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COMUNICAZIONE E SICUREZZA. Caterina De Micheli, Università Cattolica – Milano, 05 Dicembre 2005. Argomenti della lezione. Verso la costruzione di una CULTURA DELLA SICUREZZA Dalla comunicazione dei contenuti alla condivisione dei comportamenti
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COMUNICAZIONE E SICUREZZA Caterina De Micheli, Università Cattolica – Milano, 05 Dicembre 2005
Argomenti della lezione • Verso la costruzione di una CULTURA DELLA SICUREZZA • Dalla comunicazione dei contenuti alla condivisione dei comportamenti • STRUMENTI per conoscere, progettare e gestire i processi di comunicazione nella sicurezza
DUE IDEE DI FONDO Quando si parla di comunicazione e sicurezza è impossibile prescindere da due idee di fondo: • Processo psicosociale • Cultura organizzativa
Un nuovo concetto diSICUREZZA Su questo doppio riferimento si fonda la convinzione che la sicurezza non può più essere considerata unicamente come una proprietà dei sistemi tecnici, una proprietà quindi oggettivabile in artefatti e tecnologie. La sicurezza, infatti, è anche sapere-in-azione, conoscenza oggettivata e codificata in saperi disciplinari e pratiche professionali, di cui sono primi depositari gli operatori stessi.
Le figure coinvolte Le novità sul piano legislativo (D.Lgs. n. 195/2003) riguardano la formazione dei responsabili e degli addetti al servizio di prevenzione e protezione (RSPP e ASPP) Gli altri ruoli coinvolti nella gestione complessiva della comunicazione della sicurezza, cui è possibile allargare il discorso generato dalle riflessioni su quanto riguarda i RSPP, sono: • datori di lavoro • dirigenti • RLS • preposti • operatori
ASPETTI LEGISLATIVI • D.Lgs. n. 626/1994 (sicurezza e salute dei lavoratori ) • D.Lgs. n. 195/2003 • ha introdotto il riferimento ad alcuni rischi non esplicitamente dichiarati in precedenza: «... rischi, anche di natura ergonomica e psicosociale, di organizzazione e gestione delle attività tecnico-amministrative e di tecniche della comunicazione in azienda e di relazioni sindacali»
Rischi ergonomici e psicosociali • Il riferimento alle due «famiglie» di rischi costituite dai rischi di natura ergonomica e psicosociale rappresenta la vera novità dello scenario in cui si collocherà l’azione dei soggetti attori coinvolti nei prossimi anni. • percorso di conoscenza e analisi dei significati che possono essere attribuiti alle due famiglie di rischi in modo da rafforzare il profilo del RSPP come rilevatore degli squilibri tra sfide dell’ambiente e risorse del sistema. In questa prospettiva, il monitoraggio degli aspetti ergonomici e psicosociali dovrebbe costituire un’arma in più al fine di acquisire informazioni utili per proporre interventi e strumenti per una efficace gestione della prevenzione.
ERGONOMIA (1) Ergonomia, vocabolo composto dai due sostantivi greci («lavoro» e «legge naturale, controllo»), significa letteralmente «controllo del lavoro umano». Coniato da Murrel nel 1949 nell’ambito del primo congresso dello «Human Research Group», il termine ergonomia definisce «un modo nuovo di studiare e risolvere i rapporti tra l’uomo e l’ambiente di lavoro»
ERGONOMIA (2) È possibile ritrovare il contributo dell’ergonomia nella progettazione di molti strumenti per l’uomo: basti pensare, fra i tanti, al design di una sedia da ufficio, che deve permettere di stare seduti anche per diverse ore senza provocare fastidiosi mal di schiena. È, pertanto, facile comprendere come questo campo di studi sia per sua stessa natura multidisciplinare, necessitando delle competenze di ingegneri, medici e psicologi
ERGONOMIA E PSICOLOGIA SOCIALE La comprensione del ruolo storico della psicologia - e in particolare della psicologia sociale - nell’ambito dell’ergonomia riferita agli strumenti, sia d’uso quotidiano sia di lavoro, che le persone hanno a disposizione, richiede la distinzione nel pensiero ergonomico di due fasi: • l’ergonomia di correzione • l’ergonomia di prevenzione
ERGONOMIA DI CORREZIONE L’ergonomia di correzione, fortemente caratterizzata dalla divisione tra uomo e strumento e, conseguentemente, tra errore dell’uomo ed errore dello strumento, ha avuto come obiettivo: • l’adattamento dell’uomo alla macchina (fino agli anni ’50) • l’adattamento della macchina all’uomo (fino ai primi anni ’70)
ERGONOMIA DI PREVENZIONE Più di recente si è compreso come la divisione tra errore umano ed errore dello strumento perda di significato all’interno di una concezione centrata sulla relazione che intercorre tra le persone, l’ambiente circostante e gli artefatti tecnologici, in rapporto con gli altri membri del gruppo di lavoro e con l’intera organizzazione produttiva • Ad una concezione atomistica è andata sostituendosi, quindi, una concezione relazionale del lavoro • Il concetto di interazione ha soppiantato quello di adattamento tra uomo e lavoro
RISCHIO ERGONOMICO (1) È dunque possibile identificare due differenti modalità di concepire il rischio ergonomico: • Se si decide di permanere nella prima posizione (correzione), ci si trova necessariamente a pensare agli errori dell’uomo (prima fase), o agli errori della macchina (seconda fase) come principali fonti di rischio da tenere sotto controllo. In entrambi i casi l’attenzione risulta comunque orientata su aspetti parziali
RISCHIO ERGONOMICO (2) • Tutto muta se invece ci si pone nella prospettiva dell’ergonomia di prevenzione. Principale fonte di rischio diventano gli errori prodotti dal sistema inteso come insieme di relazioni tra soggetti (umani, ma anche eventuali operatori artificiali), compiti operativi, procedure e ambiente di lavoro. Alla voce «rischio ergonomico» andrà rubricato tutto ciò che può intervenire a turbare le relazioni di sistema tra i fattori implicati
Se per ergonomia intendiamo una componente dell’usabilità di un sistema di lavoro, con l’espressione rischio ergonomico ci riferiamo ad una famiglia di rischi legati al funzionamento del sistema preso nel suo complesso, al di là delle caratteristiche e delle specifiche delle parti che lo compongono
L’adesione alla prospettiva sistemica richiederà ai protagonisti del sistema di gestione della sicurezza in azienda, sul piano operativo, di considerare unitariamente sia l’aspetto tecnico sia quello del contesto, utilizzando alcune metodologie e strumenti tecnici sviluppati nell’ambito della ricerca psicosociale, variamente declinati a seconda del proprio ruolo specifico
RISCHIO PSICOSOCIALE • Si pone innanzitutto la necessità di trovare un denominatore comune ai diversi usi del termine «rischio» connesso ad oggetti di natura psicosociale: un’operazione necessaria per attribuire a questa espressione un significato a partire dal quale lavorare in funzione della sua applicazione al settore della sicurezza
INTERAZIONISMO Secondo la prospettiva interazionista (Lewin, Mead) per «rischio psicosociale» si intende una condizione dinamica di rapporto tra le risorse di un sistema (sia esso un individuo, un gruppo, una famiglia, un’organizzazione, ecc.) e le sfide ambientali che esso si trova ad affrontare. Così inteso, il rischio psicosociale si presenta come una condizione permanente di crisi dei sistemi psicosociali che, nel segno dell’instabilità, può essere occasione sia di crescita e sviluppo, sia di involuzione e persino di morte
ADATTAMENTO ATTIVO • Ciò che caratterizza la possibilità di orientare tale condizione verso sviluppi positivi è la capacità di coping posseduta dal sistema. Più il sistema riesce a trovare soluzioni alle sfide poste dall’ambiente utilizzando al meglio le proprie risorse, più sarà in grado di far fronte con successo a tali sfide. • La capacità di coping è una competenza che si sviluppa nell’interazione con l’ambiente e con gli altri sistemi che lo costituiscono
AUTOEFFICACIA (1) Per dominare al meglio la condizione permanente di crisi che caratterizza il rischio psicosociale, stabilendo una sorta di equilibrio dinamico tra sfide ambientali e uso delle risorse, è opportuno aumentare la capacità di coping. A tale scopo risulta fondamentale incoraggiare la crescita del grado di autoefficacia percepita dai soggetti e dai sistemi psicosociali.
AUTOEFFICACIA (2) Per autoefficacia intendiamo il grado di «convinzione della propria capacità di organizzare ed eseguire la sequenza di azioni necessaria per produrre determinati risultati. Insomma, l’autoefficacia è la convinzione della propria capacità di fare una certa cosa, o in altre parole, di raggiungere un certo livello di prestazione» (Bandura, 1996)
AUTOEFFICACIA (3) Le convinzioni relative alla propria autoefficacia si fortificano in rapporto a quattro fonti principali: • le esperienze di gestione efficace degli eventi • l’esperienza fornita dall’osservazione di modelli • la persuasione • gli stati emotivi e fisiologici
AUTOEFFICACIA (4) Tali convinzioni permettono alle persone di esercitare, in misura ovviamente variabile a seconda dei soggetti, un controllo sul comportamento che determina la qualità della loro salute e la loro integrità fisica, intervenendo su tre modalità d’azione: 1) l’abilità di decidere di cambiare le abitudini che influiscono sulla salute; 2) la disponibilità a perseverare nel cambiamento e la motivazione a farlo; 3) la costanza nel mantenimento dei cambiamenti fatti
AUTOEFFICACIA (5) Se alle persone si propone un programma per obiettivi raggiungibili attraverso passaggi intermedi alla loro portata, si riesce a motivarne gli sforzi, promuovendone la persistenza necessaria al raggiungimento della meta conclusiva. L’esercizio di controllo su situazioni critiche o processi di cambiamento programmato rappresenta infatti un buon modo per accrescere l’autoefficacia e costituisce un contributo importante alla gestione di sé
AUTOEFFICACIA (6) Così come per smettere di fumare, per implementare comportamenti virtuosi sul lavoro ciò che conta è l’interazione fra le competenze personali, (l’efficacia nella gestione di sé) e le influenze sociali predominanti nella vita di una persona (ad esempio appunto il fumo, cattive abitudini alimentari, il non uso dei dispositivi di protezione individuale, ecc.), ossia il maggiore o minore sostegno che viene offerto dall’ambiente di appartenenza
La prospettiva che emerge dall’accostamento dei due contesti permette dunque di stabilire dei ponti teorici e pratici tra le due famiglie di rischi, facilitando la loro integrazione con gli strumenti di cui il RSPP già dispone per progettare e gestire i processi comunicativi, aprendo una nuova prospettiva culturale per tutti gli operatori del settore della sicurezza
Dalla comunicazione dei contenuti alla condivisione dei comportamenti
Il ruolo della COMUNICAZIONE (1) In quanto strumenti di lavoro e oggetti di analisi, i materiali di natura comunicativa costituiscono quindi oggetti preziosi e pressoché inesauribili per le analisi più disparate e, contemporaneamente, gli ambiti privilegiati per la messa in atto dei processi di apprendimento e cambiamento di idee, mentalità e rappresentazioni, precondizione necessaria per ogni modificazione dei comportamenti. Come ha detto Kerbrat-Orecchioni, «parlare è scambiare, ed è cambiare scambiando» (1990, p. 17)
Il ruolo della COMUNICAZIONE (2) Quando poi oggetto di apprendimento sono proprio abilità di natura comunicativa - come avviene spesso nel caso della formazione alla comunicazione della sicurezza - il saper maneggiare materiali di tale natura diviene addirittura un obiettivo da cui non si può prescindere. Il possesso di una buona competenza comunicativa e di un adeguato repertorio di metodi e tecniche di analisi assume quindi notevole importanza per chi si occupa di sicurezza
La COMUNICAZIONE come processo sociale (1) Dalla comunicazione come trasferimento di informazioni da una mente all’altra in conseguenza di un processo di codifica e decodifica realizzato attraverso l’alternanza di due o più soggetti, ora attivi ora passivi, si è giunti all’idea di comunicazione come relazione sociale, risultato di un’attività congiunta di produzione di significati condotta dagli interlocutori in una prospettiva dialogico-conversazionale
La COMUNICAZIONE come processo sociale (2) Questa descrizione dei processi di comunicazione appare perfettamente adatta a spiegare quanto accade quando i suoi contenuti hanno a che fare con l’azione o comunque sono orientati a provocare cambiamenti sul piano comportamentale, proprio come quando ci si trova a comunicare di sicurezza. In queste situazioni assume particolare importanza l’efficacia della comunicazione stessa, poiché essa deve essere orientata alla definizione di impegni per l’azione oltre che alla negoziazione di significati e alla costruzione di rappresentazioni comuni
Efficacia della comunicazione I principali elementi da tenere presenti per progettare e gestire eventi comunicativi il cui contenuto riguardi la sicurezza sono: • chiara definizione del contesto • considerazione dei (ruoli dei) propri interlocutori • adeguata e preventiva pianificazione dei contenuti • orientamento della comunicazione all’assunzione di impegni e all’azione • utilizzo di un linguaggio comprensibile da parte dei propri interlocutori • identificazione con le intenzioni comunicative oltre che con il discorso dell’altro
STRUMENTI per conoscere, progettare e gestire i processi di comunicazione nella sicurezza
Strumenti e situazioni Non un catalogo, bensì un ’repertorio minimo’: tre strumenti di produzione di dati (osservazione, intervista, questionario) e due situazioni (riunione, negoziazione) la cui corretta gestione può effettivamente facilitare il passaggio da una mera comunicazione di contenuti a una condivisione dei comportamenti organizzativi relativi alla sicurezza, facilitando quindi la messa in atto di cambiamenti effettivi a riguardo dei comportamenti di evitamento del rischio
1. OSSERVAZIONE Non è possibile guardare in astratto ai comportamenti in materia di sicurezza: per poterli valutare (e gestire) è necessario osservarli, sia per cogliere contenuti e oggetti della comunicazione, sia per ottenere informazioni rispetto ai propri interlocutori e al contesto. L’osservazione (osservare non è infatti semplicemente guardare) si configura come un processo cognitivo, in quanto non solo è orientata alla lettura di un fenomeno/situazione ma soprattutto a comprendernele caratteristiche. L’osservare comporta appunto il mettere in luce tali caratteristiche - che possono riguardare un oggetto, una persona, una situazione - ponendole in relazione con il contesto, con la situazione specifica nello spazio-tempo in cui risultano collocate
OSSERVAZIONE: parametri da considerare (1) • AMBIENTE dell’osservazione: • Sul campo (ambiente naturale) • In condizioni controllate (artificiale) • RUOLO dell’osservatore • Partecipante • Non-partecipante • Maggiore praticabilità dell’osservazione partecipante viste le esigenze, gli obiettivi, ma anche il tipo di contesto (problemi di rispetto della privacy, ecc.) in cui operano coloro che si occupano di sicurezza in azienda
OSSERVAZIONE: parametri da considerare (2) • GRADO DI STRUTTURAZIONE dell’osservazione: • sistematica • esperienziale • STRUMENTI per l’osservazione • Strutturati (griglie) • Narrativo-diaristici (‘carta e matita’)
2. INTERVISTA L’intervista può essere definita come un colloquio tra due persone finalizzato a raccogliere informazioni significative, focalizzato su un contenuto specifico e congruente con gli obiettivi prefissati. Implica dunque l’interazione verbale diretta tra le persone e consente estese possibilità di personalizzazione e approfondimento. L’intervista può svolgere tre funzioni: • è un mezzo per la raccolta di informazioni rilevanti per un’indagine; • è uno strumento utilizzabile per formulare ipotesi, per validare ipotesi già formulate o per individuare variabili e relazioni tra fenomeni; • in collegamento con altri strumenti di indagine (osservazione, questionario), può servire per meglio comprendere e valutare, o approfondire, i dati prodotti grazie a tali strumenti
INTERVISTA: struttura La struttura dell’intervista individuale deve essere studiata in relazione agli obiettivi che di volta in volta si intendono perseguire. Per dare concretezza a un’intervista si deve operare in modo da porre sul tavolo e discutere una serie di tematiche più o meno collegate agli obiettivi. Tematiche ricorrenti sono ad esempio: • le soluzioni destinate a ridurre l’entità dei rischi residui presenti nelle attrezzature di lavoro (macchine, impianti, utensili, etc); • la qualità dell’interfaccia uomo-macchina; • la qualità dell’organizzazione del lavoro (mansioni, cooperazione, coordinamento, etc); • le motivazioni e le aspettative proprie dell’individuo; • la necessità di nuove acquisizioni professionali
3. QUESTIONARIO • Il questionario spesso è preferito come strumento d’indagine poiché con il suo utilizzo è possibile arrivare in tempi rapidi ad ottenere dati (relativi anche ad un numero elevato di soggetti) rappresentabili in forma quantitativa e di facile elaborazione ed interpretazione. • Lo svantaggio più grande è rappresentato dal fatto che tale strumento ci porta a rilevare, per sua natura, dati generici e di superficie, che presentano in alcuni casi carenza di attendibilità legata alla formulazione delle domande, alle modalità e alle condizioni di compilazione del questionario stesso
QUESTIONARIO: situazioni d’uso (1) • questionario conoscitivo: gli argomenti sondati possono riguardare: • atteggiamento nei confronti della sicurezza; • esperienza diretta o indiretta in materia di prevenzione; • interessi specifici e necessità espresse dai singoli soggetti (non solo in ambito sicurezza, ma anche, per esempio, in quello dei metodi e dei ritmi di lavoro); • conoscenze e abilità possedute dal personale (sondabili con specifici test tecnici)
QUESTIONARIO: situazioni d’uso (2) • questionario di valutazione: risponde ad esigenze di valutazione degli standard di qualità, e può assumere una funzione statistica e valutativa, per un costante impegno a soddisfare le esigenze espresse da coloro che ne sono i destinatari
4. RIUNIONI Le riunioni in un contesto di lavoro assumono importanza in rapporto al contributo che danno rispetto a: • sviluppo del senso di appartenenza all’azienda; • circolazione delle informazioni; • maggiore condivisione delle decisioni stabilite in gruppo; • unione tra i diversi settori dell’azienda; • analisi e risoluzione dei problemi; • possibilità per i singoli di esprimersi
Per preparare e condurre una riunione di lavoro risulta opportuno procedere con ordine almeno rispetto alle seguenti operazioni: • stabilire gli obiettivi; • decidere ordine del giorno e programmazione del lavoro; • mettere in atto costantemente un «ascolto attivo»; • porre attenzione alla gestione del tempo, stabilendo a priori dei criteri di durata e di ripartizione dei tempi di parola
5. NEGOZIAZIONE La negoziazione è un processo che inizia quando due o più soggetti (persone, gruppi, organizzazioni, istituzioni, etc.) si riuniscono per cercare di risolvere un conflitto e che si conclude quando viene raggiunto un accordo mutuamente soddisfacente, quando cioè tutte le parti coinvolte ottengono un risultato positivo. Richiede abilità specifiche volte a creare un ambiente favorevole per raggiungere tale accordo
NEGOZIAZIONE: i sette elementi Storicamente, il maggior contributo sul tema della negoziazione è Getting to yes (1981) di Fisher e William Ury, nel quale gli autori hanno realizzato una ricostruzione sistematica di quelli che sono gli elementi da tenere sempre in considerazione in ogni processo negoziale (sia per semplici scopi di analisi, sia per intenti prescrittivi e di training degli attori negoziali)
Sono giunti a una ripartizione in sette elementi: • Interessi: rappresentano la risposta alla domanda: «cosa vuole realmente l'attore negoziale?» • Opzioni: rispondono alla domanda: «quali sono gli accordi possibili?» • Alternative: rispondono alla domanda: «quali altre strade ho a disposizione per soddisfare i miei interessi?» • Legittimazione: «Che criteri userò per persuadere l'altra parte che l'accordo è equo?» • Comunicazione: una buona comunicazione permette di evitare i fraintendimenti e aumentare l'efficienza del processo • Relazioni: una buona relazione aumenta la fiducia, il rispetto, incoraggia la mutua persuasione (non coercitiva), la comprensione e la comunicazione stessa • Impegno: promessa (commitment) «Che impegno dovrei cercare o realizzare?»