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La possibilità di rinvenimento è legata alla autoecologia della specie.
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La possibilità di rinvenimento è legata alla autoecologia della specie. Infatti la conoscenza dell’areale di una specie definisce l’ecologia: basta osservare una pianta mediterranea come il lentisco (Pistacia lentiscus L.), per constatare che i limiti settentrionali della sua distribuzione dipendono dalle basse temperature dell'inverno, mentre i confini meridionali e orientali sono stabiliti dall’eccesso di aridità delle zone desertiche sahariane e siro-palestinesi. I limiti altitudinali sono in qualche misura riconducibili a quelli settentrionali. Per quanto riguarda invece le piante proprie della regione atlantica europea non sopportano eccessi di temperatura, per cui la loro distribuzione è limitata verso est dal clima continentale.
Queste affermazioni di carattere generale non debbono comunque far credere che gli areali corrispondano a definiti tipi di clima (ad esempio l’olivo si trova in tutto il bacino del Mediterraneo ma non in California). Molte specie mediterranee, ad esempio, raggiungono verso nord regioni come l’Appennino settentrionale e le Prealpi, dove il clima è blandamente o per nulla mediterraneo, insediandosi in siti microclimatici. La stessa cosa si osserva con specie atlantiche che si estendono all’Europa centrale. Le piante a distribuzione tanto vasta da comprendere più zone climatiche possono avere un’ampia tolleranza ecologica, ma spesso la loro diffusione si spiega con una diversa collocazione altitudinale, come per il caso del faggio che nell’Europa settentrionale si trova in riva al mare e in Sicilia in alta montagna.
L’osservazione dell’areale di una specie può comunque essere fonte di informazioni generiche che riguardano l’ecologia, in particolare la sua tolleranza ai fattori climatici. Altri fattori che agiscono sulla presenza delle specie in un determinato spazio geografico sono quelli orografici (l’esposizione, l’assenza di particolari ambienti geomorfologici ed idrologici, come rupi, ghiaioni e stagni, è una causa che limita indubbiamente la diffusione delle specie che richiedono tali condizioni), edafici (il tipo di substrato), biotici (la distribuzione degli animali impollinatori e dispersori, le competizioni fra le specie), ecc.
Ne consegue che l’areale non è semplicemente una nozione volta a precisare la distribuzione geografica di una specie, ma è lo spazio con il quale una specie interagisce perché in esso sussistono le condizioni necessarie per le sue esigenze bio-ecologiche. In sostanza è la presenza di una specie che attribuisce ad uno spazio geografico il significato di areale. Anche all'interno del proprio areale le diverse specie non sono presenti ovunque, ma possono essererare o abbondanti, e comunque sempre legate ad un certo ambiente, nel quale esse vivono di preferenza o esclusivamente.
In linea teorica, l’optimum ecologico di una pianta dovrebbe coincidere con le parti di areale dove la densità di individui è più elevata. Però essendo i fattori che agiscono sulla distribuzione degli organismi vegetali così numerosi ed interconnessi non è possibile separarli ed è quindi arduo tentare di stabilire delle regole generali. Inoltre le modificazioni indotte dalla attività umana sono tali che non è detto che l’assenza degli individui di una specie in alcune parti dell’areale sia una causa naturale, ma potrebbe dipendere dal fatto che qualcuno li ha eliminati. Ladistribuzione di una specie è da considerare un fatto indiretto, non dipende da una pianta essere o meno presente in un territorio. In quanto ogni specie, per la spinta evolutiva, tenta di occupare quanto più spazio è possibile, possibilmente a saturarlo, e questo è fondamentale per la sopravvivenza dei viventi.
I limiti di distribuzione di una specie vanno ricercati innanzitutto nei fattori ambientali, includendo con questa etichetta sia quelli fisici-chimici che quelli bio-ecologici, nella storia e nella evoluzione geologica e climatica del territorio e nelle condizioni climatiche ostili dei territori circostanti. L’areale di una specie infatti varia con il variare delle condizioni climatiche. Confrontando l’antica distribuzione di una pianta con quella attuale si ricavano informazioni sui cambiamenti climatici susseguitisi in un determinato territorio.
Spesso gli areali sono delimitati da barriere geografiche come gli oceani, le catene montuose e i deserti. Dall’altra parte di una barriera una specie potrebbe trovare di nuovo condizioni ecologiche favorevoli, ma può non avere i mezzi per travalicare l’ostacolo. Lo spazio geografico nel quale una specie è presente costituisce il suo Areale reale, mentre l’insieme dei territori che una specie potrebbe occupare in assenza di barriere geografiche viene indicato col nome di Areale potenziale.
Origine di un areale geografico • La nascita dell’areale di una entità vegetale si fonde principalmente su due principi scientifici: • La speciazione o differenziazione della entità vegetale • La sua diffusione • La speciazione o differenziazione della entità vegetale • Una specie se sottoposta a mutate condizioni ambientali è soggetta col tempo a modificazioni somatiche e genetiche. • Modificazioni somatiche: quando alcune piante di una determinata specie presentano delle modificazioni (foglie più piccole, individui più piccoli, colore diverso, ecc.) e questi caratteri però non vengono trasferiti alle future generazioni. • Modificazioni genetiche: quando tali modificazioni somatiche vengono trasferite nel genoma e quindi nelle generazioni successive generando così subspecie e varietà e infine nuove specie.
Le cause di tali modificazioni possono essere di tipo: Geologico: deriva dei continenti, nascita di vulcani, distacco e movimenti di placche come quella del massiccio Sardo-Corso dal continente Franco-Iberico, movimenti tettonici, corrugamenti alpini, ecc. Climatico:nell’ultimo milione di anni la terra ha subito modificazioni climatiche molto forti [4 glaciazioni (da caldo a freddo) e altrettante fasi interglaciali (da freddo a caldo)]. Attualmente la terra è nella quarta fase interglaciale e sta passando dal periodo freddo a quello caldo. Da notare che la flora fanerogama presente attualmente nel pianeta è datata 50.000 anni e che l’attuale contingente non rappresenta che una bassissima percentuale di quella comparsa nella terra (1%). Ciò vuol dire che il 99% delle fanerogame comparse sulla terra sono oramai scomparse.
Queste lenti ma progressive e inarrestabili modificazioni ambientali provocano nelle specie vegetali fenomeni di migrazione da una zona all’altra alla ricerca delle condizioni ambientali più favorevoli. Se per esempio consideriamo una specie che occupa aree costiere e in queste si verificano condizioni di aumento della temperatura e diminuzione di piovosità, la specie abbandona la propria nicchia si sposta verso aree collinari e quindi montane tentando di occupare nicchie, lasciate libere a sua volta da specie estinte o migrate per le stesse ragioni. Questi movimenti alla ricerca di nicchie più ospitali provocano nelle specie indebolimenti genetici a favore delle specie più resistenti e a scapito di altre meno resistenti che non si muovono in quanto legate ad altri fattori ecologici (per esempio la vicinanza della costa). La specie a tal punto da origine ad un’altra specie, per differenziazione, in grado di sopportare l’aumento della temperatura più della specie madre.
Questo spiega come in uno stesso territorio possono esserci più specie appartenenti allo stesso genere e in altri no. Spiega la ricchezza floristica di un territorio ricco di nicchie ecologiche come l’Italia e la povertà floristica di altri territori con ambienti più o meno monotoni e quindi poveri di nicchie come ad esempio la Gran Bretagna, la Germania, ecc. Spiega inoltre perché la Sardegna, pur essendo floristicamente povera (2.295), presenta un alto indice di diversità tassonomica [basato sul rapporto percentuale (20,18%)tra numero di famiglie (157)e numero di generi (778)e tra numero di generi e numero di specie pari al 33,90%],è ricca di specie endemiche, ecc.
La diffusione La specie quindi è in grado di occupare le nicchie lasciate libere dalle popolazioni estinte o migrate in quanto più resistenti alle mutate condizioni ambientali. E questa conquista di spazio le consente di diffondersi nel territorio con capacità di espansione molto più accentuata e molto più veloce della specie dalla quale ha avuto origine. Questo processo di espansione e di diffusione della specie presenta i suoi limiti nelle barriere geografiche: montagne, oceani, deserti. Ogni specie quindi ha il suo areale geografico (area compresa da una linea immaginaria all’interno della quale la specie può essere rinvenuta). La linea è definita dalle barriere geografiche e i punti dove può essere rinvenuta sono le nicchie dove la pianta può realizzarsi. E questa sua potenzialità dipende esclusivamente dalla autoecologia specifica.
Fattori determinanti forma e dimensione degli areali Gli areali delle specie vegetali sono determinati nella loro forma ed estensione da fattori geografici e dalle caratteristiche intrinseche della specie: queste ultime hanno maggiore importanza nel condizionare l'aspetto degli areali. I fattori geografici hanno un'azione negativa, nel senso che i grandi ostacoli come gli oceani, i deserti e le regioni montane, possono molto spesso segnare il confine dell'area della distribuzione di certe specie. Infatti gli oceani sono un ostacolo quasi invalicabile salvo che per le poche specie di fanerogame marine; non così i mari di minore larghezza es. mar Mediterraneo oppure l'Adriatico, che al contrario sembrano costituire un collegamento fra le opposte rive così che l'una e l'altra sponda risultano legate da una grande affinità floristica.
Anche i deserti sono un'efficiente barriera alla diffusione delle piante, particolarmente la grande fascia arida del Vecchio Continente (Sahara, Arabia, Turkestan, Gobi) che in queste zone isola in maniera quasi assoluta la flora mediterranea e temperata dalla flora tropicale. Per quanto riguarda l'azione delle grandi catene montuose quelle disposte secondo il meridiano (Urali, Ande, Montagne Rocciose) costituiscono una notevole barriera, mentre le catene disposte secondo il parallelo, come le Alpi, i Pirenei possono venire aggirate.
Per capire la denominazione dei Caratteristiche intrinseche delle specie bisogna partire da alcuni fattori elementari: una specie è in grado di vivere solo nell'ambiente che le è proprio ed in condizioni climatiche che permettono ai suoi semi di germinare, alle giovani plantule di attecchire, alle gemme di sopportare i periodi avversi senza essere danneggiate, ed infine che permettano alla pianta di giungere a riprodursi sessualmente. Inoltre le specie hanno una storia, si sono generate in una certa zona ed in seguito si sono allargate su tutta la superficie terrestre sulla quale si presentano le condizioni climatiche sopra citate; questa superficie si è allargata e ristretta, frammentata o ricomposta per effetto delle variazioni climatiche degli ultimi periodi geologici.
L’areale attuale è quindi determinato tanto dalla storia delle specie (variazioni climatiche degli ultimi periodi geologici) quanto dai fattori ecologici attuali (le caratteristiche stazionali; il decorso annuale delle temperature, le temperature minime assolute, durata del periodo di aridità estiva, intensità e distribuzione annua e giornaliera della luce).
Si parla di “Areale unitario o Chiuso”quando comprende un’area geografica continua o anche smembrata da un mare (es. Quercus suber, Quercus ilex, Quercus gr. pubescens, Olea europaea var.sylvestris, Pistacia lentiscus, Myrtus communis, Juniperus turbinata, Pinus halepensis, ecc.) ma sulle opposte rive la specie vegeta. Areale chiuso di Quercus suber
In qualche caso l’areale rassomiglia più o meno a linee che a superfici, almeno per quello che riguarda la rappresentazione cartografica, è il caso delle specie litorali come ad esempio l’Ammophila arenaria, che nell’emisfero boreale è distribuita sulle spiagge con una notevole continuità ma solo su una fascia di poche decine o centinaia di metri, mentre all’interno essa manca totalmente.
Quando invece l’areale è diviso in due o più zone senza alcun contatto fra loro (Es. Penisola iberica e Mar Rosso) viene detto “Areale disgiunto”. Le diverse zone che comprendono l’areale disgiunto possono essere più o meno equivalenti fra loro come superficie ed in tal caso sono detti “areale parziali”. Quando invece si abbia grande differenze di superficie fra gli areali parziali, come ad esempio quello dell’Erica arborea, si distingue un “areale principale” e una o più “disgiunzioni” che per lo più sono da interpretare come aree relitte.
Areale mediterraneo (areale principale) con disgiunzione centro-africana (aree relitte) di Erica arborea Areale di Adonis vernalis (/////), di questa specie esistono anche stazioni isolate in Germania, Francia e Spagna.
1-Areale disgiunto (artico-alpino-eurasiatico) di Pinus cembra /////-Areale chiuso (turaniano) con irradiazioni sulle coste europee di Artemisia maritima ----Areale chiuso (circumboreale) di Vaccinium (entro la linea tratteggiata)
Dimensioni degli areali La dimensione degli areali è molto varia. Gli estremi opposti sono dati dagli areali molto piccoli (che comprendono una sola montagna, una valle, un’isola, un breve tratto di costa, ecc.) e dagli areali molto grandi che si estendono su più continenti. Per questi casi estremi si parla rispettivamente di specie endemiche e specie cosmopolite. Chiaramente tra i due estremi esistono molte possibilità intermedie.
Le specie endemiche Secondo il Negri “ogni entità si dice endemica nel territorio entro il quale si sviluppa spontaneamente ed esclusivamente”. Possono essere considerati endemismi non sole le specie che occupano un areale ristretto o addirittura puntiforme ma anche quelle specie il cui areale è un po’ più ampio, infatti, abbiamo specie endemiche eurosiberiane, endemiche italiane, endemiche tirreniane, ecc. Comunque non esistono endemiche eurosiberiane o italiane in senso stretto, cioè specie il cui areale si estenda ad esempio su tutto il territorio italiano e solo su questo territorio, infatti le endemiche delle regioni alpine mancano in generale nella Penisola e nelle Isole e viceversa.
L’endemismo è un fenomeno di stenocoria, cioè di areale ristretto ad un certo territorio. • Le cause dell’endemismo possono essere assai diverse. Nella maggioranza dei casi l’areale ristretto di un taxon dipende: • da scarsa ampiezza dei limiti di tolleranza nei riguardi dei fattori ambientali; • dal fatto che il taxon, per la sua relativa giovinezza, non ha potuto conquistare tutte le stazioni in cui potrebbe vivere (areale reale minore dell’areale potenziale); • da impedimenti alla dispersione (barriere geografiche, ecologiche o biologiche); • dalla riduzione di un più ampio areale pregresso per effetto della scomparsa di condizioni ambientali idonee, per diminuita capacità concorrenziale, per variazioni paleogegrafiche.
A seconda all’epoca di origine distinguiamo Paleoendemismi o endemismi relitti (di origine Terziaria ed ancora più antica) Neoendemismi (di origine Pleistocenica e Post-glaciale).
I Paleoendemismi sono le specie di origine antica, cioè specie preglaciali, che si riconoscono come tali quando si presentano come relitti tassonomici, cioè quando sono sistematicamente isolate, essendo rimaste le uniche sopravvissute del proprio gruppo. L’areale di questi paleoendemismi un tempo si estendeva su zone ben più ampie. L’esempio classico di endemismo relitto è quello di Ginkgo biloba, endemica in una piccola regione della Cina, e che rappresenta l’unica specie vivente di questa Gimnosperme che dal Giura all’Eocene (Mesozoico) erano distribuite in tutto l’emisfero boreale. Oppure la Sequoia gigantea, endemica in piccole aree della California (forme affini sono state trovate nei depositi Terziari di altri paesi degli Stati Uniti, Canada, Groelandia, in tutta l’Europa, Siberia, Giappone, Australia, Nuova Zelanda). Alcuni esempi di paleoendesmi in Sardegna: Morisia monantha, Nananthea perpusilla, Soleirolia soleirolii; Astragalus maritimus; Areanaria balearica; Ribes sandalioticum; Ribes sardoum; Hyoseris taurina; Psolarea morisiana, Pancratium illyricum, Allium parciflorum; ecc.
I neoendemismi sono invece quelli delle specie più recenti che si sono formate in seno ai generi più polimorfi e spesso figurano come specie vicarianti geografiche, la cui genesi è imputabile all’isolamento geografico provocato dalle oscillazioni climatiche dell’ultima glaciale. Nella flora alpina troviamo numerosi neoendemismi entro i generi: Genziana, Primula, Artemisia. Nella flora dell’Italia mediterranea entro i generi: Micromeria, Centaurea, Euphorbia, Limonium, Genista. Alcuni esempi di neoendemismi della Sardegna: Vinca sardoa, Bryonia mormorata, Santolina insularis, Santolina corsica, Festuca sardoa, Poa balbisii, Crocus minimum, Scrophularia trifoliata, Limonium tigulianum, ecc.
Gli endemismi sono particolarmente abbondanti nelle zone che verso la fine del Terziario e nel Quaternario subirono profondi mutamenti ambientali (sommersioni, glaciazioni, ecc.) e comunque nei territori accidentati con grande varietà di ambienti. Sono generalmente dotate di endemismi le flore insulari perché l’isolamento favorisce la speciazione e soprattutto rende problematica la dispersione delle specie di nuova formazione al di fuori dell’isola. Particolarmente ricca è la flora delle isole lontane dai continenti; presumibilmente, infatti, i solo pochi semi per volta che sono arrivati, da una grande distanza, aumenta la probabilità che i diversi biotipi, che man mano si generano, trovino un habitat di sopravivenza. Ad esempio il 97% della flora delle Hawaii è costituito da specie endemiche. Una tale ricchezza si può spiegare considerando la loro genesi. Queste isole sono di origine vulcaniche e quindi inizialmente prive di vegetazione e di competitori. Altre isole oceaniche che mostrano percentuali altissime di specie endemiche sono il Madagascar (66%), La Nuova Zelanda (72%), Le Canarie (45%), S.Elena (85%).
Invece le isole continentali formate dal distacco di porzioni di crosta, avvenute in ere geologiche recenti, sono meno dotate di endemismi, in quanto queste isole si sono staccate già fornite di vegetazione con grosse popolazioni e tutti gli ambienti occupati. La situazione può quindi restare simile a quella che c’era prima della separazione dal continente a meno che l’isola non vada alla deriva portandosi gradualmente in una diversa porzione geografica e climatica. Ad esempio per quanto riguarda la flora della Sardegna le endemiche sono circa il 12% e in Corsica sono circa il 14% Invece le Isole Britanniche, che pure hanno un’estensione ben maggiore, mancano di specie endemiche perché esse fino ad epoca abbastanza recente rimasero collegate al continente.
Anche i complessi montuosi sono generalmente forniti di endemismi. Le vette infatti sono analoghe alle isole, perché separate climaticamente rispetto ai circostanti territori di collina. Nuove specie si possono formare sulle montagne per selezione di mutanti provenienti dalle aree di bassa quota o per isolamento di piccole popolazioni di piante che si rifugiano su montagne distanti in seguito ad una fluttazione climatica in senso caldo. Nelle Alpi, ad esempio, si hanno alcune centinaia di specie endemiche mentre la pianura germanica ne è priva. Un altro esempio è rappresentato dal piede meridionale delle Alpi attorno ai laghi lombardi che è stato un notevole centro di differenziazione di neoendemismi e invece la vicina Pianura Padana ne è quasi priva.
Le specie cosmopolite sono le specie che si presentano più o meno in tutti i continenti e con diverse condizioni climatiche. Però vere cosmopolite in senso stretto, cioè specie che si presentano in tutto il mondo non esistono. In quanto è impossibile che una pianta possa crescere egualmente bene nei climi freddi e caldi, nelle condizioni di illuminazione tropicali e polari: infatti sappiamo che la fotosintesi, la fioritura e la germinazione dei semi sono strettamente dipendenti alle condizioni di temperatura e di illuminazione. Quindi queste specie cosmopolite sono per lo più legate ad ambienti ecologici ben determinati che si ripetono nelle varie parti del mondo. I più importanti di questi ambienti sono le acque interne (stagni e corsi d’acqua) e gli ambienti salati lungo le coste dei mari (spiagge, lagune, paludi salmastre). Fra le piante acquatiche cosmopolite ricordiamo la lenticchia d’acqua (Lemna minor) e la cannuccia di palude (Phragmites communis). Areale di una specie cosmopolita che vive negli stagni: Lemna ninor
Altre specie cosmopolite sono in generale quelle che mediante speciali adattamenti possono diffondersi anche a grandi distanze per es. numerose Crittogame che possiedono spore microscopiche e quindi facilmente trasportabili. Numerosissime Alghe, soprattutto le forme planctoniche e comunque microscopiche e così pure Batteri e Muffe. Ancora ricordiamo numerose specie di Pteridofite, che si riproducono anch’esse per spore, è un gruppo assai antico come ad es. il capelvenere (Adiantus capillus-veneris), la felce aquilina (Pteridium aquilinum), ecc. Un ultimo gruppo di specie cosmopolite è quello delle piante legate agli insediamenti umani, alle stazioni ruderali e ricche di nitrati ed alle colture: si tratta di specie il cui areale originario era probabilmente più o meno limitato, ma che l'uomo già da millenni ha involontariamente diffuso su tutta la terra; fra esse ricordiamo l'ortica (Urtica dioica), la gramigna (Cynodon dactylon), il soffione (Taraxacum officinale) e le più comuni erbacee infestanti come: Poa annua, Polygonum aviculare, Chenopodium album, Stellaria media, Cerastium glomeratum, Capsella bursa-pastoris,Solanum nigrum, ecc.
Specie vicarianti Due e più specie si dicono vicarianti fra loro quando si alternano su territori limitrofi oppure su montagne a diversi livelli, senza che il loro areali si sovrappongano se non in minima parte. Possiamo avere vicarianza geografica e vicarianza ecologica. Di solito quando si parla di vicarianza geografica ci si riferisce normalmente a specie che abbiano anche, grosso modo, il requisito di una simile ecologia. Però si possono considerare fra loro vicarianti anche due specie che nel medesimo territorio si specializzano in ambienti diversi (vicarianza ecologica): in questo caso il loro areale può anche coincidere o quasi. Perché si tratti di vera vicarianza le specie debbono essere tassonomicamente vicine, così che si possa ritenerle derivate dalla medesima specie. Non è un caso, infatti, che gli areali parziali di una specie dalla distribuzione frammentata sono spesso occupati da entità sottospecifiche differenti.
Ad esempio l'areale europeo di Anemone trifoliata è costituito da 4 disgiunzioni: Alpi orientali, Appennino tosco-marchigiano, Liguria, Penisola Iberica. Le popolazioni delle prime due disgiunzioni (Alpi orientali, Appennino tosco-marchigiano) sono molto simili e non distinguibili a livello sottospecifico e costituiscono la sottospecie tipica (Anemone trifoliata subsp. trifoliata), nelle restanti due aree si hanno invece popolazioni diverse dalla prima e tra di loro, che costituiscono rispettivamente la sottospecie brevidentata (Liguria) e la sottospecie albida (Penisola Iberica). Un'altra grande popolazione di questa specie esiste negli U.S.A. orientali. Questa, nonostante il lungo isolamento (l'America si è staccata dall'Europa intorno a 60 milioni anni), è simile alla specie tipica (Anemone trifoliata subsp. trifoliata). Questo dimostra che se non intervengono spinte selezionatrici le grosse popolazioni si possono mantenere invariate per lungo tempo. Un altro esempio di vicarianza geografica è data dall'areale di Urtica atrovirens, infattiin Sardegna, Corsica, Arcipelago Toscano troviamo la forma tipica Urtica atrovirens subsp. atrovirens, invecenelle Baleari vi è la Urtica atrovirens subsp. bianorii.
Vicarianza ecologica Si possono considerare fra loro vicarianti anche due specie che nel medesimo territorio si specializzano in ambienti diversi. In questo caso il loro areale può anche coincidere o quasi. Costituiscono un esempio di vicarianti ecologiche i due rododendri delle Alpi, Rhododendron ferrugineum e Rhododedron hirsutum, essendo il primo acidofilo ed il secondo basifilo. Oppure Carex curvula ssp. curvula, comune specie acidofila alpina che su certi terreni ricchi in calcare (Tirolo, Bernina, Val d'Aosta) è sostituita dalla sottospecie rosae (Carex curvula ssp. rosae), calcifila.
Variazioni degli areali Forme ed estensioni degli areali sono determinati, come si è visto, tanto da fattori esterni (ostacoli geografici, temperatura, luce) che da fattori interni delle specie vegetali (capacità di resistenza alla concorrenza delle altre specie). Entrambi i fattori non sono però immutabili nel tempo pertanto anche gli areali possono progressivamente trasformarsi. Per quanto riguarda i fattori geografici (fattore esterno) questi variano, ma così lentamente da non poter determinare variazioni sensibili agli areali attuali delle specie. Tuttavia se consideriamo che essi agiscono come ostacolo perché impediscono lo scambio di semi, fra l’una e l’altra zona, e che la moderna civiltà ha reso possibile questi scambi anche fra regioni lontanissime, possiamo ritenere che la funzione degli ostacoli abbia subito nel tempo notevoli variazioni. Infatti, ad esempio, fino alla scoperta dell’America la probabilità che una specie americana inviasse semi vitali in Europa o viceversa era praticamente nulla; adesso la cosa è largamente possibile sia volontariamente a scopo commerciale, sia involontariamente assieme ad altri sementi, o nei carichi di lana, sul pelame degli animali, ecc.
Le piante introdotte a scopo di coltura che hanno incontrato condizioni di vita così favorevole da potersi propagare senza l’aiuto dell’uomo sono dette specie spontaneizzate (ad es. elianto). Le piante che si diffondono spontaneamente su un territorio estraneo al loro areale vengono dette avventizie. Per quanto riguarda le avventizie distinguiamo quelle comparse in maniera effimera e in seguito nuovamente scomparse (casuali) che rappresentano la maggior parte delle avventizie; e quelle che invece, trovando nel nuovo territorio condizioni ecologiche simili a quelle del paese d’origine, si sono adattate a vivere nel nuovo territorio e si sono stabilite in maniera definitiva (specie naturalizzate, specie spontaneizzate). I due termini non sono sinonimi. Sono considerate specie spontaneizzate quelle che in passato erano coltivate e poi, sfuggite a coltura, sono entrate a far parte stabilmente di una flora; invece sono considerate specienaturalizzate introdotte volutamente o accidentalmente non per scopi colturali.
In alcuni casi le specie spontaneizzate e le specie naturalizzate trovano nei nuovi territori condizioni di vita migliori che nel loro paese d’origine, ad esempio vengono ad essere prive di specie concorrenti e quindi si espandono diventando comunissime ed infestanti, fino a comprimere la flora autoctona. Così ad es. la comune robinia (Robinia pseudo-acacia), introdotta dall’America nei secoli passati, che in Europa tende a soppiantare le specie legnose indigene (quercia, olmo, ecc.). Per citare un caso inverso ricordiamo Hieracium aurantiacum, specie alquanto rara delle montagne europee, che è stata introdotta in America a scopo ornamentale e quivi e sfuggita alla coltura spontaneizzandosi come infestate e dannosa.
Per le specie avventizie naturalizzate e spontaneizzate si deve ammettere un areale reale (quello originario) ed un areale potenziale (costituito dalle altre parti del globo in cui si realizzano le condizioni ecologiche necessarie alla vita della specie). Infatti superati gli ostacoli geografici, come visto precedentemente, che impedivano alla specie di superare i limiti dell’areale reale questa si può espandere fino ad occupare tutto l’areale potenziale. Ultimato l’insediamento nella nuova zona essa si inserisce nella vegetazione locale e si comporta alla stessa stregua delle specie autoctone. Avventizie naturalizzate e spontaneizzate di questo tipo in Italia sono circa 1.000. Se invece consideriamo le invasioni improvvise di specie che non erano isolate da noi da barriere geografiche del tipo oceani o grandi deserti come ad esempio specie facenti parte della flora eurasiatica che si sono introdotte in Europa in epoca relativamente recente e si sono progressivamente allargate: in questo caso queste invasioni sono probabilmente dovute a mutazioni che hanno variato il patrimonio ereditario della specie, rendendola più resistente rispetto alla concorrenza delle altre piante, e permettendole di allargare il proprio areale.
Invece una variazione di areale di una specie in senso ristrettivo può essere giustificato dalla comparsa di un parassita: ad esempio la specie Zostera marina formava fino ai primi del 1900 estese praterie sottomarine in tutti i mari temperati e freddi del Globo; verso il 1920 si diffuse una malattia provocata da un mixomicete, che portò ad una quasi totale estinzione della specie. Essa si è mantenuta solo in acqua salmastra dove il parassita non può svilupparsi. Fra le avventizie naturalizzate hanno particolare interesse le specie infestanti le colture, che l'uomo ha involontariamente diffuso, diffondendo le stesse colture. Queste specie infestanti hanno la medesima origine delle specie coltivate. Ad esempio le specie infestanti del frumento sono piante originarie della steppa aralo-caspica e dell'Iran dove appunto il frumento ebbe la più attiva differenziazione. Queste sono presenti nella flora italiana già da oltre tre millenni e prendono il nome di archeofite. Fra le più comuni ricordiamo il Papaver rhoeas, Anagallis arvensis, varie specie di Lolium, ecc. Invece le specie infestanti le colture di mais (il mais proviene dalle montagne dell'America tropicale) sono di introduzione recente e prendono il nome di neofite e per lo più di origine americana.
Centro di origine e di distribuzione di un Taxon Generalmente è difficile individuare il centro di origine di un taxon senza una buona documentazione fossile. Un caso particolare è quello dei neoendemismi ad areale ristretto il cui il centro di origine coincide più o meno con l'attuale distribuzione. In prima approssimazione si può assumere come regione di origine di un genere o di una famiglia il suo centro di distribuzione, cioè l'area in cui il genere o la famiglia sono più articolati contando un numero maggiore di taxa subordinati (specie, subspecie, varietà, ecc.). Ciò starebbe a significare, se non altro, un lungo tempo di permanenza in quel territorio. Ad esempio il genere Eucaliptus ha il suo centrodi origine in Australia dove, infatti, vi sono più di cento specie.
Tuttavia il supposto centro di origine potrebbe essere un'area ove il taxon si è portato successivamente e dove si è notevolmente diversificato trovandosi condizioni evolutive particolarmente favorevoli. Altrimenti può corrispondere ad un'area di conservazione, dove la diversificazione del taxon si è mantenuta a fronte di altre aree dove invece si è avuto un suo impoverimento per vicissitudini ecologiche avverse Ad esempio le montagne della Nuova Guinea costituiscono il centro di distribuzione del genere Nothofagus, qui rappresentato dal maggior numero di specie. Però la Nuova Guinea non è sicuramente il centro d'origine come si deduce dalle testimonianze fossili e della storia geologica dell'area. Infatti i fossili di Nothofagus si trovano in Sudamerica, Antartide ed Australia in giacimenti più antichi rispetto alla formazione della Nuova Guinea, isola generata in seguito allo scontro della placca australiana, nella sua deriva verso l'equatore.
Analogamente alle famiglie ed ai generi, si può considerare come centro di origine di una specie la regione ove questa presenta maggiore variabilità, mentre è presumibile che le aree in cui la specie è meno variabile siano state occupate più di recente. La diffusione verso nuove regioni comporta infatti una elevata pressione selettiva che tende ad abbassare la variabilità. Un altro criterio per individuare il centro di origine è quello di considerare la distribuzione di popolazioni a diverso numero di ploidia. L'aumento di questo indicherebbe il verso della diffusione, nell'ipotesi che i poliploidi sono più adattabili e quindi più propensi a conquistare nuovi spazi.