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Storia del teatro : dai modelli greci e latini alla sperimentazione contemporanea. Introduzione. Il teatro ha origini antichissime: è una delle prime manifestazioni culturali dell’uomo Nelle prime civiltà, infatti, il teatro è legato a questi due termini: rito e mito
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Storia del teatro: dai modelli greci e latini alla sperimentazione contemporanea
Introduzione Il teatro ha origini antichissime: è una delle prime manifestazioni culturali dell’uomo Nelle prime civiltà, infatti, il teatro è legato a questi due termini: rito e mito Tutti i popoli dell’antichità celebravano feste e riti accompagnandoli spesso con canti, danze e parti recitate.
Le origini del teatro greco classico In Occidente la storia del teatro parte dalla Grecia, la culla della nostra civiltà, e in particolar modo nella città di Atene. L’origine probabilmente è legata ad alcune cerimonie che si svolgevano, fin dal VII secolo a.C., in onore di Dioniso, dio della natura e della fertilità della terra. Durante questi riti i partecipanti danzavano, cantavano e recitavano in coro ricoperti con pelli di capra ed erano detti, perciò, “tragoi”, che significa “capri”. Maschera di Dioniso conservata al museo del Louvre a Parigi
Dal rito alla rappresentazione Il termine tragedia (“canto del capro”) deriva, quindi, dai canti rituali (chiamati ditirambi) che venivano intonati durante le processioni in onore del dio Dioniso. In principio i partecipanti al rito erano riuniti in un gruppo, o meglio in un coro, che agiva contemporaneamente. Poi i ruoli hanno cominciato ad essere ben definiti, per cui il rito è diventato gradualmente una rappresentazione, cioè non più qualcosa cui si partecipa agendo in prima persona, ma qualcosa cui si partecipava osservando. Alcuni individui si sono distaccati dal gruppo per assumere dei ruoli più precisi e diventare attori, altri hanno continuato a partecipare da spettatori.
La funzione del Coro Dioniso attorniato dai satiri La funzione del gruppo era così importante che in seguito il coro è rimasto quasi come fosse un solo personaggio. Esso era costituito da un gruppo di attori, spesso guidati da un capo, il corifeo. Il coro rappresentava un vero e proprio personaggio a più voci che dialogava con i protagonisti, esprimeva commenti e riflessioni, raccontava al pubblico alcuni fatti. Il coro, insomma, era la voce dell’autore.
I primi autori La tradizione attribuisce la rappresentazione teatrale più antica al poeta greco Tespi, il quale avrebbe composto nel 534 a.C. il primo dialogo tra un attore e un coro. Secondo il poeta latino Orazio, Tespi si spostava da una città all’altra dell’Attica con un carro sul quale innalzava un palco; due attori con i visi dipinti cantavano dei cori di argomento storico. Dopo qualche tempo vi aggiunse un terzo attore, il quale separatamente dai cori recitava dei versi. Dopo Tespi, seguirono altri autori come Frinico, Cherilo e Pratina.
Le forme del teatro greco: tragedia e commedia Il teatro di Epidauro Nel teatro greco si rappresentavano due forme di spettacolo: la tragedia, considerata la forma artistica più elevata, e la commedia, che presentava fatti della vita quotidiana con personaggi popolari e si concludeva quasi sempre con un lieto fine.
Il teatro ad Atene/1 Gli spettacoli erano organizzati dallo Stato come veri riti religiosi e si svolgevano durante le feste Dionisie (dedicate al dio Dioniso) all’inizio della primavera. Lo Stato affidava la messinscena delle tragedie a cittadini ricchi che provvedevano a pagare gli autori, gli attori, i musicisti e i danzatori. La tragedia antica non era solo uno spettacolo, come lo intendiamo oggi, ma piuttosto un rito collettivo della pòlis. Si svolgeva durante un periodo sacro, in uno spazio consacrato (al centro del teatro sorgeva l’altare del dio). Il teatro di Doniso ad Atene (illustrazione del 1891).
Il teatro ad Atene/2 • Le feste durante le quali avvenivano ad Atene le rappresentazioni teatrali, dunque, erano: • Le Lenee, feste popolari che si tenevano in inverno, caratterizzate dalla rappresentazione di commedie e a volte di tragedie. • Le Dionisie, che si dividevano in Grandi Dionisie e Dionisie rurali. Le prime erano le feste più importanti, celebrate all’inizio della primavera, in cui venivano messe in scena sia tragedie sia commedie, e a cui potevano assistere i cittadini di tutte le città della Grecia (ad eccezione, si può supporre, delle città nemiche di Atene). Le Dionisie rurali erano invece feste di minore importanza, organizzate durante l’inverno nei paesi attorno ad Atene, aperte solo ai cittadini ateniesi e nelle quali venivano rappresentate solo commedie.
La funzione e le forme del teatro ad Atene/ 1 Il teatro assunse la funzione di cassa di risonanza per le idee, i problemi e la vita politica e culturale dell’Atene democratica: la tragedia parla di un passato mitico, ma il mito diventa immediatamente metafora dei problemi profondi della società ateniese. Durante le Dionisie si svolgeva un agone tragico, cioè una gara tra tre poeti, scelti dall’arconte eponimo (uno dei magistrati più importanti ad Atene), ognuno dei quali doveva presentare una tetralogia composta di tre tragedie e un dramma satiresco. Spesso l’autore era anche attore, componeva le musiche e dirigeva le danze.
La funzione e le forme del teatro ad Atene/ 2 Le rappresentazioni tragiche duravano tre giorni, mentre il quarto giorno era dedicato alla messa in scena di tre commedie. Alla fine dei tre giorni di gara si attribuiva un premio al miglior coro, al miglior attore e al miglior poeta. Tutti erano invitati a partecipare: l’ingresso era gratuito e ai cittadini più poveri era offerto un contributo, in sostituzione della paga giornaliera persa per assistere alla rappresentazione. Il pubblico, che assisteva per tutto il giorno alle rappresentazioni, si portava da casa cibo e bevande e manifestava vivacemente il suo giudizio fischiando o battendo mani e piedi.
La tragedia La tragedia metteva in scena eventi importanti e drammatici, i cui protagonisti erano figure di altro rango: eroi, principi, re. Le vicende rappresentate spesso si concludevano in modo violento, con la morte del protagonista e di altri personaggi, e avevano lo scopo di suscitare sentimenti di pietà e terrore negli spettatori. Assistendo alle conseguenze dei comportamenti negativi dei personaggi, gli spettatori riflettevano sui misteri dell’esistenza e cercavano di sfogare le passioni umane per raggiungere una più alta serenità. La tragedia si diffuse col diffondersi delle grandi feste in onore del dio Dioniso e inizialmente si svolgevano in uno spazio nei pressi del tempio a lui dedicato.
L’etimologia di “tragedia” Per quanto riguarda l’etimologia della parola trago(i)día si distinguono in essa le radici di “capro” (trágos) e “cantare” (á(i)dô),sarebbe quindi il“canto del capro”, forse in riferimento al premio che in origine era consegnato al vincitore dell’agone tragico (per l’appunto, un capretto), o al sacrificio di questo animale, sacro a Dioniso, che spesso accompagnava le feste in onore del dio. Una teoria più recente fa derivare “tragedia” dal vocabolo raro traghìzein, che significa“cambiare voce, assumere una voce belante come i capretti”, in riferimento agli attori. Una terza ipotesi suggerisce che tragoidía significhi più semplicemente “canto dei capri”, dai personaggi satireschi che componevano il coro delle prime azioni sacre dionisiache.
La tragedia greca classica La tragedia fiorì in Grecia tra il VI e il V secolo a.C. I più importanti e riconosciuti autori di tragedie furono Eschilo, Sofocle ed Euripide, che in diversi momenti storici, affrontarono i temi più sentiti della loro epoca. La tragedia greca inizia generalmente con un prologo (da prò e logos, discorso preliminare), che ha la funzione di introdurre il dramma; segue la parodo (pàrodos) che consiste nell’entrata in scena del coro attraverso dei corridoi laterali, le pàrodoi; l’azione scenica vera e propria si dispiega quindi attraverso tre o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli stasimi, degli intermezzi in cui il coro commenta, illustra o analizza la situazione che si sta sviluppando sulla scena; la tragedia si conclude con l’esodo (èxodos).
Gli autori tragici Molte opere sono andate perdute o sono giunte fino a noi solo in frammenti. I tre più grandi autori greci di tragedie appartengono al V secolo a.C., quando la città di Atene visse il suo momento di maggiore splendore: l’età di Pericle. Eschilo (545 – 456 a.C.), Sofocle (496 – 406 a.C.) ed Euripide (485 – 406 a.C.) rappresentano nella storia del teatro antico modelli difficilmente ripetibili e le loro tragedie ancora oggi vengono messe in scena nei teatri di tutto il mondo. Eschilo Euripide
Eschilo Eschilo (525 a.C. –456 a.C.) viene unanimemente considerato l’iniziatore della tragedia greca nella sua forma matura ed è il primo dei poeti tragici dell’antica Grecia di cui ci siano pervenute opere per intero. Regista, oltre che poeta, a lui viene attribuita l’introduzione di maschera e coturni, inoltre è con lui che prende l’avvio la trilogia, o “trilogia legata”. Introducendo un secondo attore, rese possibile la drammatizzazione di un conflitto. Da questo momento fu infatti possibile esprimere la narrazione tramite dialoghi, oltre che monologhi. Nonostante i personaggi di Eschilo non siano sempre unicamente eroi, quasi tutti hanno caratteristiche superiori all’umano e sono assolutamente fedeli alla divinità.
Le tragedie di Eschilo • Eschilo scrisse probabilmente una novantina di opere, ma di queste ne sono giunte ai giorni nostri solo sette: • I Persiani (rappresentata nel 472 a.C.) • Sette contro Tebe (rappresentata nel 467 a.C.) • Supplici (rappresentata nel 463 a.C.) • Prometeo incatenato (rappresentata tra il 470 e il 460 a.C.). • Orestea- trilogia (rappresentata nel 458 a.C.), costituita da: • Agamennone • Coefore • Eumenidi
Sofocle • Sofocle (496 a.C. –406 a.C.) introdusse alcune innovazioni che riguardarono molti aspetti della rappresentazione tragica: • fece utilizzare i calzari bianchi e i bastoni ricurvi, • abolì l’obbligo della “trilogia legata”, • introdusse un terzo attore, che permetteva alla tragedia di moltiplicare il numero dei personaggi possibili, • aumentò a quindici il numero dei coreuti, • ruppe l’obbligo della trilogia, rendendo possibile la rappresentazione di drammi autonomi, • introdusse l’uso di scenografie, • ridusse il ruolo del coro, che si defila dall’azione, partecipa sempre meno attivamente e diventa piuttosto spettatore e commentatore dei fatti, • introdusse il monologo, che permetteva all’attore di mostrare la sua abilità e al personaggio di esprimere compiutamente i propri pensieri.
Le tragedie di Sofocle • Sofocle scrisse, secondo la tradizione, ben centoventitré tragedie, di cui ne restano solo sette: • Antigone(442 a.C.); • Aiace(intorno al 445 a.C.); • Trachinie(data incerta); • Edipo Re(circa 430 a.C.); • Elettra(data incerta); • Filotette(409 a.C.); • Edipo a Colono(406 a.C., ma rappresentata postuma nel 401 a.C.). • Infine possediamo circa la metà di un dramma satiresco: • I cercatori di tracce(data incerta). Sofocle
Euripide Le caratteristiche delle tragedie di Euripide (480 a.C. – 406 a.C.) sono la ricerca di sperimentazione tecnica e la maggiore attenzione che egli pone nella descrizione dei sentimenti, di cui analizza l’evoluzione che segue il mutare degli eventi narrati. La novità assoluta del teatro euripideo è rappresentata dal realismo con il quale il drammaturgo tratteggia le dinamiche psicologiche dei suoi personaggi. L’eroe descritto nelle sue tragedie non è più il risoluto protagonista dei drammi di Eschilo e Sofocle, ma una persona problematica ed insicura, non priva di conflitti interiori. Le protagoniste femminili dei drammi sono le nuove figure tragiche di Euripide, il quale ne tratteggia sapientemente la tormentata sensibilità e le pulsioni irrazionali che si scontrano con il mondo della ragione.
Le tragedie di Euripide Di Euripide si conoscono novantadue drammi; sopravvivono diciotto tragedie e un dramma satiresco. Alcesti (438 a.C.); Medea (431 a.C.); Gli Eraclidi (forse 430 a.C. circa); Ippolito ( 428 a.C.); Troiane ( 415 a.C.); Andromaca (forse 423 a.C. circa); Ecuba ( 423 a.C.); Supplici ( 414 a.C.); Ifigenia in Tauride (forse 414 a.C. o 411 a.C. o 409 a.C.); Elettra (forse 413 a.C.); Elena ( 412 a.C.); Eracle (data incerta); Fenicie (410 a.C. circa); Ifigenia in Aulide (410 a.C.); Ione (forse 410 a.C.); Oreste (408 a.C.); Le Baccanti (406 a.C.); Ciclope (data incerta, dramma satiresco); Reso (data incerta, probabilmente apocrifo).
Il dramma satiresco Il dramma satiresco era una delle forme, insieme alla tragedia e alla commedia, in cui si articolava il teatro greco classico e si caratterizzava per una struttura abbastanza semplice in cui il coro era costituto da elementi travestiti da satiri caprini che si muovevano sulla scena alternando momenti di recitazione teatrale a momenti di vivace danza chiamata sìkinnis. Le storie erano di tipo comico, a volte addirittura parodie di episodi mitologici, che presentavano i satiri nelle situazioni più disparate. A noi è pervenuto un solo dramma satiresco integro, ossia il Ciclope di Euripide, ma anche parte di due drammi satireschi di Eschilo (i Pescatori con la rete e gli Spettatori o atleti ai giochi istmici) e di uno di Sofocle (I cercatori di tracce), oltre a vari frammenti.
La commedia Una commedia è un componimento teatrale dalle tematiche leggere o atto a suscitare il riso, perlopiù a lieto fine. La commedia, nella sua forma scritta, ha origine in Grecia nel VI secolo a.C. e assunse una struttura autonoma durante le feste dionisiache. La prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo burlesche come le farse di Megara, composte di danze e scherzi, e simili spettacoli si svolgevano alla corte del tiranno Gerone in Sicilia, di cui non ci sono pervenuti i testi. Secondo Aristotele, che nella Poetica attribuisce ai siciliani Formide ed Epicarmo i primi testi teatrali comici, la commedia siracusana precedette quella attica. Di Epicarmo ci restano pochi frammenti di un’opera comica (mimo).
L’etimologia di “commedia” La parola greca “comodìa”, composta di “kòmos” (corteo festivo) e “odè” (canto), indica come questa forma di drammaturgia sia lo sviluppo in una forma compiuta delle antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci. A differenza della tragedia greca, che iniziò il suo declino negli anni immediatamente successivi alla morte di Euripide, il genere comico continuò successivamente a mantenere per molto tempo la propria vitalità, sopravvivendo fino alla metà del III secolo a.C., adattandosi ai cambiamenti politici, culturali e sociali. Aristofane, il più grande commediografo antico greco
Periodi della commedia greca • I commentatori antichi distinsero tre fasi della commedia greca: • commedia antica (archàia), nel periodo che va dalle origini fino al IV secolo a.C.; • commedia di mezzo, fino all’inizio dell’Ellenismo (323 a.C.); • commedia nuova, che coincide con l’età ellenistica. • Dopo quest’ultima fase il genere comico non scomparve, ma si trasferì a Roma, all’interno della cultura latina, con i commediografi latini di palliatae, cioè commedie latine di argomento greco.
La commedia antica • Con l’espressione commedia antica s’intende la prima fase della commedia attica che va dalle origini fino al IV sec. a.C. e ha come massimo esponente Aristofane. • La commedia nasce cinquant’anni dopo la tragedia, ma si afferma solo quando essa è già decaduta. Si divide in 5 parti: • Prologo, recitato da una divinità che spiegava agli spettatori quale era l’azione scenica • Parodos, cioè l’ingresso nel coro • Agone, cioè l’introduzione del fulcro della narrazione • Parabasi, cioè quando l’attore andava verso le prime file del teatro, dove solitamente sedevano i personaggi politici e illustri, e incominciava a scherzare su di loro e a fargli delle domande calde • Esodo, cioè l’uscita del coro e la conclusione
Aristofane Aristofane (450 a.C. circa – 388 a.C. circa) è l’unico commediografo di cui ci siano pervenute alcune opere complete. Di straordinaria fantasia creativa, mescolò abilmente tutte le forme del comico (allusioni scurrili, insulti, travestimenti, disquisizioni accademiche ecc.) dandoci così uno dei massimi esempi di quell’ampia libertà di parola (in greco parresía), che fu l’essenza stessa della commedia antica, comprensibile solo all’interno del clima culturale della democrazia ateniese. Le sue due prime commedie sono state rappresentate nel 427. In quegli anni Atene combatteva Sparta nella Guerra del Peloponneso per mantenere l’egemonia sulla Grecia.
Le commedie di Aristofane • Delle oltre quaranta commedie da lui scritte, solo undici sono giunte intere sino a noi. • Acarnesi (425 a.C.) • I cavalieri (424 a.C.) • Le nuvole (423 a.C.) • Vespe (422 a.C.) • Pace (421 a.C.) • Uccelli (414 a.C.) • Lisistrata (411 a.C.) • Tesmoforiazuse (411 a.C., titolo che significa “Le donne alla festa di Dèmetra”) • Ecclesiazuse (393 a.C., “Le donne a parlamento”) • Rane (405 a.C.) • Pluto (388 a.C.)
I temi di alcune commedie di Aristofane • Tra le commedie più note citiamo: • Gli Acarnesi,in cui un cittadino, stanco della guerra del Peloponneso che sembra non finire mai, riesce a stipulare una pace personale con Sparta; • Le nuvole (423 a.C.), l’opera più significativa del grande commediografo, offre, attraverso la grottesca satira del filosofo Socrate, una spassosa caricatura degli eccessi della scuola socratica, chiamata in modo irriverente il “Pensatoio” e volutamente confusa con quella dei sofisti; • Uccelli in cui due ateniesi stanchi delle liti in Atene fondano una città tra la terra e il cielo, disturbando perfino la tranquilla esistenza degli dei; • Lisistrata, in cui le donne proclamano lo sciopero del sesso per far terminare la guerra del Peloponneso.
Gli altri autori della commedia antica Tra gli autori della commedia antica annoveriamo: Epicarmo (524 a.C. circa – 435 a.C. circa), al quale erano attribuite più di quaranta commedie, di cui ci restano solo alcuni titoli. Cratino (dopo il 520 a.C. – dopo il 423 a.C.), cui sono attribuite trentuno commedie, non pervenuteci: viene considerato il fondatore della commedia politica Eupoli (446 a.C. circa – 411 a.C. circa), che scrisse quattordici commedie, di cui restano soltanto brevi frammenti: in esse l’autore levava la sua voce di critica nei confronti della corruzione del presente. Cratete (450 a.C. circa – ... ), di cui restano dieci titoli e vari frammenti. Ferecrate (seconda metà V secolo a.C.), di cui sono rimasti 18 titoli e 250 frammenti.
La commedia di mezzo I grammatici alessandrini raggrupparono nella commedia di mezzo tutte quelle opere che, pur conservando elementi della commedia antica, anticipavano anche motivi della commedia nuova. Dei numerosi poeti che la coltivarono - i più famosi furono Antifane (388 a.C. circa – 311 a.C. circa), Anassandride(400 a.C. circa - …), Alessi(IV – III sec. a.C.) e Eubulo (IV sec. a.C.) - a noi sono giunti solo frammenti, i quali ci possono consentire solo di cogliere pensieri, riflessioni, scherzi raffinati e spunti comici, ma data la loro breve estensione sono scarsamente indicativi per delineare la struttura drammatica delle singole opere. Nella commedia di mezzo scomparvero la parabasi e il coro, a volte presente come semplice ornamento. Gli argomenti e i personaggi erano tratti dalla vita comune.
La commedia nuova Storicamente coincide pressappoco con l’età ellenistica, in cui il cittadino è ridotto al rango di suddito, ininfluente dal punto di vista politico. I temi della commedia si adattano alla nuova realtà, spostandosi dall’analisi dei problemi politici all’universo dell’individuo. I personaggi non riproducono che dei “tipi” secondo uno schema poi divenuto classico e adattato dalla commedia romana e, più tardi, dalla commedia dell’arte: i giovani innamorati, il vecchio scorbutico, lo schiavo astuto, il crapulone. Il maggior esponente della commedia nuova pervenutoci è Menandro. Gli altri commediografi della nea sono Difilo (342 a.C. -291 a.C.) e Filemone (361 a.C. – 263 a.C.).
Menandro • Con Menandro (342 a.C. ca. – 291 a.C. ca.) la commedia perde del tutto la dimensione fantastica e la natura mordace e satirica della fase più antica, per assumere, pur nella finzione teatrale, caratteri di maggiore aderenza alla realtà quotidiana e di più spiccata attenzione alla psicologia e ai sentimenti dei personaggi. • Egli fu autore di un centinaio di testi teatrali, dei quali sono pervenuti soltanto cinque, ma non per intero: • Aspis (“Lo Scudo”; pervenuta per circa una metà) • Dyskolos(Il Misantropo, l’unica opera pervenuta nella sua interezza) • Epitrepontes (“L’Arbitrato”; pervenuta in gran parte) • Perikeiromene(La ragazza tosata) • Samia (La donna di Samo)
Gli attori Solo agli uomini era consentito di recitare e infatti essi interpretavano anche le parti femminili. Per dare maggior rilievo ai personaggi e per esser visti bene anche dagli spettatori più lontani, gli attori indossavano speciali calzature, i coturni, che li rendevano più alti. Andavano in scena solo in tre, recitavano più ruoli e, quindi, indossavano maschere di cuoio e costumi che rendevano immediatamente riconoscibili i vari personaggi. Le maschere avevano la funzione di amplificare la voce; infatti l’apertura per la bocca era ampia e costruita come un piccolo megafono. Anche gli attori delle commedie portavano costumi, mai travestimenti e le maschere dovevano accentuare gli aspetti ridicoli e grotteschi dei personaggi.
Lo spazio scenico Inizialmente le rappresentazioni avvenivano in uno spiazzo circolare, l’orchestra, vicino al tempio del dio Dioniso. In seguito i pochi sedili di legno, riservati alle persone più importanti della comunità, furono aumentati e disposti intorno all’orchestra, sfruttando talvolta la pendenza naturale delle colline. Col tempo i sedili vennero sostituiti da gradinate costruite in muratura lungo i fianchi di una collina, in modo che tutti potessero vedere e sentire bene (la cavea). Di fronte alla cavea, oltre l’orchestra, si trovava il palcoscenico rialzato dove si muovevano gli attori.
La tragedia romana in età repubblicana Il processo di aemulatio (consapevole imitazione), che la letteratura latina operò nei confronti della letteratura greca, portò i romani ad assumere come modelli teatrali la tragedia e la commedia greche. Pochissimi sono però i frammenti delle tragedie d’argomento romano (fabulae pratextae) o greco (fabulae cothurnatae) che ci sono rimasti. Sappiamo tuttavia che molti tra i maggiori autori dell’età arcaica si cimentarono nel genere tragico: da Livio Andronico (284 circa a.C. - 204 a.C.) a Gneo Nevio (270 circa a.C. - 201 circa a.C.) a Quinto Ennio (239 a.C. - 169 a.C. circa) a Pacuvio (220 a.C. - 130 circa a.C.) ad Lucio Accio (170 a.C. - 85 circa a.C.).
Lo stile tragico romano La produzione di questi autori era caratterizzata da un’estrema solennità nella lingua e nello stile, ed era sentita come qualcosa di superiore rispetto ad altre esperienze letterarie contemporanee. Mancavano però nella Roma repubblicana arcaica strutture teatrali paragonabili a quelle del mondo greco, fatto che costrinse i tragici latini fare a meno della presenza del coro. Maschera romana
La tragedia romana in età imperiale Le uniche tragedie romane integralmente pervenuteci sono quelle molto più tarde di Lucio AnneoSeneca (4 ca. a.C. - 65 d.C.). Basate sul mito greco, hanno come nucleo drammaturgico la presenza di un dilemma morale e spesso indugiano su situazioni macabre e sanguinarie: l’impressione che suscitano è di essere state scritte per la pubblica declamazione o per la lettura privata, più che per essere messe in scena. Di Seneca ci sono pervenute nove tragedie, le uniche conservate integralmente del teatro latino (di sicura attribuzione sono Hercules furens, Phaedra, Troades,Phoenissae, Medea, Oedipus, Agamennon, Thyestes, forse non autentica Hercules Oeteus): si richiamano ai miti greci e che attingono prevalentemente a Euripide. Una decima tragedia, l’Octavia non è considerata autentica.
La commedia romana Assai maggiori sono le documentazioni relative alla commedia romana. Anch’essa annovera drammi d’argomento romano (fabulae togatae) e greco (fabulae palliatae), ma è solo di quest’ultimo genere che abbiamo numerose e importanti testimonianze. Alla commedia infatti si dedicarono molti dei “grandi” poeti latini già menzionati, come Livio Andronico, Gneo Nevio e Quinto Ennio; senza dubbio, però, i maggiori comici latini furono Plauto, Cecilio Stazio e Terenzio.
Plauto Tito Maccio Plauto (254 ca. - 184 a.C.) innestò sul modello della commedia attica l’esuberanza espressiva della farsa italica. Dei 130 testi teatrali attribuitigli, gli studiosi hanno certificato l’autenticità di ventuno commedie, giunte complete fino a noi, e parte una, la Vidularia, di cui resta un solo frammento di un centinaio di versi. Le trame delle commedie di Plauto erano direttamente ispirate ai modelli greci (Menandro, Filemone, Difilo e altri) e rielaborate con assoluta libertà e con un ritmo comico straordinario, sottolineato dai tempi ben calibrati del dialogo. Tito Maccio Plauto
Le commedie di Plauto • Gli intrecci presentano di solito storie d'amore complicate da tranelli, fraintendimenti ed espedienti furbeschi. • I protagonisti delle commedie plautine sono generalmente personaggi privi di sfumature psicologiche: tra i “tipi” più ricorrenti, esemplari sono il soldato spaccone, il bugiardo, l'avaro, lo schiavo astuto, il parassita. • Fra le sue commedie più note ricordiamo: • Amphitruo(Anfitrione), • Asinaria(La commedia degli asini), • Aulularia(La commedia della pentola), • Bacchides(Le Bacchidi), • Menaechmi, • Miles gloriosus(Il soldato spaccone), • Pseudolus.
Cecilio Stazio Cecilio Stazio (230 circa a.C. - 168 a.C.) è un commediografo latino, nato da una famiglia di galli insubri e trasferito come schiavo a Roma verosimilmente nel 222 a.C. Delle sue opere ci restano 42 titoli di palliatae (commedie di ambientazione greca) e frammenti per circa 300 versi. Sappiamo che la commedia Plocium (La collana) aveva come modello il Plokion di Menandro. L’opera di Cecilio Stazio potrebbe essere collocata tra la commedia più propriamente popolare e amante del gioco linguistico di Plauto e quella più vicina al modello della commedia nuova ateniese rappresentata da Terenzio.
Terenzio Publio Terenzio Afro (190 circa a.C. - 159 a.C.) esordì come autore di teatro nel 166 a.C., e operò con alterne fortune fino al 160 a.C. Nel teatro di Terenzio grande rilievo hanno i temi della comprensione e del rispetto umano, della disponibilità verso gli altri, quei valori cioè che venivano riassunti dai latini con il termine humanitas. Nei suoi testi importanza ha lo scavo psicologico dei personaggi; le loro vicende, infatti, sono moderatamente realistiche ed evocano contesti tutt’altro che fantastici, rendendo le commedie terenziane, sulla scia del modello menandreo, dei veri e propri “drammi borghesi”.
Le commedie di Terenzio Il suo primo testo teatrale fu Andria, messo in scena nel 166 a.C. Seguendo l'artificio retorico della contaminatio (tipico delle esperienze comiche del teatro classico e già utilizzato da Plauto) Terenzio attinse per le sue commedie (sei in tutto, rappresentate fra il 166 e il 160 a.C.) a diversi originali greci della commedia attica nuova, mescolando spunti narrativi e personaggi di varie opere. Andria, Heautontimorúmenos, Eunuchus e Adélphoi derivano perlopiù da commedie di Menandro, mentre Phormio ed Hécyra sono modellate su originali di Apollodoro di Caristo.
Il teatro plautino Il contributo più originale della commedia romana sta nell’evidente destrutturazione del modello formale della commedia menandrea. Nel teatro di Plauto, infatti, si osserva una rinnovata importanza della dimensione musicale, ottenuta accostando a parti recitate (diverbia) altre cantate (cantica), nonché una rottura della ormai canonica divisione in cinque atti. Sul teatro plautino ebbero influsso anche forme teatrali preletterarie tipicamente italiche, come i fescennini e l’atellana, il che ne spiega la natura assai composita e difficilmente canonizzabile.
Il teatro terenziano Al clima fantastico e chiassoso delle commedie plautine Terenzio sostituì invece drammi assai più realistici e raffinati, in cui l’introspezione psicologica dei personaggi ricorda da vicino quella di Menandro. Con Terenzio il teatro da grande momento di intrattenimento popolare divenne cassa di risonanza dei nuovi valori espressi dal circolo degli Scipioni. Successivamente il teatro comico a Roma decadde, lasciando maggior spazio al mimo, genere che ebbe notevole successo in età cesariana - della quale si ricordano i mimografi DecimoLaberio (106 a.C. - 43 a.C.), Publilio Siro (data incerta, I secolo d.C.) e GneoMazio (fine del II secolo a.C. – inizio del I secolo a.C.) - e anche in età romana imperiale.
Il teatro nel Medioevo/1 Nel Medioevo, la tragedia e la commedia, come quasi tutti i generi letterari classici, scompaiono, travolti in parte dal crollo del mondo greco-romano, in parte dalla diffidenza della Chiesa nei confronti delle opere di carattere “pagano”. Non scompare, però, e non poteva essere diversamente, il teatro, inteso come azione scenica, cioè come rappresentazione di eventi, anche di breve durata. Il martirio di Santa Apollonia
Il teatro nel Medioevo/2 Il dramma di carattere religioso, quello che farà rinascere il teatro, nasce in occasione di particolari festività religiose (in particolare i riti della settimana di Pasqua) al fine di spiegare meglio il messaggio cristiano al popolo che non comprendeva il latino. Gli autori sono spesso anonimi, ma non mancano interessanti figure di letterati, come la monaca tedesca Rosvita (935 ca. - 973 ca.) e Jacopone da Todi (1236 circa –1306). Gli aspetti fondamentali del teatro medioevale furono la drammatizzazione, i motivi teatrali religiosi, una componente liturgica e didattica e uno sviluppo di una forma drammatica in volgare.
Il teatro nel Rinascimento Il Rinascimento fu l’età dell’oro del teatro per molti paesi europei (in particolare in Italia, Spagna, Inghilterra e Francia), rinascita preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale. In questo periodo si assiste ad un fenomeno di rinascita del teatro, preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale che si era manifestata nelle corti, nelle piazze e nelle università in molteplici forme, dalla sacra rappresentazione fino alle commedie colte quattrocentesche.
La commedia rinascimentale in Italia • Autori di commedie in Italia furono: • Niccolò Machiavelli (1469 –1527), che scrisse La Mandragola e Clizia; • il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena (1470 – 1520), che scrisse La Calandria; • Donato Giannotti(1492 – 1573); • Annibal Caro (1507 – 1566), che scrisse Gli Straccioni; • Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca (1503 – 1584; • Alessandro Piccolomini (1508 – 1579); • Pietro Aretino (1492 – 1556), che scrisse La Cortigiana; • Ludovico Ariosto (1474 – 1533); • Angelo Beolco detto Ruzante (1496 – 1542).