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Maria Romana Allegri - a. a. 2009-2010 Lezioni di diritto dell’informazione. La disciplina della comunicazione politica.
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Maria Romana Allegri - a. a. 2009-2010 Lezioni di diritto dell’informazione La disciplina dellacomunicazione politica
Comunicazione politica = lo scambio ed il confronto dei contenuti di interesse pubblico prodotti dal sistema politico, dal sistema dei mass-media e dal cittadino, non solamente nella sua veste di elettore. Nozione molto ampia, di cui la c. d. par condicio è solo un aspetto. Ovviamente, la TV condiziona pesantemente il processo elettorale e, in generale, la formazione dell’opinione pubblica, per cui il dibattito è stato incentrato prevalentemente sulla parità di accesso delle diverse forze politiche al mezzo radiotelevisivo. Per questo, negli ultimi anni il dibattito politico si è basato non tanto sul confronto fra i diversi contenuti proposti, quanto sulle capacità persuasive dell’uomo politico. Anche il contenuto del messaggio è cambiato: si è passati dalla ricchezza espressiva tipica delle tribune politiche ad un linguaggio più sintetico (slogan).
Il fondamento costituzionale della comunicazione politica Art. 3 Cost., comma 2: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art. 21 Cost., comma 1: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Art. 49 Cost.: Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democraticoa determinare la politica nazionale. Art. 51 Cost, comma 1: Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
La prima disciplina Per molti anni, la comunicazione politica non è stata regolamentata, ad eccezione della legge n. 212/1956:Norme per la disciplina della campagna elettorale (contenente soprattutto norme sulle affissioni di manifesti elettorali). Questa legge è ancora in vigore, con le modifiche apportate dapprima con la legge n. 130/1975 (soprattutto in relazione alla propaganda tramite altoparlante) e poi dalla legge n. 689 /1981 (relativamente all’entità delle sanzioni, che sono state rese più lievi). Vedi slide successiva
Legge n. 212/1956 (e successive modifiche) L'affissione di stampati, giornali murali od altri e di manifesti di propaganda, da parte di partiti o gruppi politici che partecipano alla competizione elettorale è effettuata esclusivamente negli appositi spazi a ciò destinati in ogni Comune. Questi spazi, le cui misure sono fissate dalla legge, sono definiti dalla giunta comunale fra il 33° e il 30° giorno antecedente alle elezioni e sono ripartiti equamente fra le diverse forze politiche. Dal trentesimo giorno precedente la data fissata per le elezioni è vietata ogni forma di propaganda elettorale luminosa o figurativa, a carattere fisso in luogo pubblico, escluse le insegne indicanti le sedi dei partiti. È vietato, altresì, il lancio o il getto di volantini in luogo pubblico o aperto al pubblico e ogni forma di propaganda luminosa mobile. Nei trenta giorni precedenti le elezioni l'uso di altoparlanti su mezzi mobili è consentito soltanto per il preannuncio dell'ora e del luogo in cui si terranno i comizi e le riunioni di propaganda elettorale e solamente dalle ore 9 alle ore 21,30 del giorno della manifestazione e di quello precedente. Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda. Nei giorni destinati alla votazione altresì è vietata ogni forma di propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall'ingresso delle sezioni elettorali. Sanzioni (pene pecuniarie e anche detentive) per chi viola le disposizioni della legge.
Corte costituzionale, sentenza n. 48/1964 Il giudizio della Corte ha origine dal processo a carico di persone che avevano affisso manifesti elettorali fuori dagli appositi spazi. Presunta incostituzionalità delle norme sull’affissione di manifesti elettorali per contrasto con l’art. 21 Cost.? La Corte ha ritenuto che che le disposizioni impugnate non toccavano minimamente il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, né quello di usare liberamente dei relativi mezzi, ma che esse si limitavano a disciplinarne l'esercizio, quale estrinsecazione di un potere del legislatore ordinario pienamente legittimo. Era infatti evidente che le norme denunziate non instauravano, né direttamente né indirettamente, alcuna forma di censura sulla stampa elettorale, né conferivano alcun potere di autorizzazione alla pubblica autorità. La Corte ha anche specificato che le norme della legge n. 212/1956 erano essenzialmente volte a porre tutti in condizione di parità, in modo che in uno dei momenti essenziali per lo svolgimento della vita democratica, questa non fosse di fatto ostacolata da situazioni economiche di svantaggio o politiche di minoranza.
Corte costituzionale, sentenza n. 87/1966 Il giudizio della Corte ha origine dal processo a carico di una persona accusata di propaganda sovversiva ed antinazionale ai sensi dell’art. 272 c. p. Possibile il contrasto con l’art. 21 Cost.? La Corte ha dichiarato l’illegittimità del secondo comma dell’art. 272 c. p. che puniva con reclusione da 6 mesi 2 anni chiunque facesse propaganda per distruggere o deprimere il sentimento nazionale. Nel farlo, fornisce una definizione di propaganda: La propaganda non si identifica perfettamente con la manifestazione del pensiero; essa è indubbiamente manifestazione, ma non di un pensiero puro ed astratto, quale può essere quello scientifico, didattico, artistico o religioso, che tende a far sorgere una conoscenza oppure a sollecitare un sentimento in altre persone. Nella propaganda, la manifestazione è rivolta e strettamente collegata al raggiungimento di uno scopo diverso, che la qualifica e la pone su un altro piano.
Corte costituzionale, sentenza n. 105/1972 La sentenza riguarda la presunta incostituzionalità (per contrasto con l’art. 21 Cost.) delle norme che, disponendo il riposo domenicale, impedivano la pubblicazione di quotidiani la domenica. La Corte ha stabilito che tale rigida disciplina non era imposta dal principio costituzionale (art. 36) che tutela il diritto (irrinunciabile) dei lavoratori al riposo settimanale (oltre che alle ferie annuali), senza contenere accenni alla domenica o ad altro giorno predeterminato. Si giungeva anzi, con tale sistema, al risultato di impedire, dalle ore 13 della domenica alle 12 del lunedì, la libera diffusione e circolazione delle notizie e delle opinioni, sia a mezzo della stampa periodica, sia attraverso altri mezzi equipollenti, eccezion fatta per il mezzo radiofonico (oggi, radiotelevisivo). Quindi la Corte accoglie la censura di incostituzionalità.
Corte costituzionale, sentenza n. 225/1974 Nel dichiarare incostituzionale la riserva allo Stato dell’attività di ritrasmissione di programmi televisivi esteri, la Corte ha richiamato la necessità di emanare una nuova legge sul sistema radiotelevisivo, che garantisse, fra l’altro, che: - i vertici Rai non siano espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo; - i programmi di informazione siano ispirati a criteri di imparzialità; - siano riconosciuti adeguati poteri di indirizzo e controllo al Parlamento; - che i giornalisti preposti ai servizi di informazione siano tenuti alla maggiore obbiettività e posti in grado di adempiere ai loro doveri nel rispetto dei canoni della deontologia professionale; - che, in attuazione di un'esigenza che discende dall'art. 21 della Costituzione, l'accesso alla radiotelevisione sia aperto, nei limiti massimi consentiti, imparzialmente ai gruppi politici, religiosi, culturali nei quali si esprimono le varie ideologie presenti nella società.
La legge n. 212/1956 riguardava le forme tradizionali di comunicazione politica e non si occupava del mezzo radiotelevisivo. La prima Tribuna Elettorale è stata trasmessa dalla Rai il 1° ottobre 1960, per le elezioni amministrative previste in novembre (senza una specifica regolamentazione di questo tipo di programmi). Soltanto con la legge n. 103/1975(Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva) viene considerato il problema della “spartizione della Rai” da parte delle forze politiche. Infatti: - viene istituita una Commissione parlamentare bicamerale per gli indirizzi generali e la vigilanza sul servizio pubblico radiotelevisivo incaricata, fra l’altro, di disciplinare direttamente le rubriche di tribuna politica, tribuna elettorale, tribuna sindacale e tribuna stampa, di fissare le regole sul diritto di accesso e di dirimere contenziosi in materia, di nominare a magg. 3/5 10 dei 16 membri del CdA; - vengono fissate norme sul diritto d’accesso (vedi slide successiva).
Il diritto d’accesso ex l. 103/1975 (art. 6) Sono riservati dalla società concessionaria, per apposite trasmissioni, tempi non inferiori al 5% del totale delle ore di programmazione televisiva e al 3% del totale delle ore di programmazione radiofonica, distintamente per la diffusione nazionale e per quella regionale, ai partiti ed ai gruppi rappresentati in parlamento, alle organizzazioni associative delle autonomie locali, ai sindacati nazionali, alle confessioni religiose, ai movimenti politici, agli enti e alle associazioni politiche e culturali, alle associazioni nazionali del movimento cooperativo giuridicamente riconosciute, ai gruppi etnici e linguistici e ad altri gruppi di rilevante interesse sociale che ne facciano richiesta. Per le testate dei giornali quotidiani che non siano organi ufficiali di partito è istituita una tribuna della stampa. La sottocommissione permanente per l'accesso, costituita nell'ambito della Commissione Parlamentare, procede trimestralmente, sulla base delle norme stabilite dalla commissione stessa, all'esame delle richieste di accesso, delibera su di esse, determina il tempo di trasmissione complessivamente riservato allo accesso ai programmi nazionali e locali, provvede alla ripartizione del tempo disponibile tra i soggetti ammessi. Le norme emanate dalla Commissione Parlamentare devono ispirarsi: a) all'esigenza di assicurare la pluralità delle opinioni e degli orientamenti politici e culturali; b) alla rilevanza dell'interesse sociale, culturale ed informativo delle proposte degli interessati; c) alle esigenze di varietà della programmazione.
Il diritto d’accesso ex l. 103/1975 (art. 6) – segue La sottocommissione stabilisce le modalità di programmazione, sentita la concessionaria. Contro le decisioni della sottocommissione è ammesso ricorso da parte del richiedente alla commissione parlamentare in seduta plenaria. I soggetti interessati devono designare la persona responsabile, agli effetti civili e penali, del programma da ammettere alla trasmissione e comunicare alla sottocommissione ed alla concessionaria il contenuto del programma stesso. I soggetti ammessi all'accesso devono, nella libera manifestazione del loro pensiero, osservare i principi dell'ordinamento costituzionale, e tra essi in particolare quelli relativi alla tutela della dignità della persona nonché della lealtà e della correttezza del dialogo democratico e astenersi da qualsiasi forma di pubblicità commerciale. I soggetti che fruiscono dell'accesso, nell'organizzare il proprio programma in modo autonomo, possono avvalersi della collaborazione tecnica gratuita della concessionaria secondo norme ed entro limiti fissati dalla CPIV per soddisfare esigenze minime di base.
Corte costituzionale, sentenza n. 94/1977 Il Commissario di Stato aveva citato in giudizio dinanzi alla Corte la Regione siciliana, che aveva emanato una legge in materia di informazione senza averne presumibilmente le competenze. La Corte, nel sottolineare l’esistenza di un rilevante interesse pubblico ad una informazione completa ed imparziale, ha però negato che sussistesse un prevalente interesse regionale o locale in questa materia.
Corte costituzionale, sentenza n. 148/1981 Il giudizio riguarda la presunta illegittimità delle norme che disponevano il monopolio pubblico delle trasmissioni radiotelevisive via etere a livello nazionale. La Corte, richiamando la precedente sentenza n. 225/1974, ha ribadito che la radiotelediffusione adempie a fondamentali compiti di informazione; che essa concorre alla formazione culturale del paese; che essa diffonde programmi che in vario modo incidono sulla pubblica opinione; ed ha concluso essere perciò necessario che essa non divenga strumento di parte. La TV infatti, per la sua notoria capacità di immediata e capillare penetrazione nell'ambito sociale attraverso la diffusione nell'interno delle abitazioni e per la forza suggestiva della immagine unita alla parola, dispiega una peculiare capacità di persuasione e di incidenza sulla formazione dell'opinione pubblica nonché sugli indirizzi socio-culturali, di natura ben diversa da quella attribuibile alla stampa.
Questo richiamo all’imparzialità e al pluralismo dell’informazione è presente anche in molte sentenze successive della Corte costituzionale in materia di radiotelevisione. Ricordiamo: n. 826/1988 n. 348/1990 n. 112/1993 n. 420/1994 n. 466/2002 n. 155/2002
Per molti anni, la disciplina è rimasta immutata. Il proliferare di emittenti private a livello locale dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 202/1976, comunque, faceva avvertire l’esigenza di una più accurata regolamentazione. Tuttavia, l’unica disposizione emanata in merito fu l’art. 9bis del d. l. 807/1984, convertito in legge n. 10/1985, che diceva: Nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni è fatto divieto anche alle emittenti radiotelevisive private di diffondere propaganda istituzionale
Il quadro legislativo sulla comunicazione politica è rimasto immutato fino ai primi anni del 1990. Poi, lo sconvolgimento dell’assetto politico-partitico (scandali di “tangentopoli”, processi di “mani pulite”) hanno determinato: • un forte disorientamento dei cittadini e un generale disgusto per la scoperta della corruzione dilagante; • la modifica del sistema elettorale in senso maggioritario, sia per il Parlamento (leggi n. 276 e 277 del 1993) sia per gli enti locali (legge n. 81/1993), per i quali è stata anche prevista l’elezione diretta del Sindaco e del Presidente della Provincia. • la necessità di una nuova e più trasparente regolamentazione della campagna elettorale Questo ultimo aspetto è regolato dalla legge n. 515/1993, che riprende alcuni dei contenuti già anticipati dalla legge n. 81/1993.
Legge n. 515/1993 – Disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica Non oltre il quinto giorno successivo all'indizione dei comizi elettorali, la CPIV detta alla concessionaria del servizio pubblico le prescrizioni necessarie a garantire, in condizioni di parità fra loro, idonei spazi di propaganda nell'ambito del servizio pubblico radiotelevisivo, nonché l'accesso a tali spazi alle liste ed ai gruppi di candidati a livello regionale, e ai partiti o ai movimenti politici di riferimento a livello nazionale. La Commissione disciplina inoltre direttamente le rubriche elettorali ed i servizi o i programmi di informazione elettorale della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo nel periodo elettorale, in modo che siano assicurate la parità di trattamento, la completezza e l'imparzialità rispetto a tutti i partiti ed i movimenti presenti nella campagna elettorale. Tutti i soggetti (stampa, radio, TV) che intendano diffondere o trasmettere a qualsiasi titolo propaganda elettorale nei trenta giorni precedenti la data delle votazioni, devono darne tempestiva comunicazione sulle testate edite o nell'ambito della programmazione radiotelevisiva, per consentire ai candidati, alle liste, ai gruppi di candidati a livello locale nonché ai partiti o ai movimenti politici a livello nazionale, l'accesso agli spazi dedicati alla propaganda in condizioni di parità fra loro. (abrogato con l. 28/2000). (segue...)
Legge n. 515/1993 (segue) Dalla data di convocazione dei comizi per le elezioni e fino alla chiusura delle operazioni di voto, nelle trasmissioni informative riconducibili alla responsabilità di una specifica testata giornalistica registrata, la presenza di candidati ed esponenti politici è limitata alla esigenza di assicurare la completezza e l'imparzialità dell'informazione. Tale presenza è vietata in tutte le altre trasmissioni. Nello stesso periodo è vietata la propaganda elettorale a mezzo di inserzioni pubblicitarie su quotidiani o periodici, spot pubblicitari e ogni altra forma di trasmissione pubblicitaria radiotelevisiva. Dalla chiusura della campagna elettorale è vietata qualsiasi forma di propaganda, compresa quella effettuata attraverso giornali e spot televisivi. (abrogato con l. n. 28/2000) Tutte le pubblicazioni di propaganda elettorale a mezzo di scritti, stampa o fotostampa, radio, televisione, incisione magnetica ed ogni altro mezzo di divulgazione, debbono indicare il nome del committente responsabile. (segue...)
Legge n. 515/1993 (segue) È fatto divieto a tutte le pubbliche amministrazioni di svolgere attività di propaganda di qualsiasi genere, ancorché inerente alla loro attività istituzionale, nei trenta giorni antecedenti l'inizio della campagna elettorale e per la durata della stessa. Non rientrano nel divieto le attività di comunicazione istituzionale indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni (abrogato con l. 28/2000). Nei quindici giorni precedenti la data delle elezioni e fino alla chiusura delle operazioni di voto, è vietato rendere pubblici o comunque diffondere i risultati di sondaggi demoscopici sull'esito delle elezioni e sugli orientamenti politici degli elettori (abrogato con l. 28/2000). Previsti imiti di spesa per la campagna elettorale di ciascun candidato. I fondi possono essere raccolti unicamente da uno specifico mandatario elettorale designato dal candidato stesso. (segue...)
Legge n. 515/1993 (segue) Entro trenta giorni dalla consultazione elettorale gli editori di quotidiani e periodici e i titolari di concessioni e di autorizzazioni per l'esercizio delle attività di diffusione radiotelevisiva devono comunicare ai Presidenti delle Camere nonché al Collegio regionale di garanzia elettorale i servizi elettorali effettuati, i nominativi di coloro che vi hanno partecipato, gli spazi concessi a titolo gratuito o a tariffa ridotta, gli introiti realizzati ed i nominativi dei soggetti che hanno provveduto ai relativi pagamenti (abrogato con l. 28/2000). Previsto rimborso da fondi statali per le spese elettorali sostenute dai candidati (per le elezioni nazionali, per le elezioni suppletive e per quelle europee), nonché limiti di spesa per le campagne elettorali. Viene indicata la tipologia delle spese ammissibili e previsto un controllo successivo sulle spese effettuate sia da parte della Corte dei Conti che di un un Collegio regionale di garanzia elettorale, appositamente istituito presso le Corti d’Appello. (segue...)
Legge n. 515/1993 (segue) Previste sanzioni amministrative pecuniarie di varia entità per la violazione delle disposizioni della legge (entità delle sanzioni modificata con leggi successive). Previste per i candidati agevolazioni postali ed agevolazioni fiscali per l’acquisto di materiale tipografico, di spazi d'affissione, di comunicazione politica radiotelevisiva, di messaggi politici ed elettorali sui quotidiani e periodici, per l'affitto dei locali e per gli allestimenti e i servizi connessi a manifestazioni.
La legge n. 515/1993: il commento Questa legge è importante perché: • distingue chiaramente il messaggio elettorale dalla propaganda, dall’informazione, dalla pubblicità; • fissa il divieto di propaganda elettorale nei trenta giorni antecedenti alle votazioni; • fissa il divieto di propaganda dissimulata e di propaganda istituzionale; • fissa limiti per la diffusione dei risultati dei sondaggi elettorali; • dispone norme a garanzia della trasparenza.
La “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, proprietario di tre reti televisive, pone l’esigenza di una nuova regolamentazione della comunicazione politica. In vista delle elezioni amministrative di aprile 1995, è stato approvato il d. l. n. 83/1995, intitolato Disposizioni urgenti per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie, che però è stato reiterato (illegittimamente) ben otto volte e mai convertito in legge. La storica sentenza della Corte costituzionale n. 360/1996 ha posto fine una volta per tutte alla prassi illegittima della reiterazione dei decreti-legge. Con la non reiterazione del decreto, decade anche l’effetto abrogativo sulla l. 515/1993, che torna quindi pienamente in vigore.
Il d. l. 83/1995: il contenuto La propaganda elettorale è consentita solo nelle forme di tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, conferenze, discorsi, presentazione dei candidati e dei loro programmi politici, confronti, relativi annunci. Forme diverse di propaganda elettorale sono sempre vietate dalla convocazione dei comizi elettorali fino alla chiusura delle operazioni di voto. Occorre evitare anche propaganda “occulta” in programmi di intrattenimento o di altro genere Per cui occorre prestare attenzione al contegno del conduttore, alla scelta degli ospiti, a mantenere comunque l’equilibrio fra le diverse correnti politiche. Nello stesso periodo è vietata anche propaganda di qualsiasi genere da parte delle amministrazioni pubbliche. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali è consentita solo la pubblicità che contenga unicamente gli elementi necessari all’identificazione del soggetto politico (denominazione, contrassegno, forza politica di appartenenza), nella forma di inserzioni e spot recanti esplicitamente la dicitura “pubblicità elettorale”. (segue ...)
Il d. l. 83/1995: il contenuto (segue) Questa forma di pubblicità in tale periodo, però, è vietata nella concessionaria pubblica e possibile solo nelle emittenti private. E’ sempre vietata la pubblicità elettorale falsa ed ingannevole. Nei trenta giorni precedenti le elezioni è vietata ogni forma di pubblicità elettorale. Le emittenti televisive private devono offrire a tutti i soggetti politici, con parità di trattamento, spazi per la pubblicità e la propaganda elettorali, tenendone informati la Commissione parlamentare ed il Garante. La Commissione parlamentare ed il Garante stabiliscono i criteri cui deve uniformarsi l’informazione elettorale nel periodo compreso fra la convocazione dei comizi e la chiusura delle operazioni di voto. Il divieto di diffusione dei risultati dei sondaggi elettorali va dai venti giorni antecedenti alle votazioni fino alla chiusura delle operazioni di voto. Non si possono effettuare comunque sondaggi sulle preferenze elettorali a partire dalla dalla di convocazione dei comizi. (segue ....)
Il d. l. 83/1995: il contenuto (segue) La Commissione parlamentare ed il Garante stabiliscono le regole sulla par condicio in relazione all’informazione, alla propaganda e alla pubblicità elettorale, attribuendo tempi d’accesso alle diverse forze politiche in relazione alla quota di rappresentanza in Parlamento. Quindi, non più una distribuzione paritaria degli spazi, ma una distribuzione proporzionale, che favoriva chi era già presente in Parlamento. Tutte le trasmissioni contenenti messaggi politici devono essere registrate, per essere sottoposte al controllo del Garante. Il Garante può adottare vari provvedimenti (misure compensative, risarcimento, obbligo di rettifica, inibizione delle trasmissioni, sanzioni pecuniarie) in relazione al tipo di violazione commessa, contro i quali è possibile il ricorso al TAR.
Corte costituzionale, sentenza n. 161/1995 I promotori dei referendum in materia di commercio, di elezioni comunali e di contributi sindacali hanno sollevato conflitto di attribuzioni nei confronti del Governo, chiedendo l’annullamento del d. l. n. 83/1995, ritenendo irragionevole l'estensione alle campagne referendarie della rigida disciplina relativa alle elezioni politiche e amministrative e, in generale, scorretto l’utilizzo dello strumento del decreto-legge, che presupporrebbe i requisiti della necessità e dell’urgenza, per disciplinare la materia referendaria. La Corte ha ritenuto che nel caso di specie non vi fosse alcuna evidente mancanza dei requisiti della necessità e dell’urgenza e che pertanto il ricorso allo strumento del decreto-legge era legittimo. Analogamente infondate apparivano le censure relative all’irragionevolezza: «Nulla vieta cioè che il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, possa di massima regolare elezioni e referendum in termini identici, una volta constatata, rispetto al profilo della parità di trattamento cui sono tenuti i mezzi di informazione di massa nei confronti dei soggetti politici, l'unitarietà della ratio della disciplina da adottare». (segue ...)
Corte costituzionale, sentenza n. 161/1995 (segue) Tuttavia, in relazione alla norma che vietava la pubblicità referendaria (come quella elettorale) nei trenta giorni antecedenti al voto, la Corte ha accolto la censura di irragionevolezza: «... mentre per le campagne elettorali la presenza di un limite temporale ragionevolmente contenuto per lo svolgimento della pubblicità può trovare giustificazione nel fatto di privilegiare la propaganda sulla pubblicità, al fine di preservare l'elettore dalla suggestione di messaggi brevi e non motivati, eguale esigenza non viene a prospettarsi per le campagne referendarie, dove i messaggi tendono, per la stessa struttura binaria del quesito, a risultare semplificati, così da rendere sfumata la distinzione tra le forme della propaganda e le forme della pubblicità. Nelle campagne referendarie le forme espressive della propaganda vengono, invero, in larga parte a coincidere con le forme proprie della pubblicità, con la conseguenza che, per queste campagne, gli effetti delle limitazioni introdotte in materia pubblicitaria possono risultare aggravati fino a ridurre al di là della ragionevolezza gli spazi informativi complessivamente consentiti ai soggetti interessati alla promozione o alla opposizione ai quesiti referendari».
Negli anni successivi, le campagne elettorali e referendarie si sono svolte, fra mille polemiche, nel tentativo di fare in modo che i mezzi di comunicazione – soprattutto la televisione – mantenessero una linea di imparzialità e di parità di accesso fra tutti gli esponenti politici. Mancava però una disciplina adeguata: la legge 515/1993, che prescriveva il criterio della parità di accesso, era fortemente criticata e comunque non rispettata nella sostanza. Il d. l. n. 83/1995 – che prescriveva invece il criterio dell’accesso proporzionale alla rappresentanza in Parlamento – non era stato convertito. Occorreva una nuova legge! Legge n. 28/2000 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica) poi integrata dalla legge n. 313/2003 (Disposizioni per l'attuazione del principio del pluralismo nella programmazione delle emittenti radiofoniche e televisive locali ) Questa è la disciplina attualmente vigente.
La legge n. 28/2000: commento generale La ratio di questa legge è quella di garantire la parità di accesso da parte di tutte le forze politiche al mezzo radiotelevisivo, disciplinando diversamente i periodi di campagna elettorale rispetto ai periodi senza campagna elettorale. La normativa precedente, infatti,garantiva solo formalmente la parità di accesso agli spazi propagandistici sui mezzi di comunicazione: in realtà il loro costo era così elevato che non tutte le forze politiche potevano permetterseli in uguale misura. Per questo la l. 28/2000 fissa il fondamentale principio della GRATUITA' di tali spazi, per tutte le emittenti nazionali, pubbliche e private. Viene dato anche più spazio alle sanzioni in forma specifica (misure compensative) in luogo delle precedenti sanzioni solo pecuniarie.
La legge n. 28/2000 Scompare la nozione di “propaganda”, sostituita da quella di “comunicazione politica radiotelevisiva ”, con cui si intende «la diffusione sui mezzi radiotelevisivi di programmi contenenti opinioni e valutazioni politiche». L'offerta di programmi di comunicazione politica radiotelevisiva è obbligatoria per le concessionarie radiofoniche nazionali e per le concessionarie televisive nazionali con obbligo di informazione che trasmettono in chiaro. La partecipazione ai programmi medesimi è in ogni caso gratuita. Le norme sulla comunicazione politica non si applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione. (segue ...)
La legge n. 28/2000 (segue) Le regole per l’applicazione del contenuto della legge sono determinate dalla CPIV e dall’Agcom. È assicurata parità di condizioni nell'esposizione di opinioni e posizioni politiche nelle tribune politiche, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, nelle presentazioni in contraddittorio di programmi politici, nei confronti, nelle interviste e in ogni altra trasmissione nella quale assuma carattere rilevante l'esposizione di opinioni e valutazioni politiche. (segue ...)
La legge n. 28/2000 (segue) La concessionaria pubblica è obbligata (e le emittenti private nazionali possono farlo discrezionalmente) ad offrire spazi gratuiti per i messaggi politici autogestiti in condizioni di parità a tutti i soggetti politici, per un massimo del 25% del tempo dedicato in totale alla comunicazione politica. Alle emittenti private locali che accettino di trasmettere MPA gratuitamente, è garantito un rimborso da parte dello Stato. I MPA recano la motivata esposizione di un programma o di una opinione politica e hanno una durata compresa tra uno e tre minuti per le emittenti televisive e da trenta a novanta secondi per le emittenti radiofoniche. Deve essere evidente l’indicazione “messaggio politico autogestito”. Essi possono essere trasmessi a partire dalla data della presentazione delle candidature. (segue...)
La legge n. 28/2000 (segue) Dalla data di convocazione dei comizi elettorali la comunicazione politica radio-televisiva si svolge nelle seguenti forme: tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, presentazione in contraddittorio di candidati e di programmi politici, interviste e ogni altra forma che consenta il confronto tra le posizioni politiche e i candidati in competizione. L’ attribuzione degli spazi è definita dalla Commissione parlamentare e dall’Agcom secondo i criteri indicati nella slide successiva. (segue...)
La legge n. 28/2000 (segue) a) per il tempo intercorrente tra la data di convocazione dei comizi elettorali e la data di presentazione delle candidature, gli spazi sono ripartiti tra i soggetti politici presenti nelle assemblee da rinnovare, nonché tra quelli in esse non rappresentati purché presenti nel Parlamento europeo o in uno dei due rami del Parlamento; b) per il tempo intercorrente tra la data di presentazione delle candidature e la data di chiusura della campagna elettorale, gli spazi sono ripartiti secondo il principio della pari opportunità tra le coalizioni e tra le liste in competizione che abbiano presentato candidature in collegi o circoscrizioni che interessino almeno un quarto degli elettori chiamati alla consultazione, fatta salva l'eventuale presenza di soggetti politici rappresentativi di minoranze linguistiche riconosciute; c) per il tempo intercorrente tra la prima e la seconda votazione nel caso di ballottaggio, gli spazi sono ripartiti in modo uguale tra i due candidati ammessi; d) per il referendum, gli spazi sono ripartiti in misura uguale fra i favorevoli e i contrari al quesito referendario. (segue...)
La legge n. 28/2000 (segue) La Commissione e l‘Agcom definiscono, non oltre il quinto giorno successivo all'indizione dei comizi elettorali, i criteri specifici ai quali, fino alla chiusura delle operazioni di voto, debbono conformarsi la concessionaria pubblica e le emittenti radiotelevisive private nei programmi di informazione, al fine di garantire la parità di trattamento, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto in qualunque trasmissione radiotelevisiva è vietato fornire, anche in forma indiretta, indicazioni di voto o manifestare le proprie preferenze di voto. I registi ed i conduttori sono altresì tenuti ad un comportamento corretto ed imparziale nella gestione del programma, così da non esercitare, anche in forma surrettizia, influenza sulle libere scelte degli elettori. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino a tutto il penultimo giorno prima della data delle elezioni, gli editori di quotidiani e periodici (ad eccezione degli organi ufficiali di partito), qualora intendano diffondere a qualsiasi titolo messaggi politici elettorali, devono darne tempestiva comunicazione sulle testate edite, per consentire ai candidati e alle forze politiche l'accesso ai relativi spazi in condizioni di parità fra loro. (segue ...)
La legge n. 28/2000 (segue) Nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni è vietato rendere pubblici o, comunque, diffondere i risultati di sondaggi demoscopici sull'esito delle elezioni e sugli orientamenti politici e di voto degli elettori, anche se tali sondaggi sono stati effettuati in un periodo precedente a quello del divieto. Al di fuori del periodo indicato, i risultati dei sondaggi possono essere diffusi solo se accompagnati da indicazioni relativi, all’autore, al committente, al campione intervistato, al tipo di domande, al periodo, al metodo di raccolta e di elaborazione dei dati, ecc. Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni. (segue...)
La legge n. 28/2000 (segue) Chiunque può denunciare all’Agcom le violazioni alla legge ed essa può anche perseguirle d’ufficio. L’Agcom può comminare sanzioni pecuniarie, imporre risarcimenti, disporre misure compensative o correttive oppure poteri inibitori. Contro i suoi provvedimenti si può ricorrere al Tar e poi al Consiglio di Stato. Entro trenta giorni dalla consultazione elettorale i titolari di emittenti radiotelevisive, nazionali e locali, e gli editori di quotidiani e periodici comunicano ai Presidenti delle Camere nonché al Collegio regionale di garanzia elettorale i servizi di comunicazione politica ed i messaggi politici effettuati ai sensi dei precedenti articoli, i nominativi di coloro che vi hanno partecipato, gli spazi concessi a titolo gratuito o a tariffa ridotta, gli introiti realizzati ed i nominativi dei soggetti che hanno provveduto ai relativi pagamenti.
La legge n. 28/2000: le criticità Né la Commissione RAI né l'Agcom hanno reale potere decisionale sulla selezione delle singole domande di accesso: l'attribuzione degli spazi infatti avviene per decisione delle singole emittenti, sulla base di criteri generali formulati dalla Commissione e dall'Agcom. Non è chiaro se il diritto soggettivo d'accesso sia riconosciuto a singoli candidati oppure alle formazioni politiche. Non è chiaro se gli spazi vadano ripartiti in proporzione alla rappresentatività delle diverse formazioni politiche ovvero in misura paritaria fra tutti i richiedenti. Dipende da cosa stabiliste l'AgCom per ogni tornata elettorale. Non viene fornita nessuna definizione del concetto di “informazione”. Non è per niente disciplinata la comunicazione politica sui nuovi media.
Corte costituzionale, sentenza n. 155/2002 Alcune emittenti radiotelevisive hanno chiesto al Tar Lazio l’annullamento di alcune delibere dell’Agcom relative all’attuazione della disciplina della legge n. 28/2000 per le elezioni amministrative del giugno 2000. Il Tar ha adito la Corte, ritenendo che: - la disciplina della "comunicazione politica" radiotelevisiva ex legge n. 28 del 2000 non fisserebbe "limiti" all'esercizio di specifiche attività, ma renderebbe il mezzo radiotelevisivo funzionale all'interesse per il quale è stato posto il limite, e ciò in contrasto con il riconoscimento della libertà dei mezzi di diffusione garantita dall'art. 21 della Costituzione; • le disposizioni impugnate non terrebbero conto che l'emittente privata, in quanto "impresa di opinione", sarebbe titolare di un'autonoma posizione soggettiva tutelata dall'art. 21 della Costituzione, e, nonostante abbia la "paternità" del programma trasmesso, la esproprierebbero del diritto di manifestare una propria identità politica; • le emittenti radiotelevisive nazionali sarebbero svantaggiate rispetto a quelle locali perché per esse non è previsto il rimborso per i messaggi politici autogestiti gratuiti. (segue...)
Corte costituzionale, sentenza n. 155/2002 (segue) La Corte ha ritenuto non fondate le questioni di incostituzionalità perché: - la diffusione di programmi radiofonici e televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo tecnico, ha carattere di preminente interesse generale e quindi anche gli imprenditori privati sono tenuti al rispetto del pluralismo, dell'obiettività, della completezza e dell'imparzialità della informazione, dell'apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose; - occorre soprattutto tutelare il diritto alla completa ed obiettiva informazione del cittadino, consentendo il corretto svolgimento del confronto politico; - «Ed è in questa stessa prospettiva che deve essere valutato se il c.d. pluralismo "esterno" dell'emittenza privata sia sufficiente a garantire, in ogni caso, la completezza e l'obiettività della comunicazione politica, o se invece debbano concorrere ulteriori misure sostanzialmente ispirate al principio della parità di accesso delle forze politiche e dei rispettivi candidati, tenendo presente che nei principali Paesi europei la disciplina della comunicazione politica, in questi ultimi anni, si è orientata, pur nell'inevitabile diversità dei criteri ispiratori, su modelli di regolazione degli spazi radiotelevisivi caratterizzati in generale dalla regola della parità di chances»
Corte costituzionale, sentenza n. 155/2002 (segue) - in ogni caso non è esatto ritenere che in questo modo si pervenga ad espropriare in toto di ogni manifestazione politica le emittenti private, poiché l'art. 2, comma 2, della legge censurata stabilisce espressamente che le disposizioni che regolano la comunicazione politica radiotelevisiva non si applicano alla diffusione di notizie nei programmi di informazione; - durante le campagne elettorali sono previsti criteri limitativi sia in ordine alla comunicazione politica radiotelevisiva, sia in ordine ai programmi di informazione, ma solo nel ragionevole intento di prevenire in ogni modo qualsiasi influenza, anche "in forma surrettizia", sulle libere e consapevoli scelte degli elettori, in momenti particolarmente delicati della vita democratica del Paese; - stante la rilevante differenza di ordine fattuale e giuridico tra emittenti ad ambito nazionale ed emittenti ad ambito locale ed in considerazione della limitatezza delle risorse finanziarie disponibili per queste ultime, appare del tutto giustificata la previsione di un rimborso da parte dello Stato delle loro spese per la trasmissione di messaggi autogestiti.
La legge n. 313/2003 Ha eliminato la possibilità, per le emittenti televisive private, di trasmettere messaggi politici autogestiti anche a pagamento (per un tempo uguale a quello dei messaggi gratuiti) ed ha dettato una nuova disciplina della comunicazione politica sulle emittenti locali. Entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge, le organizzazioni che rappresentino almeno il 5% del numero totale delle emittenti radiofoniche o televisive locali o dell'ascolto globale televisivo o radiofonico di queste presentano al Ministro delle comunicazioni uno schema di codice di autoregolamentazione sul quale – prima che il codice sia emanato dal Ministro – devono essere acquisiti i pareri della Federazione nazionale della stampa italiana, dell'Ordine nazionale dei giornalisti, della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il codice di autoregolamentazione deve regolare la comunicazione politica secondo una effettiva parità di condizioni tra i soggetti competitori e disciplinare le condizioni economiche di accesso ai messaggi politici autogestiti a pagamento secondo un principio di parità di costo.
Il codice di autoregolamentazione (emittenti locali) Il codice è stato emanato il 30 novembre 2004, in allegato alla delibera 43/04/CPS dell’Agcom. Nel periodo elettorale o referendario, i programmi di comunicazione politica che le emittenti televisive e radiofoniche locali intendono trasmettere devono consentire una effettiva parità di condizioni tra i soggetti politici competitori, anche con riferimento alle fasce orarie e al tempo di trasmissione. Nei programmi di informazione le emittenti radiofoniche e televisive locali devono garantire il pluralismo, attraverso la parità di trattamento, l’obiettività, l’imparzialità e l’equità. Resta comunque salva per l’emittente la libertà di commento e di critica, che, in chiara distinzione tra informazione e opinione, salvaguardi comunque il rispetto delle persone. In periodo elettorale o referendario, in qualunque trasmissione radiotelevisiva diversa da quelle di comunicazione politica e dai messaggi politici autogestiti, è vietato fornire, anche in forma indiretta, indicazioni o preferenze di voto. (segue...)
Il codice di autoregolamentazione (segue) Al di fuori del periodo elettorale o referendario le emittenti radiofoniche e televisive locali possono trasmettere messaggi politici autogestiti a pagamento, mentre in tale periodo possono farlo sia a pagamento che gratuitamente. Per i messaggi politici autogestiti a pagamento in periodo elettorale o referendario devono essere praticate condizioni economiche uniformi a tutti i soggetti politici; deve essere dato preventivo avviso dell’offerta degli spazi, in modo che tutti possano farne richiesta; gli spazi devono essere concessi seguendo l’ordine di prenotazione; le tariffe massime non possono superare il 70% del listino di pubblicità tabellare. In periodo non elettorale/referendario, l’unica regola è quella di indicare chiaramente "Messaggio politico a pagamento", con l’indicazione del soggetto politico committente. I messaggi politici gratuiti sono regolati dalla legge n. 28/2000. Le sanzioni in caso di violazione sono le stesse di quelle previste dalla legge n. 28/2000.
Nel periodo successivo all’entrata in vigore della nuova disciplina, l’Agcom è stata più volte adita da esponenti politici che lamentavano il mancato rispetto delle regole oppure è intervenuta d’ufficio; più volte ha emanato formali richiami nei confronti delle emittenti televisive, ha disposto varie misure correttive ed in qualche caso ha anche comminato sanzioni pecuniarie (es. contro il Tg4 di Emilio Fede). Nella prassi, quindi, la disciplina appare scarsamente rispettata. L’Agcom ha anche emanato varie delibere con cui ha interpretato vari aspetti della legge. Da notare: non esiste una disciplina della comunicazione politica tramite internet!