” nella lamina propria dell’epitelio vaginale che fagocitano HIV e lo presentano ai linfociti CD4 con i quali raggiungono il distretto linfonodale più vicino
Nei linfonodi avviene un ulteriore reclutamento dei linfociti CD4 che diventano il bersaglio attivo di HIV
Dopo 48-72 ore dal contagio HIV si ritrova nei linfonodi loco-regionali ed attraverso il sistema linfatico dissemina nel torrente circolatorio
Al 5°- 7° giorno HIV può essere rilevato nel sangue periferico
34. HIV Infection via Mucosa
Intact mucosa ?
R5 virus infects
dendritic cells
Transport of virus to regional LN
Transmit to CD4+ T cells in regional LN
35. HIV Infection
Lymph nodes
Viremia
Dissemination
to other organs
Brain
Spleen
Gut
Within few days
36. Naturale decorso clinico Infezione da HIVI Infezione acuta
Asintomatica nel 50-60% dei casi
Sintomatica nel 40-50% dei casi; si manifesta entro 1-4 settimane dal contagio con una sintomatologia aspecifica di “sindrome mononucleosica” con risoluzione spontanea entro 1-3 settimane: il suo manifestarsi potrebbe essere predittivo di un più rapido decorso clinico nei tempi successivi
Dati di laboratorio
Leucopenia con Linfocitopenia
Diminuzione dei linfociti CD4
Incremento dei linfociti CD8 con classica e persistente inversione del rapporto CD/4CD8
Antigene (p24) e HIV RNA rintracciabili nel sangue entro 3-11 giorni dall’infezione
Anticorpi anti-HIV determinabili entro 1-3 settimane dall’infezione
L’infezione acuta si associa ad elevati livelli di viremia e di Ag p24; nelle 4-8 settimane successive la viremia decresce rapidamente come conseguenza della risposta immunitaria dell’ospite, umorale e cellulo-mediata.
37. Naturale decorso clinico Infezione da HIVII Segue un PERIODO di LATENZA: clinica, ma non biologica poiché HIV si replica attivamente negli organi bersaglio (linfonodi ed organi linfoidi, mucosa intestinale, cervello) con progressiva distruzione delle cellule CD4 ed incremento della carica virale; questa fase può durare molti anni e può essere del tutto asintomatica o essere caratterizzata da una linfoadenopatia generalizzata, che può avere un andamento ricorrente.
Ulteriori diminuzioni della conta CD4 (< 200/mmc) comportano un venir meno della “sorveglianza immunitaria” contro agenti batterici, virali, fungini, parassitari, rendendo probabile il manifestarsi di infezioni opportunistiche ed il verificarsi di patologie neoplastiche: è questa la fase di AIDS.
39. Diagnosi: conta di CD4 <200 /mmc o CD4 % < 14%, con conferma laboratoristica di infezione da HIV, o presenza di una delle patologie sotto-riportate “caso definenti”
Candidosi di esofago, trachea, bronchi o polmoni
Criptococcosi extrapolmonare
Criptosporidiosi intestinale cronica
Coccidiomicosi disseminata
Encefalopatia da HIV
Infezione da CMV (retinite o malattia sistemica)
Isosporidiosi cronica intestinale
Istoplasmosi disseminata
Infezioni da HSV mucocutanea o di bronchi, polmoni od esofago
Sarcoma di Kaposi
Linfoma primitivo del SNC ; L. Burkitt o equivalente; LH immunoblastico
Infezione disseminata/extrapolmonare da MAC o M. kansasii
Polmonite da Pneumocystis carinii (ex carinii)
Leucoencefalopatia multifocale progressiva
Neurotoxopasmosi
Sepsi ricorrente da Salmonella
Wasting syndrome
40. La definizione di caso- AIDS è stata rivista negli anni successivi ed alle patologie “storiche”si sono aggiunte ulteriori 3 patologie:
Tubercolosi polmonare
Polmoniti ricorrenti
Carcinoma cervicale invasivo CDC AIDS: definizione di caso per adulti e adolescenti
41. Polmonite da P. jiroveci (PCP)
42. Encefalite da T. gondii
43. Leucoencefalite multifocale progressiva (PML da JC virus)
44. Sarcoma di Kaposi (HHV 8)
66. HIV – AIDS in Toscana 2,6 casi /100000 abitanti
1.111 casi di AIDS viventi e residenti in Toscana
7.500 persone che convivono con l’infezione
90-100 nuovi casi all’anno
>50% dei nuovi casi arriva al test ( e alla terapia) tardi
In aumento la trasmissione eterosessuale (75%) e nelle donne
67. Diagnosi di Infezione da HIVMetodi Indiretti I metodi indiretti evidenziano gli Ab specifici contro le proteine virali
Test di screening: è un test ELISA III generazione che utilizza come Ag peptidi sintetici corrispondenti alle regioni immunodominanti e maggiormente conservate dell’env di HIV-1 e HIV-2: dimostra una sensibilità del 99.9% ed una specificità del 95%. Diversi AA hanno stimato che l’utilizzo di questo test consente una riduzione media del periodo finestra a 21 giorni dal contagio
Se il test di screening è positivo, deve essere confermato dal test in Western Blot dotato di elevata sensibilità (99.9%) e specificità (99.5%) nei confronti di tutti gli Ab diretti contro gli Ag virali e consente di seguire la dinamica della risposta anticorpale verso le diverse regioni (gag, pol, env); il criterio interpretativo non è universale: CDC suggerisce la reattività per p24, e gp 41 o gp 120 e gp 160
68. Diagnosi di Infezione da HIVMetodi Diretti Ag p 24: determinazione della proteina p24 con metodi immuno-enzimatici
Dimostrazione di RNA virale o di DNA pro-virale integrato in cellule infette mediante metodiche di PCR che sono essenziali per:
diagnosi di infezione acuta: il test RNA-PCR su sangue si positivizza nel plasma fin dall’11° giorno anticipando i test sierologici di III generazione di 11 giorni
Diagnosi di infezione neonatale
Per il monitoraggio dell’infezione e la risposta alla terapia antivirale
69. Evoluzione HIV >AIDS
71. TARV: terapia antiretrovirale
72. ASSOCIAZIONI FARMACOLOGICHE 2 NRTI + 1 PI
2 NRTI + 1 NNRTI
3 NRTI
………………….
73. Problemi legati alla TARV Tossicità diretta dei farmaci
Interazioni farmacologiche
Aderenza alla terapia: l’inadeguata assunzione della terapia può comportare il selezionarsi di ceppi resistenti
Pazienti pluritrattati possono richiedere schemi terapeutici di salvataggio tenendo conto dello “storico” terapeutico del paziente
Tossicità cronica
74. Sindrome Lipodistrofica Top left and right
53 year old man; HIV-infected since at least 1987
Received AZT + 3TC
Later added IDV; 19 months of PI therapy
Bottom right
34 year old man with HIV since 1993
Received AZT in 1993
Added 3TC and IDV in April and June 1996
Buffalo hump observed in December 1996Top left and right
53 year old man; HIV-infected since at least 1987
Received AZT + 3TC
Later added IDV; 19 months of PI therapy
Bottom right
34 year old man with HIV since 1993
Received AZT in 1993
Added 3TC and IDV in April and June 1996
Buffalo hump observed in December 1996
75. Il paradigma della terapia (1985 – 1996) VOGLIO VIVERE….
76. VOGLIO VIVERE… …BENE! Il paradigma della terapia (1998 – oggi)
78. Si può guarire dall’AIDS? NO
Però … possiamo
Controllare la malattia
Rallentarne la progressione
Aiutare le madri HIV+ a partorire figli sani
79. Si può Prevenire l’AIDS? SI !!!!!!!!
81. Si può Prevenire l’AIDS?