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La funzione paterna nella “liquidità” sociale. Luigi Gileno Psicologo-Psicoterapeuta Orientatore CNOS-FAP- Vasto Vasto-Ortona Collaboratore IdO- Roma info@studiopsicoterapiagileno.it. Zygmunt Bauman:
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La funzione paterna nella “liquidità” sociale. Luigi Gileno Psicologo-Psicoterapeuta Orientatore CNOS-FAP- Vasto Vasto-Ortona Collaboratore IdO- Roma info@studiopsicoterapiagileno.it
Zygmunt Bauman: “Una società può essere definita «liquido-moderna» se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure… La vita liquida, come la società liquido-moderna, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo. In una società liquido-moderna gli individui non possono concretizzare i propri risultati in beni duraturi: in un attimo, infatti, le attività si traducono in passività e le capacità in incapacità. Le condizioni in cui si opera e le strategie formulate in risposta a tali condizioni invecchiano rapidamente e diventano obsolete prima che gli attori abbiano avuto una qualche possibilità di apprenderle correttamente. E’ incauto dunque trarre lezioni dall’esperienza e fare affidamento sulle strategie e le tattiche utilizzate con successo in passato: anche se qualcosa ha funzionato, le circostanze cambiano in fretta e in modo imprevisto (e, forse, imprevedibile) […]. La vita liquida è, insomma, una vita precaria, vissuta in condizioni di continua incertezza”
Bauman La civiltà è il frutto di un compromesso tra spinte diverse, tra il tentativo di raggiungere una individuale soddisfazione, e le esigenze poste dalla società, che hanno l’effetto di offrire al singolo una maggiore sicurezza a scapito però di una minore libertà, o meglio di una limitazione del soddisfacimento soggettivo: non c’è guadagno senza perdita.
L’individuo ha guadagnato in libertà ed ha perso in sicurezza, o per dirla con Freud, vi è stato un ribaltamento: prima era il "principio di realtà" a porre restrizioni al "principio di piacere", ora è il "principio di realtà" a doversi difendere da un giudice che è il "principio di piacere". Bauman descrive l’esperienza odierna come caratterizzata da una libertà potenzialmente infinita del soggetto accoppiata all’insicurezza infinita del soggetto stesso. La sofferenza più dolorosa dei tempi "liquidi-moderni" è la paura dell’inadeguatezza: l’impotenza ad adoperare la propria libertà, e tale angoscia definisce il vissuto degli adolescenti d’oggi. La liquidità, in quanto tale, non ha forma se non contenuta. La sua forma è data dal contenitore. Ebbene, si può dire che l’adolescente contemporaneo è non contenuto. Un liquido, nel distribuirsi lungo le superfici che incontra per gravità, prima o poi si fermerà, incontrerà una qualche forma di contenitore. Per cui, ciò che caratterizza i liquidi è la ricerca del contenitore. Di questo necessità l’adolescente, come colui che è alla ricerca di un accoglimento.
Holding: accoglienza e contenimento, caratteristiche della funzione materna, è il primo rapporto con cui si entra in contatto con l’altro, che si esperiscono i piaceri e le frustrazioni della relazione con il fuori, e che quindi si acquisiscono e si stabiliscono le regole dell’interazione sociale. I segnali che ci vengono dall’adolescenza, sia riferiti ad un’accettabile "normalità" di condotte sia quelli francamente devianti o psicopatologici, ci mostrano una perdita di autorità/autorevolezza generalizzata riguardo al "contenitore" famiglia.
Nella modernità liquida va segnalata la provvisorietà della famiglia, segnata da separazioni, divorzi, ricostituzioni, trasformazione della funzione genitoriale. Se fino a qualche generazione fa si aveva la quasi certezza di nascere in una famiglia abitata da un padre e una madre, e di ritrovarsi con gli stessi genitori, nella stessa famiglia, ora le percentuali di adolescenti che vivono in una famiglia “monoparentale”, “ricostruita”, “allargata” ad altri soggetti non legati da vincoli “di sangue” sono di molto aumentate. Tenendo conto, così come ci dice Freud, che gli esseri umani si costituiscono anche a partire dalle dinamiche emozionali e affettive che si instaurano all’interno del triangolo familiare, ciò non può non generare delle profonde trasformazioni nella soggettività di questi individui. La condizione di insicurezza e indeterminatezza nei confronti del futuro è aspetto che caratterizza le nuove generazioni anche riguardo all’entrata nel mondo del lavoro e alla realizzazione di un progetto di vita familiare autonoma.
“ Onde, sì come, nato, tosto lo figlio alla tetta della madre s’apprende, così, tosto come in esso alcuno lume d’animo appare, si dee volgere alla correzione del padre, e lo padre lui ammaestrare. E guardisi che non li dea di sé essemplo ne l’opera, che sia contrario a le parole de la correzione: ché naturalmente vedemo ciascuno figlio più mirare le vestigie de li paterni piedi che a l’altre. E però dice e comanda la Legge, che a ciò provvede, che la persona del padre sempre santa e onesta dee apparire al li suoi figli; e così appare che la obbedienza fue necessaria in questa etade”… E poi deono essere obbediti maestri e maggiori, cui in alcuno modo pare dal padre, o da quelli che loco paterno tiene, essere commesso.” Dante, Convivio
“La madre è la stabilità del focolare; il padre è la vivacità della strada” (Winnicott)
“Viviamo in un’epoca eccezionale sotto il segno di un’accelerazione del tempo di cui le generazioni precedenti non hanno avuto esperienza: intendiamo dire che mai, come ora, assistiamo a sconvolgimenti, sempre più ravvicinati e contraddittori, degli scenari culturali e socio politici. [...] Negli anni che fecero seguito all’ultimo conflitto mondiale, l’universale attacco al principio d’autorità travolse la figura del Padre che di quel principio era simbolo e custode. I profeti del tempo puntualmente annunziarono che ci stavamo incamminando verso una società senza Padre...il silenzio… che nascondeva un’attesa e forse preparava il ritorno del Padre. Così è quanto, in certo qual modo, è avvenuto. Prima timidamente, poi sempre più esplicitamente, si sono moltiplicati gli scritti, i convegni, i dibattiti sul Padre e sull’importanza della sua figura [...]”. La funzione paterna, Brutti e Parlani
L’età evolutiva è il periodo fondante per la salute mentale e insieme il più delicato per le influenze che gli adulti, come educatori e come modelli, esercitano. Una molteplicità di fattori concorre allo sviluppo della personalità: il terreno biologico le esperienze relazionali la storia personale le influenze ambientali e culturali.
Fino a qualche tempo fa il padre era assente nell’educazione quotidiana dei figli e nei primi anni di vita la cura era compito della madre.
Il padre era l’autorità, a cui si ricorreva perché sanzionasse i capricci, il mancato rispetto delle regole importanti, le marachelle compiute. Al padre si ubbidiva. Le cose sono oggi molto cambiate. Nella maggior parte delle coppie i compagni si occupano dei piccoli dal momento della loro Nascita, diventando quasi un doppione della madre, e al posto della madre può avere dei permessi di lavoro retribuiti per occuparsi della prole in caso di malattia o di altre necessità. Il padre gioca col figlio e con la figlia, ma al padre si ubbidisce poco, non più che alla madre.
I ruoli genitoriali non si confondevano, così come i ruoli sociali maschile e femminile. Il padre, pur distante psicologicamente e fisicamente, esercitava una funzione educativa importante, indiscussa anche quando veniva proposta attraverso la mediazione della madre. Si può dire che, fino al diciannovesimo secolo, l’impronta all’educazione era data proprio dalla figura del padre o da figure maschili da lui delegate, come insegnanti e istitutori.
Tutta la letteratura psicologica mette in evidenza il ruolo differenziale delle due figure genitoriali, mostrando come madri e padri giochino ruoli e funzioni diversi e complementari nell’educazione dei figli e nella trasmissione di competenze e valori. Nella crescita la differenza tra maschile e femminile è essenziale in quanto un individuo ha bisogno di fare esperienza della differenza, ossia di essere in grado di mettersi in rapporto, confrontarsi e imparare dall’altro. Molte ricerche dimostrano come, lungo il percorso di crescita dei figli, la compresenza di un “codice affettivo materno”, improntato alla cura, alla protezione e all’accoglienza incondizionata e di un “codice etico paterno”, espresso dalla responsabilità, dalla norma, dalla spinta emancipativa, siano fondamentali per garantire un’equilibrata evoluzione dell’identità personale.
Per nascere “quel figlio” ha bisogno di “quel padre” e di “quella madre”. Il figlio è sempre generato da due “diversi”, da un maschile e da un femminile, da due stirpi familiari, da due storie intergenerazionali e sociali. L’incontro con l’altro da sé evidenzia il limite (tu sei quello che io non sono) e al tempo stesso la potenzialità dell’umano (solo insieme a te posso andare oltre me stesso), quindi aiuta a riconoscere ciò che si è e l’obiettivo per cui si è nati. Il figlio, per strutturare la propria identità personale, ha bisogno di riconoscersi nel suo punto di origine che è sempre frutto di uno scambio tra quel materno e quel paterno che lo hanno generato e che consentirà di inserirsi in una storia intergenerazionale e sociale, che lo renderà a propria volta generativo a livello biologico, psicologico e simbolico-culturale, ossia gli permetterà di realizzare pienamente se stesso e la sua umanità.
Se il parto è affidato alla donna (per questo mater semper certa est), la nascita è rappresentata dal riconoscimento del padre, dalla nominazione (in nomine patris), dall’ingresso del nuovo nato nella famiglia come persona unica e irripetibile proprio perché “distinta”, “separata” e per questo “nominata”. Françoise Dolto afferma che è il padre a infondere a un atto biologico come la nascita un carattere propriamente “umano”; attraverso l’adozione simbolica del nuovo nato, il padre riconosce e umanizza la nuova vita nascente. La donna mette al mondo, ma non genera da sola. È fondamentale che nella relazione madre-figlio/a ci sia il riferimento a un terzo, il padre. È il padre che istituisce la differenza/ differenziazione dall’originaria simbiosi con la madre, “taglia”, “separa” “de-finisce” il figlio sottraendolo dallo stato di onnipotenza e introducendo il senso del limite e contemporaneamente il senso e la direzione della sua crescita, favorendo così la sua piena umanizzazione.
Il padre definisce l’identità del figlio, come altro da sé e dalla madre. Nel momento che il figlio si sente chiamato con il proprio nome e riconosciuto come altro, cioè con un proprio corpo, un propria pelle, una propria individualità, può separarsi da quell’utero nel quale è stato contenuto e cresciuto e sentirsi nato. Le funzioni materna e paterna sono presenti entrambe in ognuno di noi e sono la nostra eredità profonda: il bagaglio cromosomico che portiamo con noi dalla nostra famiglia di origine e dalla nostra storia.
Oggi si ha una maggiore vicinanza ed attenzione paterna nei confronti della diade madre- figlio, già dalle prime fasi della gravidanza e una flessibilità dei ruoli tra padre e madre. Il codice paterno e il codice materno sono sentiti come più interscambiabili. Questo può dare adito a confusioni circa l’assunzione delle responsabilità da parte dei due genitori. Nel rispetto delle due funzioni diverse, è sano che queste rimangano distinte e non confuse.
La funzione paterna è una funzione naturale, necessaria e irrinunciabile come quella materna. La funzione materna è quella dell’accoglienza, del contenimento e del nutrimento. La funzione paterna consente la separazione dall’utero accogliente, per entrare in un nuovo mondo; è la stessa funzione che poi ci consentirà di separarci dalla famiglia ed entrare nel mondo sociale.
Nonostante questa presenza contemporanea di tali funzioni, non è possibile sostituirsi all’altro; le funzioni materne e paterne sono necessarie entrambe, ma una madre non può fungere contemporaneamente da madre e da padre. Così facendo non si aiuta il figlio a definirsi. La stessa cosa vale per i padri. Un padre che si sostituisce alla funzione della madrenon aiuta il figlio ad uscire dal mondo materno ed entrare nel sociale. Se il figlio non vive nella confusione, potrà trovare altri spazi, luoghi e riferimenti per vivere e completare le eventuali parti mancanti.
La crisi del padre è un fenomeno molto complesso, di lungo periodo, che ha finito per sgretolare i valori della funzione paterna: la stabilità, la capacità di formare ed educare, la volontà di progettare il futuro. I no paterni non sono semplicemente castranti, ma formativi. La rivoluzione industriale prima e la società dei consumi danno il colpo di grazia alla dimensione paterna. La società dei consumi può essere letta come metafora della dipendenza materna, fatto di soddisfazione immediata e appagamento smisurato dei bisogni.
L’archetipo del Padre da tempo immemorabile presiede alla trasmissione del sapere di generazione in generazione. Possiamo pensarlo come un’immagine guida, che aiuta il singolo nel suo cammino di formazione e gli consente di affrontare con coraggio e determinazione il mondo e la vita. In questo senso l’archetipo paterno svolge nell’inconscio collettivo lo stesso compito che il padre personale svolge nei confronti dei figli.
Nel Cristianesimo la relazione con l’archetipo paterno è particolarmente forte, alimentata dall’idea di un Dio che è essenzialmente padre. La figura di San Giuseppe, la relazione di Gesù Cristo con il Padre fino al dramma della morte in croce, testimoniano quanto l’archetipo si esprima in immagini vive e operanti nella coscienza cristiana. Prima del Cristianesimo possiamo rintracciare l’archetipo del Padre nelle figure del Faraone egiziano e del Patriarca ebraico. Si tratta di esempi storici, ma anche di immagini archetipiche che si esprimono nel mito e nella religione. In loro l’autorità mostra due facce: una di tipo politico connessa all’esercizio del potere, l’altra di tipo pedagogico connessa alla loro funzione paterna. In questo secondo significato la loro autorità, proprio perché esercitata dal padre, si colora di una forte tonalità affettiva. Il padre ama i suoi figli e si prende cura di loro, anche per quanto riguarda il mondo dei valori e la vita dello spirito.
Il Nuovo Testamento parla di una paternità che si esprime in un atto d’amore gratuito: Dio per amore dona suo figlio agli uomini e il Figlio diviene, per i suoi discepoli, il Maestro. L’archetipo del Padre, che è sempre in relazione con il Figlio, torna così a vivere con forza nella coscienza dell’Occidente. Grazie alla figura di Gesù l’educazione si presenta come profonda trasformazione interiore, che nasce dall’incontro personale con il Maestro, e il Maestro diviene l’esempio vivente del cammino che ciascuno deve intraprendere. L’esempio come metodo educativo, già implicito nelle figure del Faraone e del Patriarca, diviene esplicito e rivolto a tutti in quella del Cristo: “Io sono la via, la verità, la vita; nessuno può venire al Padre mio se non per me.” (Gv. 14, 6).
Per alcuni millenni, dai Faraoni al Medioevo, l’educazione dei figli è strettamente connessa alla funzione paterna, che trova nell’inconscio collettivo il suo fondamento archetipico. Anche quando, con l’affermarsi dell’istituzione scolastica, la funzione dell’insegnante si separa sempre di più da quella del padre, ne mantiene a lungo alcune caratteristiche. Come è testimoniato, nella lingua latina, dal significato della parola educare che possiamo tradurre con allevare, alimentare, nutrire, curare, produrre, far crescere, istruire e formare. Nell’insegnamento in fondo sono in gioco proprio la capacità di allevare, nutrire e formare i giovani per condurli a quella seconda nascita che li aiuterà “ad uscire dall’unità naturale della famiglia. Anche l’insegnamento ha un fondamento naturale, di tipo istintivo, radicato nel sentimento spontaneo che ciascuno può provare davanti ai bambini e a tutto ciò che nasce e cresce. Prima che nei metodi e nelle tecniche, la funzione docente si incardina in un sentimento che ha il suo modello nella relazione naturale tra genitori e figli. Ma dei genitori, la scuola esprime in particolare la funzione paterna in quanto dal punto di vista sociale collabora col padre nel compito di separare i figli dal mondo della madre, visto come luogo di soddisfazione primaria e unica di bisogni e affetti.
Nell’età dei fascismi e delle dittature, i “padri terribili” del primo Novecento, lungi dal rappresentare un ritorno del patriarcato antico e del potere culturale del paterno, rappresentano storicamente l’apertura al maschile distruttivo. Si pensi anche solo alle guerre, ai milioni di nuclei familiari rimasti senza padre; ma soprattutto, se si pensa alla Prima Guerra Mondiale, bisogna prestare attenzione ai reduci di guerra. I fascismi sono un fenomeno della modernità dispiegata. Con i fascismi il padre scompare. I dittatori tolgono la vita, scatenano guerre.
Una società dominata dalla scomparsa del padre lascia gli adolescenti in una condizione molto difficile: pensiamo a Pinocchio e a Lucignolo. La parte delle peripezie è quella importante, dove le prove non portano da nessuna parte. Lucignolo, che è il mentore di Pinocchio, non lo può far crescere. Non è un caso che, in assenza di figure paterne, l’unica possibilità di crescita sia guidata dalla fata, vale a dire da un femminile che conosce il senso di colpa come unica strategia di disciplina. I giovani devono trovare un’alternativa a Lucignolo. Jung, parla di individuazione come possibilità di crescita. Ognuno deve poter comprendere la storia di cui è effetto ed essere capace di trasformarla. Solo a questo punto potrà scegliere da sé i rituali più adeguati ad esprimere il significato che potrà avere per lui la vita.
La rimozione della figura del padre dalla nostra società e dall’educazione dei figli lascia un grande vuoto. Il padre rappresenta la figura del creatore, e viene a mancare l’esperienza di appartenenza all’origine che il padre assicura in quanto creatore cioè la risposta alla domanda: “Da dove vengo?”. La madre appaga i bisogni primari del bambino. Il padre, in quanto promotore di creazione, è fin dall’inizio colui che mette il bambino nel mondo prima attraverso la fecondazione dell’ovulo e poi interrompendo la simbiosi con la madre, ferita importantissima che provoca il distacco del b a m b i n o dalla madre e lo proietta nella società, nella esperienza della sofferenza, del dolore e del desiderio. Tuttavia tale caduta d'autorità per il padre non rappresenta solo una perdita. L'altra faccia della medaglia è il guadagno di tutte quelle forme relazioni e comunicative che per secoli sono restate prerogativa quasi esclusiva della madre: la tenerezza, il gioco, l'accompagnamento e la cura. Tali attività e funzioni sono state oggi recuperate e condivise da molti padri, ma essenzialmente sono riconosciute come doveri e rivendicate come diritti. Fernando Savater « forse la moderna sfida illuminata è quella di proporre ed accettare un tipo di padre che abbia sufficiente autorità per gestire la paura iniziatica su cui si fonda il principio di realtà, ma non sia privo, però, della tenera sollecitudine domestica, vicina e pregna d'abnegazione, che per secoli ha caratterizzato il ruolo familiare della madre. Un padre che non rinunci ad essere tale ma che, al contempo, sappia maternizzarsi per evitare gli eccessi patriarcali e castranti del sistema tradizionale ».
La funzione del padre è stata molto valorizzata da Freud - nei processi legati alla costituzione e all’elaborazione del conflitto edipico nelllo sviluppo dell’identità sessuale - nelll’interiorizzazione di un codice etico e morale - nello sviluppo del Super-Io. Nonostante ciò la ricerca psicoanalitica degli ultimi decenni si è indirizzata verso le dinamiche della relazione madre bambino, mentre poco si sa sullle funzioni svolte dal padre nei primi tre anni di vita del bambino (periodo pre-edipico).
La teoria dell’attaccamento (Bowlby-anni 50) ha rappresentato il primo tentativo di mettere in discussione la posizione di Freud riguardo le motivazioni che portano gli esseri umani a legarsi tra di loro. Sostenendo la sua teoria pulsionale, Freud pensava che il bambino si rivolgesse alla madre spinto dalla necessità di gratificare i propri bisogni di natura sessuale, particolarmente quelli orali. La teoria dell’attaccamento, integrando la visione psicoanalitica con i dati di ricerca sviluppati in altri ambiti (l’etologia, le teorie evoluzionistiche, la teoria generali dei sistemi, la cibernetica, la neuropsicologia e il cognitivismo), propose una visione alternativa secondo la quale l’essere umano manifesterebbe una predisposizione innata a sviluppare legami significativi con figure genitoriali primarie. Tali “relazioni di attaccamento” esisterebbero in forma organizzata dalla fine del primo anno di vita e non sarebbero legate alla gratificazione del proprio piacere o di desideri di natura sessuale, ma finalizzate a garantire la sicurezza e la protezione nei confronti dei pericoli. I “modelli operativi interni” sono rappresentazioni interne di se stessi, delle proprie figure d’attaccamento e del mondo, come pure delle relazioni che li legano. Questi modelli di relazione rappresentati internamente, che si sviluppano nei primi anni di vita e si mantengono relativamente stabili, vengono utilizzati per rapportarsi con il mondo. Le esperienze passate possono in questo modo essere conservate nel tempo e utilizzate come guida generando aspettative e influenzando i comportamenti futuri.
Non tutte le relazioni umane, anche quando significative, sono relazioni di attaccamento. Perché si parli di attaccamento, devono essere presenti almeno tre condizioni di base. 1. ricerca della vicinanza tra la persona attaccata e la persona che offre attaccamento; questa ricerca è molto evidente nel bambino piccolo in relazione con la madre: deve essere sicuro della sua presenza e, per sentirsi tranquillo, la tiene per mano, la abbraccia oppure la vuole a portata di sguardo. 2. reazione di protesta per la separazione, cioè quell’insieme di “comportamenti di attaccamento” che si manifestano nel momento in cui ci si sente in pericolo perché la relazione di attaccamento non è più garantita. Ancora una volta tale aspetto è evidente nel bambino piccolo quando è allontanato dalla madre in un ambiente poco familiare (ad esempio quando viene portato all’asilo): piange, urla, si aggrappa, si mette a tremare per la paura ed emette una serie di segnali che hanno la finalità di garantire il più possibile la vicinanza e la protezione della figura di attaccamento. 3. base sicura, cioè la particolare atmosfera di sicurezza e di fiducia che si instaura tra figura attaccata e figura di attaccamento. Questo concetto, sviluppato inizialmente da Mary Ainsworth, è stato particolarmente valorizzato da Bowlby che ha spiegato come un bambino o un adolescente, per affacciarsi al mondo esterno ed esplorare in modo sereno l’ambiente extra-familiare, abbia bisogno di sentirsi sicuro di poter ritornare sapendo per certo che sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste, rassicurato se spaventato”. Quelli che sanno offrire una base sicura sostengono i figli nella graduale emancipazione, ma, quando necessario, intervengono per proteggerli, rassicurarli e accudirli.
In questa ottica, Bowlby, che gradiva fare paragoni di tipo medico o militare, paragonò la funzione paterna a quella del comandante di una base militare da cui parte una guarnigione per una missione. Il personale della base passerà la maggior parte del tempo in attesa, ma il suo ruolo è comunque fondamentale. L’ufficiale che comanda la spedizione potrà spingersi in avanti accettando di correre rischi solo se saprà di poter fare affidamento su una base sicura nella quale ritornare in caso di difficoltà (Bowlby 1988). Questo paragone è efficace per comprendere come la base sicura sia una funzione “virtuale” che si manifesta pienamente solo nelle situazioni di pericolo.
I dati delle ricerche sull’attaccamento depongono per il fatto che il padre è estremamente importante anche nei primi tre anni di vita, ma il suo ruolo va studiato non tanto nel rapporto diretto con il bambino, ma all’interno di una triade. Se consideriamo il padre in questa prospettiva, potremmo riconoscere la sua funzione in diversi momenti dello sviluppo del ciclo familiare.
Prima infanzia - Favorire e tutelare la relazione madre-bambino (abitazione adeguata, sostegno economico, procurare cibo ed altri beni necessari, rappresentare e proteggere il nucleo familliare) - Supporto e contenimento emotivo della madre durante la gravidanza e nel post-partum (funzione antidepressiva) Adolescenza - Sostenere il figlio nel processo di emancipazione - Proteggere la propria compagna dalla depressione per la separazione dal figlio e i cambiamenti delle funzioni affettive (ruolo materno) e sessuali (menopausa)
Momenti cruciali: quello relativo alla gravidanza e ai primi mesi dopo il parto il secondo coincide con l’adolescenza e l’emancipazione dei figli. In questi due momenti le donne sono maggiormente esposte a difficoltà emotive e reazioni di carattere depressivo legate non solo ai mutamenti fisici e ormonali, ma anche ai cambiamenti del proprio ruolo sessuale femminile di donna e di madre. La funzione del maschio è quella di aiutare la propria compagna a superare le difficoltà mantenendo la sofferenza e la problematicità a livelli tollerabili. Durante la gravidanza e nei primi mesi successivi alla nascita del bambino sono frequenti le reazioni emotive di carattere depressivo, che possono andare alla semplice disforia post-partum o maternity blues (un’alterazione transitoria dell’umore che si manifesta nel 60-70% delle puerpere nei giorni immediatamente successivi al parto) fino alle vere e proprie depressioni post-partum. Winnicott parlava di preoccupazione materna primaria e riteneva che se questa condizione si fosse manifestata al di fuori della maternità sarebbe stata considerata uno stato psichiatrico, mentre nei primi mesi dalla nascita del bambino è uno stato fisiologico e normale di regressione utile per l’accudimento del bambino. In questi momenti, la funzione del maschio sembra essere quella di fornire alla propria compagna supporto emotivo e sicurezza proteggendola da un’eccessiva sofferenza psicologica. Questa funzione antidepressiva può essere interpretata in termini di base sicura.
E’ frequente assistere, durante la gravidanza, alle manifestazioni preoccupate e ansiose dei padri che in alcuni casi arrivano ad accusare sensazioni corporee e disturbi simili a quelli della moglie. Questi atteggiamenti, simili per certi aspetti alla condizione di “preoccupazione materna primaria”, quando si manifestano nel maschio dovrebbero essere considerati con preoccupazione, in quanto pregiudicano la funzione maritale e paterna di base sicura. Un altro periodo molto delicato della vita della madre è quello dell’adolescenza e della graduale emancipazione dei figli dal nucleo familiare: la madre deve saper rinunciare alla funzione svolta durante l’infanzia e prepararsi a vedere il figlio uscire dalla famiglia. La funzione paterna è quella di sostenere il giovane in questo processo (fornendogli una base sicura), ma anche proteggere la moglie dalla depressione legata alla perdita della propria funzione materna e al cambiamento concomitante del proprio ruolo affettivo e sessuale. Un padre troppo invadente e protettivo può limitare il processo di separazione dalla madre e l’autonomia del figlio, favorendo nella propria compagna un’elaborazione di tipo depressivo di questa fase del ciclo vitale. L’uomo deve sapere aiutare madre e figlio a separarsi psicologicamente e ricondurre amorevolmente la propria compagna all’interno di un rapporto di coppia in cui possa di nuovo sentirsi valorizzata.
Mentre l’adolescente necessita ancora che gli adulti esercitino la funzione normativa, i mutamenti nelle dinamiche familiari hanno condotto a una più accentuata simmetria dei ruoli parentali (Pietropolli Charmet, 2001). Come padre e madre sono oggi entrambi dediti all’accudimento materiale del neonato, così, collaborando per lo più al sostentamento economico del nucleo, tendono a supplire al poco tempo con atteggiamenti più affettuosi e permissivi. Anche nel corso degli anni viene prolungata l’attenzione all’aspetto affettivo del rapporto, come se esso, ed esso soltanto, fosse ciò che connota una buona relazione genitori–figli (Pietropolli Charmet, 2004) perché all’apparenza tale tipo di relazione non crea conflittualità manifesta. Si è osservato questo fenomeno soprattutto nel corso della preadolescenza e adolescenza, quando nel passato veniva invece accentuato il contenimento (Giani Gallino, 2007) mediante l’imposizione di regole che conducevano alla definizione del ruolo sociale. Oggi la salvaguardia del volersi bene va a scapito del controllo: attualmente numerosi segnali di disagio sociale fanno sorgere l’interrogativo se questa modalità di rapporto non vada a detrimento della formazione di una personalità ben adattata alla realtà e autodeterminata.
L'impegno paterno non è tanto un sapere od un saper fare, ma essenzialmente un essere. Un figlio può immaginare l'umanità attraverso l'essere del padre, che rappresenta un uomo adulto che manifesta ed attesta capacità di ragionare, sentire ed attestare.
Il padre, assieme alla madre, deve rappresentare il segno e l'esempio di una sana relazionalità col mondo. Ciò che un padre vive fuori della famiglia, dal lavoro alle relazioni sociali, deve poter essere riportato a casa come ricchezza ed espansione della vita affettiva. Il padre può sollecitare un interscambio costruttivo, per non rendere la famiglia un luogo chiuso, come un guscio troppo protetto, od un luogo di passaggio, come un albergo, dove mangiare, dormire ed al massimo leggere un poco e guardare la televisione. Considerando che gran parte del nostro modo di essere dipende dalla nostra relazionalità, è chiaro che un padre con buone e sane relazioni mette in condizione i figli di allargare il loro orizzonte sociale, con possibilità di confronti ed anche reperimento di altri modelli di riferimento.
Erikson rileva che non sono le frustrazioni a rendere nevrotici i bambini, bensì la mancanza di significati sociali da assegnare alle pur necessarie frustrazioni. La necessità del limite ed il suo senso è indispensabile per acquisire un sano principio di realtà ed una corretta percezione di diritti e doveri rispetto alla presenza degli altri esseri viventi, piante, animali o persone. È in famiglia, ed in particolare attraverso l'assimilazione di adeguate e corrette norme di comportamento, che tutto ciò viene permesso, col far apprendere a limitare la propria libertà, tramite la consapevolezza ed il rispetto di quella altrui. La figura del padre è importante per conferire diversamente al figlio maschio ed alla figlia femmina le convinzioni sulla propria identità. Se con il maschio si presenta tutta la problematica dell'identificazione diretta, con la femmina viene fuori la funzione di sostegno interno, quale risultante della dinamica dell'accettazione fisica, dell'accoglienza dell'iniziativa psichica e dell'iniziazione al mondo dei significati. E' così che inizia quel processo di lenta ricerca del Sé, quale "totalità della personalità" o meglio "Dio in noi", come lo qualifica Jung.
Una visione profondamente equivoca sulla funzione del padre, segna la crisi della figura tradizionale del padre, e rischia di distruggere il significato profondo della complementarietà della coppia genitoriale. Un padre mammizzato rappresenta una figura accessoria, quasi folcloristica, che può essere tranquillamente rimpiazzata dal nonno, dalla babysitter o da una zia. Lʼambiguità di questa posizione conduce poi alla figura del papà peluche, ovvero a quel tipo di padre, morbido come un peluche, preposto unicamente al gioco e al divertimento che non è più ovviamente in grado di esercitare (o che teme di esercitare) unʼazione di contrasto e di distacco nei confronti del naturale atteggiamento narcisistico e autocentrato del bambino nella prima infanzia. I “padri peluche” esercitano una sorta di ruolo consumistico: spinti dalle pressioni della società, del marketing, della moda finiscono per accontentare i figli in tutto e per tutto assecondando richieste di gioco, acquisto, attività che però purtroppo non si trasformano quasi mai in vere esperienze di vita per i bambini. Oppure finiscono per voler controllare eccessivamente la vita dei figli, e investendo eccessive risorse emotive o proiettando i propri sogni e i propri vissuti interiori su di loro, non tollerano e di fatto impediscono qualsiasi intervento educativo esterno che non agisca nellʼottica della compiacenza o della gratificazione del pargolo.
Il codice paterno rappresenta la mappa regolativa del vivere, necessaria per potersi orientare nel mondo e affrontare la vita esplorandola nei suoi vari aspetti a partire da riferimenti chiari e sufficienti a non perdere la bussola. Una caratteristica fondamentale del codice paterno è allora quella della chiarezza delle regole. Il paterno è chiaro, definito, sufficientemente comprensibile. Questo codice ha la funzione di consegnare le regole della vita sociale, i limiti entro i quali potersi muovere, e in questo senso anche gli spazi di libertà consentiti. Il codice paterno è unʼofferta di libertà, perché il significato della regola è sostanzialmente questo: garantire un ambito allʼinterno del quale il bambino può agire, muoversi e decidere autonomamente custodito da confini definiti.