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Lezioni di diritto processuale civile pp11. Anno accademico 2013/2014. L’appello. 1 . L’appello, da gravame ad impugnativa in senso stretto e revisio priori istantiae , l’inesorabile evoluzione. L’appello come novum judicium.
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Lezioni di diritto processuale civile pp11 Anno accademico 2013/2014
1. L’appello, da gravame ad impugnativa in senso stretto e revisio priori istantiae, l’inesorabile evoluzione.
L’appello comenovumjudicium L’appello è nato storicamente come un mezzo di gravame, dunque: • con lo stesso oggetto del giudizio di primo grado, in virtù dell’effetto devolutivo; • con effetto integralmente sostitutivo: la sentenza di appello sostituisce sempre quella di primo grado.
L’appello come nuovo giudizio di primo grado L’appello nella originaria concezione tardo romanistica e del diritto intermedio coincideva pertanto con un giudizio di primo grado rinnovato sullo stesso oggetto e quindi la tecnica della stesura degli atti dell’appello tendenzialmente rinviava alla tecnica di stesura degli atti del giudizio di primo grado: formulazione di eccezioni e prove, anche nuove, nel solco della domanda originaria.
l’appello del codice napoleonico E’ con la rivoluzione francese che l’effetto devolutivo viene attenuato attraverso l’espansione del principio dispositivo: la devoluzione ha maggiore o minore ampiezza in funzione dell’ambito oggettivo dell’atto di appello, ovvero dipende dal motivo di appello formulato dall’appellante, dai capi di sentenza o questioni sulle quali si intende sia rinnovato il giudizio.
evoluzione Sia il legislatore, con alcuni fondamentali interventi, sia la giurisprudenza, particolarmente della S.C., hanno modificato l’originario impianto dell’istituto spingendolo verso il modello di un mezzo di impugnazione in senso stretto e rigidarevisio priori istantiae, che ha ad oggetto la sentenza con i suoi vizi e non la fattispecie o il diritto che ha origine da essa: il motivo ha perso la natura di misura dell’effetto devolutivo per spostare l’oggetto dell’istituto e trasformare l’appello in impugnazione mera, le nuove difese sono tendenzialmente vietate.
Il divieto di nova Con una scelta compiuta in occasione delle riforme del 1990 (legge n. 353 del 1990), sulla scia del rito speciale (legge n. 533 del 1973, che aveva novellato l’art. 437 c.p.c.), il mezzo, che consentiva originariamente la massima apertura alle difese, con il solo limite della domanda, è stato assoggettato ad un regime di divieto di nova.
Revisio priori istantiae In questo modo, pur avendo astrattamente un oggetto identico al giudizio di primo grado, è in realtà giudizio rinnovato esclusivamente su difese già espresse nel grado precedente, essendo vietate di norma nuove domande, eccezioni nuove se riservate alla parte, nuove prove (art. 345 c.p.c.).
Conseguenze sulla tecnica degli atti Ne consegue che l’appellante, come l’appellato, non possono introdurre in appello difese nuove, rispetto a quelle già introdotte, ma neppure difese modificate (emendatio), il cui potere si è consumato all’udienza o nella prima memoria dell’art. 183 c.p.c., in primo grado.
Deroghe - 1 diritti che si accrescono nel tempo Il primo comma dell’art. 345 c.p.c. prevede, tuttavia, una deroga al divieto di domande: per i diritti che si accrescono nel tempo, è consentito allegare i fatti successivi alla udienza di precisazione delle conclusioni di primo grado e chiedere la tutela delle componenti del diritto successive (interessi, danni, ecc.), purché essi siano già stati oggetto di domanda nel primo grado, per le componenti del diritto già maturate.
Deroga - 2 fatti sopravvenuti Altra ipotesi di deroga è la domanda o l’eccezione fondata su un fatto sopravvenuto: es. le domande restitutorie, indotte dall’ottemperanza obbligata della sentenza di primo grado esecutivo: è necessario esplicitare queste domande nuove in appello; es. il pagamento o l’adempimento indotto dalla stessa sentenza, deve essere eccepito formalmente.
Deroga –3Intervento volontario in appello L’art. 344 c.p.c. regola l’intervento di terzi in causa e lo consente ai terzi titolari di diritti connessi in modo “forte” al diritto dedotto originariamente, terzi legittimati alla opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c.
I terzi titolari di diritti incompatibili Giungono nel processo di appello con un nuova domanda a tutela del loro diritto incompatibile, formulano una nuova domanda ed inducono, per esigenze di contraddittorio, una eventuale nuova domanda, eccezione e prova alle parti originarie.
I terzi titolari di diritti dipendenti Al contrario i terzi titolari di diritti dipendenti, che subiscono il giudicato interalios, accedono al processo ad adiuvandum, ovvero per sostenere le posizioni della parte del cui destino hanno interesse, non hanno il potere di formulare domande, dunque non inducono un nuovo oggetto dell’appello.
Deroga - 4 eccezioni rilevabili d’ufficio E’ poi consentita la formulazione di eccezioni rilevabili d’ufficio, ovvero la maggior parte delle eccezioni, secondo la disciplina dell’art. 112 c.p.c. che introduce un regime di eccezionalità alle eccezioni riservate alla parte, con la conseguenza di riaprire per esigenze di contraddittorio alla formulazione di nuove domande ed eccezioni delle altre parti.
Deroga - 5 rimessione in termini su domande ed eccezioni Esiste infine la remissione in termini, che il legislatore regola solo in relazione alle prove, nel 3° comma dell’art. 345 c.p.c., ma che per la formulazione trasmigrata nel libro primo della regola generale (art. 153 c.p.c.), può giustificare la formulazione anche di nuove domande o eccezioni, quando la decadenza nel grado precedente è incolpevole.
Deroga - 6remissione nei termini sulle prove Infine, esiste una deroga in relazione alle prove per previsione espressa del 3° comma dell’art. 345 c.p.c., grazie alla remissione in termini: perciò l’appellante o l’appellato possono introdurre nuove prove se dimostrano di esserne decaduti incolpevolmente.
Deroga–7indispensabilità della prova Prima della riforma del 2012 (legge n. 134 del 2012), le “prove” che il giudice di appello riteneva indispensabili, concetto che non aveva,come non ha, una traduzione logica-giuridica certa e ha suscitato vasto dibattito, in dottrina e giurisprudenza, la prima più liberale, la seconda più severa in sede applicativa.
Residuo rilievo del concetto di indispensabilità La disposizione è trasmigrata invece nell’appello avverso le ordinanze del rito abbreviato, all’interno dell’art. 702 –quaterc.p.c., dove sono ammesse prove nuove purché indispensabili e nell’immutato art 437 c.p.c. per il rito del lavoro e riti assimilati.
La ratio La ragione della diversità dell’appello avverso l’ordinanza sommaria era costituita dal fatto che solo in occasione dell’appello si svolgeva per la prima volta un giudizio a cognizione piena con le sue forme, in una sorta di grado unico, in cui poteva spiegarsi il diritto alla prova della parte.
Le prove precostituite Erano soggette alla valutazione di “indispensabilità” anche le prove precostituite, come i documenti, per molto tempo escluse, sulla scia di una giurisprudenza affermatasi nella interpretazione della disposizione parallela dell’art. 437 c.p.c. e fondata sull’improbabile ragionamento che tali prove non implicano dispendio di attività processuale e dunque non inducono ritardi nel processo. L’orientamento è stato superato dalla S.C. nel 2005, con regola tradotta nel diritto positivo con la legge n. 69 del 2009.
Le ragioni del concetto di prove indispensabili Le ragioni che avevano spinto il legislatore ad adottare il concetto, vanno ricercate in un’irrazionale ripetizione del termine usato nell’art. 437 c.p.c., dove aveva una ragione profonda di essere, essendo il veicolo di un esercizio in appello dei poteri istruttori più accentuati del giudice del lavoro, il quale non poteva avere le mani legate dalle decadenze in cui erano incorse le parti.
Le difficoltà di applicazione nel rito ordinario Recuperato nel rito ordinario, il concetto appariva di difficile traduzione; ma non traducibile in quello di prova rilevante, ovvero riferita ad un fatto che ha rilevanza nel processo per essere costitutivo, estintivo, modificativo e impeditivo o secondario, poiché in questo modo il divieto di novaveniva abrogato.
Le conseguenze del nuovo art. 702 - quater Il diverso appello che contraddistingueva il rito sommario degli artt. 702 - bis e ss., ove erano ammesse, nella originaria previsione della legge n. 69 del 2009 nuove prove purché rilevanti (concetto poi ricondotto con le legge n, 134 del 2012 al concetto di indispensabilità) offriva una ragione di diritto positivo per escludere l’applicazione di questa interpretazione all’appello di diritto comune, con una conseguente diversificazione, sancita dal legislatore, tra prova “rilevante” e prova “indispensabile”.
Tentativo di interpretazione Anche la stessa giurisprudenza appariva stereotipata; non spiegava attraverso una costruzione generale come tradurre il concetto: non restava che collegare la indispensabilità alle eccezionali riaperture a domande ed eccezioni, che abbiamo inquadrato in precedenza. Prova decisiva è quella necessaria e rilevante in appello perché destinata a provare nuove allegazioni, nei casi soli casi in cui sono ammesse in appello.
Ipotesi Le ipotesi: • prove destinate a provare i fatti costitutivi o eccezioni sopravvenute; • prove destinate a provare eccezioni rilevabili d’ufficio e i fatti costitutivi o le eccezioni indotte dal contraddittorio; • prove destinate a provare i fatti costitutivi delle domande formulate dal terzo o delle domande ed eccezioni indotte dal contraddittorio delle parti originarie.
esercizio di un potere discrezionale La dottrina processualistica ha invece coniato un concetto più ampio: indispensabile perché destinato a mutare il giudizio reso in primo grado o a rafforzarlo con un nuovo mezzo istruttorio. Deve perciò intendersi come esercizio di un potere discrezionale del giudice di appello, attraverso il quale può avere “margini di manovra” per rovesciare il giudizio palesemente ingiusto oppure rafforzare definitivamente il giudizio palesemente giusto. Sulla scia di un’accentuazione dei poteri istruttori del giudice, che costituisce filone evolutivo della legislazione attuale (cfr art. 281 –terc.p.c.).
La nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c.: solo rimessione in termini Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non avere potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. E’ soppressa l’ammissibilità della “prova indispensabile”; è consentita la sola rimessione in termini.
il residuo spazio alla indispensabilità Se si intende che le prove nuove sono al servizio di nuove domande ed eccezioni ammesse, restano consentite comunque per provare le relative allegazioni di fatto.
soppressione del potere discrezionale Se invece si intende l’indispensabilità come esercizio di un potere discrezionale del giudice di appello in ordine alla sentenza ingiusta da riformare o alla sentenza giusta da confermare, questo potere è stato soppresso.
3. La giurisprudenza sulla specificazione del motivo come condizione di ammissibilità.
Il problema del motivo in appello E’ noto come in coincidenza con il nuovo millennio, il giudice di legittimità ha esasperato il rilievo del motivo in appello, pur dovendo riconoscere che l’appello costituisce un mezzo impugnatorio a motivi di critica libera, ha sancito l’inammissibilità dell’appello in difetto di specificazione del motivo
il vecchio orientamento In merito all'esigenza di specificità dei motivi, per anni la giurisprudenza ha costantemente affermato che essa deve ritenersi soddisfatta quando l'atto d'appello consenta di individuare senza incertezze il quantum appellatum( C. 911/1980; C. 5965/1979); così ha ritenuto che fosse superflua qualsiasi specifica doglianza dedotta contro la decisione di primo grado, anche se chiaramente dichiarava l'inammissibilità dell'appello privo di specificazione dei motivi ( C. 703/1979). In questo modo è stata avallata l'interpretazione dottrinale tradizionale che accorda ai motivi specifici dell'impugnazione la mera funzione di identificazione delle parti della sentenza/questioni in cui la parte è risultata soccombente e di cui si domanda il riesame e dell’ambito dell’effetto devolutivo.
il nuovo • Ora invece prevale un nuovo orientamento interpretativo, che propone una soluzione più rigorosa in ordine al significato ed alla funzione dei motivi specifici dell'impugnazione, attribuendo a questi ultimi, accanto alla funzione di identificare le parti della sentenza di cui si chiede il riesame, anche quella di individuare le ragioni della censura ( C. 2217/2007). • In particolare, l'appello deve contenere, accanto ad una parte volitiva (“quantum appellatum”) una parte argomentativa idonea a contrastare i contenuti della sentenza impugnata con la indicazione della soluzione che si intende ottenere dal giudice di appello (C. 7190/2010).
Conseguenze della specificazione del motivo L’esasperazione del motivo incide inevitabilmente sull’oggetto dell’appello che spinge il mezzo verso un sindacato della sentenza, piuttosto che verso una rinnovazione del giudizio di primo grado sullo stesso oggetto, poiché è dato rilievo centrale all’errore o al vizio della sentenza, espresso nel motivo, che non identifica più solo la parte della sentenza impugnata.
L’onere di specificare il motivo Il giudice di legittimità, infatti, non rende solo necessaria la specificazione del motivo ex art. 342, 1° comma, c.p.c. come individuazione semplicemente del capo della sentenza censurata con riproposizione del mezzo difensivo già formulato, ma - per l’effetto sostitutivo - la indicazione dell’errore o del vizio e di come la sentenza di appello deve pronunciarsi per non incorrere nell’errore o nel vizio.
La traduzione positiva Art. 342: <<La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata>>
Corte di appello di Salerno, dep1 febbraio 2013 Esige “non solo la proposizione di specifiche doglianze …, ma che le stesse si articolino nella indicazione (necessariamente espressa e precisa) delle parti del provvedimento motivatamente contestate e delle modifiche (corrispondentemente motivazionali) che vengono richieste”.
segue “la suddetta norma obbliga l’appellante ad indicare in primo luogo le parti della sentenza delle quali chiede la riforma, nonché le modifiche richieste, sicché è stato osservato che il lavoro assegnato al giudice dell’appello appare alquanto simile a un preciso e mirato intervento di “ritaglio” delle parti di sentenza di cui si imponga l’emendamento, con conseguente innesto – che appare quasi automatico, giusta l’impostazione dell’atto di appello – delle parti modificate, con operazione di correzione quasi chirurgica del testo della sentenza di primo grado”
conforme Conf. App., Roma 29 gennaio 2012, in Foro it., 2013, anticipazioni e novità, 38
4. La fondatezza del motivo nel merito come condizione di ammissibilità dell’appello.
Art. 348- bis, 1° comma c.p.c. “Fuori dai casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha ragionevole probabilità di essere accolta”
Art. 348-bis, 2° comma c.p.c. “Il primo comma non si applica quando: a) l’appello è proposto relativamente ad una delle cause di cui all’articolo 70, primo comma; b) l’appello è proposto a norma dell’articolo 702-quater”
Rilievo del merito ai fini della ammissibilità Dunque non è più semplicemente la specificazione della motivazione, nei termini rigorosi della giurisprudenza, ma il merito del motivo a costituire presupposto di ammissibilità dell’appello, se il giudice non si convince che è ragionevole…
la discrezionalità illimitata La formula “ragionevole probabilità” introduce una discrezionalità illimitata del giudice di appello, essendo formula assai diversa dalla “manifesta infondatezza” per il ricorso per Cassazione dell’art. 360 – bis c.p.c. e 375 c.p.c., che integra il ben diverso concetto di abuso del mezzo di impugnazione, a fronte della abnormità del motivo.
delibazione sommaria, dubbi Si tratta invero di una delibazione sommaria del motivo di appello nel merito una sorta di previo giudizio di ammissibilità del mezzo, come nel giudizio per il riconoscimento della paternità era previsto originariamente e oggi è stato abrogato in relazione alla nota sentenza del giudice di legittimità costituzionale delle leggi? Un fumus dopo che il giudice ha espresso una cognizione piena di primo grado e il processo ha esaurito tutti i mezzi difensivi?
economicità inesistente Il giudice di appello non sarà agevolato, poiché la strozzatura che caratterizza oggi la decisione, diventerà strozzatura della delibazione preliminare di ragionevole accoglimento e il giudice di appello scrupoloso sarà oberato di una duplice attività (l’effetto era già raggiungibile a seguito della introduzione in appello della facoltà del giudice di decidere con sentenza a verbale ex art. 281 –sexiesc.p.c., 352, ultimo comma c.p.c.,magari esercitabile in occasione della udienza fissata per la sospensiva ex art 283 c.p.c.)
Prima interpretazioneCorte di appello di Roma, 30 gennaio 2013, in foro it., 2013, Anticipazione e novità, 35 Esclude la cognizione sommaria (superficiale, cautelare; parziale, dec ing.), e ritiene che l’istituto vada inserito nelle forme di abuso del processo, ovvero come manifesta infondatezza sulla scia della corrispondente norma per il ricorso in cassazione, quando cioè l’appello non giustifichi neppure il dispendio di un’attenzione da parte del sistema giustizia, Conf. App. Bari, 18 febbraio 2013, ivi