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CESARE PAVESE

CESARE PAVESE. " Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti".

jethro
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CESARE PAVESE

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Presentation Transcript


  1. CESARE PAVESE

  2. "Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti". da La luna e i falò - 1950

  3. Durante il fascismo ciascuno di noi frequentò e amò d’amore la letteratura di un popolo, di una società lontana, e ne parlò, ne tradusse, se ne fece una patria ideale. Laggiù noi cercammo e trovammo noi stessi

  4. CostanceDowling

  5. LAVORARE STANCA(1936) • Tematiche: • campagnavs città • ozio vs lavoro • evasione vs impegno • Infanzia vs maturità • uomo vs donna

  6. LAVORARE STANCA(1936) infanzia maturità • aspirazione difficile equilibrio • rimpianto per l’innocenza perduta • colpa e fallimento momento magico della scoperta dei sensi Città = luogo dell’inautenticità e della solitudine Collina = manifestazioni vitali e sede dei valori perduti

  7. Dentro il crepuscolo d’oro la bruna terra celando …………………………………………………………………………… Illanguidiva la sera celeste sul mare: Pure i dorati silenzi ad ora ad ora dell’ale varcaron lentamente in un azzurreggiare … Lontani tinti dei vari colori Dai più lontani silenzi Ne la celeste sera varcaron gli uccelli d’oro: la nave D. Campana, da Viaggio a Montevideo

  8. Più dolce che ai fanciulli qualche acida polpa, l’acqua verde filtrò nel mio scafo di abete e dalle macchie rosse di vomito e di vino mi lavò, disperdendo il timone e i ramponi A. Rimbaud, da Il battello ebbro Non capisci […] che il sacro e il divino accompagnano anche voi, dentro il letto, sul campo, davanti alla fiamma? Ogni gesto che fate ripete un modello divino. Giorno e notte, non avete un istante, nemmeno il più futile, che non sgorghi dal silenzio delle origini. C. Pavese, da Le Muse, (Mnemosine parla ad Esiodo) in Dialoghi con Leucò

  9. logos mythos parola sacra parola razionale parola generatrice elemento maschile elemento femminile legge le donne raccontano leggende

  10. Ognuno è sensibile all’idea dell’infinito, e già Leopardi ne ha chiarito l’operazione … Fonte della poesia è sempre un mistero, un’ispirazione, una commossa perplessità davanti a una terra incognita C. Pavese in Stato di grazia Molte sere trascorsi così, solo nella stanza, in attesa, […] assorto in quell’altissimo silenzio del vuoto, che la foschia del crepuscolo attutiva a poco a poco e riempiva C. Pavese in Viaggio di nozze

  11. Molte sere trascorsi così, solo nella stanza, in attesa, […] assorto in quell’altissimo silenzio del vuoto, che la foschia del crepuscolo attutiva a poco a poco e riempiva. C. Pavese, da Viaggio di nozze solitario canto dell’artigian, che riede a tarda notte ……. … lontanandomuore a poco a poco ..tutto è pace e silenzio, e tutto posa il mondo G. Leopardi, da La sera del dì di festa

  12. D’estate, quando l’uva matura, nella vigna non si sente un filo muovere: se uno sta zitto è come urlasse tanto forte da non sentir più […]. Allora mi giunse nell’aria vaga una voce, e non era più il fiume. Si levava lontano, di là da quei prati, di là dalle nuvole – una voce di collina e di vigna, come un coro smorzato C. Pavese, da Viaggio di nozze

  13. Conoscevo le case, conoscevo i negozi. Fingevo di fermarmi a guardare le vetrine, ma in realtà esitavo, mi pareva impossibile d’essere stata bambina su quegli angoli e insieme provavo come paura di non essere più io Quello era tutto il mio passato, insopportabile eppure così diverso, così morto. M’ero detta tante volte in quegli anni – e poi più avanti, ripensandoci -, che lo scopo della mia vita era proprio di riuscire, di diventare qualcuna, per tornare un giorno in quelle viuzze dov’ero stata bambina e godermi il calore, lo stupore, l’ammirazione di quei visi familiari, di quella piccola gente. E c’ero riuscita, tornavo; e le facce la piccola gente eran tutti scomparsi C. Pavese, da Tra donne sole

  14. Rosetta, stupita, mi disse che non sapeva nemmeno lei perché era entrata nell’albergo quel mattino. C’era anzi entrata contenta. Dopo il veglione si sentiva sollevata. Da molto tempo la notte le faceva ribrezzo, l’idea di aver finito un altro giorno, di essere sola col suo disgusto, di attendere distesa nel letto il mattino, le riusciva insopportabile. Quella notte almeno era già passata. Ma poi proprio perché non aveva dormito e gironzava nella stanza pensando alla notte, pensando a tutte le cose sciocche che nella notte le erano successe e adesso era di nuovo sola e non poteva far nulla, a poco a poco s’era disperata e trovandosi nella borsetta il veronal… Voleva stare sola, voleva isolarsi dal baccano; e nel suo ambiente non si può star soli, non si può far da soli se non levandosi di mezzo

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