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COSA OFFRE L’EBM ALLA GASTROENTEROLOGIA? Il lavoro pioneristico nel campo della EBM era relativo per lo più ai problemi della medicina cardiovascolare. Anche se, a giudicare dalla proliferazione delle meta-analisi e delle linee guida gastroenterologiche basate sull’evidenza
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COSA OFFRE L’EBM ALLA GASTROENTEROLOGIA? Il lavoro pioneristico nel campo della EBM era relativo per lo più ai problemi della medicina cardiovascolare. Anche se, a giudicare dalla proliferazione delle meta-analisi e delle linee guida gastroenterologiche basate sull’evidenza è innegabile che anche nella gastroenterologia si stia adottando l’approccio basato sull’evidenza, ancora si deve percorrere molta strada per raggiungere i cardiologi.
L’EBM si presenta ai gastroenterologi con delle sfide leggermente differenti, e la considerazione di queste differenze è istruttiva. Diversamente dai cardiologi, utilizziamo un insieme maggiore di esami diagnostici. Lavoriamo con colleghi provenienti da un insieme più ampio di discipline, incluse l’istopatologia, la biochimica, l’immunologia, la microbiologia, la radiologia e la chirurgia.
Tradizionalmente, dovevamo contare sui risultati di molti piccoli trial di terapia, in parte a causa della prevalenza relativamente bassa di molte malattie gastroenterologiche ed epatologiche e in parte per il fatto che noi siamo stati più lenti ad abbracciare la metodologia dei “mega-trial”. A differenza del cardiologo interventista acuto, noi tendiamo a spendere più tempo a trattare dei pazienti con condizioni croniche recidivanti, come la malattia infiammatoria intestinale e l’epatite virale.
Anche se ci sono somiglianze nel nostro uso delle tecniche interventistiche o procedurali, molte di quelle impiegate dai gastroenterologi dipendono maggiormente dall’operatore rispetto a quelle usate dai cardiologi. Questi contrasti non solo spiegano alcune delle differenze qualitative e quantitative delle risorse di EBM tra la gastroenterologia e la cardiologia (611 vs 781 trial randomizzati controllati [RCT] e meta-analisi negli ultimi 2 anni), ma sottolineano anche alcune delle sfide che ci sono davanti, le quali possono tutte essere facilmente affrontate.
La EBM offre ai gastroenterologi e agli epatologi tanto quanto essa offre agli altri clinici di altre specialità, e ci sono molti modi in cui noi possiamo utilizzarla a nostro beneficio. Quando è confrontata dai problemi clinici, la formulazione della domanda può essere usata per ridurre i complessi scenari clinici ad una serie di problemi che possono essere elencati in ordine di priorità secondo una gerarchia di importanza.
Fare un uso ottimale delle risorse della tecnologia informatica comporterà l’apprendimento di strategie di ricerca di maggiore successo per i migliori database e l’annotazione dei siti Web utili, come ScHARR and HEPNET . In una disciplina che fa così affidamento sul lavoro interdisciplinare, padroneggiare le abilità della valutazione clinica può aumentare grandemente la nostra capacità di contribuire ai dibattiti riguardo alla pratica al di fuori della nostra area di competenza e all’interno della specialità.
Pertanto, un incontro tra medici, chirurghi e radiologi riguardo al trattamento dei tumori epatici potrebbe coinvolgere ciascun gruppo usando una comune strategia per valutare criticamente l’evidenza al fine di raggiungere un consenso. Sarebbe molto sbagliato ignorare le considerevoli conquiste che sono state già ottenute nella gastroenterologia e nell’epatologia basate sull’evidenza.
Importanti revisioni sistematiche hanno cambiato le prospettive e la pratica nell’area della terapia nel caso della cirrosi biliare primitiva, delle malattie infiammatorie intestinali e dell’epatite C . Vi sono molti esempi di nuove iniziative in cui i gastroenterologi stanno lavorando insieme per rispondere a domande importanti, con vasti trial multicentrici riguardanti l’uso di nuove terapie nella malattia infiammatoria intestinale, nella diagnosi del cancro colorettale, e nell’utilizzo di markers sierologici nella diagnosi della fibrosi epatica.
Il successo dei vari gruppi Cochrane in questo campo fornisce un’ulteriore evidenza del crescente riconoscimento all’interno della specialità della potenza degli approcci basati sull’evidenza alla ricerca clinica. Gli anni recenti hanno testimoniato la proliferazione di valide linee guida della pratica e di studi disegnati per generare l’evidenza che li sostiene, come le linee guida della British Society for Gastroenterology per l’emorragia gastrointestinale.
È stato incoraggiante testimoniare la collaborazione tra l’industria farmaceutica e la professione medica nel disegno e nella conduzione di RCT di buona qualità per la validazione di nuove terapie per l’epatite C prima della loro introduzione sul mercato.
Le sfide che ci stanno davanti sono l’ulteriore esecuzione di una ricerca clinica di buona qualità sull’efficacia dei trattamenti e degli esami diagnostici utilizzati, la promozione della EBM nelle riviste che rappresentano la fonte primaria di pubblicazioni per la specialità, e lo sviluppo di fonti secondarie di pubblicazione basate sull’evidenza.
In conclusione, la EBM può portare vantaggi a gastroenterologi ed epatologi, ai pazienti, e al sistema sanitario in cui si lavora. L’EBM fornisce ai clinici un mezzo per tenersi aggiornati e un modo per mantenere l’indipendenza clinica, nonché per suggerire nuove domande alla ricerca. I pazienti trarranno benefici dal fatto che i medici siano informati e aggiornati quanto più è possibile, mentre il processo della EBM dovrebbe permettere di tener conto dei bisogni e dei desideri dei pazienti al momento di integrare l’evidenza esterna con le necessità individuali.
Principali sintomi gastrointestinali Una conoscenza personale della funzione del proprio intestino fa parte della vita. Pochi vi sfuggono, e molti hanno sintomi cronici e fastidiosi. Sintomi come il dolore e la diarrea sono più comprensibili quando sono associati alla malattia ulcerosa peptica o alla colite ulcerosa.
La patologia diventa un punto di riferimento comune per i pazienti e per i medici, in quanto essa trascende la variabilità delle reazioni umane e la miriade delle interpretazioni dei sintomi. La scomparsa di una ulcera o la guarigione della colite riflette un esito positivo, e quando i sintomi persistono, noi restiamo disorientati. Ad ogni modo, la maggior parte dei sintomi addominali (in realtà la maggioranza dei sintomi di ogni tipo) non risultano associati ad alcuna patologia e mal si adattano al paradigma malattia-sintomo.
La mancanza di un modello patologico adatto a spiegare i sintomi delude i medici inclini alla fisiopatologia e, allo stesso modo, i pazienti. Perciò, l’epidemiologia della malattia (patologia) deve essere considerata come un’entità distinta dai sintomi. La prima è ben documentata nelle statistiche della morbilità e ha uno specifico profilo diagnostico e prognostico. Tuttavia, i sintomi, soprattutto i sintomi cronici, sono molto diversi.
Mentre talvolta possono essere indicativi di una malattia strutturale, di solito non lo sono. Ad esempio, il gonfiore addominale è spesso definito nei testi di medicina come un sintomo del morbo celiaco, eppure esso si verifica in circa la metà delle donne, delle quali la quasi totalità non ha alcuna patologia intestinale. I sintomi intestinali spingono i pazienti dai medici, ed è un dilemma del medico scoprire la patologia sottostante nei pochi e fornire una spiegazione e un rimedio agli altri.
Alcuni ritengono che i sintomi inspiegabili siano dovuti ad una “disfunzione” dell’intestino o dei suoi collegamenti nervosi, vascolari, ed endocrini col sistema nervoso centrale (da qui il termine “disordine funzionale”) L’implicazione peggiorativa che “funzionale” significa “fissazione mentale” è venuta dopo.
Poiché le indagini sulla popolazione non possono escludere le malattie organiche, per convenzione tutti i sintomi riportati sono considerati come funzionali, a meno che il paziente non ammetta una malattia strutturale. I sintomi funzionali possono essere associati in modo considerevole a comportamenti da malato, timori, perdita della produttività, esami non necessari, e trattamenti inutili.
Tra tutti i sintomi riportati dai soggetti, quanti sono importanti dal punto di vista medico o sociale? Molti non vengono mai riportati ai medici. Ciò nondimeno, quando tali sintomi arrivano all’attenzione del medico, essi sono molto costosi. Si stima che la sola SII costi agli Stati Uniti 8 miliardi di dollari all’anno.
La più comune indicazione per un clisma opaco è la SII I disturbi GI ammontano a circa l’8% delle visite presso il medico di medicina generale nel Regno Unito La SII comprende il 29% dei disturbi e molti di questi disturbi erano dovuti a disordini funzionali.
DIFFICOLTÀ METODOLOGICHE Sintomi e Sindromi Un sintomo è un singolo disturbo lamentato da un paziente, come il dolore addominale, la diarrea o il meteorismo. Immediatamente, noi riconosciamo un problema! I “sintomi” sono solitamente riferiti al curante. La percezione soggettiva di una sensazione intestinale, sollecitata dalle domande di una inchiesta o sondaggio, ha la stessa importanza di quella riferita a un medico?
Forse tali sensazioni fanno parte della vita. Può darsi che è il significato attribuito a queste sensazioni che trasforma una persona in un paziente? Questa è una domanda critica, in quanto a differenza del cancro del colon, la prevalenza di un sintomo, come il dolore addominale, non può di per se stessa essere utilizzata come misura di una malattia, disturbo, disabilità o costi sanitari nella popolazione.
Il “disturbo principale” in un’intervista medica è di solito un sintomo, ma il sintomo è accompagnato da una evidenza di supporto. La diarrea ematica, il dolore addominale inferiore crampiforme, la febbre e il malessere costituiscono un gruppo di sintomi o una sindrome che permette al medico di riconoscere una colite e di predire quale patologia sarà rilevata alla sigmoidoscopia. Comunque, la maggioranza dei sintomi riferiti ai medici, e probabilmente la maggior parte di quelli non riferiti, non hanno una spiegazione strutturale. Ciò nonostante, i medici hanno imparato a raggruppare tali modelli di sintomi in sindromi, come la SII, la dispepsia, o la stipsi funzionale.
Ad esempio, la diarrea cronica intermittente • crampiforme, in assenza di sanguinamento e febbre, • potrebbe • essere stata diagnosticata da un medico di una • generazione precedente come colite “spastica”. Mentre • ciò richiama alla mente la sindrome della colite, il medico • fa due supposizioni infondate: • che i sintomi sono dovuti allo spasmo del colon • che il colon è infiammato.
Oggi, noi usiamo il termine “sindrome dell’intestino irritabile” in base all’ipotesi che l’intero intestino sia in qualche modo irritato o sensibile. I sintomi individuali richiedono una adeguata interpretazione da parte del clinico. La “diarrea” può essere descritta, ad esempio, come una sola evacuazione giornaliera di feci non formate, eliminazione di feci caprine o un numero variabile di scariche al mattino [pseudodiarrea] o evacuazioni persistenti e molteplici di feci poltacee o liquide ogni giorno.
In una inchiesta su un campione casuale di donne, 60 (8.6%) avevano la stipsi definita in tre modi: usando la descrizione del paziente, i criteri generati dal medico e il prolungato transito intestinale. Comunque, soltanto 17 (2%) furono definite come affette da stipsi secondo tutte le definizioni, e approssimativamente il 18% era incluso in almeno una delle tre definizioni. Un altro esempio di sintomo è il dolore “addominale”, che può avere delle cause che non hanno niente a che vedere con l’intestino.
Quando è associato al mangiare, si prende in considerazione la dispepsia o la pirosi, e se si verifica in associazione con la defecazione, viene in mente la SII. L’esacerbazione del dolore con i movimenti o l’esercizio suggerisce una causa muscolo-scheletrica o cardiaca, mentre un dolore costante, non modificato da qualsiasi funzione corporea, può essere in realtà una sindrome dolorosa cronica.
L’incapacità di definire chiaramente questi sintomi e queste sindromi nei pazienti crea dei problemi al clinico e al ricercatore che desiderano diagnosticare o trattare tali pazienti o esaminare la letteratura per ottimizzare il trattamento del paziente
Disordini Funzionali vs Organici La menzione dei termini “funzionale” e “organico” tra gli esperti della patologia intestinale sicuramente provocherà un dotto dibattito in merito alla loro rilevanza e al loro significato. I professionisti “olistici”, che rifiutano la dualità cartesiana mente-corpo, non ammettono questa distinzione. Essi argomenteranno: “Di fronte a te c’è una persona che soffre. Tu hai a che fare con l’intera persona”. È difficile contestare una tale affermazione, finché un patologo mostra che alcuni sintomi sono dovuti ad alterazioni osservabili nel corpo.
Queste alterazioni sono spesso assoggettate a trattamenti specifici, come gli antibiotici per le enteriti infettive o gli steroidi per il morbo di Crohn. Il clinico ricorda che i sintomi senza l’etichetta del patologo solitamente non hanno trattamenti specifici. Da posizioni laterali, gli psicologi urlano che tali sintomi sono dovuti ai traumi della vita e alle reazioni dei loro pazienti a tali traumi. Alla fine, sembra che non ci siano delle alternative ragionevoli alle descrizioni “funzionale” e “organico”. Questi termini rendono la dicotomia che esiste nella medicina contemporanea: alcuni sintomi sono spiegati, altri no.
. Comunque definiti e nominati, i disordini funzionali sono comuni, costosi e trattati in modo insoddisfacente. Forse, come le mestruazioni, “i dolori di stomaco” o i mal di testa essi fanno parte della condizione umana. Finché non ricevono una spiegazione strutturale o organica, la loro definizione e prevalenza meritano uno studio accurato.
Criteri Diagnostici I disordini funzionali dell’intestino possono essere riconosciuti soltanto dalle sensazioni soggettive che il paziente riferisce. I medici devono tentare di interpretare cosa dice il paziente, trarre alcune conclusioni e determinare il corso dell’azione; il tutto senza il beneficio di una spiegazione patologica. I sintomi non spiegati sono conosciuti già dall’epoca di Ippocrate, e probabilmente anche prima, e la letteratura sulla SII copre un periodo di quasi 200 anni. Fino al 1962, la SII era conosciuta come colite mucosa, colite neurogena, colite membranosa, colite spastica e altri nomi che implicano cause e patologie che non sono suffragate da una evidenza scientifica.
Nel 1962, Chaudhary e Truelove pubblicarono la prima revisione retrospettiva di pazienti con SII . Gli Autori notarono che molti degli aspetti descritti erano quelli che adesso noi riconosciamo come SII (essi lo denominarono “sindrome del colon irritabile”). Essi inoltre separarono la SII da quella che noi chiamiamo diarrea funzionale. Molto più tardi, la prima classificazione di tutti i disordini GI funzionali apparve nel 1979 nell’indice del The Irritable Gut .
Nel 1978, a Bristol fu somministrato un questionario a pazienti ambulatoriali con dolore addominale e irregolarità dell’alvo. Si trovò che sei dei 15 sintomi erano più comuni nella SII che nella malattia organica.
Prevalenza dei Sintomi Gastrointestinali dell’intestino: questi sono adesso conosciuti come i criteri di Manning. Questi criteri per la SII sono stati ampiamente utilizzati e validati . Nel 1984, uno studio simile tedesco ha riportato i tre sintomi cardinali della SII, ovvero il dolore, la disfunzione intestinale e la flatulenza. Se tutti e tre sono presenti, la SII ha un’alta probabilità.
Questo studio ha sottolineato la cronicità di questi e di altri sintomi, ma gli Autori hanno qualificato i sintomi di allarme, come il sanguinamento e la perdita di peso, che dovrebbero allertare il medico sulla maggiore probabilità di una malattia organica. Questi due studi discriminanti della funzione, in aggiunta ai dati epidemiologici forniti da Drossman et al. e da Whitehead et al., rappresentano le basi dei criteri diagnostici di Roma per la SII.
L’ispirazione per i criteri di Roma è derivata da un simposio sulla SII durante il 12° Congresso Internazionale di Gastroenterologia, tenutosi a Lisbona nel 1984. Fu messo insieme un gruppo di lavoro per produrre delle linee guida per la SII per il congresso successivo. Il gruppo si incontrò a Roma per discutere una bozza di proposta e raggiunse un consenso sulle definizioni. La penultima bozza fu spedita a 16 noti specialisti in sette paesi. Il gruppo di lavoro prese in considerazione i loro commenti e suggerimenti, e i primi criteri di Roma furono presentati al 13° Congresso di Gastroenterologia a Roma nel 1988. Successivamente a quel meeting, un altro gruppo di lavoro classificò i disordini GI funzionali in 21 entità.
Successivamente, numerosi gruppi di lavoro hanno sviluppato questi criteri secondo cinque regioni anatomiche [esofagea , gastroduodenale , biliare , intestinale e anorettale e hanno discusso gli argomenti relativi ai disordini funzionali dell’intestino. Nel 1994, il lavoro collettivo, conosciuto come Roma I , è stato pubblicato in The Functional Gastrointestinal Disorders: Diagnosis Pathophysiology and Treatment: A Multinational Consensus . Nel 1999, una versione aggiornata dei criteri (Roma II) è stata pubblicata dopo un processo simile a quello di Roma I .
I criteri di Roma hanno generato molta attività e controversie e sono imperfetti. Gli studi di validazione sono difficili da effettuare e sono stati raramente tentati Tutte le categorie interessate a questi disordini, ad esempio gli epidemiologi, i medici di cura primaria, i consulenti, i ricercatori, gli psicologi, i fisiologi, i finanziatori, e naturalmente i pazienti stessi, hanno differenti punti di vista. Ciò nondimeno, i criteri hanno acquisito una tale divulgazione che costituiscono le basi per l’ingresso nella maggior parte delle inchieste epidemiologiche sui disordini funzionali dell’intestino e hanno obbligato a una descrizione accurata dei pazienti partecipanti agli altri studi.
Essi sono lo standard dell’industria farmaceutica per l’ingresso in un trial clinico sui farmaci, anche se talvolta vengono modificati per adattarli alle caratteristiche del prodotto testato. I pazienti possono adesso essere rassicurati in quanto soffrono di una malattia vera, e non di sintomi resi immaginari dagli esami negativi. I criteri costituiscono un linguaggio con cui i gruppi interessati possono comunicare.
Difficoltà dell’Inchiesta Come in tutte le inchieste, l’applicabilità dei dati raccolti dipende dal fatto che il campione di inchiesta deve rappresentare in modo soddisfacente la popolazione nell’insieme o la sottopopolazione di interesse. I campioni casuali sono difficili da ottenere e sono al di là delle risorse della maggior parte dei ricercatori. Perfino quando lo studio è copiosamente finanziato, la popolazione studiata è generalmente estratta da un elenco telefonico o delle tasse o ancora dalle liste elettorali.
Nessun metodo è perfetto, ma è incoraggiante il fatto che i risultati della maggior parte delle inchieste sono simili. Il metodo di raccolta dei dati richiede un esame critico. Di solito, si impiega un questionario, ma i dati possono essere ricavati sia mediante autocompilazione o mediante le domande degli intervistatori. Queste possono essere ottenute di persona, telefonicamente, o mediante strumenti interattivi. È improbabile che tutti questi metodi producano gli stessi risultati.
Tutte le inchieste dipendono dalla capacità mnemonica dei soggetti. Mentre gli individui possono valutare accuratamente i sinto- mi attuali, possono però riferire in maniera inaccurata i sintomi degli anni precedenti. È istruttivo notare che il 40% delle persone (60% di sesso maschile) dimenticano di avere avuto delle fratture quando vengono interrogati in una inchiesta. Come controlli in uno studio prospettico, la maggioranza di 27 donne “asintomatiche” ha annotato dolore addominale non mestruale e gonfiore durante 1 mese mentre teneva un diario dei sintomi. Rifiuti e abbandoni possono ulteriormente influenzare i dati e renderli meno applicabili alla popolazione generale. Una compliance del 70% è considerata il minimo.
Storia del Caso La Signora R.O. è una parrucchiera di 35 anni che da molti anni lamenta un bruciore retrosternale quando si corica o si piega in avanti. Ha usato in modo irregolare una varietà di antiacidi e antagonisti del recettore-H2 dell’istamina e farmaci procinetici; durante gli ultimi 2 anni, ha avuto frequenti episodi di dolore addominale al quadrante inferiore destro, preceduti da feci dure e caprine. Il dolore era alleviato dall’emissione di feci mal formate, acquose e urgenti.
Essa riferisce un fastidio epigastrico quasi giornaliero che sembra senza sollievo e senza fattori provocanti. Non vi sono sintomi di allarme, come sanguinamento o febbre, e nessun segno fisico obiettivo. La Signora R.O. illustra un’altra difficoltà nell’identificazione dei disordini GI funzionali durante le inchieste. Ella riferisce i criteri di Roma II per tre disordini funzionali dell’intestino: pirosi, SII e dispepsia funzionale. Dovrebbe essere conteggiata in tutte e tre le categorie, e, in caso contrario, quale di queste categorie deve avere la precedenza? La SII, come suggeriscono le definizioni, dovrebbe escludere la dispepsia?
Nel questionario Roma II, un individuo che ha pirosi e disfagia, è registrato come se non avesse nessuna delle due, in quanto i criteri sono reciprocamente escludenti. Ciò ha un certo significato, in quanto si escluderebbe un soggetto con malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) e stenosi, ma sembra anche che sia possibile avere sia la pirosi funzionale che la disfagia funzionale.
L’EVIDENZA La prevalenza dei disturbi funzionali dipende da come sono definite le varie condizioni. Ciò nondimeno, sembra che i disturbi funzionali siano assai prevalenti nella popolazione generale.
Sindrome dell’Intestino Irritabile Si stima che la prevalenza ad 1 anno della SII negli adulti sia tra il 10% e il 20% a livello mondiale. Ciò è stato per prima cosa riportato in una popolazione britannica non selezionata nel 1980 ed è stato confermato in diverse popolazioni nel mondo. Persino in Cina Tre studi hanno esaminato dei campioni casuali di popolazione e indicano delle prevalenze simili negli Stati Uniti e nel Regno Unito. In questi studi, risulta che il rapporto donna uomo: è di 2:1, e che la prevalenza di SII non è influenzata dall’età. Lo studio summenzionato negli Stati uniti ha accertato la prevalenza della SII usando i criteri Roma I.
Un’inchiesta casuale sulla popolazione Canadese , recentemente condotta, ha utilizzato i criteri Roma II ed un questionario per determinare la prevalenza della SII nella popolazione canadese, che è risultata pari al 12.1%. Usando lo stesso questionario, è stato ideato un algoritmo Roma I per la SII, ed il 13.5% aveva la SII secondo questa definizione. La concordanza tra i criteri Roma I e Roma II era del 95%, con un kappa di 0.76. Perciò, i due gruppi di criteri identificano virtualmente gli stessi soggetti, e le cifre di prevalenza canadesi sono compatibili con quelle riportate altrove. Anche la prevalenza di sesso della SII era compatibile con altre inchieste, verificandosi nel 15.2% delle donne e nell’8.7% degli uomini. In studi successivi , si evidenzia che, mentre la prevalenza della SII in una data popolazione rimane costante dal 15% al 20%, cambiano gli individui che riportano la SII in quella popolazione. C’è perciò un guadagno e una perdita per la coorte SII, tale che la prevalenza della SII per tutta la vita è molto più alta del 15-20%.
Quando i pazienti che hanno una diagnosi iniziale certa di SII sono intervistati dopo 1-8 anni, si trova che la maggioranza è sintomatica. Ciò indica che la SII è una condizione cronica o ricorrente. In pochi pazienti si riscontra più tardi una malattia GI organica e in nessun caso si sarebbe potuto dire che la diagnosi iniziale non era corretta.