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L'età di Augusto. La situazione dopo la morte di Cesare.
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La situazione dopo la morte di Cesare I congiurati, dopo l'uccisione di Cesare, speravano che la loro azione venisse accolta favorevolmente e che il popolo li considerasse difensori della libertà. L'esercito invece rimase fedele ai suoi comandanti, in particolare a Marco Antonio, console in carica. Antonio era nato nell'82. Nipote di Cesare, dal 54 gli fu a fianco in Gallia, seguendolo poi nel passaggio del Rubicone e nella battaglia di Farsalo del 48. Antonio tentò dunque di accreditarsi come il successore di Cesare, proponendo al senato un accordo: egli avrebbe controllato l'esercito e non avrebbe aperto inchieste sulla morte di Cesare, se in cambio i provvedimenti presi da quest'ultimo fossero restati completamente in vigore. L'accordo venne ratificato nella seduta del senato del 17 marzo e l'assemblea si impegnò a rispettare le volontà espresse da Cesare nel suo testamento. Il giorno successivo, all'apertura del documento, si scoprì però che Cesare aveva nominato come suo erede non Antonio, bensì il pronipote Gaio Ottavio, diciannovenne, nato da una figlia di sua sorella Giulia e da lui adottato.
Ottaviano Il 23 settembre del 63 il senato, riunito da Cicerone, teneva una seduta di cui la congiura di Catilina era l'argomento principale. La discussione incalzava, quando sul tardi arrivò tutto affannato un giovane senatore, Caio Ottavio. Il suo ritardo, disse per scusarsi, era motivato da una causa legittima: gli era nato, quel giorno stesso, un figlio. Ottavio, Ottaviano, Augusto. Il suo nome alla nascita era Gaio Ottavio Turino (il cognomen, che la famiglia non aveva mai avuto, gli venne attribuito in ricordo di una vittoria militare riportata nella città di Turi dal padre); era figlio per l'appunto di Gaio Ottavio, ricco uomo d'affari che, per primo nella sua famiglia, la gens Octavia (ricca famiglia di Velletri), aveva ottenuto cariche pubbliche ed un posto in senato. La madre di Ottavio era Azia, figlia della sorella di Cesare, Giulia, e di Marco Azio Balbo. Nel 45 fu adottato come figlio dal prozio e, secondo la consuetudine, assunse il nome del padre adottivo, aggiungendovi la denominazione della famiglia di provenienza: divenne quindi Gaio Giulio Cesare Ottaviano, nome che assunse ufficialmente nel 43. Poco prima di venire assassinato, Cesare lo aveva nominato magister equitum in seconda, accanto a Lepido, in vista della grande spedizione d'Oriente che stava preparando contro i Parti, inviandolo appena diciottenne ad Apollonia a sorvegliare i preparativi per la futura guerra. È qui che Ottavio fu informato della morte del prozio.
Le tensioni a Roma Nel frattempo il clima a Roma tornava a farsi difficile. Il popolo aveva appreso che Cesare aveva lasciato per testamento 300 sesterzi a ogni proletario e a ciascuno dei suoi veterani. Durante i funerali, il 20 marzo, la folla chiese la testa di Bruto e Cassio: le loro case vennero incendiate e, in generale, i congiurati dovettero lasciare Roma. Nel maggio del 44 Ottavio tornò a Roma dall'Epiro, fermamente deciso a far rispettare le volontà testamentarie di Cesare. Poiché Antonio rifiutò di consegnargli i beni del padre, Ottavio impegnò gran parte del suo patrimonio personale per poter distribuire alla plebe e ai soldati le somme destinate loro da Cesare. Accresciuta la propria popolarità presso la plebe, con astuzia e senso politico Ottavio cercò il consenso del senato, trovando ad esempio in Cicerone un sostenitore; anche il senato, dal canto suo, cercava l'alleanza di Ottavio: egli poteva essere l'uomo da contrapporre ad Antonio e, data la sua giovane età, un politico tutto sommato controllabile.
La sconfitta di Antonio Antonio, percependo in Ottavio un temibile avversario, non voleva allontanarsi troppo da Roma alla fine del consolato (gli era stato infatti prospettato il proconsolato in Macedonia): fece dunque approvare una legge speciale che consentiva la permuta delle province (lex de permutatione provinciarum), in seguito alla quale si prese la Gallia Cisalpina di Decimo Bruto, assegnando a questi la Macedonia. Contro i suoi metodi si scagliò allora Cicerone, che pronunciò in proposito le celebri Filippiche, così chiamate perché la loro veemenza ricordava le orazioni pronunciate da Demostene contro Filippo II di Macedonia. Poiché dunque Decimo Bruto si rifiutò di sottostare alle sue imposizioni, Antonio marciò con l'esercito verso la Gallia Cisalpina, pensando di occuparla con la forza. Il senato, dopo averlo dichiarato nemico della patria, inviò il suo esercito ad affrontare Antonio: le truppe consolari trovarono l'appoggio dei veterani di Cesare arruolati da Ottavio. Lo scontro ebbe luogo a Modena nell'aprile del 43: Antonio ebbe la peggio e si rifugiò nella Gallia Narbonese presso Lepido.
Ottavio marcia su Roma Il senato si illuse allora di essere tornato arbitro della situazione e, temendo Ottavio, le cui truppe erano state le vere vincitrici a Modena, si oppose alla sua candidatura nel frattempo posta per il consolato: era troppo giovane e non aveva ancora rivestito magistrature regolari. Ottavio per tutta risposta, varcato il Rubicone, marciò su Roma con le sue legioni. Fattosi eleggere console nei comizi, uno dei suoi primi atti fu l'istituzione di un tribunale che giudicasse i cesaricidi; assunse poi definitivamente il nome di Ottaviano.
Il secondo triumvirato L'ostilità del senato portò Ottaviano a riavvicinarsi ad Antonio, che nel frattempo aveva raccolto attorno a sé un grande esercito. Inoltre si profilava lo scontro con i cesaricidi: Bruto e Cassio si erano riorganizzati in Oriente e Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, teneva sotto controllo con la sua potente flotta la Sicilia, cui presto avrebbe aggiunto Sardegna e Corsica. L'incontro fra Ottaviano e Antonio, organizzato da Lepido, avvenne nei pressi di Bologna e il risultato fu un triumvirato (ricordato come il secondo, dopo quello fra Cesare, Pompeo e Crasso), della durata di 5 anni, che si attribuiva il compito di dare una nuova struttura allo stato (triumviratus rei publicae constituendae). Ottaviano, Antonio e Lepido, inoltre, avrebbero portato fino in fondo la lotta contro gli assassini di Cesare. La lex Titia legalizzò la magistratura, autorizzando i tre a legiferare, nominare magistrati e senatori, concludere trattati di pace, dichiarare guerra, giudicare reati, distribuire terre, coniare monete. I triumviri, infine, si distribuirono le province occidentali: Lepido ebbe Gallia Narbonese e Spagna, Antonio Gallia Cisalpina e Transalpina, Ottaviano Africa e Sicilia. A differenza del primo triumvirato, che era stato solamente un accordo privato, l'intesa fra Ottaviano, Antonio e Lepido era stata ratificata: era dunque una magistratura a tutti gli effetti, per quanto straordinaria.
Filippi Per dimostrare pubblicamente la loro fedeltà alla memoria di Cesare, ma soprattutto allo scopo di aumentare le proprie ricchezze, in vista anche dello scontro con i cesaricidi, i triumviri stilarono delle liste di proscrizione (sul modello di quelle di Silla) degli avversari da eliminare e di cui intascare i beni. Si scatenò allora una caccia spietata ai proscritti: tra le vittime ci fu pure Cicerone, cui Antonio non aveva perdonato le ancor fresche Filippiche. Ottaviano, sostenuto dall'oratore nei suoi esordi politici, non fece nulla per salvarlo. Il passo successivo fu lo scontro con Bruto e Cassio: mentre Lepido rimase a Roma a controllare la situazione, Antonio e Ottaviano partirono per l'Oriente. Lo scontro si ebbe a Filippi, in Tracia, nell'ottobre del 42: Antonio riuscì a prevalere sulle truppe di Cassio, che si uccise, mentre Bruto inizialmente respinse Ottaviano; Antonio poi sconfisse anche Bruto, che a sua volta si tolse la vita. Alcuni superstiti del loro esercito fuggirono in Spagna e si unirono a Sesto Pompeo, che con le sue azioni piratesche minacciava il vettovagliamento della capitale, ma non era in grado di combattere non avendo truppe di terra.
La guerra di Perugia Dopo Filippi la rivalità fra Ottaviano e Antonio si riaccese. I triumviri avevano licenziato gran parte dell'esercito, stabilendo che a ciascun veterano fosse assegnato un appezzamento di terra. Mentre Antonio a questo scopo riscuoteva tributi in Oriente, Ottaviano si era assunto l'incarico di procurare le terre requisendole agli italici: i veterani da sistemare, però, erano circa 170.000 e di conseguenza parecchie terre dovevano essere espropriate. Tra coloro che si videro privati dei possedimenti ci fu anche la famiglia di Virgilio. Della delicata situazione pensarono di approfittare Fulvia e Lucio Antonio (moglie e fratello di Antonio) che, sobillando gli espropriati, organizzarono una rivolta ai danni di Ottaviano. Anche se Antonio non aveva dato segno di voler sostenere i suoi famigliari, Ottaviano tentò in tutti i modi di evitare la guerra, senza però riuscirci. A Roma si diceva che Fulvia volesse a tutti i costi lo scontro per costringere Antonio a tornare dall'Egitto, dove era caduto vittima del fascino di Cleopatra. Ottaviano dunque affrontò gli avversari a Perugia e li sconfisse: Lucio ebbe salva la vita e fu inviato legato in Spagna; Fulvia partì per la Grecia, dove morì poco tempo dopo.
Verso la guerra civile Nel 40 Ottaviano, Antonio e Lepido si incontrarono a Brindisi e strinsero un nuovo patto per la spartizione delle province: ad Antonio toccò l'Oriente, ad Ottaviano l'Occidente, a Lepido l'Africa. L'Italia era territorio neutro. Nel 39, poi, per mettere fine alla resistenza di Sesto Pompeo, i triumviri gli accordarono per 5 anni il governo di Sicilia, Corsica, Sardegna e Acaia; in cambio Pompeo prometteva di liberare il Mediterraneo dai pirati (accordo di Misene). Furono inoltre conclusi due matrimoni che avrebbero dovuto stabilizzare le alleanze: Antonio sposò Ottavia, sorella di Ottaviano, e Ottaviano (che aveva lasciato la prima moglie Clodia, figlia del famoso tribuno) sposò Scribonia, parente alla lontana di Pompeo. A conferma dell'avvenuta pacificazione, Ottaviano e Antonio passarono assieme trionfalmente per le vie di Roma. Tornato in Egitto, Antonio si stabilì ad Alessandria e strinse sempre più i suoi legami con Cleopatra: cominciò ben presto a comportarsi come se le province d'Oriente fossero un suo regno e invece che preparare la spedizione contro i Parti si impegnò a organizzare l'Oriente in una sorta di federazione di monarchie, ponendovi a capo proprio Cleopatra. Mentre dunque Antonio perdeva progressivamente l'appoggio dell'opinione pubblica, Ottaviano si costruiva l'immagine del difensore di Roma e dei suoi ideali. Anzitutto nella battaglia navale di Nauloco, in Sicilia, egli sconfisse definitivamente Sesto Pompeo: era il 36, lo stesso anno in cui Antonio subiva una pesante sconfitta per mano dei Parti. In secondo luogo, per cancellare ogni traccia di rapporto con Antonio, ripudiò Scribonia e sposò la giovane Livia (che era già sposata con Tiberio Nerone, da cui aveva avuto un figlio, Tiberio, il futuro imperatore). Sempre nel 36, infine, si sbarazzò anche di Lepido, che aveva tentato la rivolta armata, ma era subito stato abbandonato dal suo esercito. Privato del governo dell'africa, fino alla morte (12) fu solo pontefice massimo.
La vittoria di Ottaviano Il passo successivo di Ottaviano fu lo scontro con Antonio, il cui disegno di instaurare a Roma una monarchia orientale di tipo ellenistico era ormai chiaro e non certo apprezzato. Ottaviano dunque, essendo venuto in possesso del testamento di Antonio, ne diede lettura pubblica in senato: Antonio aveva disposto che le province d'Oriente andassero alla sua morte ai due figli avuti da Cleopatra, in eredità. Il senato a questo punto non esitò a dichiararlo nemico della patria e incaricò Ottaviano di muovere guerra contro di lui. Ufficialmente però la guerra venne dichiarata a Cleopatra, accusata di essersi appropriata della parte orientale dell'impero. Dal punto di vista formale non era una guerra civile: Ottaviano difendeva Roma dal dispotismo orientale. Nella primavera del 31 Ottaviano si portò con la flotta in Epiro, presso il promontorio di Azio, per bloccare l'uscita alle navi di Antonio. Questi, il 2 settembre, tentò di farsi largo ma venne duramente sconfitto: prima ancora che la battaglia finisse, con un sessantina di navi Cleopatra e Antonio fuggirono. L'anno seguente il loro esercito di terra fu sconfitto ad Alessandria. Nella confusione della battaglia, si sparse la notizia che Cleopatra era morta; credendovi, Antonio si tolse la vita. La regina a sua volta si suicidò, anche per non cadere in mano nemica.
Ottaviano signore di Roma Nel 29 si celebrò il trionfo di Ottaviano: egli fece chiudere le porte del tempio del dio Giano, rito che simboleggiava la fine della guerra e l'inizio di un'era di pace (la pax augusta). Guerre, lotte civili e proscrizioni avevano caratterizzato gli ultimi decenni di vita della repubblica e avevano prostrato i romani; ogni famiglia aveva avuto i suoi morti e praticamente tutti avevano subito le conseguenze economiche della crisi politica. Il desiderio di pace e stabilità era tale che i romani erano ormai disposti anche a farsi governare da una sola persona: Ottaviano appariva come colui che poteva restituire a Roma tranquillità e benessere. Occorre in ogni caso sottolineare che i tempi per un governo di tipo assoluto erano maturi. Nella Roma delle origini la politica si faceva nelle assemblee: questa era la libertà dei cittadini, questa era la democrazia; tuttavia, dopo 5 secoli, le assemblee non erano assolutamente più in grado di gestire uno stato così vasto e complesso. Era necessario un nuovo sistema politico: Roma non poteva più essere una repubblica aristocratica. Ottaviano tuttavia, se voleva concentrare il potere nelle sue mani, doveva fare i conti con l'attaccamento dei romani ai valori repubblicani: i romani volevano essere cittadini, non sudditi. Egli dunque agì in modo da governare come un sovrano, senza mai dichiararsi tale, e ciò gli garantì il potere assoluto per più di 40 anni.
Augusto Nel 28 Ottaviano assunse la carica di princeps senatus, grazie alla quale aveva il diritto di votare per primo in assemblea, influenzando così il voto degli altri. Nel 27 si fece eleggere console (il suo collega però aveva poteri minori: era detto infatti minor). Inoltre si fece attribuire il titolo di Augustus ("degno di venerazione"), che divenne per lui anche cognomen. Il termine rimanda al verbo augēre ("accrescere"; ne deriva anche auctoritas): Ottaviano si presenta come colui che ha accresciuto i domini di Roma e restituito autorità al senato. La parola ha però soprattutto valore sacrale (è legata a termini come augur e augurium): Ottaviano è il salvatore di Roma, colui che assicura il destino della città nel rispetto della tradizione politica e religiosa. Oltretutto la divinizzazione di Cesare, da cui è stato adottato, lo rende Divi filius ("figlio di un dio"). Il senato decretò il conferimento di questo titolo (dopo aver scartato quello di Romolo, troppo legato alla monarchia) consacrando uno scudo d'oro con incise le qualità che si riconoscevano ad Augusto: iustitia, pietas, clementia, virtus.
La nuova costituzione Nel 23 Augusto lasciò la carica di console (che aveva tenuto ininterrottamente dal 31) e si fece conferire i poteri della tribunicia potestas e dell'imperiumproconsulare: grazie a ciò egli di fatto poteva decidere la politica a Roma e nelle province. Lo schema augusteo si fondava dunque essenzialmente su due presupposti: il rispetto della legalità repubblicana e l'accentramento dei poteri. Attraverso l'espediente di esercitare le funzioni connesse con una magistratura senza rivestire la magistratura stessa, poteva accumulare poteri di per sé inconciliabili nel sistema repubblicano. Al vertice dello stato si insediava così un uomo solo, con poteri indefiniti, che passava come un primus inter pares, un princeps. Questo fu il principato di Augusto. Oltre a garantirsi ogni potere mantenendo un quadro politico formalmente repubblicano, Augusto si preoccupò di collocare nel nuovo sistema le antiche istituzioni. In effetti, la funzione legislativa di comizi e senato non venne abolita, ma diventò mera ratifica delle decisioni di Augusto. Anche i magistrati continuarono a essere eletti nelle assemblee, anche se venivano scelti all'interno di una rosa di nomi suggeriti. Il numero dei senatori, in particolare, venne ridotto; la maggior parte, poi, era costituita da uomini di stretta fiducia di Augusto, che se ne garantì l'appoggio riservando loro le cariche più prestigiose, quali il governatorato delle province e il comando delle legioni. Solo le magistrature minori (edilità e questura), che avevano una natura più amministrativa che politica, mantennero le loro funzioni.
Il dibattito critico sul principato di Augusto La forma di governo cui Augusto diede vita viene dunque definita principato: la natura giuridica del principato (che conteneva in sé i germi di quello che poi sarebbe stato l'impero) è però oggetto di molte discussioni. Alcuni storici ritengono che il principato fosse una sorta di città-stato: la costituzione augustea infatti continuava a prevedere l'esistenza delle magistratura, dei comizi e del senato, gli organi tipici della città-stato. Altri pensano che Augusto abbia dato vita a una monarchia assoluta: la permanenza in vita delle vecchie istituzioni era in effetti del tutto formale. Ciò che realmente caratterizzava il principato era la concentrazione dei poteri nelle mani di una sola persona: la magistratura del princeps non era stata aggiunta alle altre cariche, ma le aveva sostituite. Secondo il giudizio dello storico tedesco Theodor Mommsen (1817-1903), invece, il principato sarebbe stato una diarchia: un governo nel quale la sovranità era esercitata da due organi, il princeps e il senato, al quale erano state attribuite nuove competenze. Il senato passò infatti a emanare norme di legge, ad eleggere magistrati e a giudicare questioni criminali. Al controllo del senato vennero inoltre affidate alcune province (dette provinciae populi).
La riorganizzazione amministrativa: Roma All'epoca di Augusto Roma aveva circa mezzo milione di abitanti: un numero così elevato poneva grossi problemi organizzativi. Augusto così introdusse a Roma nuovi organi di governo e decentrò le funzioni amministrative, mantenendone il potere decisionale e di controllo. Le nuove cariche vennero affidate a funzionari di sua fiducia, che egli poteva revocare in qualsiasi momento. Augusto usò per i suoi scopi la classe degli equites: anche per diminuirne l'influenza politica, attribuì loro principalmente funzioni amministrative, allettandoli con alti stipendi. I nuovi organi di governo erano i prefetti. Il praefectus urbis era preposto all'amministrazione di Roma, dove aveva il compito di garantire l'ordine pubblico. Poiché Augusto lo nominava solo quando si allontanava dalla città, la carica divenne stabile a partire da Tiberio, che normalmente risiedeva fuori Roma. Era l'unico prefetto di rango senatorio. Il praefectus annonae era incaricato di provvedere all'approvvigionamento della città e alle distribuzioni gratuite di grano. Il praefectus vigilum era il capo della polizia urbana, che si occupava anche di vigilanza notturna e degli incendi. Il praefectus praetorii era il capo della guardia personale del princeps (le 9 cohortes praetorianae, per un totale di 9000 uomimi ca, detti praetoriani, selezionati tra i migliori giovani italici), al quale era molto vicino, arrivando anche (ma solo dopo Augusto) a sostituirlo. Roma venne divisa in 14 regioni (la XIV si trovava sulla destra del Tevere ed è l'odierna Trastevere) e in 265 quartieri, cui sovrintendevano edili e tribuni.
La riorganizzazione amministrativa: l'Italia Con Augusto ricevette nuovo impulso anche l'urbanizzazione della penisola, soprattutto quando si presentò il problema di sistemare decine di migliaia di veterani: nelle sue Res Gestae lo stesso princeps asserisce di aver speso 600 milioni di sesterzi in acquisto di terre in Italia da distribuire. Alcune città, già cospicue per numero di abitanti e sviluppo urbano, divennero così colonie (con l'appellativo Augusta o Iulia Augusta) dopo l'insediamento di veterani: tra le altre Bononia, Ariminum, Brixia; Augusta Taurinorum ebbe invece rinnovata la struttura urbana. La sistemazione dei veterani portò anche alla fondazione di nuovi centri, come ad esempio Augusta Praetoria (Aosta). Con le nuove colonizzazioni si procedette a fissare i limiti dei territori dei municipi e delle colonie: se poi la distribuzione di terreni era avvenuta in zone prive di centro urbano, si provvide a nuove fondazioni. Municipi e colonie in Italia erano all'epoca circa 300, per un totale di circa 6 milioni di abitanti. Tra colonie e municipi ormai non c'erano differenze in merito alla condizione degli abitanti: tutti erano cittadini romani di pieno diritto. Qualche minima diversità riguardava al massimo l'amministrazione locale. Augusto in ogni caso favorì l 'autonomia amministrativa: solo per ragioni statistiche legate ai censimenti e agli arruolamenti procedette alla suddivisione dell'Italia in 11 regioni: Latium et Campania (I), Apulia et Calabria (II), Lucania et Bruttii (III), Samnium (IV), Picenum (V), Umbria (VI), Etruria (VII), Aemilia (VIII), Liguria (IX), Venetia e Histria (X), Transpadana (XI). In tutta Italia i presidi militari erano scomparsi già con il 42: in caso di necessità si doveva ricorrere ai pretoriani, unico corpo armato autorizzato nella penisola, o alle truppe occasionalmente di passaggio durante le marce di spostamento verso le province.
La riorganizzazione amministrativa: le province (1) Per quanto riguarda l'amministrazione periferica, l'innovazione più importante e introdotta già nel 27 fu la divisione delle province in due categorie: - provinciae populi - provinciae Caesaris Le province "del popolo" erano anche dette "senatorie" perché di competenza amministrativa del senato (al quale non era invece concesso di interferire con il governo delle altre province). Esse erano rette da un magistrato con imperium, il proconsole, di rango consolare o pretorio. Al momento dell'entrata in carica egli emetteva un editto che stabiliva le norme a cui i sudditi della provincia avrebbero dovuto attenersi. I proconsoli avevano dunque poteri civili, amministrativi e militari: se però nel loro territorio venivano a stanziarsi truppe, queste dipendevano da comandanti che rispondevano direttamente al principe. A questi si affiancavano proquestori per l'amministrazione finanziaria e procuratori imperiali, che si occupavano dell'amministrazione delle proprietà del principe. Le province "di Cesare" (province imperiali) erano poste sotto il diretto controllo di Augusto. Erano quelle più difficili da governare, perché turbolente o di confine, e per questo vedevano significativi stanziamenti militari. Erano rette da funzionari di rango consolare o pretorio che, pur avendo ricoperto il consolato e avendo a tutti gli effetti diritto alla carica di proconsole, erano considerati di rango inferiore ai governatori delle provinciae populi, perché governavano per conto del principe e dipendevano completamente dalla sua volontà, anche per quanto riguardava la durata della carica.
La riorganizzazione amministrativa: le province (2) Faceva eccezione l'Egitto, che era governato da un prefetto di rango equestre (praefectus Alexandreae et Aegypti), direttamente nominato dall'imperatore. Questa particolare condizione fu dettata dal momento in cui il paese nilotico entrò a far parte dell'Impero, momento (30 a.C.) che coincideva con l'apice della guerra civile fra Ottaviano e Antonio. Le ricchezze del paese, che Ottaviano voleva assicurarsi, contribuirono a dare all'Egitto questo originale e rivoluzionario statuto. L'Egitto, pur rimanendo sino a Settimio Severo e all'istituzione della prefettura di Mesopotamia l'unica provincia equestre con un guarnigionamento legionario, fu il prototipo delle future province procuratorie nate con Claudio. L'Egitto fu sempre considerato dai Romani una provincia, e non, come la storiografia ottocentesca voleva, un dominio privato di Augusto. Quest'ultima teoria, detta della 'Personalunion', è oggi ormai definitivamente superata. La suddivisione amministrativa delle province (che subì modifiche nel corso del tempo) aveva però anche valore fiscale e di conseguenza politico. I tributi riscossi nelle provinciae Caesaris, infatti, non venivano versati nelle casse dello stato (aerarium), come quelli delle altre province, ma finivano nella cassa personale di Augusto (fiscus): in queste province dunque egli si proponeva come un monarca di tipo orientale. In generale occorre dire che le province trovarono in Augusto colui che li poteva difendere dalle esosità dei governatori e degli esattori locali.
La politica economica La politica economica di Augusto fu di stampo prevalentemente liberista, nel senso che egli si astenne dall'intervenire in modo massiccio in materia. Indirettamente le attività economiche vennero favorite dalle condizioni di stabilità politica e pace, nonché da una serie di iniziative utili allo sviluppo degli scambi commerciali, quali la costruzione di un'imponente rete stradale e l'organizzazione di un efficiente sistema postale. In generale sotto Augusto tutto l'impero, che doveva contare circa 50 milioni di abitanti, godette di un benessere diffuso. Augusto si occupò invece seriamente di politica monetaria. L'organizzazione dello Stato era ormai costosissima, visto soprattutto l'alto numero di funzionari pubblici e il fatto che l'esercito era composto da professionisti che andavano regolarmente retribuiti. Si rese dunque necessario coniare più moneta: Augusto introdusse allora un sistema doppio, riservando a sé stesso la possibilità di battere moneta d'oro e d'argento e lasciando che il senato battesse in rame. Fissò quindi precisi rapporti tra i valori delle diverse monete: la certezza del cambio rendeva così più sicure e agevoli le transazioni commerciali. La riforma di Augusto restò alla base del sistema monetario romano per circa tre secoli.
La riforma militare (1) Negli anni che seguirono la battaglia di Azio la politica di Augusto fu volta più a garantire la pace che a compiere nuove conquiste: egli continuò tuttavia a occuparsi dell'esercito con grande attenzione, conscio del fatto che il consenso popolare di cui godeva non lo autorizzava a prescindere dall'appoggio dei militari. Diversi furono dunque i provvedimenti che Augusto prese relativamente all'esercito: - prolungò il periodo di ferma militare (la ferma poteva durare fino a 20 anni per la fanteria e 10 per la cavalleria) - ridusse le legioni a 25: ciascuna di esse era composta da 6.000 uomini ed era stanziata a difesa delle frontiere - incentivò il sistema, in uso già in età repubblicana, delle truppe ausiliarie, contingenti forniti da altri stati in virtù di trattati di alleanza o reclutati come mercenari - introdusse un reclutamento volontario regolare, che offriva ai soldati la possibilità di fare carriera - ripristinò la severità delle antiche pene militari e limitò la concessione di decorazioni onorifiche - introdusse l'uso di trasferire di frequente i generali, per evitare che questi stabilissero legami troppo forti con le proprie truppe - costruì una flotta militare permanente
La riforma militare (2) Nonostante le legioni fossero spesso stanziate in zone disagiate, l'arruolamento era vantaggioso per molti, ad esempio per i provinciali: arruolandosi essi acquistavano la cittadinanza romana e quando lasciavano l'esercito ricevevano terra non lontano da dove avevano prestato servizio. La riforma militare di Augusto ebbe così conseguenze importantissime: - l'ingresso dei provinciali nell'esercito, anche in virtù dell'acquisizione della cittadinanza, diede il via al processso di sprovincializzazione di Roma e contemporaneamente gettò le basi per la romanizzazione dell'Europa: i provinciali portavano infatti la propria cultura ai romani e ne assumevano la loro - spesso i provinciali conoscevano poco e male il latino, anche quello popolare, e parlavano così i propri idiomi mischiandoli con la lingua di Roma: siamo agli albori dunque della nascita delle lingue neolatine - proprio la struttura su cui Roma aveva costruito la propria grandezza, l'esercito, si avviava ad esserne significativo elemento di crisi: composto sempre meno da romani e sempre più da provinciali, l'esercito diventerà una forza maggiormente legata alla voglia di conquista e ai carismi dei diversi condottieri (e quindi nel complesso meno affidabile) che non guidata e ispirata dall'amore per la patria e dalla lealtà alle antiche tradizioni.
La politica estera (1) Nonostante Augusto non coltivasse progetti espansionistici particolarmente ambiziosi, egli si trovò più di una volta a impegnare l'esercito sui confini: a volte i suoi interventi furono vere e proprie campagne di conquista, che portarono all'estensione del territorio di Roma. Questa politica non era peraltro in contrasto con la sua pax: nella mentalità romana la pace era infatti garantita solo dal dominio di Roma. Tra il 20 e il 19 a.C. il generale Vipsanio Agrippa pacificò definitivamente la Spagna, sconfiggendo le tribù del nord della penisola. Nel 16 a.C. i due figliastri di Augusto, Tiberio e Druso, condussero con successo una spedizione nel Norico, che divenne una nuova provincia: la zona era importante, in quanto ricca di miniere d'oro e di ferro. Dell'anno dopo sono la conquista di Rezia e Vindelicia. L'intento di queste campagne era l'organizzazione delle Alpi, intesa a garantire sicurezza all'Italia. Dal 14 al 9 Agrippa prima e Tiberio poi occuparono la Pannonia: il confine di Roma giunse al Danubio. Subito dopo toccò alla Mesia.
La politica estera (2) I veri impegni di Augusto furono però i Germani e i Parti. Druso nel 9 a.C. riuscì ad arrivare fino all'Elba, dove trovò la morte. Il comando in Germania passò allora a Tiberio, che in puntate successive attraversò più volte il territorio germanico, tuttavia senza mai sottometterlo realmente. Il 6 d.C. segnò l'inizio del drammatico ripiegamento: le tribù germaniche, coese, diedero vita a una grande rivolta e per la prima volta a Roma si ebbe paura; Augusto ebbe difficoltà nelle leve militari e arrivò a minacciare di morte i renitenti. Nel 9 i Germani guidati da Arminio tesero un'imboscata ai Romani nella foresta di Teutoburgo e li annientarono; Quintilio Varo, il generale, per la sconfitta si uccise. I territori al di là del Reno vennero perduti per sempre: la Germania non sarebbe mai stata una provincia romana. Da allora Augusto rinunciò a estendere i confini dell'impero, convintosi che le risorse di Roma potevano solo bastare a difenderlo, non ad ampliarlo. Sul confine orientale i Parti rappresentavano da sempre un pericolo: Augusto preferì evitare lo scontro armato e si impegnò in una complessa azione diplomatica, grazie alla quale riuscì a sistemare sovrani-clienti sui troni di Tracia, Bosforo e Ponto; l'Armenia invece, da tempo contesa fra Roma e Parti, finì con il rimanere nella sfera di influenza di questi ultimi.
Principato e propaganda Augusto si premurò con grande sollecitudine di curare la propaganda, per organizzare il consenso attorno a sé e al suo operato. A tal fine egli compose un'autobiografia (Res gestae divi Augusti) in cui presentava i successi della propria attività di governo, ma soprattutto fece leva su artisti e letterati, che vennero mobilitati per esaltare l'immagine vittoriosa e pacificatrice che Augusto voleva dare di sé. L'intento principale era quello di diffondere l'ideologia del principato, proponendo all'intera società romana valori comuni di cui Augusto si presentava come garante: - l'universalità di Roma, il cui compito era assicurare la pace e diffondere la civiltà - le antiche virtù dei padri, tra cui soprattutto il valore militare, l'attaccamento alla patria e alla famiglia, il concepire la vita come officium, il rispetto delle leggi e la pietas Augusto favorì dunque la cultura, facendo tra l'altro costruire a Roma due nuove biblioteche. Egli tuttavia preferì non impegnarsi direttamente nella gestione del rapporto con gli intellettuali e lasciò il compito all'amico Gaio Cilnio Mecenate, un ricchissimo cavaliere di stirpe etrusca che non volle mai assumere incarichi politici, ma divenne di fatto un vero e proprio ministro della cultura. Mecenate utilizzò le sue enormi ricchezze per creare attorno a sé un circolo di poeti e letterati favorevoli al regime: il noto circolo di Mecenate. All'interno del gruppo vigeva una certa libertà intellettuale, ma il clima di protezione di cui godevano gli artisti li induceva a indirizzare la propria opera all'esaltazione di Augusto e del suo principato. Fra i nomi più illustri del circolo si possono citare i poeti Publio Virgilio Marone e Quinto Orazio Flacco. Augusto fece dunque dell'arte, e non solo della letteratura, uno strumento di potere (ars ut instrumentum regni).
Urbs marmorea Allo stesso scopo propagandistico mirarono quindi gli interventi architettonici e urbanistici realizzati a Roma, che Ottaviano si vantò di aver lasciato in marmo dopo averla ricevuta di mattoni e legno. Augusto si impegnò nel restauro di antichi monumenti, nel completamento di opere lasciate incompiute e nella costruzione di nuovi edifici. In particolare venne costruito il Foro di Augusto, al cui centro fu innalzato il tempio di Marte Ultore: il dio della guerra vi era venerato per aver favorito la vittoria di Ottaviano sui cesaricidi. Il monumento più significativo è però l'Ara Pacis Augustae, un altare che celebrava la pace di cui godeva l'impero in quel periodo. Augusto si preoccupò anche di ottenere il consenso della plebe, curando in particolare l'approvvigionamento e la manutenzione degli acquedotti. Inoltre provvide alla realizzazione di giochi e feste e alla distribuzione di cibo e denaro, in parte attingendo al suo patrimonio personale. Per sintetizzare con sprezzo la condizione del popolo romano di età imperiale che, persi i valori repubblicani, aspirava soltanto a cibo e giochi, più tardi il poeta satirico Giovenale conierà l'espressione divenuta proverbiale panem et circenses.
L'Ara Pacis Augustae fu costruita tra il 13 e il 9 a.C. per celebrare la pace e la prosperità dell’impero di Augusto. L’altare è circondato da un recinto marmoreo riccamente decorato con bassorilievi. L’insieme monumentale, originariamente situato nel Campo Marzio, è stato ricostruito in tempi recenti presso il Mausoleo di Augusto.
La moralizzazione dei costumi La propaganda augustea sosteneva che i mali di Roma derivavano dall'abbandono delle antiche virtù e dalla decadenza della famiglia. I romani tendevano a sposarsi sempre meno, il numero delle nascite era in calo e l'adulterio era una pratica molto diffusa. Per risolvere la situazione, tra il 18 e il 9 a.C., Augusto promulgò una serie di leggi, che nell'insieme vanno sotto il nome di leges Iuliae. Augusto introdusse ad esempio l'obbligo di sposarsi per gli uomini e le donne che avevano fra 25 e 65 anni; pose forti limiti alle possibilità di lasciti per chi non aveva figli e alle eredità di chi non era coniugato; stanziò premi in denaro per le famiglie numerose e favorì l'accesso alle cariche pubbliche per i padri di famiglia; concesse maggiori libertà alla donne con più figli. Inoltre, con la lex de adulteriis l'adulterio divenne un crimine punito con l'esilio e la confisca di metà del patrimonio; in alcuni casi gli adulteri potevano anche essere uccisi. Chi per qualche motivo non denunciava l'adulterio subito, veniva considerato colpevole a sua volta. Le legge, pensata per tutelare la famiglia, finì col danneggiarla: le confische privavano i figli dell'eredità; le famiglie erano in balia di ricattatori che minacciavano di denunciare adulteri presunti per estorcere denaro. Tra coloro che furono colpiti da questi provvedimenti vi fu anche Giulia, figlia di Augusto stesso e Scribonia, che venne relegata dal padre a Ventotene. Ma in questo caso Augusto aveva voluto probabilmente colpire Tiberio, suo figliastro e marito di Giulia: desiderando infatti allontanarlo dal potere, lo aveva costretto a lasciare la figlia, facendo accusare lei di adulterio. Giulia morì in seguito in esilio, mentre Tiberio fu reintegrato come successore di Augusto. La lex de adulteriis in realtà venne poco applicata: la tradizione secondo la quale l'adulterio era da considerarsi faccenda privata era forte e i romani non erano disposti ad accettare l'intrusione dello stato nelle proprie vite. Lo stesso Augusto poi ebbe numerose relazioni extraconiugali.
Il recupero della religione tradizionale Per Augusto (dal 12 a.C. pontifex maximus) era importante potersi presentare come difensore della tradizione pure in ambito religioso. Era opinione diffusa che i disastri delle guerre civili fossero stati causati anche dall'ira degli dei per lo stato di trascuratezza in cui versavano i culti tradizionali: la pace che Augusto era stato capace di garantire doveva accompagnarsi al recupero della pax deorum, lo stato di armonia tra mondo umano e divino, che poteva essere garantito solo dal rispetto delle pratiche cultuali. Augusto allora rinnovò antichi culti caduti in disuso, guardando con sospetto alle credenze orientali: le cerimonie in onore di Iside e Osiride ad esempio vennero vietate all'interno della città di Roma. Inoltre il princeps si dedicò al restauro e alla ricostruzione di molti edifici sacri. La rinascita delle tradizioni religiose romane fu comunque orientata all'esaltazione del principe: Augusto divenne membro di tutti i principali collegi sacerdotali e venne considerato divi filius, in quanto figlio adottivo di Cesare. Pur non giungendo mai a presentare sé stesso come un dio, Augusto favorì la diffusione del culto del proprio genius (il suo spirito protettore) e del proprio numen (la forza divina che si manifestava attraverso di lui). Nelle regioni orientali dell'impero, tuttavia, cominciò a manifestarsi spontaneamente la tendenza alla divinizzazione del sovrano; in Egitto poi Augusto si fregiava del titolo di faraone (cioè dio).
La morte di Augusto Augusto morì a Nola il 19 agosto del 14 d.C. Racconta Svetonio che sul letto di morte si guardò allo specchio e disse: "Se la recita vi è piaciuta, allora applaudite". Augusto aveva riorganizzato lo stato, aveva garantito a Roma la pace, aveva dato alla città uno splendore senza pari, aveva introdotto una forma politica (il principato) che avrebbe traghettato Roma verso un nuovo destino: l'impero. Alla sua morte, per suo volere, assunse la carica di princeps il figliastro Tiberio, adottato nel 4 d.C. Tiberio aveva già dato buona prova delle sue capacità militari combattendo contro le tribù germaniche. Un anno prima di morire Augusto aveva depositato un testamento nel quale designava Tiberio suo erede: anche se formalmente il principato non era ereditario, il senato rispettò le volontà di Augusto.