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Sapienza Universita’ di Roma, Dipartimento di Economia e Diritto, 23 Ottobre 2013. GLI EFFETTI PERVERSI DEL CONSOLIDAMENTO FISCALE D. Mario NUTI dmarionuti@gmail.com Website http://sites.google.com/site/dmarionuti/ Blog “Transition” http://dmarionuti.blogspot.com/.
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Sapienza Universita’ di Roma, Dipartimento di Economia e Diritto, 23 Ottobre 2013 GLI EFFETTI PERVERSI DEL CONSOLIDAMENTO FISCALE D. Mario NUTI dmarionuti@gmail.com Website http://sites.google.com/site/dmarionuti/ Blog “Transition” http://dmarionuti.blogspot.com/
La miapresentazione: • unarassegnacriticasul "consolidamentofiscaleespansionistico", e sullapresuntasoglia del 90% del rapporto d=DebitoPubblico/PIL; • la recenterevisione al rialzo del FMI dellestimedeimoltiplicatorifiscalineipaesiavanzati, e le sue conseguenze in caso di alto indebitamento, quandoilconsolidamentofiscalefaaumentareanziche’ diminuirequestorapportod, rendendolomenosostenibile; • ulteriorieffettiperversi del consolidamentofiscalechepenalizzano lo sviluppo.
Consolidamento fiscale espansionistico Gli anni ‘90 e 2000 hanno visto prevalere quelli che Paul Krugman chiama gli austerians, che potremmo chiamare gli austeritari, sostenitori di tagli drastici alla spesa pubblica tali da: - pareggiare in media il bilancio pubblico nel corso del ciclo, finanziando modesti interventi anticiclici nella recessione con i surplus ottenuti durante il boom, purche’ ci sia il necessario spazio fiscale, oppure - ridurre il debito pubblico fino a creare uno spazio fiscale qualora questo non sia sufficiente.
Una serie di studi empirici trovano che la riduzione o eliminazione del deficit pubblico puo’ essere e di solito e’ espansiva, soprattutto se ottenuta con riduzioni di spesa anziche’ aumenti di imposte. Giavazzi e Pagano (1990, 1996) sulla base di case studies e regressioni, trovano che in un panel di economie OCSE il consumo privato di solito risponde positivamente entro un anno al consolidamento fiscale, prendendo ricavi e spesa pubblici ciclicamente aggiustati. Alesina e Perotti (1995) trovano una correlazione fra consolidamento mediante tagli di spesa e rapido sviluppo del reddito.
Ricerche successive, basate su campioni piu’ ampi di paesi e di anni, confermavano questi risultati; vedi Alesina, Ardagna e Trebbi (2006). Olivier Blanchard (1990, allora Professore al MIT, prima della nomina a Chief Economist del FMI nel 2008) spiegava come cio’ fosse dovuto allo sviluppo del settore privato, per diversi motivi gia’ noti: la riduzione del "crowding out"; l’equivalenza Ricardiana (De Viti De Marco, Lucas) fra imposte e prestiti il cui servizio richiedera’ maggiori imposte future; fiducia crescente degli investitori; costi decrescenti del credito; l’indebolimento della moneta.
Reinhart e Rogoff (Growth in Time of Debt, 2010) hanno fornito supporto addizionale agli "austeritari". Con un dataset di 44 paesi su un periodo di circa duecento anni, per "oltre 3700 osservazioni annuali e una vasta gamma di sistemi politici, istituzioni, regimi di tassi di cambio, e circostanze storiche", essi trovavano che "la relazione fra debito pubblico e tasso di sviluppo reale del PIL e’ debole sotto a una soglia del 90% del PIL, mentre al di sopra della soglia i tassi mediani di sviluppo cadono dell’1% e quelli medi cadono molto di piu’".
La tesi di un impatto negativo sullo sviluppo quando il Debito Pubblico eccede 90% del PIL veniva avanzata anche da Kumar e Woo (2011) e Baum, Checherita and Rother (2012), diventando un argomento a favore dell’austerita’ per leaders nazionali e internazionali, commentatori ed esperti. Cosi’ la proposizione Keynesiana che "The boom, not the slump, is the right time for austerity at the Treasury" veniva falsificata, e l’austerita’ diventava una politica adatta a tutte le stagioni, specialmente nelle economie altamente indebitate.
Immediatamente Irons e Bivens (2010) criticavano l’idea di una soglia critica del 90% del rapporto Debito Pubblico/PIL sostenendo invece una casualita’ inversa: e’ uno sviluppo piu’ lento che conduce a rapporti elevati Debito Pubblico/PIL, e non il contrario. E aggiungevano che "non c’e’ motivo di credere che un indebitamento lordo di circa il 90% conduca necessariamente a uno sviluppo piu’ lento… Infatti la maggiore minaccia per lo sviluppo economico e’ l’inazione della politica economica, alimentata dalla paura del deficit".
Il colpo di grazia al dogma di Reinhart-Rogoff sulla soglia del 90% venne da Herndon, Ash e Pollin (2013), che replicarono l’analisi di Reinhart e Rogoff 2010 usando i dati originali. A parte un errore di codificazione, che tuttavia contribuiva poco ai risultati, essi trovavano che i dati di vari paesi alleati —Canada, Nuova Zelanda e Australia—emergenti dalla Seconda Guerra Mondiale con debito elevato ma sviluppo vigoroso, erano stati arbitrariamente esclusi. E le statistiche avevano ricevuto lo stesso peso indipendentemente dalla durata della performance di indebitamento e di sviluppo.
"… se viene calcolato debitamente, il tasso di sviluppo reale medio dei paesi con un rapporto Debito Pubblico/PIL superiore al 90% e’ in realta’ del 2,2% e non 0.1% come pubblicato da Reinhart e Rogoff"... "il tasso di sviIuppo reale medio quando il rapporto in questione supera il 90% non e’ drammaticamente diverso da quando quel rapporto e’ inferiore" (Herndon et al., 2013). Reinhart and Rogoff (2013) ammettevano alcuni errori ed omissioni ma insistevano sulla validita’ della loro conclusione che "il debito eccessivo deprime lo sviluppo".
Se non che Dube (2013) e Kimball & Wang (2013) ribattevano – come gia’ Iron e Bivens 2010 – che e’ il lento sviluppo a causare il debito elevato. Dube trova che lo sviluppo tende a essere piu’ lento nei cinque anni prima che i paesi raggiungano alti livelli di debito, mentre nei cinque anni successivi con debito sopra il 90% del PIL non ci sono differenze significative nel tasso di sviluppo. Per Panizza e Presbiterio 2012 il debito puo’ ridurre lo sviluppo solo perche’ un debito elevato spinge al consolidamento fiscale. Lo stesso vale per gli altri fautori della soglia 90%.
Reinhart-Rogoff (2013) riconoscono che: "La questione critica per la ricerca e’ la causalita’". FMI (2012, p.9) conclude autorevolmente che "Non c’e’ una semplice relazione fra debito e sviluppo … Ci sono molti fattori che influiscono sulla performance di un paese quanto a debito e sviluppo. Inoltre, non c’e’ una soglia dei rapporti di indebitamento che possano separare i ‘cattivi’ dai ‘buoni’" (il corsivo e’ nostro). Anche la tesi del consolidamento fiscale espansionistico e’ stata criticata e respinta ufficialmente dallo stesso FMI.
Da FMI, Policy Note, 17/09/2013 (para. 35 e 36): "… ricerca recente suggerisce che i casi trovati in precedenza di effetti espansionistici dipendono dalla definizione di consolidamento fiscale (IMF, 2010b; Guajardo, Leigh, and Pescatori, 2011), e che gli episodi piu’ famosi di contrazioni espansionistiche osservati in Europa negli anni 1980 e 1990 erano tipicamente dovuti alla domanda esterna piu’ che ad un aumento di domanda interna privata dovuta a effetti di fiducia (Perotti, 2011). C’e’ bisogno di maggiore evidenza, ma non pare che effetti di fiducia abbiano avuto un gran ruolo nella crisi."
La revisione al rialzo dei moltiplicatori fiscali Per ben quarant’anni, dal 1970 al 2009, il FMI e altre organizzazioni economiche internazionali (OCSE, EC, WTO) avevano ipotizzato per i paesi avanzati un moltiplicatore fiscale in media intorno a 0,5. Nel 2011-2013 diversi ricercatori del FMI hanno riveduto al rialzo le stime dei moltiplicatori fiscali. La revisione al rialzo si applica a partire dal 2010 ed e’ il risultato di analisi econometriche condotte con diversi metodi, ma e’ giustificata anche da quattro considerazioni teoriche:
l’inefficacia di un’espansionemonetariacompensativaquandoiltasso di interesse e’ vicinoallo zero, preso come limiteinferiore; • scarseopportunita’ di svalutare la monetasoprattuttonell’Eurozona; • ilfattocheimoltiplicatorifiscalisonopiu’ elevatinellarecessionechenel boom; • ilsimultaneorecenteconsolidamentofiscale in diversipaesi. Inoltre, contrariamenteairisultatiprecedenti, imoltiplicatori per le riduzioni di spesarisultano molto maggioriche per aumenti di imposte.
- Il World Economic Outlook del FMI, ottobre 2012 e Blanchard & Leigh 2013, stimavano moltiplicatori fiscali in un campo di 0,9-1,7. - Batini et al. (2012) stimavano un campo di 1,6-2,6 per moltiplicatori di spesa, circa dieci volte maggiori che per aumenti di imposte, 0,16-0,35. - Auerbach-Gorodnichenko (2012b) stimavano moltiplicatori vicini allo zero in tempi normali e intorno a 2,5 in una recessione. - Per Christiano et al. (2011), quando il tasso d’interesse si avvicina allo zero il moltiplicatore fiscale prende un valore stimato a 3,2.
Chiaramente tanto maggiore e’ il moltiplicatore, tanto piu’ costoso sara’ il consolidamento fiscale in termini di reddito e di occupazione. Ma c’e’ di piu’: possiamo enunciare il seguente teorema: Il consolidamento fiscale (aumenti di imposte piu’ tagli di spesa) comportera’ sempre e necessariamente un aumento anziche’ una riduzione del rapporto Debito Pubblico/PIL, rispetto a quello che sarebbe stato il rapporto in assenza di consolidamento fiscale, fintantoche’ il moltiplicatore fiscale e’ maggiore dell’inverso del rapporto Debito Pubblico/PIL di un paese.
Prendiamo D=Debito Pubblico, Y=PIL, d=D/Y, x=aumenti di imposte e tagli di spesa come quota del PIL, ΔD=-xY, ΔY= -mxY, m e’ il moltiplicatore fiscale, Δ(D/Y) = (ΔD)Y – (ΔY)D = (-xY)Y – (-mxY)D = Y2 Y2 = -x Y2+ mxY D = = -x + mxD = mxd – x e Y2 Y2 Yquindi Δ(D/Y) = x(md – 1) = xd(m – 1/d) , ossia il rapporto D/Y deve aumentare, Δ(D/Y) >0, se e solo se m>1/d. Q.E.D.
Illustrazione di consolidamento fiscale perverso, che fa aumentare anziche’ diminuire il rapporto D/Y in funzione crescente di m e D/Y.
Paese d=Debito Pubblico/PIL 1/d Giappone 214.3 0.47Grecia 161.3 0.62 Italia 126.1 0.79 Irlanda 118.0 0.84Francia 89.9 1.11Regno Unito 88.7 1.13Spagna 85.3 1.17Germania 81.7 1.22Ungheria 78.6 1.27 Austria 74.6 1.34USA 73.6 1.36
(continua, Fonte: US-CIA 2013) Paese d=Debito Pubblic/PIL 1/d Olanda 68.7 1.45Media glob. 64.0 1.56Albania 60.6 1.65Polonia 53.8 1.85Finlandia 53.5 1.87Slovacchia 48.6 2.06Rep. Ceca 43.9 2.21Danimarca 45.3 2.21Svezia 38.6 2.56Romania 37.2 2.69
Se tuttiipaesiavanzatiavesseroavuto un moltiplicatorefiscaleugualealla media di 0,5, frai 20 paesiavanzaticonsideratinel 2012 solo in Giapponeilconsolidamentofiscaleavrebbefattoaumentare, sia pure marginalmente, ilrapportofraDebitoPubblico e PIL. Il valorepiu’ basso del campo di variazionestimato da Blanchard & Leigh (2012, 2013) di 0,9 avrebbecomportato un consolidamentoperversonel 2012 non solo in Giappone ma anche in Grecia, Italia e Irlanda.
Il loro limite superiore 1,7 aggiungerebbe ai casi perversi anche Francia, Regno Unito, Spagna, Germania, Ungheria, Austria, USA, Albania. Il limite inferiore stimato da Batini et al. (2012) 1,6 toglierebbe solo l’Albania dalla lista di casi perversi, ma il limite superiore 2,6 la ri-aggiungerebbe insieme a Polonia, Finlandia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Danimarca e Svezia, lasciando fuori soltanto la Romania. Per Batini et al. (2012), con moltiplicatori degli aumenti di imposte di 0,16-0,35, quel tipo di consolidamento avrebbe sempre successo.
Per i moltiplicatori stimati da Auerbach-Gorodnichenko (2012b), vicini a zero in tempi normali e intorno a 2,5 in recessione, il consolidamento funzionerebbe sempre in un boom, ma mai in una recessione tranne che in Svezia e Romania. Infine, per Christiano et al. (2011), con un moltiplicatore stimato a 3,2 col tasso di interesse vicino allo zero, tutti i 20 paesi avanzati andrebbero incontro a un consolidamento perverso che, pur riducendo l’indebitamento, fa aumentare il rapporto Debito Pubblico/PIL.
E’ vero che molti documenti e pubblicazioni del FMI del 2011-2013 hanno messo in dubbio la tesi del consolidamento fiscale espansionistico che andava di moda negli anni ‘90 e 2000; e che le stesse fonti ammettono prontamente la possibilita’ di consolidamento fiscale perverso che faccia aumentare il rapporto D/Y e quindi il costo di finanziare il debito pubblico nel breve periodo; e sconsigliano consolidamenti drastici, front-loaded e simultanei (Blanchard e Leigh 2012, 2013, Batini et al. 2012, Cottarelli and Jaramillo 2012, IMF Policy Note del 17 settembre 2013).
Tutto cio’ e’ vero, ma e’ una verita’ parziale e quindi fuorviante. Non si tratta di una semplice possibilita’ di consolidamento fiscale perverso: per l’alto indebitamento dei paesi avanzati e valori plausibili dei moltiplicatori entro i campi di variazione recentemente riveduti, abbiamo visto che il consolidamento perverso e’ la regola, non l’eccezione, in tutti o quasi tutti i paesi avanzati; e la scala dell’aumento del rapporto D/Y e’ tale da comportare un vero e proprio cambiamento (switch) di regime, difficile da invertire e da minimizzare come effetto di breve periodo.
Infatti consideriamo un moltiplicatore uguale a 3, alto ma plausibile, e un consolidamento fiscale del 5% del PIL (modesto secondo gli standards della crisi recente). In un paese dal rapporto D/Y del 120% questo consolidamento porta quel rapporto al 133%, e in un paese dal rapporto D/Y del 150% lo stesso consolidamento porta quel rapporto al 180%. Altrimenti non si spiegherebbero gli aumenti intervenuti ad esempio in Italia come risultato del consolidamento del governo Monti, o in Grecia dopo cinque anni di austerita’.
Perche’ questa ambiguità da parte del FMI? Dobbiamo presumere che i ricercatori del Fondo siano consapevoli della relazione critica fra moltiplicatore m e indebitamento: la sua rilevazione non richiede l’uso della scienza missilistica. Chiaramente essi sono riluttanti a rilevare che il consolidamento funziona solo nei paesi non indebitati che non ne hanno bisogno. Solo Cottarelli and Jaramillo (2012) si avvicinano alle condizioni per un consolidamento fiscale perverso, ma lo fanno in una maniera vaga ed oscura, non in parole povere ma chiare, o in modo formale.
Alcune considerazioni finali Abbiamo visto che nel mondo in cui viviamo il consolidamento fiscale riduce il livello assoluto del debito pubblico al prezzo di far aumentare il rapporto D/Y e ridurre il tasso di sviluppo. Ma sappiamo – anche da Cottarelli e Jaramello 2012, e FMI Policy Note 17-09-13 – che proprio questi sono i fattori da cui dipende il costo del finanziamento del debito pubblico, il cui aumento puo’ causare ulteriori riduzioni del PIL: gli effetti del consolidamento fiscale sulla fiducia sarebbero negativi anche per questo verso.
Per controbilanciare gli effetti perversi del consolidamento fiscale si sottolinea di solito la necessita’ di riforme strutturali nel mercato dei beni, dei servizi e del lavoro. Ma l’eufemismo riforme strutturali comporta il deterioramento dei diritti dei lavoratori e tagli al welfare e alle pensioni, con effetti misti e ambigui e semmai solo in un distante lungo periodo. L’idea di un circolo virtuoso con consolidamento piu’ riforme che rilancino lo sviluppo e cosi’ riducano il rapporto D/Y e’ pie in the sky e una giustificazione pericolosa.
La Troika (Commissione Europea, FMI e Banca Centrale Europea) segue una politica di austerita’ co-ordinata e simultanea (che Stiglitz chiama "un patto suicida"): il Patto di Stabilita’ e Crescita, la condizionalita’ del Meccanismo Europeo di Stabilita’ (ESM) e il recente Fiscal Compact or TSCG – il Trattato sulla Stabilita’, Coordinamento e Governance (in vigore dal 2015, che impone un bilancio in equilibrio nella Costituzione, e un deficit strutturale massimo annuo dello 0,5% ) con verifica da parte della Corte Europea di Giustizia, penalita’ e aggiustamenti automatici.
Il ricorso all’ESM e’ condizionato alla ratifica del TSCG. Dal 2015 i paesi con debito eccedente il 60% del PIL dovranno ridurre annualmente il debito in eccesso di 1/20 del gap attuale fino al raggiungimento del limite. Per l’Italia cio’ significa un surplus di oltre il 3,5% all’anno per 20 anni. Nel 2013 il FMI criticava la politica seguita dalla Troika in Grecia ma confermava che da parte sua l’avrebbe ripetuta nelle stesse condizioni. C’e’ Il pericolo di che l’aumento del rapporto D/Y dovuto a consolidamenti perversi conduca a un un circolo vizioso di ulteriori consolidamenti.
Consolidamenti fiscali perversi sono uno dei fattori responsabili per la divergenza fra i paesi che fanno parte dell’Eurozona, sia nei tassi di sviluppo sia nei rapporti D/Y e quindi nell’andamento degli spreads - una pericolosa forza centrifuga. Infine, sappiamo che in una depressione prolungata la capacita’ produttiva non solo rimane inutilizzata ma in realta’ viene distrutta: le imprese chiudono, i lavoratori in esubero si disperdono, le loro qualifiche vanno perdute o dimenticate o diventano obsolete.
Quando la produzione reale cade al di sotto della produzione potenziale a un certo punto il capitale obsoleto o in eccesso non viene sostituito, gli investimenti lordi cadono sotto gli ammortamenti e l’investimento netto diventa negativo, facendo cadere il sentiero di sviluppo della produzione sia reale che potenziale (Vianello 2005). Perche’ non esiste “un sentiero di sviluppo di equilibrio di lungo periodo, ... determinato dallo sviluppo della popolazione, l’accumulazione di capitale e il tasso di progresso tecnico, tutti presi esogeneamente ” (Kaldor 1983, nostro corsivo).
In conclusione, oggi, nel corso della maggiore crisi mai avvenuta del capitalismo moderno, poco mitigata da stabilizzatori automatici a causa dello smantellamento del welfare state, in paesi avanzati altamente indebitati e con moltiplicatori fiscali di spesa molto piu’ elevati di quanto prima non si ritenesse, il consolidamento fiscale riduce l’indebitamento assoluto al costo esiziale di un rallentamento dello sviluppo e un aumento del rapporto D/Y – rispetto a quelli che avrebbero prevalso altrimenti – che lo rende piu’ costoso e meno sostenibile.
Cio’ vale anche se altrimenti il paese sta gia’ crescendo piu’ lentamente del tasso di interesse sul suo debito, perche’ con un consolidamento fiscale perverso il paese continuerebbe a fare aumentare il proprio rapporto Debito Pubblico/PIL ancora piu’ rapidamente che con uno stimolo fiscale continuato. In tali condizioni, nel mondo che conosciamo, il consolidamento fiscale certamente puo’ danneggiare e spesso danneggia la crescita e lo sviluppo economico, anche se non e’ coordinato internazionalmente.
Eppure per Blanchard-Leigh (2013) “I nostri risultati ... non implicano che il consolidamento fiscale sia indesiderabile.” E Cottarelli-Jaramello (2012) osteggiano il consolidamento solo se "improvviso, front-loaded e internazionalmente coordinato". Questi sono non sequitur. Schizofrenia? No, i punti di vista dipendono da dove ci si trova: "Where you stand depends on where you sit ". Ma i loro risultati provano la necessita’ di uno stimolo fiscale, anche se solo sotto forma della proverbiale politica keynesiana di ingaggiare lavoratori per scavare buche e poi riempirle.