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ANTROPOLOGIA MUSEALE. Musei etnografici locali. In Italia i musei locali, di tipo etnologico, sono cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi 20 anni. Nel 1985 c’è stato un primo Censimento dei musei etno-agricoli in Italia registrava solo circa 150 collezioni.
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Musei etnografici locali • In Italia i musei locali, di tipo etnologico, sono cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi 20 anni. • Nel 1985 c’è stato un primo Censimento dei musei etno-agricoli in Italia registrava solo circa 150 collezioni. • All’inizio degli anni ’90 una successiva indagine ne rileva circa 400 concentrati soprattutto al Nord. • Nel 1997 una successiva ricerca ne individua con precisione 476 quasi tutti di tipo locale, cioè dedicati al territorio.
Musei etnografici locali Il Nord risulta l’area dove si concentra ancora la maggioranza di questi musei. Il Piemonte è al primo posto con 70 musei, poi vengono Lombardia, Emilia Romagna e Veneto che ne hanno complessivamente 221. Su 476 musei circa la metà è concentrata al nord e il resto al centro sud.
Musei etnografici locali • Questi dati oggi sono certamente cresciuti, visto l’ulteriore incremento e l’apertura di nuovi musei negli ultimi anni, soprattutto al centro sud. • La concentrazione di musei etnografici al nord si spiega per il fatto che nel nord Italia è avvenuto il distacco più radicale dal mondo agricolo tradizionale, essendo l’area del paese più industrializzata, dove c’è la più forte concentrazione industriale.
Musei etnografici locali Quanti musei in generale esistono oggi in Italia ? • Ci sono 3847 musei sul territorio nazionale. • Di questi musei, il 16,9 % è costituito da musei etnografici. • I musei etnografici sono la categoria di musei più numerosa in Italia, ma anche la meno visibile. • Si tratta di musei piccoli e piccolissimi.
Musei etnografici locali • C’è un movimento diffuso nei territori nei confronti del patrimonio etnologico, un impegno che spesso, molto spesso non è attivato da antropologi professionisti, cioè da accademici, ma riflette un bisogno locale. • I musei etnologici sono i musei che rispetto a tutti gli altri musei italiani, presentano: • la percentuale più alta di proprietà privata. • la più alta concentrazione di volontari, cioè di lavoro volontario per la costituzione,il mantenimento e lo sviluppo, l’apertura, la visita, etc.
Musei etnografici locali In Italia, i musei etnografici locali sono, come ha notato Gian Luigi Bravo, un fenomeno popolare e non “eterodiretto”.
Musei etnografici locali Un aspetto interessante è la concentrazione di questi musei nelle aree più industrializzate del nord, più urbanizzate e a reddito più alto, che esprime probabilmente un bisogno, una esigenza di patrimonializzazione, che in queste regioni incontra anche una maggiore interazione con gli enti locali, per quanto riguarda le risorse, i locali, la manutenzione, etc. rispetto al sud.
Musei etnografici locali • C’è stata in Italia una stagione caratterizzata da una grande passione per la raccolta, per il collezionismo, da parte di gente comune che in larga percentuale non erano studiosi, ma appassionati. • Secondo Pietro Clemente questa stagione è finita e non solo perché sono diventati rari gli oggetti da trovare, ma perché c’è stata in Italia una stagione culturale che ha animato questa forma di collezionismo povero ma legato a passioni e impegni sul territorio. • Era un collezionismo animato dalla consapevolezza di un passaggio epocale di mutamento, ma anche da un sentimento profondamente contraddittorio, da un lato di rifiuto delle condizioni di sfruttamento e di povertà nelle quali si viveva, dall’altro di amore per il mondo contadino
Musei etnografici locali Questi musei etnografici o agricoli rispondono a profonde esigenze di conoscenza e conservazione della propria identità, di mantenimento di valori che vengono percepiti in pericolo, come l’ambiente, il degrado ambientale, l’omologazione. La maggior parte di questi piccoli musei etnografici, di queste centinaia e centinaia di piccoli musei locali sono tutti uguali tra loro; rivendicano una unicità, ma in realtà esprimono fortissime somiglianze perché hanno degli oggetti che sono molto simili tra loro e che solo uno specialista può distinguere nello stile locale. Sono tutti uguali perché sono musei che ripercorrono tutti quelle che poi erano le stesse fasi della vita, le stesse produzioni, il lavoro, il grano, la canapa, il lino, la casa, l’allevamento, etc. etc..
Musei etnografici locali • E’ stato spesso detto che in queste raccolte locali che sono diventate musei, si vedeva la consapevolezza di essere entrati in una società più ricca, e che nel mostrare i lati positivi di questa conquista si voleva mostrare da quali difficoltà, da quali radici difficili venissero gli uomini resi uguali dalla società moderna e democratica. Quindi un elogio del progresso.
Musei etnografici locali In questo movimento museale epocale c’è anche la salvaguardia di quello che in passato era un rapporto più diretto con la natura, un passato di saperi fabriliampi, di conoscenze tecniche, di parsimonia, di resistenza e di valorizzazione di una identità o di una comunità che riconosce e tramanda il proprio passato. Sono quindi per la maggior parte musei ripetitivi, anche noiosi se vogliamo. Pietro Clemente riporta l’esempio di un oggetto che nei musei Toscani etnografici è quasi sempre presente, e non solo toscani, ma in molte altre regioni, e cioè un oggetto di casa, per scaldarsi, cioè lo scaldaletto, un arnese nel quale venivano messi dei carboni ardenti per scaldare il letto. Quasi dappertutto questo oggetto esiste, quasi dappertutto viene chiamato il “prete”, ma quasi tutti i musei locali che ce lo presentano, lo presentano come un oggetto unico, che connota un’identità locale.
Il Museo di S. Michele all’Adige Usi e Costumi della gente Trentina Uno dei più importanti musei etnografici locali, per grandezza e organizzazione è il Museo degli usi e costumi delle genti trentinea S. Michele all’Adige che si basa sulla collezione di uno studioso Trentino che era Giuseppe Sebesta. Sebesta era un etnografo autodidatta. Il museo è progettato da lui stesso a partire dalla fine degli anni ’60 e si trova in un antico convento poi trasformato in Istituto Agrario. Un museo che voleva avere un respiro europeo nell’ampiezza e nell’organizzazione e che ha avuto l’appoggio di alcuni politici locali illuminati. E E’ un museo interamente dedicato alla cultura materiale nonostante porti un nome molto più forlkloristico (usi e costumi). Forse il primo museo in Italia ad essere incentrato sugli aspetti ergologici, sul lavoro, gli strumenti, le tecniche, anche se circoscritti all’area Trentina e alpina in generale.
Il Museo di S. Michele all’Adige Usi e Costumi della gente Trentina Un museo che voleva avere un respiro europeo nell’ampiezza e nell’organizzazione e che ha avuto l’appoggio di alcuni politici locali illuminati. E’ interamente dedicato alla cultura materiale nonostante porti un nome molto più forlkloristico (usi e costumi). Forse il primo museo in Italia ad essere incentrato sugli aspetti ergologici, sul lavoro, gli strumenti, le tecniche, anche se circoscritti all’area Trentina e alpina in generale.
Il Museo di S. Michele all’Adige Usi e Costumi della gente Trentina Il Museo di S. Michele è forse in Italia a tutt’oggi l’unico museo locale nato dal privato ad avere una pianta organica stabile e finanziamenti stabili. Perché come si è detto in precedenza la maggior parte di questi piccoli musei vive del volontariato e dell’eroismo di pochi appassionati. Se pensiamo che in Francia nel vecchio Museo delle Arti e Tradizioni Popolari lavoravano 150 addetti, il Museo del Villaggio di Bucarest ne ha 200, il NordiskaMuseet di Stoccolma ne ha 120, ci rendiamo conto di quanto sia scarso l’interesse delle nostre istituzioni per queste realtà.
I Musei etnografici italiani possono essere divisi per area geografica
a) I musei del territorio alpino e perialpino Rientrano nelle aree alpine e prealpine di Lombardia, Piemonte, Trentino, Veneto, Fiuli, quindi Alpi Occidentali, centrali e orientali. In Piemonte e Valle d’Aosta la massima concentrazione di musei è tra le Langhe e il Monferrato, dove l’attenzione è all’attività enologica (e spesso si tratta di musei collegati ad attività imprenditoriali dove sono previsti anche assaggi, etc.) e quella alpina dove ci sono numerosissimi musei di usi e costumi. Anche la Lombardia ha numerosi musei locali, tra i quali spiccano anche degli esempi interessanti di “ecomusei”.
Ecomusei • Cosa sono gli ecomusei ? Si tratta di luoghi che propongono una valorizzazione attiva del patrimonio etnografico vivente nel loro insieme, quindi paesaggio agrario, edilizia rurale, manufatti e attività produttive e artigianali locali che vengono valorizzate nel loro essere attività vitali. • Gli ecomusei propongono una forma di valorizzazione turistica di un territorio non speculativa ma più vicino ad un tipo di turismo sostenibile perché si mira alla salvaguardia delle forme di economie locali, al coinvolgimento attivo delle popolazioni locali, etc.
b) Musei dell’area padana Sono musei di pianura. Si tratta di musei che riflettono quelle che erano le caratteristiche rurali di queste aree, quelle cioè di essere aree a coltivazione intensiva. Tra i musei padani spicca probabilmente il Museo degli usi e costumi della gente di Romagna a S. Arcangelo di Romagna (Rimini), progettato dallo stesso Sebesta del Museo di S. Michele all’Adige, quindi tutto incentrato sugli aspetti ergologici. C’è poi l’importantissima presenza del Museo Guatelli in provincia di Parma ad Ozzano Taro, che non rientra in nessuna tipologia e classificazione.
c) Musei peninsulari o mediterranei. Qui troviamo soprattutto Musei della mezzadria, essendo la mezzadria la forma di conduzione agricola prevalente in Italia centrale. Tra Marche, Umbria e Toscana c’è una forte concentrazione di musei etnografici dedicati alla vita mezzadrile, come anche al vino. In Abruzzo il Museo più significativo è a Pescara, è il Museo delle genti d’Abruzzo, che ha un’impostazione a tutto campo che va dalla preistoria ai giorni nostri, con un’attenzione un po’ per tutti gli aspetti della cultura popolare, da quello lavorativo, concentrandosi soprattutto sulla cultura pastorale a quello festivo e cerimoniale e magico.
c) Musei peninsulari o mediterranei. Nel Lazio tra i musei più significativi, a parte il MNATP, c’è a Latera (VT) il Museo della terra e a Roviano nella Valle dell’Aniene, il Museo della Civiltà Contadina, entrambi questi due musei oggi sono finalmente diretti da due antropologi. Nel Lazio c’è l’altra importante esperienza di Roccagorga, cioè l’Etnomuseo dei Monti Lepini, in provincia di Latina.
Musei etnografici locali:Italia Meridionale L’Italia Meridionale non è molto ricca di musei etnografici; molti sono in grandi difficoltà per mancanza di fondi o per il totale disinteresse delle istituzioni locali. - Campania: Museo della Civiltà Contadina di Somma Vesuviana, vicino Napoli, tutto incentrato sul mondo agricolo, sul lavoro, gli attrezzi agricoli.
Musei etnografici locali.Italia Meridionale In Sicilia c’è da segnalare il Museo Etnografico Siciliano a Palermo fondato da Pitré nel lontano 1909 e riordinato da Cocchiara, che è un esempio di Museo regionale, più che locale, che ha una gestione pubblica che è però fortemente carente di iniziativa. E’ un museo fortemente orientato agli aspetti cerimoniali e di arte popolare e all’architettura. Infine la Sardegna è una regione dove è particolarmente ricca la concentrazione di piccole collezioni e incentrate soprattutto sull’artigianato, tessitura, intreccio, strumenti musicali, oggetti pastorali, dell’abitazione rurale.
Antropologia Museale In Italia le posizioni più rilevanti nel campo della museografia antropologica vengono da Alberto Cirese e da Pietro Clemente.
Antropologia Museale: Alberto Cirese • Oggetti, segni, musei, 1976 • Visione “razionalistica” del museo etnografico. • Il museo come luogo primario della ricerca e della documentazione. • L’allestimento museale della stessa natura dell’analisi scientifica. • Museo-discorso: il museo etnografico deve documentare la realtà utilizzando il linguaggio della scienza.
Antropologia Museale: Pietro Clemente Clemente parte da una riflessione molto interessante. E dice: i musei etnografici o demologici propongono agli utenti, cioè a chi li frequenta, oggetti che non sono dotati di un valore intrinseco, oggetti che si spiegano da soli, che possono essere goduti o fruiti di per sé, come un’opera d’arte. Sono quindi musei che hanno bisogno di un impegno esplicativo; sono cioè patrimoni che devono essere spiegati. Fin qui siamo nella linea di Cirese, del museo-discorso.
Antropologia Museale: Pietro Clemente Secondo Clemente, tuttavia, la spiegazione non deve essere necessariamente la spiegazione scientifica, documentaria (i pannelli che spiegano il ciclo del grano di fronte ad un aratro). Secondo Clemente sono oggetti che vanno proposti al pubblico utilizzando diverse forme di comunicazione. Sono cioè oggetti che richiedono e meritano delle forme di comunicazione museale diverse, sia da quelle prettamente artistiche (la bacheca, la vetrina, la sacralizzazione dell’oggetto), sia quelle del museo scientifico (del pannello, delle spiegazioni scritte, che in genere infatti annoiano tutti, non sono molto comunicative). E’ raro infatti che una persona qualunque che entra in un museo etnografico si metta a leggere tutti i pannelli su come si lavorava la canapa, su come si coltivava la vite.
Antropologia Museale Pietro Clemente Graffiti di museografia antropologica italiana Il Terzo Principio della Museografia • Critica al museo-discorso di Cirese • Museo-scenario contro museo-discorso • I linguaggi espositivi che deve usare un museo non devono essere omologhi, cioè gli stessi linguaggi della ricerca e della documentazione.
Antropologia Museale Pietro Clemente • Il museo come nuova forma di comunicazione • Ricerca di nuove forme di comunicazione diverse sia da quella artistiche (bacheche e vetrine) che da quelle scientifiche (pannelli esplicativi) • Museo etnografico come interpretazione del reale / come racconto
Antropologia Museale: Pietro Clemente Il museo demologico deve orientarsi sulla comunicazione relativa a temi della società. Se adotta le formule della museografia d’arte finisce per usare un linguaggio altrui, o per non rendersi conto che anche luci e bacheche sono metafore di forme del sapere. Ma se diventa una banca di documenti, oscura altre dimensioni, percettive, affettive, conoscitive, sugli oggetti. Oltre che una banca di documenti il museo demologico deve essere anche una banca di idee e luogo di percezioni. Non ci deve essere quindi una traduzione diretta del sapere scientifico, ma questo sapere deve essere mediato con linguaggi espositivi che evochino, oltre che informare, evochino ricordi, sensazioni, saperi, percezioni. Attivare non solo la razionalità, ma anche altri sensi e emozioni. Non bisogna appesantire il museo di un eccesso di verbosità, di discorsi, di pannelli, ma si devono usare codici molteplici elaborati dall’estetica, il vedere, il gustare, del capire.
La “Nuova Museografia” (anni ‘70) • La Nuova Museografia mette in crisi il paradigma del museo-tempio per proporre il paradigma del museo-forum. • Il museo del territorio non come contenitore oggettuale, ma come luogo di elaborazione creativa di identità locali sul contemporaneo.
Etnomuseo dei Monti Lepini (Roccagorga - LT) • E’ un museo che rappresenta in Italia uno dei primi casi di Nuova Museografia applicata all’etnografia e meglio riusciti. Il Museo di Roccagorga nasce dall’attività di un gruppo di ricercatori coordinati da Vincenzo Padiglione. • Vede la luce nel 1999, ma l’attività di ricerca ha inizio nel 1991, quindi ha avuto una genesi abbastanza lunga. • Non è un progetto che parte da una collezione locale, ma da un progetto antropologico esterno, che ha visto poi il coinvolgimento locale. Quindi nasce come un progetto diverso rispetto alle mille altre iniziative di musei locali.
Etnomuseo dei Monti Lepini (Roccagorga – LT) • E’ un museo che vuole ricostruire l’identità della comunità locale, ma anche i cambiamenti dello stile di vita nel corso del novecento. Per fare questo adotta molti linguaggi espositivi. L’elemento che contraddistingue questo museo è l’eterogeneità dei linguaggi espositivi applicati alla rappresentazione del patrimonio culturale locale. Il percorso espositivo vuole coinvolgere i sensi del visitatore, la sua emotività. Il Museo è allestito nel seminterrato del palazzo baronale del XV nella piazza principale del paese e si articola in 11 sezioni sistemate in sale e corridoi. Per esempio c’è una sala chiamata “Pasqua Rossa”, si entra in una stanza che ripropone una casa rurale dell’epoca, dove con una certa illuminazione, ci si siede, si chiude la porta e una voce racconta una sommossa di contadini del 1913 contro l’amministrazione locale finita nel sangue.
Etnomuseo dei Monti Lepini (Roccagorga _ LT) Si va poi in un corridoio dove sono affisse al museo 400 tavolette di argilla dove sono i soprannomi dei rocchigiani, cioè i soprannomi che ancora oggi sono utilizzati dagli abitanti. C’è poi una sala chiamata “Garage-cultura” che ripropone un tipico garage del paese di campagna dove vengono conservati gli oggetti più svariati, con il vecchio Ape, oggetti non più usati, ma che ci trasmettono valori del passato. Poi una sezione, una sala chiamata “Cinema Splendore” una piccola sala cinematografica del secolo scorso, che riprende il nome di una sala realmente esistita a Roccagorga dove vengono proiettati filmati etnografici vari.
Museo Ettore Guatelli di Ozzano Taro • “La bellezza degli aspetti della vita quotidiana che noi abbiamo ignorato ed il loro valore che noi non abbiamo riconosciuto ce li ha mostrati un semplice (tenace) uomo di campagna nelle vicinanze di Parma. Il suo nome è Ettore Guatelli. L’Italia ha in quest’uomo un tesoro vivente” (W. Herzog)
“Oggi vediamo Ettore come uno di quei tenaci solitari visionari reattivi, tenaci ideatori che con grande autonomia hanno fondato dei campi che ci aiutano a fare memoria delle generazioni, come NutoRevelli nel campo delle testimonianze orali, Saverio Tutino per i diari e le autobiografie della gente comune. Ettore è stato fondatore di un linguaggio delle cose e dei loro racconti in una museografia della vita e del lavoro” (Pietro Clemente)