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I LAVORI ATIPICI. DIRETTIVE n. 97/81 del 15.12.1997 sul part-time n. 99/70 del 28.6.1999 sul lavoro a tempo determinato n. 08/104 del 19.11.2008 sul lavoro tramite agenzia interinale.
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I LAVORI ATIPICI DIRETTIVE n. 97/81 del 15.12.1997 sul part-time n. 99/70 del 28.6.1999 sul lavoro a tempo determinato n. 08/104 del 19.11.2008 sul lavoro tramite agenzia interinale
Con le tre direttive e con le proposte che le hanno precedute si è progressivamente elaborato un modello di lavoro flessibile e «adattabile» tendente a: • contemperare flessibilità per le imprese e sicurezza per i prestatori di lavoro, riconciliare le esigenze della vita lavorativa con i bisogni della vita familiare, rimuovere le discriminazioni di genere, ma anche quelle fra lavoratori standard e lavoratori flessibili • promuovere la creazione di un lavoro flessibile di «qualità».
Interventi normativi sui lavori flessibili e SEO Gli interventi sui lavori flessibili risultano trasversali a tre dei pilastri a cui si è ispirata la SEO a partire dal Consiglio di Lussemburgo del 1997: la promozione (1) dell'occupabilità, (2) dell'adattabilità e (3) delle pari opportunità. Le tre direttive assumono obiettivi tipici delle politiche occupazionali, quali per es. l'«aumento della intensità occupazionale » (quarto considerando dell'accordo allegato alla direttiva 97/81/CE). cfr. anche l‘undicesimo considerando della dir. 2008/104/CE per il quale «il lavoro interinale (…) contribuisce (…) alla creazione di posti di lavoro e alla partecipazione al mercato del lavoro e all’inserimento in tale mercato»
IL METODO dell’intervento normativo interventi di armonizzazione legislativa di tipo hard nei quali l’impiego del «metodo comunitario classico è diluito nella sostanza per via della adozione di direttive soft nei contenuti («direttive quadro») Le direttive contengono disposizioni alquanto generiche, nonché, almeno prima facie, poco vincolanti, sul presupposto che le soluzioni siano da ricercare e da adattare flessibilmente in relazione alle diverse esigenze regolative dei singoli Stati membri
LA PROCEDURA retrostante le due prime direttive sui lavori atipici: Dalla contrattazione collettiva istituzionale… … alle due direttive del Consiglio
In particolare, l’applicazione degli artt. 138 e 139 del Trattato CE In tema di lavori atipici le parti sociali - previamente consultate dalla Commissione ai sensi dell’art. 138, comma 2 – hanno intrapreso il processo negoziale previsto dall’art. 139 e, come già avvenuto in materia di congedi parentali (dir. n. 96/34 di ricezione dell’accordo collettivo del 14.12.1995), hanno concluso due accordi, successivamente allegati dalla Commissione alle due proposte di direttive indirizzate al Consiglio e, allo stesso modo, annessi alle direttive che il Consiglio ha successivamente adottato.
Gli accordi sul part-time e sul contratto a termine sono segno della “vitalità politica” della contrattazione collettiva comunitaria e della sua capacità di funzionare come strumento di integrazione tra gli Stati membri e come risorsa regolativa dell’Unione.
I precedenti normativi comunitari sui lavori atipici Già all’inizio degli anni ottanta la Commissione aveva formulato due proposte di direttiva (a) sul lavoro volontario a tempo parziale e (b) sul lavoro temporaneo (1982) che rimasero, però, senza seguito: base giuridica art. 100 TCE ostilità delle organizzazioni imprenditoriali e veto del governo britannico Sono conseguenza dell’ impulso fornito alle politiche sociali della Comunità dalla Carta dei diritti sociali fondamentali, del 1989 (che ha auspicato, al paragrafo 7, il ravvicinamento delle condizioni di vita e di lavoro dei prestatori di lavoro nel progresso, anche per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale e il lavoro temporaneo) , le due proposte della Commissione sul part-time e sul lavoro temporaneo del 1990 e la proposta relativa alla (poi adottata) direttiva n. 91/383 ciò che all'epoca stava più a cuore alla Commissione era ancora il corretto funzionamento del mercato comune: «visto il notevole sviluppo e le forme assai disperate di contratti di lavoro diversi da quello a tempo indeterminato» occorreva, infatti, «predisporre un quadro per garantire un minimo di coerenza tra le varie forme di contratto», non solo, e non tanto, per garantire un miglioramento delle condizioni di vita dei prestatori, quanto per evitare «problemi in termini di dumping sociale, anzi di distorsioni di concorrenza»[Comunicazione della Commissione sul suo programma di azione per quanto riguarda l'attuazione della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori», COM (89) 568 def. del 5 dicembre 1989] -
Il numero rilevante di incidenti riguardanti lavoratori aventi un rapporto di lavoro temporaneo ha spinto la Commissione a presentare una specifica proposta, finalizzata a «contenere i rischi corsi dai lavoratori temporanei» Lungi dal dettare una compiuta regolamentazione del lavoro atipico, la direttiva contiene soltanto misure rivolte a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori con contratto di lavoro temporaneo (a termine o interinale). sancendo il principio della parità di trattamento fra lavoratori temporanei e lavoratori standard «per quanto concerne le condizioni di lavoro relative alla protezione della sicurezza e della salute durante il lavoro, con particolare riguardo all’accesso alle attrezzature di protezione individuali» La direttiva resta dunque lontana da una disciplina comunitaria del lavoro atipico indipendente dall’ambito tematico della salute e della sicurezza La direttiva 91/383sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori atipici Base giuridica utilizzata per la proposta: art. 118 A TCE (ora 137) : adozione di direttive con maggioranza qualificata
Il contenuto della dir. 91/383 - Esempi: • Per il lavoro interinale, responsabilità dell’impresa • utilizzatrice per la sicurezza, l’igiene e • la salute del lavoratore interinale, per tutta la durata • della “missione”; • 2) il diritto di informazione dei lavoratori temporanei • sui rischi connessi all’esecuzione dell’opera al • cui svolgimento è tenuto il lavoratore • etc…
Conseguenza… E’ scarsa, sino alla fine degli anni ’90, la comunitarizzazione degli ordinamenti nazionali in materia di lavori atipici
Le direttive n. 97/81 e 99/70: nuovi contenuti e nuova “ispirazione di fondo” In ordine ai contenuti: le due direttive sono specificamente rivolte a disciplinare il part-time e il lavoro a termine (anche se la maggior parte delle prescrizioni sono formulate in modo programmatico) in tutti gli aspetti e non solo in quello relativo alla salute e alla sicurezza
Le direttive n. 97/81 e 99/70: nuovi contenuti e nuova “ispirazione di fondo” In ordine alla “ispirazione di fondo”: Le direttive sono finalizzate al contemperamento di “flessibilità e sicurezza”, ovvero alla realizzazione della cd. “flessibilità mite” (o della flexicurity) La normativa in materia di lavori flessibili appare pervasa da una duplice anima: da una parte, perseguendo obiettivi di politica sociale, statuisce una rete di tutele e di diritti a favore dei lavoratori flessibili; dall’altra, ispirandosi a finalità occupazionali, favorisce un efficiente funzionamento del mercato del lavoro
Significato necessità di contemperare l’esigenza del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori con quelle di competitività delle imprese e con il generale obiettivo dell’incremento dell’occupazione (tit. VIII del Trattato) Si ricorda che: promozione dell’occupazione e miglioramento delle condizioni di vita e di lavororientrano tra i nuovi obiettivi assegnati alla Comunità dall’APS allegato al Trattato di Maastricht del 1991
La direttiva n. 97/81 sul part-time……e la sua implementazione nell’ordinamento italiano: il d. lgs. n. 61 del 2000 (cenni)
Il d. lgs. n. 61 del 2000 E’ un esempio di comunitarizzazione diretta del nostro ordinamento del lavoro L’Italia, con legge comunitaria 5 febbraio 1999, n. 25, ha previsto il recepimento della direttiva mediante decreto legislativo, da emanarsi entro il 27 febbraio 2000
La tecnica di regolamentazione utilizzata nella direttiva La direttiva contiene per lo più principi generali; abbandona l’approccio regolativo di tipo dettagliato e formula prescrizioni di carattere prevalentemente programmatico. La funzione di armonizzazione risulta pertanto ridotta al minimo a favore della previsione di principi generali – più o meno vincolanti E’ un tipico esempio di direttiva soft di seconda generazione
I contenuti: • La direttiva può essere scomposta in quattro parti fondamentali: • Le finalità generali • Le definizioni e il campo di applicazione • Il divieto di discriminazione e il principio di proporzionalità • Le disposizioni relative alla attuazione della direttiva
1) Le 2 finalità generali (clausola 1) 1) Assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e migliorare la qualità del lavoro part-time 2) Facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria e contribuire all’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro in modo da tenere conto dei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori
Rispetto alla seconda finalità...(facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale) …va sottolineato il contenuto della clausola 5.1 per la quale gli Stati membri dovrebbero individuare gli ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono limitare le possibilità di diffusione del part-time
L’interazione fra il linguaggio della politica (occupazionale) e il linguaggio dei diritti Il 5°: “considerando che le conclusioni del Consiglio europeo di Essen (…) hanno richiamato l’esigenza di adottare misure volte ad incrementare l’intensità occupazionale della crescita, in particolare mediante un’organizzazione più flessibile del lavoro, che risponda sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenze della competitività”; l’11°:che fa riferimento allo “sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale su basi accettabili sia ai datori di lavoro che ai lavoratori”. In questo senso appaiono rilevanti alcuni “considerando” iniziali (in particolare, il 5° e l’11°)
Il lavoratore a tempo parziale è il salariato il cui orario di lavoro normale è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile Diversamente dalle due proposte di direttiva del 1990 – che richiedevano una soglia minima di orario (in media almeno otto ore settimanali) – la dir. n. 97/81 ammette part-time anche con orari minimi 2) Definizione di part-time e campo di applicazione della direttiva
CONSEGUENZE: In compenso, non esistono soglie al di sotto delle quali le prestazioni di lavoro part-time sono irrilevanti per gli ordinamenti giuridici nazionali (salvo il caso dei soggetti che lavorano su base occasionale: clausola 2.2) Non viene fissato un minimo di ore ( e di conseguente retribuzione) che debba essere comunque garantito al lavoratore part-time
Il part-time a zero ore o “secondo il fabbisogno” (nella legge italiana, «lavoro intermittente») La sentenza Wippel (CGCE 12 ottobre 2004, C-313/02, Nicole Wippel c. Peek & Cloppenburg GmbH & Co. KG) • la sig.ra Wippel era parte di un contratto di lavoro “secondo il fabbisogno”; il contratto si caratterizzava per la mancata previsione di orari e di retribuzione fissi, dunque, esso non attribuiva alla sig.ra Wippel alcuna garanzia di salario minimo • La sig.ra Wippel chiede che le sia riconosciuto il diritto alla differenza retributiva tra la somma dovuta per la durata massima di lavoro che avrebbe potuto esserle richiesta e l’importo dovuto per le ore effettivamente prestate. Sostiene di essere vittima di una discriminazione fondata sul sesso
…segue: la decisione della CGCE • Il lavoratore secondo il fabbisogno dell’ordinamento austriaco è lavoratore subordinato • Per la prima volta la CGCE decide un caso di discriminazione indiretta di una lavoratrice part-time applicando la direttiva sul part-time, invece che quella sulla parità di trattamento fra uomini e donne • La clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81 e gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 debbono essere interpretati nel senso che «non ostano ad un contratto di lavoro a tempo parziale dei lavoratori (…), come quello oggetto della causa principale, in forza del quale la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione dell’orario di lavoro non siano fisse, bensì siano correlate al fabbisogno di lavoro, determinato caso per caso, restando tali lavoratori liberi di scegliere se accettare o rifiutare il lavoro offerto». • «In circostanze quali quelle di cui alla causa principale, in cui le due categorie di lavoratori non sono comparabili, un contratto di lavoro a tempo parziale in base al fabbisogno, il quale non fissi né una durata del lavoro settimanale né un’organizzazione dell’orario di lavoro, non costituisce una misura indirettamente discriminatoria». La sig.ra Wippel è una «speciale» lavoratrice a tempo parziale rientrante, in linea di principio, nell’ambito di applicazione della direttiva sul part-time, cui, tuttavia, non è concretamente applicabile il principio di parità di trattamento ivi sancito, poiché non esistono lavoratori, né a tempo parziale, né a tempo pieno, che si trovino in una situazione comparabile alla sua
La definizione di part-time nel d. lgs. n. 61 del 2000 Ai sensi dell’art. 1, si intende, per "tempo parziale" l'orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui sia tenuto un lavoratore, che risulti comunque inferiore all'orario normale di lavoro di cui all'articolo 13, comma 1, della legge 24 giugno 1997, n. 196, e successive modificazioni, o l'eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati
La direttiva non definisce le diverse tipologie di part-time (orizzontale, verticale, misto). Il decreto legislativo italiano sul part-time (d. lgs. n. 61/2000) contiene, per es., una definizione assai più dettagliata del part-time, specificando queste distinzioni. Non specifica neanche se debbano essere predeterminate in modo certo le modalità di distribuzione dell’orario (problema delle cdd. “clausole elastiche”). I “silenzi” della dir. n. 97/81
I “silenzi” della dir. n. 97/81 e le sue conseguenze • La “volontarietà”, che la clausola 1, lett.b, qualifica come elemento caratterizzante dell’intero rapporto di lavoro a tempo parziale, fa pensare ad una necessità di consenso sulla dimensione temporale complessiva della prestazione di lavoro e sulle sue eventuali variazioni. • La disciplina delle clausole “flessibili” ed “elastiche” nell’art. 3 del d. lgs. n. 61/2000: tra legittimità della flessibilità e garanzia della “volontarietà” del part-time flessibile e/o elastico per il lavoratore. Il consenso del lavoratore deve essere espresso attraverso specifico patto scritto
…inoltre: …ex art. 3, c. 9, d. lgs. n. 61/2000: Il rifiuto del lavoratore di inserire nel contratto calusole elastiche o flessibili «non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento»
Volontarietà del part-time e clausola 5.2 Il part-time come “tempo scelto”
Illegittimità del licenziamento motivato dal rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro full-time a part-time, o viceversa (conf.art. 5 d.lgs. 61/2000) Il part-time come “tempo scelto” CLAUSOLA 5 Necessità per i dat. di lav. di prendere in considerazione le richieste di conversione e di fornire informazioni sulle disponibilità in organico
Ambito di applicazione • La possibile esclusione - da parte degli Stati membri, a condizione di una previa consultazione delle parti sociali e “per ragioni obiettive” - della prestazioni su base occasionale • Indeterminatezza dell’espressione “ragioni obiettive”
3) Il divieto di discriminazione (clausola n. 4.1) I lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori comparabili a tempo pieno per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive
Finalità • L’affermazione del principio – confermato anche dalla più recente direttiva sul contratto a termine – risponde all’esigenza di evitare il proliferare di statuti giuridici differenziati nei confronti dei lavoratori atipici, privilegiando, al contrario, la riconduzione delle pur diverse tipologie contrattuali ad un unico paradigma regolativo
Il divieto di discriminazione:ratio Prevalente utilizzo del part-time da parte della manodopera femminile - per questo profilo, la direttiva sul p.t. va collocata nell’alveo della tutela del lavoro femminile e della promozione delle pari opportunità (art. 141 del Trattato; dir. n. 75/117; n. 76/207; n. 79/7; 2002/73; 2006/54)
L’indebolimento del divieto di discriminazione Sono possibili eccezioni al divieto Anche qui “per ragioni obiettive, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali (o le parti sociali, autonomamente), possono subordinare l’accesso a condizioni d’impiego particolari …ad una durata del lavoro (clausola 4.4)
La direttiva contempla anche il principio di proporzionalità (o del “pro rata temporis”) “Ove opportuno” è applicabile ai lavoratori part-time la regola della riduzione proporzionale dei trattamenti. La regola del riproporzionamento come corollario dell’accezione positiva del principio di non discrimianzione, cioè della regola della parità di trattamento
Ai lavoratori part-time spettano in via di principio gli stessi diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo pieno, solo che, in alcune ipotesi, potrà applicarsi la regola della riduzione proporzionale dei trattamenti Conformemente a questa interpretazione, la legge spagnola sul part-time (Real decreto del 27.11.1998, n. 16), adottata in attuazione delle direttiva n. 97/81, ha stabilito, per es., che il rapporto part-time è assoggettato alle medesime condizioni previste per il rapporto a tempo pieno, salvo che alcuni istituti subiscono una riduzione proporzionale in funzione del tempo lavorato quando ciò corrisponde alla natura dei diritti stessi La combinazione dei principi di non discriminazione e di proporzionalità
Come è stato trasposto, dal d. lgs. n. 61/2000 (art. 4), il divieto di discriminazione L’inderogabilità del divieto di discriminazione (anche ad opera delle parti collettive) Nessun riferimento è presente, nel d. lgs. n. 61/2000 alla possibilità di derogare al divieto di discriminazione per ragioni obiettive
Le lett. a) e b) dell’art. 4 del d. lgs. n. 61/2000: Lett. a): l’applicazione ai lavoratori part-time dei medesimi trattamenti normativi previsti per il full-time (importo della retrib. oraria, durata del periodo di prova, ferie, periodo di comporto etc…) Lett.b): (il riproporzionamento dei soli trattamenti economici (retribuzione globale, retribuzione feriale, trattamenti economici per malattia, infortunio, malattia professionale e maternità)
4) Disposizioni relative all’attuazione della direttiva(clausola 6) Generale apertura verso integrazioni e adattamenti successivi della disciplina. Ciò rende ancora più soft l’intervento comunitario sul part-time
In particolare: A) Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli rispetto a quelle contenute nella direttiva B) Le parti sociali - anche a livello europeo - possono concludere accordi che adattino o integrino le sue disposizioni in modo da tener conto dei bisogni specifici delle parti sociali interessate C) Le parti firmatarie, su richiesta di una di esse, potranno rivedere l’accordo e la direttiva sul part-time, dopo cinque anni dalla sua adozione da parte del Consiglio
La novità sotto il profilogiuridico-istituzionale In modo del tutto innovativo, una direttiva del Consiglio legittimava le parti che hanno stipulato l’accordo retrostante ad avviare autonomamente la procedura di revisione dell’Accordo
Valorizzazione della contrattazione collettiva europea Le parti sociali possono agire senza il previo input della Commissione. Viene, in tal modo, individuato uno spazio di intervento normativo riservato preliminarmente ratione materiae alla autonomia collettiva
I precedenti normativi comunitari sul contratto a termine Il progetto di direttiva avanzato dalla Commissione nel 1982 (conteneva una indicazione analitica dei casi in cui era legittima la stipulazione dei contratti a termine) L’art. 7 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali (impegnava gli Stati al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori atipici e, tra questi, dei lavoratori a termine)
La direttiva n. 99/70 segue lo stesso iter procedurale della direttiva sul part-time Già nel preambolo dell’ac- cordo quadro sul lavoro a tempo parzialele parti (Unice,Ceep e Ces) avevano annunciato di considerare necessari simili accordi per altre forme di lavoro flessibile Le parti sociali, consultate dalla Commissione, hanno informato quest’ultima della loro volontà di avviare il procedimento previsto dall’art. 139 del Trattato. La Commissione ha acconsentito alla richiesta, assegnando alle parti sociali un termine per la conclusione delle trattative
...Segue ...hanno dunque trasmesso l’accordo alla Commissione chiedendo che ad esso venisse data attuazione con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione, ai sensi dell’art. 139, paragrafo 2 del Trattato Il Consiglio, su proposta della Commissione, ha, infine, adottato la direttiva 99/70, ai sensi della norma richiamata. Il 18 marzo 1999 le organizzazioni intercategoriali hanno sottoscritto l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato
Anche l’ispirazione di fondo della direttiva 99/70 è identica a quella della direttiva sul part-time Nel preambolo dell’accordo è espressamente enunciato il fondamentale ruolo delle parti sociali in ordine: a) alla attuazione della strategia europea per l’occupazione, adottata col vertice di Lussemburgo b) alla realizzazione dell’equilibrio tra “flessibilità e sicurezza”
…Seguementre fra i “considerando” iniziali della direttiva vengono richiamati gli orientamenti in materia di occupazione formulati dal Consiglio nel 1999 con i quali le parti sociali venivano invitate a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza